SENTENZA N. 184
ANNO 2025
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta da: Presidente: Giovanni AMOROSO; Giudici : Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO, Filippo PATRONI GRIFFI, Marco D’ALBERTI, Antonella SCIARRONE ALIBRANDI, Massimo LUCIANI, Maria Alessandra SANDULLI, Roberto Nicola CASSINELLI, Francesco Saverio MARINI,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 1, commi 2, 5, 7, 8 e 9, e 3, commi 1, 2, 4 e 5, della legge della Regione Sardegna 5 dicembre 2024, n. 20, recante «Misure urgenti per l’individuazione di aree e superfici idonee e non idonee all’installazione e promozione di impianti a fonti di energia rinnovabile (FER) e per la semplificazione dei procedimenti autorizzativi», promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri con ricorso notificato il 3 febbraio 2025, depositato in cancelleria in pari data, iscritto al n. 8 del registro ricorsi 2025 e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 9, prima serie speciale, dell’anno 2025.
Visti l’atto di costituzione della Regione autonoma Sardegna, nonché gli atti di intervento di Ortus Power Resources Italy srl, OPR Sun 11 srl e altri, Pacifico Lapislazzuli srl, FRV Italia srl, EF Agri - sarl, Maple Tree Solar srl, DRen Solare 12 srl, Lightsource Renewable Energy Italy SPV 22 srl, DRen Solare 8 srl, DRen Solare 15 srl, ANT srl, EVO srl, Iberdrola Renovables Italia spa, ERG Wind Energy srl, Engie Trexenta srl, Engie Mistral srl e Rwe Renewables Italia srl;
udito nell’udienza pubblica del 7 ottobre 2025 il Giudice relatore Angelo Buscema;
uditi gli avvocati Carlo Comandè per la Pacifico Lapislazzuli srl e per gli altri soggetti intervenuti, Claudio Vivani per la RWE Renewables Italia srl, gli avvocati dello Stato Maria Gabriella Mangia e Giorgio Santini per il Presidente del Consiglio dei ministri, nonché gli avvocati Mattia Pani e Floriana Isola per la Regione autonoma Sardegna;
deliberato nella camera di consiglio dell’8 ottobre 2025.
Ritenuto in fatto
1.– Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, promuove questioni di legittimità costituzionale degli artt. 1, commi 2, 5, 7, 8 e 9, e 3, commi 1, 2, 4 e 5, della legge della Regione Sardegna 5 dicembre 2024, n. 20, recante «Misure urgenti per l’individuazione di aree e superfici idonee e non idonee all’installazione e promozione di impianti a fonti di energia rinnovabile (FER) e per la semplificazione dei procedimenti autorizzativi», in riferimento agli artt. 3, 41, 97, 117, primo comma, della Costituzione, quest’ultimo in relazione ai principi espressi dalla direttiva (UE) 2023/2413 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 18 ottobre 2023, che modifica la direttiva (UE) 2018/2001, il regolamento (UE) 2018/1999 e la direttiva n. 98/70/CE per quanto riguarda la promozione dell’energia da fonti rinnovabili e che abroga la direttiva (UE) 2015/652 del Consiglio; nonché in riferimento all’art. 117, terzo comma, Cost., in relazione agli artt. 20, 22 e 23 del decreto legislativo 8 novembre 2021, n. 199, recante «Attuazione della direttiva (UE) 2018/2001 del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’11 dicembre 2018, sulla promozione dell’uso dell’energia da fonti rinnovabili» e agli artt. 1, comma 2, 2 e 7 del decreto del Ministro dell’ambiente e della sicurezza energetica 21 giugno 2024, recante «Disciplina per l’individuazione di superfici e aree idonee per l’installazione di impianti a fonti rinnovabili».
Il Presidente del Consiglio dei ministri lamenta altresì il contrasto della normativa regionale con l’art. 10 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione) e con gli artt. 3 e 4, lettera e), della legge costituzionale n. 3 del 1948 (Statuto speciale per la Sardegna); nonché, infine, la violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera m), Cost., in relazione agli artt. da 14 a 14-quinquies, 17-bis e 29 della legge 7 agosto 1990, n. 241 (Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi), nella parte in cui recano la disciplina della conferenza dei servizi e del silenzio assenso anche tra pubbliche amministrazioni, e della lettera s) del medesimo articolo, in relazione agli artt. 21 e 146 del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell’articolo 10 della legge 6 luglio 2002, n. 137), per violazione della competenza legislativa esclusiva statale in materia di tutela dei beni paesaggistici.
1.1.– Con il primo motivo di ricorso, il Presidente del Consiglio dei ministri eccepisce l’illegittimità costituzionale dell’art. 1, comma 2, della legge reg. Sardegna n. 20 del 2024, in quanto esso, delimitando il campo di applicazione della medesima legge regionale, si porrebbe in «aperta violazione del principio di uguaglianza di cui all’articolo 3 della Costituzione, di certezza del diritto e del legittimo affidamento nonché di libertà di iniziativa economica di cui all’art. 41 Cost.».
Tale disposizione, infatti, laddove si riferisce ai procedimenti amministrativi relativi a impianti di fonti energetiche rinnovabili (FER) già in corso e a quelli conclusi favorevolmente, salvo l’intervenuto mutamento irreversibile dello stato dei luoghi, inciderebbe negativamente sulla certezza del diritto e delle situazioni giuridiche, anche in considerazione della valutazione soggettiva che discende dall’accertamento della natura irreversibile dello stato dei luoghi; determinerebbe un indubbio danno a carico dell’operatore e, segnatamente, alla libertà di iniziativa economica, considerando che, nelle more del compimento delle procedure per l’ottenimento dei titoli abilitativi, l’operatore potrebbe avere già sostenuto ingenti costi tecnici e amministrativi. Tale disposizione, dunque, sarebbe irragionevole.
Infine, incidendo in senso restrittivo «anche sul minimum di aree idonee» all’installazione degli impianti, di cui all’art. 20, comma 8, del d.lgs. n. 199 del 2021, violerebbe anche l’art. 117, primo comma, Cost., in relazione ai principi eurounitari di massima diffusione delle fonti da energia rinnovabile, e agli artt. 3 e 4, lettera e), dello statuto speciale.
1.2.– Con il secondo motivo del ricorso, il ricorrente lamenta che l’art. 1, comma 5, primo periodo, della legge reg. Sardegna n. 20 del 2025, introducendo un divieto assoluto di realizzazione degli impianti ricadenti nelle aree qualificate come «non idonee», così come individuate negli Allegati A, B, C, D ed E, nonché dai successivi commi 9 e 11 del medesimo articolo, si porrebbe in contrasto con l’art. 117, commi primo e terzo, Cost. in relazione, rispettivamente, ai parametri interposti rappresentati dai principi espressi dalla direttiva 2023/2413/UE, e agli artt. 20, 22 e 23 del d.lgs. n. 199 del 2021 nonché agli artt. 1, comma 2, 2 e 7, del d.m. 21 giugno 2024 e agli artt. 3 e 4, lettera e), dello statuto speciale
1.3.– Con il terzo motivo di ricorso è impugnato l’art. 1, comma 5, nella parte in cui prevede, al secondo periodo, che il «divieto di realizzazione si applica anche agli impianti e gli accumuli FER la cui procedura autorizzativa e di valutazione ambientale, di competenza regionale o statale, è in corso al momento dell’entrata in vigore della presente legge» e che, al terzo e quarto periodo, «[n]on può essere dato corso alle istanze di autorizzazione che, pur presentate prima dell’entrata in vigore della presente legge, risultino in contrasto con essa e ne pregiudichino l’attuazione. I provvedimenti autorizzatori e tutti i titoli abilitativi comunque denominati già emanati, aventi ad oggetto gli impianti ricadenti nelle aree non idonee, sono privi di efficacia», incorrerebbe, altresì, nella violazione del principio di certezza del diritto, che vede, tra i propri corollari, il principio del legittimo affidamento riconosciuto dall’art. 3 Cost. e del principio di libertà di iniziativa economica di cui all’art. 41 Cost.
1.4.– Con il quarto motivo di ricorso il ricorrente censura, altresì, il comma 7 dell’art. 1 della legge regionale sarda, là dove introduce un criterio di «non idoneità» destinato a prevalere nel caso in cui un progetto ricada sia nelle aree idonee sia nelle aree non idonee. Tale disposizione violerebbe l’art. 117, primo comma, Cost., poiché si porrebbe in contrasto con il principio eurounitario dell’interesse pubblico prevalente alla diffusione dell’energia da fonti rinnovabili.
Rappresenta in proposito l’Avvocatura generale dello Stato che l’art. 16-septies della direttiva 2018/2001/UE, introdotto dall’art. 1, numero 7), della direttiva 2023/2413/UE, rubricato «Interesse pubblico prevalente», enuncerebbe un principio destinato a valere nell’ambito della procedura di rilascio delle autorizzazioni, ai sensi del quale si richiede un apprezzamento caso per caso ad opera dell’autorità amministrativa, principio che non giustificherebbe un divieto generalizzato fissato ex ante, come previsto dal legislatore regionale con l’impugnata disposizione.
1.5.– Il Presidente del Consiglio dei ministri impugna, con il quinto motivo di ricorso, anche l’art. 1, comma 8, della legge reg. Sardegna n. 20 del 2024, là dove stabilisce che «[g]li interventi di rifacimento, integrale ricostruzione, potenziamento relativi ad impianti realizzati in data antecedente all’entrata in vigore della presente legge e in esercizio, nelle aree non idonee, sono ammessi solo qualora non comportino un aumento della superficie lorda occupata, nonché, nel caso di impianti eolici, un aumento dell’altezza totale dell’impianto, da intendersi come la somma delle altezze dei singoli aerogeneratori del relativo impianto, fermo restando quanto previsto dal secondo periodo del comma 6, ivi compreso il rispetto dell’articolo 109 delle norme di attuazione del Piano paesaggistico regionale».
La richiamata disciplina degli interventi di rinnovo e di ristrutturazione (cosiddetti revamping e repowering), relativi a impianti già realizzati e in esercizio prima dell’entrata in vigore della legge regionale nelle aree non idonee, si porrebbe – secondo il ricorrente – in contrasto con il principio della certezza del diritto, atteso che non sarebbe chiaro se essa debba valere solo per il futuro oppure se debba riferirsi anche a interventi già assentiti alla data di entrata in vigore della legge regionale impugnata.
La vaghezza dell’enunciato normativo determinerebbe la lesione dei principi di uguaglianza, ragionevolezza, certezza del diritto e legittimo affidamento, oltre che di libertà di iniziativa economica di cui agli artt. 3 e 41 Cost.
Tale disposizione si porrebbe in contrasto anche con l’art. 20 del d.lgs. n. 199 del 2021, che correla il concetto di “area idonea” non già alla possibilità di ospitare impianti da fonti rinnovabili, bensì all’accesso a talune misure di semplificazione e accelerazione dei procedimenti amministrativi, così violando principi fondamentali adottati dal legislatore statale nella materia di competenza concorrente «produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia», di cui all’art. 117, terzo comma, Cost. e con gli artt. 3 e 4, lettera e), dello statuto speciale.
1.6.– Con il sesto motivo di ricorso il ricorrente impugna, altresì, l’art. 1, comma 9, della legge reg. Sardegna n. 20 del 2024, là dove individua l’elenco delle aree non idonee alla realizzazione degli impianti off-shore. Egli ritiene violate le competenze previste dagli artt. 3 e 4, lettera e), dello statuto speciale, nonché l’art. 117, terzo comma, Cost., perché la disposizione regionale impugnata sarebbe in contrasto con l’art. 23 (Procedure autorizzative per impianti off-shore e individuazione aree idonee) del d.lgs. n. 199 del 2021, che recherebbe principi fondamentali fissati dallo Stato nella materia di legislazione concorrente «produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia». Secondo la prospettazione del ricorrente, l’art. 23 del richiamato decreto legislativo, stabilendo le modalità per l’individuazione delle aree idonee per gli impianti off-shore, non lascerebbe spazio alle regioni di intervenire con loro legge secondo procedure diverse da quelle ivi prefigurate.
1.7.– Infine, con il settimo motivo di ricorso, è impugnato l’art. 3, commi 1, 2, 4 e 5, della legge reg. Sardegna n. 20 del 2024, là dove introduce misure di semplificazione e accelerazione per la promozione di impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili in aree non idonee. Tale disposizione, delineando un modello di procedimento autorizzatorio difforme da quello previsto dalle leggi statali, sarebbe affetta da vari vizi di legittimità costituzionale in quanto, eccedendo dalle competenze che gli artt. 3 e 4, lettera e), dello statuto speciale riconoscono alla Regione autonoma Sardegna, violerebbe la competenza legislativa esclusiva dello Stato nelle materie di cui all’art. 117, secondo comma, lettere m) e s), Cost., in relazione ai seguenti parametri interposti.
1.7.1.– Rileva il ricorrente che la disciplina regionale impugnata, al fine dichiarato di agevolare il raggiungimento degli obiettivi di transizione energetica, di promozione delle fonti rinnovabili e di contenimento dei costi energetici nel rispetto delle peculiarità storico-culturali, paesaggistico-ambientali e delle produzioni agricole, riconosce ai comuni la facoltà di proporre un’istanza propedeutica alla realizzazione di un impianto o di un accumulo di FER all’interno di un’area individuata come «non idonea». Tale istanza, volta al raggiungimento di un’intesa con la regione (comma 1), è presentata dal comune previa deliberazione adottata a maggioranza qualificata dal consiglio comunale (o dai consigli comunali il cui territorio sia interessato, anche in virtù di un impatto visivo o paesaggistico dall’impianto o dall’accumulo FER) ed è preceduta da un «dibattito pubblico», nonché dall’espletamento di una consultazione popolare che si deve concludere con una posizione favorevole alla proposta (comma 2).
Esaurita la fase descritta, l’istanza del comune è proposta all’assessorato regionale competente in materia, il quale, in base alla disciplina della conferenza dei servizi istruttoria e “semplificata” di cui, rispettivamente, agli artt. 14, comma 1, e 14-bis della legge n. 241 del 1990, entro novanta giorni dal ricevimento dell’istanza, convoca i soggetti competenti ad esprimersi all’unanimità in relazione alla compatibilità dell’intervento rispetto alla presenza di aree non idonee. In tale procedimento amministrativo non trovano applicazione, per espressa previsione regionale, le ipotesi di silenzio assenso (comma 4). All’esito, la Giunta regionale delibera sull’intesa in base a criteri che saranno successivamente fissati dalla medesima (comma 6).
Il proponente, perfezionata l’intesa in base al procedimento sopra descritto, potrà successivamente presentare ai soggetti competenti un’istanza per la realizzazione dell’intervento nell’ambito del regime autorizzativo previsto per le aree ordinarie, utilizzando il regime della procedura abilitativa semplificata (PAS) o dell’autorizzazione unica (AU).
La disciplina sopra richiamata, nel prevedere che la predetta istanza del comune sia sottoposta prima a una valutazione di opportunità del consiglio comunale, previo dibattito pubblico e, poi, a una valutazione tecnico amministrativa, mediante conferenza dei servizi, introdurrebbe un modello procedimentale difforme rispetto agli istituti della conferenza dei servizi e del silenzio assenso disciplinati dagli artt. da 14 a 14-quinquies e 17-bis, della legge n. 241 del 1990 e, pertanto, determinerebbe la violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera m), Cost., che attribuisce allo Stato la competenza legislativa esclusiva in materia di determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale.
Le dichiarate misure di semplificazione e accelerazione introdurrebbero, infatti, a livello regionale, la regola esclusiva della deliberazione all’unanimità dei soggetti convocati in sede di conferenza dei servizi, chiamati a esprimersi in ordine alla compatibilità dell’intervento rispetto alle aree non idonee, nonché l’inoperatività del silenzio assenso nell’ambito della conferenza stessa. Le procedure regionali impugnate rappresenterebbero, pertanto, delle deroghe rispetto all’ordinario funzionamento della conferenza dei servizi e del silenzio assenso, di cui alla richiamata disciplina statale sul procedimento amministrativo.
Osserva al riguardo il ricorrente che, ai sensi dell’art. 29, comma 2-ter, della legge n. 241 del 1990, attengono ai livelli essenziali delle prestazioni di cui all’art. 117, secondo comma, lettera m), Cost. «le disposizioni della presente legge concernenti la presentazione di istanze, segnalazioni e comunicazioni, la segnalazione certificata di inizio attività e il silenzio assenso e la conferenza di servizi, salva la possibilità di individuare, con intese in sede di Conferenza unificata di cui all’articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, e successive modificazioni, casi ulteriori in cui tali disposizioni non si applicano»; il comma 2-quater del medesimo articolo prevede, poi, che le regioni e gli enti locali, nel disciplinare i procedimenti amministrativi di loro competenza, «non possono stabilire garanzie inferiori a quelle assicurate ai privati dalle disposizioni attinenti ai livelli essenziali delle prestazioni di cui ai commi 2-bis e 2-ter, ma possono prevedere livelli ulteriori di tutela»; infine, secondo il Presidente del Consiglio dei ministri, il successivo comma 2-quinquies stabilisce che anche le regioni a statuto speciale e le province autonome di Trento e di Bolzano «adeguano la propria legislazione alle disposizioni del presente articolo, secondo i rispettivi statuti e le relative norme di attuazione».
La legge regionale sarda secondo l’Avvocatura generale dello Stato recherebbe un livello inferiore di tutela rispetto a quello garantito dalla disciplina statale, prevedendo esclusivamente il criterio dell’unanimità per l’assunzione della decisione in merito alla compatibilità dell’intervento all’interno di un’area individuata come non idonea, a fronte di una disciplina statale che consente anche l’adozione di una determinazione della conferenza sulla base delle posizioni prevalenti. Pertanto, il ricorrente deduce l’illegittimità costituzionale dell’art. 3, commi 1, 2, 4 e 5, della legge reg. Sardegna n. 20 del 2024, per violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera m), Cost., «in relazione ai citati parametri interposti» (sono citate le sentenze di questa Corte n. 9 del 2019 e n. 246 del 2018).
1.7.2.– L’impugnato art. 3, nel violare le richiamate competenze statutarie di cui agli artt. 3 e 4, lettera e), dello statuto speciale, invaderebbe anche la competenza legislativa esclusiva dello Stato nelle materie di cui all’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., in relazione ai parametri interposti di cui gli artt. 21 e 146 del d.lgs. n. 42 del 2004.
Evidenzia l’Avvocatura generale dello Stato che, per costante giurisprudenza costituzionale la conservazione ambientale e paesaggistica spetterebbe, in base all’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., alla cura esclusiva dello Stato (sono citate le sentenze n. 160 del 2021, n. 178 e n. 172 del 2018 e n. 103 del 2017). Con specifico riferimento al procedimento per il rilascio dell’autorizzazione paesaggistica, viene altresì richiamata la giurisprudenza costituzionale secondo cui la legislazione regionale non può prevedere una procedura diversa da quella dettata dalla legge statale, perché alle regioni non è consentito introdurre deroghe agli istituti di protezione ambientale che dettano una disciplina uniforme, valevole su tutto il territorio nazionale, fra i quali rientra l’autorizzazione paesaggistica (sono citate le sentenze n. 248 del 2022, n. 160 e n. 74 del 2021, n. 189 del 2016, n. 238 del 2013, n. 235 del 2011, n. 101 del 2010 e n. 232 del 2008).
Secondo il ricorrente, la disposizione in esame, prevedendo che un impianto di fonti energetiche rinnovabili possa essere realizzato nell’ambito delle aree non idonee a seguito di un’intesa politica tra enti territoriali, anche in aree sottoposte a tutela culturale o paesaggistica, esautorerebbe completamente il procedimento autorizzatorio della soprintendenza competente, così ledendo la normativa statale posta a presidio dei beni culturali e paesaggistici.
2.– Si è costituita in giudizio la Regione autonoma Sardegna, eccependo l’inammissibilità e, in subordine, la non fondatezza del ricorso.
2.1.– Anzitutto, la resistente eccepisce l’inammissibilità delle questioni aventi ad oggetto le disposizioni dell’art. 1, commi 2, 5, 7, 8 e 9, della legge regionale poste in riferimento agli artt. 97 e 117, secondo comma, lettera s), Cost., per assenza di motivazione. La violazione di tali parametri è assertivamente dedotta solo nella rubrica del relativo motivo di ricorso, senza alcuna indicazione delle ragioni per le quali le disposizioni regionali censurate si porrebbero in contrasto con essi.
2.2.– Con riferimento, poi, alle questioni proposte in riferimento al principio del legittimo affidamento (art. 1, commi 2 e 5), la Regione autonoma Sardegna ne sostiene la non fondatezza.
La resistente assume che le disposizioni censurate sotto tale profilo farebbero applicazione del principio generale tempus regit actum, in base al quale lo ius superveniens incide sulle fasi del procedimento non ancora concluse. Pertanto, nell’ipotesi in cui un procedimento autorizzatorio relativo a un progetto insistente su un’area poi classificata come non idonea da una normativa sopravvenuta sia ancora in corso, dovrebbe necessariamente applicarsi la regolamentazione sopravvenuta, in quanto disciplina vigente durante lo svolgimento della procedura.
Il principio varrebbe peraltro, secondo la difesa regionale, anche per i procedimenti già conclusi. Occorrerebbe, infatti, considerare che la procedura concernente l’installazione, la costruzione e l’esercizio di impianti da fonti di energia rinnovabile si articola in diverse fasi, una delle quali è quella che sfocia nell’autorizzazione: fase che, tuttavia, non esaurisce la procedura. Seguirebbero, infatti, le fasi dell’avvio e della conclusione dei lavori, precedute altresì dalle pratiche di acquisizione delle aree e dalla fase della realizzazione.
In subordine, anche a voler contrariamente opinare, varrebbe il rilievo che il principio di irretroattività della legge, di cui all’art. 11 delle preleggi, non è costituzionalmente vincolate, salvo che in materia penale (art. 25, secondo comma, Cost.).
Alla luce della giurisprudenza costituzionale, sarebbe consentito in specie al legislatore, anche regionale, di intervenire in senso sfavorevole su assetti regolatori precedentemente definiti, in presenza di posizioni giuridiche non adeguatamente consolidate, ovvero in seguito alla sopravvenienza di interessi pubblici, che esigano interventi normativi diretti a incidere peggiorativamente su di esse, nei limiti della proporzionalità dell’incisione rispetto agli obiettivi di interesse pubblico perseguiti, nel rispetto del principio di ragionevolezza e per soddisfare un interesse pubblico sopravvenuto quale quello, nella fattispecie, di mettere ordine in uno scenario di affollamento di istanze anche con eventuali intenti speculativi in virtù dei previsti incentivi.
2.2.1.– Sarebbe altresì inammissibile e, comunque, non fondata la questione di legittimità costituzionale del comma 2 dell’art. 1 della legge reg. Sardegna n. 20 del 2024, basata sull’assunto che la disposizione impugnata inciderebbe in senso restrittivo sul minimo di aree idonee prefigurato dall’art. 20, comma 8, del d.lgs. n. 199 del 2021.
La questione sarebbe inammissibile perché il Presidente del Consiglio dei ministri avrebbe dovuto impugnare anche il successivo comma 6 del medesimo art. 1, che provvede a individuare espressamente le aree idonee.
Ad ogni modo, secondo la difesa regionale la questione sarebbe non fondata, in quanto nell’art. 20, comma 8, del d.lgs. n. 199 del 2021 non si rinverrebbe alcun miminum immodificabile. La norma statale elenca, infatti, una serie di aree che vengono considerate idonee nelle more della concreta individuazione da parte delle regioni secondo i criteri oggi indicati dal d.m. 21 giugno 2024: sicché l’elenco della disposizione nazionale varrebbe solo fino all’adozione delle leggi regionali.
2.3.– Parimenti inammissibili e non fondate sarebbero le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 5, della legge reg. Sardegna n. 20 del 2024.
2.3.1.– L’inammissibilità dipenderebbe dalla genericità del ricorso e dalla erronea ricostruzione della disciplina regionale contestata.
Rappresenta la difesa regionale che il ricorrente non avrebbe dimostrato come la normativa regionale impugnata impedisca il raggiungimento degli obiettivi stabiliti dalla disciplina eurounitaria, peraltro «[i]n assenza di espressa impugnazione degli Allegati».
Altresì inammissibile sarebbe la censura volta a far valere il contrasto con l’art. 16-septies della direttiva 2018/2001/UE, introdotto dall’art. 1, numero 7), della direttiva 2023/2413/UE, citato solo in rubrica e non sviluppato nelle argomentazioni a sostegno di questa specifica impugnazione.
2.3.2.– Le censure sarebbero comunque non fondate perché la Regione autonoma, in applicazione del d.lgs. n. 199 del 2021, tenuto conto dell’obiettivo di potenza complessiva da raggiungere al 2030 concordato con lo Stato e indicato nell’art. 2 del già citato d.m. 21 giugno 2024, avrebbe svolto un’istruttoria basata sulle condizioni specifiche del territorio e avrebbe disciplinato la probabile futura distribuzione degli impianti nelle aree e superfici classificate come idonee in numero sufficiente al raggiungimento del predetto obiettivo, evitando il sovraccarico delle reti di distribuzione.
Riferisce la difesa regionale che dagli approfondimenti svolti dalle strutture amministrative regionali sarebbe emerso che il «totale aree idonee potenziale» garantirebbe, comunque, il raggiungimento delle quote di energia FER concordate con il Governo. Pertanto, la normativa regionale contestata sarebbe intervenuta a individuare e disciplinare le aree non idonee nell’esclusivo intento di preservare al massimo il patrimonio paesaggistico, archeologico, storico-culturale, ambientale di cui il territorio sardo è ricchissimo, senza tuttavia escludere del tutto la possibilità di installare nelle aree e superfici non idonee impianti FER.
La normativa in questione, poiché dunque volta alla tutela del paesaggio, sarebbe stata adottata nel rispetto della competenza legislativa della Regione in materia di edilizia e urbanistica, prevista dall’art. 3, lettera f), dello statuto speciale, che comprenderebbe anche il paesaggio.
Conclude la difesa regionale rilevando, peraltro, che nelle aree individuate come idonee (art. 1, comma 6, e Allegato F alla legge reg. Sardegna n. 20 del 2024), nonché in quelle astrattamente inidonee, qualora sussista sovrapposizione con quelle idonee, sarebbe sempre consentita la realizzazione di impianti da fonti rinnovabili, se finalizzati all’autoconsumo o al servizio di una comunità energetica.
2.4.– Sarebbe non fondata anche la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 7, della legge reg. Sardegna n. 20 del 2024, poiché il ricorrente non avrebbe considerato nella sua interezza il contenuto della disposizione, da cui emergerebbe che, nel caso di impianti destinati all’autoconsumo, prevarrebbe il criterio di idoneità.
2.5.– La questione avente ad oggetto l’art. 1, comma 8, secondo la difesa regionale, sarebbe inammissibile per genericità dei motivi e, comunque, non fondata perché la legge, ove non specificato diversamente, dovrebbe sempre intendersi valevole solo pro futuro.
2.6.– Anche la questione relativa agli impianti regionali off-shore (art. 1, comma 9, della legge reg. Sardegna n. 20 del 2024) sarebbe inammissibile per genericità e assenza di adeguata motivazione.
Sostiene, poi, la difesa regionale che il Presidente del Consiglio dei ministri avrebbe dovuto impugnare anche il secondo periodo del comma 2 dell’art. 1 della legge regionale n. 20 del 2024, il quale stabilisce che la medesima legge si applica anche «alle acque territoriali e alla zona di mare contigua, ai sensi della Convenzione di Montego Bay del 10 dicembre 1982, ratificata con la legge 2 dicembre 1994, n. 689 (Ratifica ed esecuzione della Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare, con allegati e atto finale, fatta a Montego Bay il 10 dicembre 1982, nonché dell’accordo di applicazione della parte XI della convenzione stessa, con allegati, fatto a New York il 29 luglio 1994)», sicché in tali aree marine la Regione sarebbe competente a identificare zone non compatibili con l’installazione di impianti off-shore.
Sempre con riguardo a siffatti impianti, non sarebbero stati oggetto di censura neppure i commi 10 e 11 del medesimo art. 1, inerenti alle relative opere di connessione a terra.
Inoltre, la Regione autonoma Sardegna osserva che, mentre l’art. 23 del d.lgs. n. 199 del 2021, indicato dal ricorrente come norma interposta riguarderebbe l’individuazione delle are idonee, la disposizione regionale impugnata si riferirebbe, invece, alle aree non idonee e si inserirebbe in un contesto nel quale, a distanza di quasi quattro anni dall’entrata in vigore del d.lgs. n. 199 del 2021, lo Stato non avrebbe ancora provveduto alla pianificazione delle aree in argomento.
Rileva la difesa regionale, infatti, che i Piani di gestione dello spazio marittimo, cui sarebbe demandata l’individuazione delle aree idonee a mare, approvati con decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti 25 settembre 2024, n. 237 (Approvazione dei Piani di gestione dello spazio marittimo ai sensi dell’art. 5, comma 5 del decreto legislativo 17 ottobre 2016, n. 201), non recherebbero alcuna definizione delle aree marine idonee/non idonee.
2.7.– Le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 3, commi 1, 2, 4 e 5 della legge reg. Sardegna n. 20 del 2024 sarebbero, infine, tutte inammissibili o non fondate.
Il procedimento stabilito dal menzionato articolo – concernente la presentazione da parte del comune di un’istanza alla Regione autonoma finalizzata a definire un’intesa propedeutica all’avvio di un procedimento autorizzatorio di un impianto FER, all’interno di un’area definita come non idonea – si inserirebbe in una fase assolutamente antecedente a quella in cui si inseriscono i singoli procedimenti autorizzatori, sia paesaggistici che urbanistico-edilizi, sui quali, pertanto, non inciderebbe la disposizione contestata.
Inoltre, l’istanza finalizzata all’intesa seguirebbe le procedure della conferenza di servizi istruttoria, che sarebbe del tutto estranea a quella decisoria, disciplinata dagli artt. 14 e seguenti della legge n. 241 del 1990.
La Regione avrebbe, dunque, disciplinato uno strumento di semplificazione per esaminare, in un unico contesto, una pluralità di interessi pubblici coinvolti nel procedimento amministrativo che avrebbe «natura facoltativa e forma libera, essendo la decisione di ricorrere a tale istituto e le modalità di svolgimento della conferenza, rimesse completamente alla volontà dell’amministrazione procedente», in conformità a quanto stabilito dalla medesima legge n. 241 del 1990, la quale consentirebbe alle regioni e agli enti locali, nel disciplinare i procedimenti amministrativi di loro competenza, di prevedere livelli ulteriori di tutela (è citato l’art. 29, commi 2-bis, 2-ter e 2-quater, della legge n. 241 del 1990).
Inammissibili per genericità e comunque non fondate sarebbero anche le questioni proposte in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., in relazione agli artt. 21 e 146 del d.lgs. n. 42 del 2004.
3.– Cinque associazioni, in qualità di amici curiae, hanno depositato opinioni, di cui quattro nei termini, in senso sia adesivo che oppositivo rispetto al ricorso governativo, ammesse con decreto presidenziale del 1° luglio 2025.
4.– Venti società operanti nel settore delle energie rinnovabili hanno depositato istanze di intervento in giudizio, asserendo di essere titolari di posizioni giuridiche differenziate, che sarebbero lese in maniera diretta e immediata dalla normativa oggetto del giudizio.
5.– Il Presidente del Consiglio dei ministri ha depositato ulteriore memoria in cui insiste per l’accoglimento di tutte le questioni individuate nel ricorso, richiamando, altresì, la giurisprudenza costituzionale medio tempore intervenuta (è citata soprattutto la sentenza n. 134 del 2025).
6.– All’udienza pubblica del 7 ottobre 2025 questa Corte ha dichiarato inammissibili gli interventi con ordinanza allegata alla presente sentenza.
Considerato in diritto
1.– Con il ricorso indicato in epigrafe (reg. ric. n. 8 del 2025), il Presidente del Consiglio dei ministri impugna gli artt. 1, commi 2, 5, 7, 8 e 9, e 3, commi 1, 2, 4 e 5, della legge reg. Sardegna n. 20 del 2024, in riferimento agli artt. 3, 41, 97, 117, primo comma, Cost. in relazione ai principi espressi dalla direttiva 2023/2413/UE; all’art. 117, secondo comma, lettera m), Cost. in relazione agli artt. da 14 a 14-quinquies, 17-bis e 29, della legge n. 241 del 1990, nella parte in cui reca la disciplina della conferenza dei servizi e del silenzio assenso anche tra pubbliche amministrazioni; all’ art. 117, secondo comma, lettera s), Cost. in relazione agli artt. 21 e 146 del d.lgs. n. 42 del 2004; all’art. 117, terzo comma, Cost., in relazione agli artt. 20, 22 e 23 del d.lgs. n. 199 del 2021 e agli artt. 1, comma 2, 2 e 7 del d.m. 21 giugno 2024, nonché, all’art. 10 della legge cost. n. 3 del 2001 e agli artt. 3 e 4, lettera e), dello statuto speciale.
1.1.– Con il primo motivo di ricorso, il Presidente del Consiglio dei ministri lamenta l’illegittimità costituzionale dell’art. 1, comma 2, della legge reg. Sardegna n. 20 del 2024, là dove prevede che la nuova legge si applichi a tutto il territorio regionale «ivi comprese le aree e le superfici sulle quali insistono impianti a fonti rinnovabili in corso di valutazione ambientale e autorizzazione, di competenza regionale o statale, ovvero autorizzati che non abbiano determinato una modifica irreversibile dello stato dei luoghi». Secondo il ricorrente la disposizione si porrebbe in «aperta violazione del principio di uguaglianza di cui all’art. 3 della Costituzione, di certezza del diritto e del legittimo affidamento nonché di libertà di iniziativa economica di cui all’art. 41 Cost.», venendo a incidere in senso sfavorevole su procedimenti amministrativi di autorizzazione già avviati nel rispetto della normativa in quel momento vigente, o addirittura già conclusi. La medesima disposizione, peraltro, incidendo in senso restrittivo anche sul minimo di «aree idonee» all’installazione di impianti FER di cui all’art. 20, comma 8, del d.lgs. n. 199 del 2021, violerebbe altresì l’art. 117, primo comma, Cost. in relazione ai principi eurounitari di massima diffusione delle fonti da energia rinnovabile e agli artt. 3 e 4, lettera e), dello statuto speciale.
1.2.– Il secondo motivo di ricorso concerne l’art. 1, comma 5, primo periodo, della legge reg. Sardegna n. 20 del 2024, il quale, introducendo un divieto assoluto di realizzazione degli impianti ricadenti nelle aree qualificate come «non idonee», così come individuate negli Allegati A, B, C, D ed E, nonché nei successivi commi 9 e 11 del medesimo articolo, si porrebbe in contrasto con l’art. 117, commi primo e terzo, Cost., in relazione, rispettivamente, ai parametri interposti rappresentati dai principi espressi dalla direttiva 2023/2413/UE, nonché in relazione agli artt. 20, 22 e 23 del d.lgs. n. 199 del 2021, agli artt. 1, comma 2, 2 e 7 del d.m. 21 giugno 2024 e agli artt. 3 e 4, lettera e), dello statuto speciale.
1.3.– L’art. 1, comma 5, è altresì impugnato, con il terzo motivo di ricorso, nella parte in cui prevede, al secondo periodo, che il «divieto di realizzazione si applica anche agli impianti e gli accumuli FER la cui procedura autorizzativa e di valutazione ambientale, di competenza regionale o statale, è in corso al momento dell’entrata in vigore della presente legge» e stabilisce, al terzo e quarto periodo, che «[n]on può essere dato corso alle istanze di autorizzazione che, pur presentate prima dell’entrata in vigore della presente legge, risultino in contrasto con essa e ne pregiudichino l’attuazione. I provvedimenti autorizzatori e tutti i titoli abilitativi comunque denominati già emanati, aventi ad oggetto gli impianti ricadenti nelle aree non idonee, sono privi di efficacia».
Tali disposizioni incorrerebbero nella violazione del principio di certezza del diritto, che vede, tra i propri corollari, la tutela del legittimo affidamento riconosciuto dall’art. 3 Cost. e del principio di libertà di iniziativa economica di cui all’art. 41 Cost.
1.4.– Il ricorrente con il quarto motivo di ricorso censura, inoltre, il comma 7 dell’art. 1 della legge regionale sarda, là dove introduce un criterio di «non idoneità», destinato a prevalere nel caso in cui un progetto ricada in parte nelle aree idonee e in parte nelle aree non idonee. Tale norma violerebbe l’art. 117, primo comma, Cost., poiché si porrebbe in contrasto con il principio eurounitario dell’interesse pubblico prevalente alla massima diffusione dell’energia da fonti rinnovabili.
1.5.– Il Presidente del Consiglio dei ministri impugna, con il quinto motivo di ricorso, anche l’art. 1, comma 8, della legge reg. Sardegna n. 20 del 2024, il quale stabilisce che «[g]li interventi di rifacimento, integrale ricostruzione, potenziamento relativi ad impianti realizzati in data antecedente all’entrata in vigore della presente legge e in esercizio, nelle aree non idonee, sono ammessi solo qualora non comportino un aumento della superficie lorda occupata, nonché, nel caso di impianti eolici, un aumento dell’altezza totale dell’impianto, da intendersi come la somma delle altezze dei singoli aerogeneratori del relativo impianto, fermo restando quanto previsto dal secondo periodo del comma 6, ivi compreso il rispetto dell’articolo 109 delle norme di attuazione del Piano paesaggistico regionale».
Tale disposizione, oltre a ledere il principio del legittimo affidamento di cui all’art. 3 Cost., incorrerebbe nel vizio di violazione di principi eurounitari recepiti con il d.lgs. n. 199 del 2021, nella specie con l’art. 20, ai sensi del quale dalla qualificazione di non idoneità dovrebbe conseguire un aggravio del procedimento amministrativo e non una preclusione all’intervento.
1.6.– Il ricorrente, con il sesto motivo di ricorso, impugna altresì, l’art. 1, comma 9, della legge reg. Sardegna n. 20 del 2024, là dove individua le aree non idonee alla realizzazione degli impianti off-shore, ritenendo violato l’art. 117, terzo comma, Cost., in relazione all’art. 23 (Procedure autorizzative per impianti off-shore e individuazione aree idonee) del d.lgs. n. 199 del 2021, che recherebbe principi fondamentali fissati dallo Stato nella materia di legislazione concorrente «produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia», nell’ipotesi in cui si ritenga applicabile la clausola di maggior favore prevista dall’art. 10 della legge cost. n. 3 del 2001.
Secondo la prospettazione del ricorrente, l’art. 23 del richiamato decreto legislativo riconoscerebbe alle regioni esclusivamente la competenza per l’individuazione delle aree idonee e non idonee sulla terraferma, ma non anche per gli impianti off-shore, la cui individuazione spetterebbe allo Stato, all’esito di un percorso partecipato con le regioni.
1.7.– Infine, con il settimo motivo di ricorso, è impugnato l’art. 3, commi 1, 2, 4 e 5, della legge reg. Sardegna n. 20 del 2024, là dove introduce asserite misure di semplificazione e accelerazione per la promozione di impianti di produzione di fonti rinnovabili in aree non idonee.
Tali disposizioni, delineando un modello di procedimento autorizzatorio difforme da quello previsto dalle leggi statali, sarebbero affette da vari vizi di legittimità costituzionale in quanto, eccedendo dalle competenze che gli artt. 3 e 4, lettera e), dello statuto speciale riconoscono alla Regione autonoma Sardegna, violerebbero la competenza legislativa esclusiva dello Stato nelle materie di cui all’art. 117, secondo comma, lettere m) e s), Cost.
2.– La Regione autonoma Sardegna eccepisce plurimi profili di inammissibilità.
Viene anzitutto eccepita l’inammissibilità delle questioni aventi ad oggetto i commi 2, 8 e 9 dell’art. 1 impugnato per genericità e carenza della motivazione; più precisamente, quanto alle censure sul comma 2 (applicabilità della legge a tutti i progetti, indipendentemente dal grado di maturazione del procedimento autorizzatorio, con l’unico limite della modifica irreversibile dello stato dei luoghi), esse sarebbero inammissibili perché il Presidente del Consiglio dei ministri avrebbe dovuto impugnare anche il successivo comma 6, che individua espressamente le aree idonee. Quanto alle censure sul comma 8 (limiti al cosiddetto revamping e repowering), esse sarebbero inammissibili per genericità e indeterminatezza della contestazione e, quanto al comma 9 (non idoneità delle aree off-shore), il ricorrente avrebbe dovuto impugnare anche il secondo periodo del comma 2, nonché i successivi commi 10 e 11, inerenti alle opere di connessione a terra degli impianti off-shore.
Viene poi eccepita l’inammissibilità per carente ricostruzione del contesto normativo della questione avente ad oggetto il comma 5 dell’art. 1; inoltre, la questione di legittimità costituzionale del comma 7 (prevalenza del criterio della non idoneità a fronte di progetto ricadente in due aree diverse) sarebbe inammissibile per erronea ricostruzione del quadro normativo.
Infine, la Regione eccepisce la genericità della motivazione anche della questione avente ad oggetto l’art. 3, commi 1, 2, 4 e 5, della legge reg. Sardegna n. 20 del 2024, sollevata in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., non avendo il ricorrente chiarito in quale modo si determini, in concreto, l’invasione della competenza legislativa statale, né come si attui l’asserita violazione degli artt. 21 e 146 del d.lgs. n. 42 del 2004, evocati quali norme interposte.
3.– Tutte le eccezioni devono essere dichiate non fondate.
Il ricorso, infatti, risulta sorretto da argomentazioni sufficienti e da motivazioni idonee a far comprendere il senso delle singole censure.
Più precisamente, quanto al comma 2 dell’art. 1, il ricorrente si duole del fatto che il legislatore sardo abbia posto, quale unico limite all’applicazione retroattiva della legge reg. Sardegna n. 20 del 2024, la modifica irreversibile dello stato dei luoghi, conseguente all’avvio dei lavori per l’installazione di FER. È dedotta la violazione dell’art. 117, primo comma, Cost., in relazione al principio eurounitario della massima diffusione delle FER, recepito nell’ordinamento interno dall’art. 20, comma 8, del d.lgs. n. 199 del 2021.
Le censure, pertanto, risultano sufficientemente chiare per poter essere affrontate nel merito.
Quanto al comma 5 del medesimo articolo, lo Stato lamenta che la Regione autonoma Sardegna, con la disposizione impugnata, imponga il divieto di installazione di impianti FER nelle aree individuate come non idonee, così ledendo plurimi parametri, tutti individuati dal ricorrente, unitamente alle relative norme interposte.
Anche in questo caso la censura appare chiara e sufficientemente motivata.
Lo stesso può dirsi per la questione di legittimità costituzionale del comma 7: il ricorrente, infatti, lamenta che la prevalenza automatica del criterio della non idoneità nel caso in cui un progetto di impianto ricada su aree sia idonee che non idonee si ponga in contrasto con l’art. 16-septies della direttiva 2018/2001/UE, introdotto dall’art. 1, numero 7), della direttiva 2023/2413/UE – che qualifica di interesse pubblico prevalente la diffusione di impianti di energia da fonti rinnovabili – con conseguente violazione dell’art. 117, primo comma, Cost.
Quanto al comma 8, il Presidente del Consiglio dei ministri deduce chiaramente la violazione dei principi del legittimo affidamento e della certezza del diritto perché verrebbero introdotti nuovi limiti agli interventi di cosiddetto revamping e repowering nelle aree non idonee, senza chiarire se tali nuove disposizioni valgano solo per il futuro o anche per gli interventi già autorizzati. Viene lamentato anche il contrasto con l’art. 20 del d.lgs. n. 199 del 2021 e, pertanto, la violazione dell’art. 117, terzo comma, Cost., perché la qualifica di area idonea non inciderebbe sulla possibilità di ospitare impianti FER ma esclusivamente sull’accesso a procedimenti amministrativi semplificati.
Infine, anche le questioni aventi ad oggetto l’art. 3, commi 1, 2, 4 e 5, devono ritenersi sufficientemente motivate, posto che le argomentazioni addotte a loro sostegno consentono di individuare in modo adeguato le ragioni delle doglianze.
4.– Deve rilevarsi d’ufficio, invece, l’inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, commi 2, 5, 7, 8 e 9, della legge reg. Sardegna n. 20 del 2024, promosse in riferimento all’art. 97 Cost., per l’assenza del parametro nella delibera di proposizione del ricorso approvata dalla Presidenza del Consiglio dei ministri nella seduta del 28 gennaio 2025; peraltro, il ricorso indica tale parametro solo nel titolo della prima parte motiva, senza sviluppare la censura nella parte descrittiva.
Altrettanto dicasi con riguardo alle questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, commi 2, 5, 7, 8 e 9 della legge reg. Sardegna n. 20 del 2024 promosse in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., come eccepito dalla stessa difesa regionale, perché nessuna delle censure proposte è motivata rispetto alla violazione della competenza legislativa esclusiva statale nella materia «tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali».
5.– Prima di accedere al merito, è utile richiamare brevemente la normativa eurounitaria e nazionale in materia di impianti da fonti energetiche rinnovabili.
La transizione energetica è considerata uno dei pilastri della politica ambientale e della politica di sviluppo economico dell’Unione europea.
La strategia di promozione delle fonti di energia rinnovabili è stata dapprima definita, per quanto qui interessa, con la direttiva 2001/77/CE, del Parlamento europeo e del Consiglio, del 27 settembre 2001, sulla promozione dell’energia elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili nel mercato interno dell’elettricità, abrogata dalla direttiva 2009/28/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 aprile 2009, sulla promozione dell’uso dell’energia da fonti rinnovabili, recante modifica e successiva abrogazione delle direttive 2001/77/CE e 2003/30/CE, che ne ha dettato una ulteriore disciplina e che è stata a sua volta abrogata dalla direttiva 2018/21/UE, del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’11 dicembre 2018, sulla promozione dell’uso dell’energia da fonti rinnovabili. La strategia sulle fonti rinnovabili ha ricevuto, quindi, impulso con la direttiva 2018/2001/UE, da ultimo modificata, come più volte anticipato, dalla direttiva 2023/2413/UE, il cui decreto attuativo risulta in fase di approvazione.
Contestualmente, con la comunicazione dell’11 dicembre 2019 (“Green Deal europeo”), la Commissione europea ha delineato una strategia di crescita mirata a trasformare l’Unione europea in una società dotata di un’economia che «nel 2050 non genererà emissioni nette di gas a effetto serra e in cui la crescita economica sarà dissociata dall’uso delle risorse».
In tale prospettiva, è stato emanato il regolamento n. 2021/1119/UE, del Parlamento europeo e del Consiglio, del 30 giugno 2021, che istituisce il quadro per il conseguimento della neutralità climatica e che modifica il regolamento CE n. 401/2009 e il regolamento n. 2018/1999/UE (Normativa europea sul clima), il cui art. 1 ha stabilito l’obiettivo vincolante della neutralità climatica nell’Unione entro il 2050, nonché, entro il 2030, la riduzione interna delle emissioni di gas a effetto serra (al netto degli assorbimenti), individuata dall’art. 4, paragrafo 1 (e anche dal Considerando n. 26), nella misura di almeno il 55 per cento rispetto ai livelli del 1990.
Più di recente, poi, è stato adottato il regolamento n. 2024/1991/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 24 giugno 2024, sul ripristino della natura e che modifica il regolamento n. 2022/869/UE, per il «recupero a lungo termine e duraturo della biodiversità e della resilienza degli ecosistemi in tutte le zone terrestri e marine [...] attraverso il ripristino degli ecosistemi degradati» (art. 1, paragrafo 1, lettera a). Tale regolamento prevede forme di preservazione e miglioramento di diversi habitat naturali.
Quanto al rapporto tra tutela degli habitat e realizzazione di impianti “verdi”, l’art. 6, paragrafo 2, del suddetto regolamento afferma il principio secondo cui, «[i]n circostanze specifiche e debitamente giustificate, gli Stati membri possono limitare l’applicazione del paragrafo 1» – ovvero la previsione che «la pianificazione, la costruzione e l’esercizio degli impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili […] sono presunti di interesse pubblico prevalente» – «a determinate parti del loro territorio nonché a determinati tipi di tecnologie o a progetti con determinate caratteristiche tecniche, conformemente alle priorità stabilite nei rispettivi piani nazionali integrati per l’energia e il clima a norma del regolamento (UE) 2018/1999».
Dunque, il regolamento n. 2024/1991/UE si preoccupa di chiarire che gli Stati membri possono stabilire che la realizzazione di determinati impianti incidenti su specifiche parti del loro territorio sia esclusa dalla presunzione di interesse pubblico prevalente, facendo quindi venir meno il relativo favor.
Al fine del raggiungimento degli obiettivi di contrasto al cambiamento climatico e di uso dell’energia da fonti rinnovabili fissati a livello europeo sino al 2030, il nostro Paese ha dapprima approvato il decreto legislativo 29 dicembre 2003, n. 387 (Attuazione della direttiva 2001/77/CE relativa alla promozione dell’energia elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili nel mercato interno dell’elettricità), successivamente modificato dal decreto legislativo 3 marzo 2011, n. 28 (Attuazione della direttiva 2009/28/CE sulla promozione dell’uso dell’energia da fonti rinnovabili, recante modifica e successiva abrogazione delle direttive 2001/77/CE e 2003/30/CE).
L’art. 12 del d.lgs. n. 387 del 2003 prevedeva, in origine, un unico procedimento amministrativo nel quale, attraverso apposita conferenza dei servizi decisoria, confluivano le istanze di tutela dell’ambiente, del paesaggio e del patrimonio storico-artistico, in vista del conseguimento di un’autorizzazione unica per la costruzione e l’esercizio di impianti FER, comprendendo anche l’insieme delle opere di connessione alla rete elettrica.
Nel corso degli anni, il citato art. 12 è stato oggetto di numerosi interventi di modifica, anzitutto ad opera del richiamato d.lgs. n. 28 del 2011, volto a recepire nuove direttive UE e a introdurre misure di maggiore accelerazione e semplificazione (ad esempio, la previsione di termini perentori, la riduzione dei termini decisionali, l’introduzione di meccanismi di silenzio-assenso e di forme di digitalizzazione). In estrema sintesi, potevano individuarsi quattro diversi modelli per l’installazione di impianti FER, in relazione al limite di potenza e al tipo di impianto: a) comunicazione di inizio lavori (CIL); b) dichiarazione di inizio lavori asseverata (DILA); c) procedura abilitativa semplificata (PAS); d) autorizzazione unica (AU). Qualora, poi, gli impianti FER fossero assoggettati a procedure ambientali (VIA o verifica di VIA), il procedimento finalizzato al rilascio dell’AU veniva sospeso sino alla loro conclusione.
Più di recente, il decreto legislativo 25 novembre 2024, n. 190, recante «Disciplina dei regimi amministrativi per la produzione di energia da fonti rinnovabili, in attuazione dell’articolo 26, commi 4 e 5, lettera b) e d), della legge 5 agosto 2022, n. 118», cosiddetto testo unico sui regimi amministrativi FER, è intervenuto a riordinare la complessa disciplina della materia, riducendo a tre il numero dei modelli amministrativi (attività libera, PAS, AU), per ciascuno dei quali è stato predisposto uno specifico allegato, contenente la descrizione degli interventi che ne determinano l’applicazione.
La disciplina sui procedimenti autorizzatori si è integrata, poi, con quella recata da apposite linee guida, approvate con decreto del Ministro dello sviluppo economico 10 settembre 2010 (Linee guida per l’autorizzazione degli impianti alimentati da fonti rinnovabili), funzionali ad assicurare il corretto inserimento nel paesaggio degli impianti FER, con particolare riguardo agli impianti eolici, prevedendo che le regioni potessero procedere alla indicazione di aree e siti non idonei alla installazione di specifiche tipologie di impianti. Per impianti inferiori a determinate soglie di potenza, in rapporto alla diversa tipologia, si affiancava poi lo strumento della denuncia di inizio attività (DIA).
In questo contesto si è altresì inserito il d.lgs. n. 199 del 2021 – che ha attuato la delega attribuita al Governo con l’art. 5 della legge 22 aprile 2021, n. 53 (Delega al Governo per il recepimento delle direttive europee e l’attuazione di altri atti dell’Unione europea – Legge di delegazione europea 2019-2020) – adottato nell’esercizio di «un intreccio di competenze legislative esclusive statali in materia di tutela dell’ambiente» e concorrenti, in materia di «produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia», nonché «in attuazione della direttiva 2018/2001/UE» (sentenza n. 28 del 2025).
Il meccanismo di individuazione delle aree idonee è disciplinato dall’art. 20 del d.lgs. n. 199 del 2021, il cui comma 4 dispone che le regioni individuano «con legge le aree idonee» all’installazione degli impianti FER, sulle quali è previsto un iter accelerato ed agevolato per i procedimenti di autorizzazione degli impianti stessi. Il successivo art. 22, comma 1, del medesimo decreto legislativo prevede, infatti, da un lato, che l’autorità competente in materia paesaggistica si esprime con parere obbligatorio non vincolante e, «[d]ecorso inutilmente il termine per l’espressione del parere» stesso, l’amministrazione provvede comunque sulla domanda di autorizzazione (lettera a); dall’altro, che i termini dei procedimenti di autorizzazione unica sono ridotti di un terzo (lettera b).
In attuazione dell’art. 20, comma 1, del d.lgs. n. 199 del 2021, il d.m. 21 giugno 2024, ha stabilito i principi e i criteri omogenei per l’individuazione con legge, da parte delle regioni, delle superfici e delle aree idonee e non idonee all’installazione di impianti FER (art. 3, comma 1).
Da ultimo, si segnala che l’art. 20 del decreto legislativo n. 199 del 2021 è stato abrogato dal decreto-legge 21 novembre 2025, n. 175 (Misure urgenti in materia di Piano Transizione 5.0 e di produzione di energia da fonti rinnovabili), in corso di conversione, che ha introdotto una nuova disciplina sull’individuazione delle aree idonee inserendo l’art. 11-bis (Aree idonee su terraferma) al d.lgs. n. 190 del 2024.
6.– Così ricostruiti i tratti essenziali della normativa relativa ai suddetti impianti, può procedersi all’esame delle singole questioni di legittimità costituzionale.
6.1.– Il primo motivo di ricorso ha ad oggetto l’art. 1, comma 2, della legge reg. Sardegna n. 20 del 2024, ai sensi del quale la nuova legge si applica a tutto il territorio regionale «ivi comprese le aree e le superfici sulle quali insistono impianti a fonti rinnovabili in corso di valutazione ambientale e autorizzazione, di competenza regionale o statale, ovvero autorizzati che non abbiano determinato una modifica irreversibile dello stato dei luoghi».
Secondo il ricorrente, l’impugnato comma 2 violerebbe i principi di uguaglianza di cui all’art. 3 Cost., di certezza del diritto e del legittimo affidamento, nonché di libertà di iniziativa economica di cui all’art. 41 Cost., venendo ad incidere in senso sfavorevole su procedimenti amministrativi di autorizzazione già avviati nel rispetto della normativa in quel momento vigente, o addirittura già conclusi. Tale disposizione, inoltre, incidendo in senso restrittivo anche sul minimo di «aree idonee» di cui all’art. 20, comma 8, del d.lgs. n. 199 del 2021, violerebbe anche l’art. 117, primo comma, Cost., in relazione ai principi eurounitari di massima diffusione delle fonti da energia rinnovabile.
6.1.1.– La questione avente ad oggetto il comma 2 dell’art. 1, là dove prevede che la nuova legge regionale si applichi anche ai procedimenti autorizzatori in corso, proposta in relazione agli artt. 3 e 41 Cost., non è fondata.
È principio consolidato che nei procedimenti complessi e articolati in una sequenza di fasi e atti autonomi – quali i procedimenti autorizzativi ai fini dell’installazione di impianti FER – il principio tempus regit actum si evolve in quello del tempus regit actionem. Ciò significa che ciascuna fase del procedimento è regolata dalla legge in vigore al momento del compimento di ogni singolo atto, non dalla legge vigente al momento dell’avvio del procedimento complessivamente inteso, ossia a quello della presentazione dell’istanza.
Sul punto, la giurisprudenza amministrativa ha univocamente affermato che il principio tempus regit actum, in caso di attività procedimentalizzata la quale si perfezioni attraverso il compimento di attività poste in sequenza logico-funzionale, impone che la disciplina normativa intervenuta nelle more del complessivo procedimento sia destinata a disciplinare le situazioni giuridiche emergenti nell’ambito delle fasi non ancora compiute al momento della propria entrata in vigore (ex multis, in questo senso, Consiglio di Stato, sezione quarta, sentenze 14 gennaio 2024, n. 472, nonché, in senso analogo, 13 giugno 2025, n. 5153).
Da tanto si evince, da un lato, che i provvedimenti conclusi in base alla legge precedente non possono essere messi in discussione dalla legge successiva; dall’altro e al contempo, che là dove, ad esempio, l’iter di valutazione ambientale sia ancora in corso, il procedimento dovrà ritenersi inciso dalla modifica medio tempore intervenuta, ossia dopo la presentazione dell’istanza ma prima dell’adozione del relativo provvedimento.
Pertanto, la previsione censurata, che prevede l’applicabilità della nuova disciplina anche ai procedimenti in corso, oltre ad essere conforme alla giurisprudenza consolidata del Consiglio di Stato, non viola i parametri evocati dal rimettente, dovendosi escludere un affidamento costituzionalmente tutelato del cittadino a che, una volta che un procedimento amministrativo sia stato avviato sotto il vigore di una disciplina, esso venga necessariamente concluso sulla base della medesima disciplina.
6.1.2.– Quanto, invece, alla questione avente a oggetto l’art. 1, comma 2, là dove impone di applicare la legge regionale n. 20 del 2024 anche ai procedimenti già conclusi, promossa in riferimento ai principi del legittimo affidamento e della libertà di iniziativa economica, nonché all’art. 117, primo comma, Cost., in relazione al principio eurounitario di massima diffusione delle fonti da energia rinnovabile e agli artt. 3 e 4, lettera e), dello statuto speciale, essa è fondata.
Il risultato atteso dal legislatore sardo, infatti, è quello di travolgere e rendere tamquam non essent, con il solo limite della modifica irreversibile dello stato dei luoghi, tutti gli atti autorizzativi già rilasciati, rispetto ai quali gli operatori del settore si sono già attivati.
Più in generale, quanto alla lesione del principio del legittimo affidamento, la giurisprudenza costituzionale ha costantemente ribadito che esso non esclude che il legislatore possa adottare disposizioni che modificano in senso sfavorevole agli interessati la disciplina di rapporti giuridici; tuttavia, occorre «che tali disposizioni non trasmodino in un regolamento irrazionale, frustrando, con riguardo a situazioni sostanziali fondate sulle leggi precedenti, l’affidamento dei cittadini nella sicurezza giuridica, da intendersi quale elemento fondamentale dello Stato di diritto» (sentenza n. 216 del 2023, nonché similmente, n. 145 del 2022 e n. 54 del 2019).
Disposizioni legislative di tal fatta, dunque, non sono di per sé incompatibili con l’assetto dei poteri stabilito dalla Costituzione. Tuttavia, «in considerazione del pericolo di disparità di trattamento insito in previsioni di questo tipo, esse devono soggiacere a uno scrutinio stretto di costituzionalità, sotto i profili della non arbitrarietà e della non irragionevolezza della scelta legislativa» (sentenza n. 134 del 2025).
La disposizione regionale impugnata trasmoda in una disciplina irragionevolmente limitativa del legittimo affidamento, ponendosi in contrasto con il principio della certezza del diritto poiché determina una vanificazione di tutti i provvedimenti autorizzativi rilasciati per la costruzione e l’esercizio di impianti alimentati da fonti rinnovabili, senza che tale travolgimento sia motivato da ragioni di carattere tecnico o scientifico (ex plurimis, sentenza n. 88 del 2025).
La previsione della modifica irreversibile dello stato dei luoghi quale unico limite alla retroattività integra anche la violazione del principio di ragionevolezza nonché della libertà di iniziativa economica privata (artt. 3 e 41 Cost.), tanto più che gli operatori, una volta completate positivamente le procedure per l’ottenimento dei titoli abilitativi, hanno, di norma, sostenuto ingenti costi tecnici e amministrativi.
La disposizione impugnata, impedendo la realizzazione di impianti già autorizzati, non è neppure coerente con i principi eurounitari di decarbonizzazione e di massima diffusione dell’energia prodotta da fonti rinnovabili espressi dalla direttiva 2018/2001/UE e dal regolamento n. 2021/1119/UE, così come attuati dall’art. 20 del d.lgs. n. 199 del 2021, i quali si impongono quali limiti alle competenze di cui agli artt. 3 e 4, lettera e), dello statuto speciale (da ultimo, in questo senso, sentenza n. 28 del 2025).
6.2.– Il secondo motivo di ricorso ha ad oggetto l’art. 1, comma 5, primo periodo, della legge reg. Sardegna n. 20 del 2024, che introduce un divieto di realizzazione degli impianti ricadenti nelle aree qualificate come non idonee.
Secondo il ricorrente, tale disposizione si porrebbe in contrasto con l’art. 117, commi primo e terzo, Cost. in relazione, rispettivamente, ai parametri interposti rappresentati dai più volte ricordati principi di massima diffusione dell’energia prodotta da fonti rinnovabili espressi dalla direttiva 2023/2413/UE, nonché in relazione all’art. 20 del d.lgs. n. 199 del 2021, agli artt. 1, comma 2, 2 e 7, del d.m. 21 giugno 2024 e, infine, agli artt. 3 e 4, lettera e), dello statuto speciale.
La questione è fondata.
Questa Corte, anche di recente, ha chiarito che, nel nuovo contesto dei principi fondamentali della materia, il potere, previsto dall’art. 20, comma 4, del d.lgs. n. 199 del 2021, di individuare con legge regionale le aree idonee, è stato accordato alle regioni anche con riguardo alle aree non idonee, con la precisazione, però, che l’inidoneità non può mai equivalere a un divieto assoluto e aprioristico (sentenza n. 134 del 2025).
Tale assetto è funzionale a dare risalto alla autonomia regionale e, al contempo, è «idoneo a scongiurare il rischio che gli organi politici regionali, quando non sussistano evidenti ragioni di salvaguardia degli ecosistemi e della biodiversità, ricorrano allo “strappo legislativo” per assecondare la tentazione di ostacolare impianti sui rispettivi territori (secondo l’efficace espressione “Nimby”: not in my back yard), ciò che si porrebbe in palese contrasto con la pressante esigenza dello sviluppo di energie rinnovabili […] anche nell’interesse delle future generazioni” (sentenza n. 216 del 2022)» (ancora sentenza n. 134 del 2025 proprio in tema di impianti FER).
La disposizione impugnata, là dove prevede, al primo periodo, che la non idoneità corrisponda al divieto di installazione è costituzionalmente illegittima per violazione dell’art. 117, primo comma, Cost., in relazione ai parametri interposti rappresentati dai sopra citati principi espressi dalla direttiva 2023/2413/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 18 ottobre 2023; nonché in relazione agli artt. 3 e 4, lettera e), dello statuto speciale.
6.3.– Il terzo motivo di ricorso ha ad oggetto l’art. 1, comma 5, periodi secondo, terzo e quarto, della legge reg. Sardegna n. 20 del 2024, ai sensi dei quali il «divieto di realizzazione si applica anche agli impianti e agli accumuli FER la cui procedura autorizzativa e di valutazione ambientale, di competenza regionale o statale, è in corso al momento dell’entrata in vigore della presente legge», e «[n]on può essere dato corso alle istanze di autorizzazione che, pur presentate prima dell’entrata in vigore della presente legge, risultino in contrasto con essa e ne pregiudichino l’attuazione. I provvedimenti autorizzatori e tutti i titoli abilitativi comunque denominati già emanati, aventi ad oggetto gli impianti ricadenti nelle aree non idonee, sono privi di efficacia».
Tali disposizioni, oltre a contrastare con il principio di massima diffusione degli impianti FER, incorrerebbero anche nella violazione del principio di certezza del diritto che vede, tra i propri corollari, il principio del legittimo affidamento riconosciuto dall’art. 3 Cost., e il principio di libertà di iniziativa economica di cui all’art. 41 Cost.
Anche in questo caso, come nel precedente di cui al comma 2, occorre valutare singolarmente le diverse disposizioni oggetto di impugnazione.
6.3.1.– Le questioni aventi ad oggetto il secondo e terzo periodo del comma 5 dell’art. 1, là dove prevedono che il divieto di realizzazione si applica anche agli impianti e agli accumuli FER, la cui procedura autorizzativa e di valutazione ambientale, di competenza regionale o statale, è in corso al momento dell’entrata in vigore della legge stessa, e che «[n]on può essere dato corso alle istanze di autorizzazione che, pur presentate prima dell’entrata in vigore della presente legge, risultino in contrasto con essa e ne pregiudichino l’attuazione», sono fondate.
Come osservato supra, al punto 6.1.2., la qualifica di non idoneità di un’area non può tradursi in un aprioristico divieto di installazione, determinando piuttosto l’impossibilità di accedere ai procedimenti autorizzatori semplificati, previsti dal legislatore statale nelle aree idonee per velocizzare la diffusione delle fonti rinnovabili (sentenza n. 134 del 2025).
La previsione che alla qualifica di non idoneità consegua un automatico divieto di installazione di impianti FER costituisce, pertanto, una diretta violazione dei principi di decarbonizzazione e di massima diffusione dell’energia prodotta da fonti rinnovabili, espressi dalla più volte richiamata direttiva 2023/2413/UE e, pertanto, si pone in contrasto con l’art. 117, primo comma, Cost., e con gli artt. 3 e 4, lettera e), dello statuto speciale.
6.3.2.– La questione inerente al quarto periodo del comma 5 dell’art. 1 della legge regionale impugnata, là dove prevede che i provvedimenti autorizzatori e tutti i titoli abilitativi comunque denominati già emanati, aventi ad oggetto gli impianti ricadenti nelle aree non idonee sono privi di efficacia, è fondata, oltre che in riferimento agli stessi parametri già individuati al punto che precede, anche in riferimento agli artt. 3 e 41 Cost., per violazione dei principi del legittimo affidamento, della certezza del diritto e di libertà di iniziativa economica, per le medesime ragioni indicate al punto 6.1.2.
6.4.– Il quarto motivo di ricorso ha ad oggetto il comma 7 dell’art. 1 della legge regionale sarda, ai sensi del quale, nel caso in cui un progetto ricada in parte nelle aree idonee e in parte nelle aree non idonee, prevale la non idoneità.
Tale disposizione violerebbe l’art. 117, primo comma, Cost., poiché si porrebbe in contrasto con il principio eurounitario dell’interesse pubblico prevalente alla diffusione dell’energia da fonti rinnovabili, espresso dall’art. 16-septies della direttiva 2018/2001/UE, introdotto dall’art. 1, numero 7), della direttiva 2023/2413/UE.
6.4.1.– La questione non è fondata, nei termini di seguito specificati.
Questa Corte, nella già richiamata sentenza n. 134 del 2025, ha chiarito che la qualifica di «non idoneità» di un’area non corrisponde al divieto di installazione, bensì «equivale a indicare un’area in cui l’installazione dell’impianto può essere egualmente autorizzata ancorché sulla base di una idonea istruttoria e di una motivazione rafforzata».
L’art. 1, comma 2, lettera b), del d.m. 21 giugno 2024, definisce, infatti, quelle non idonee come le «aree e siti le cui caratteristiche sono incompatibili con l’installazione di specifiche tipologie di impianti secondo le modalità stabilite dal paragrafo 17 e dall’allegato 3 delle linee guida emanate con decreto del Ministero dello sviluppo economico 10 settembre 2010».
Tale rinvio alle precedenti linee guida sta a significare – stante il menzionato paragrafo 17, il quale prevede una «apposita istruttoria» – che la decisione definitiva in merito alla realizzazione degli impianti FER, nelle aree indicate come non idonee, va assunta, in ogni caso, all’esito del singolo procedimento di autorizzazione concernente lo specifico progetto di impianto, all’interno del quale si potrebbero comunque evidenziare ragioni a favore della sua realizzazione.
Nel caso di specie, la disposizione regionale impugnata deve intendersi nel senso che la circostanza che un impianto insista anche su un’area dichiarata non idonea non rappresenta un impedimento assoluto alla realizzazione delle fonti rinnovabili quanto, piuttosto, l’impossibilità di accedere alla procedura autorizzatoria semplificata.
Ai sensi della richiamata normativa statale, infatti, la decisione definitiva in merito alla realizzazione degli impianti FER va assunta all’esito del singolo procedimento di autorizzazione concernente lo specifico progetto di impianto. In quella sede, pertanto, dovranno tenersi in debita considerazione le esigenze di massima tutela del paesaggio e delle aree naturalistiche protette che giustifichino il procedimento autorizzatorio non semplificato. Questo consente altresì di valutare il rapporto tra le due aree in concreto e di bilanciare compiutamente la protezione della natura e la tutela dell’ambiente mediante la riduzione delle fonti di energia inquinanti.
Così interpretata, la disposizione impugnata supera il vaglio di legittimità costituzionale.
6.5.– Il quinto motivo di ricorso ha ad oggetto l’art. 1, comma 8, della legge reg. Sardegna n. 20 del 2024, ai sensi del quale «[g]li interventi di rifacimento, integrale ricostruzione, potenziamento relativi ad impianti realizzati in data antecedente all’entrata in vigore della presente legge e in esercizio, nelle aree non idonee, sono ammessi solo qualora non comportino un aumento della superficie lorda occupata, nonché, nel caso di impianti eolici, un aumento dell’altezza totale dell’impianto, da intendersi come la somma delle altezze dei singoli aerogeneratori del relativo impianto, fermo restando quanto previsto dal secondo periodo del comma 6, ivi compreso il rispetto dell’articolo 109 delle norme di attuazione del Piano paesaggistico regionale».
Il Presidente del Consiglio dei ministri lamenta che la Regione autonoma Sardegna introduca una nuova disciplina in materia di revamping e repowering, ai sensi della quale sarebbero ammessi solo interventi di revamping, purché non vengano modificati volumi e altezze degli impianti.
Oltre a ledere il principio del legittimo affidamento la disposizione impugnata incorrerebbe nel vizio di violazione di principi eurounitari alla massima diffusione di impianti FER attuati con l’art. 20 del d.lgs. n. 199 del 2021, ai sensi del quale dalla qualificazione di non idoneità dovrebbe conseguire un aggravio del procedimento amministrativo e non una preclusione all’intervento.
6.5.1.– La questione è fondata.
Il quadro normativo a livello nazionale per gli interventi di revamping e repowering su impianti esistenti (ossia interventi di ammodernamento degli impianti finalizzati a una loro maggiore efficienza e a un loro potenziamento) – vigente nel momento in cui è stata approvata la legge regionale sarda, ossia prima dell’entrata in vigore del d.lgs. n. 190 del 2024 – era articolato mediante la previsione di diverse procedure amministrative a seconda della natura (sostanziale o meno) delle variazioni apportate.
Oltre a quanto stabilito in via generale dall’art. 20 del d.lgs. n. 199 del 2021, richiamato dal ricorrente quale norma interposta, l’art. 5 del d.lgs. n. 28 del 2011, nella sua ultima formulazione, stabiliva alcuni criteri per la qualificazione di una variazione come “non sostanziale”, specificando che tale qualificazione (fatta eccezione per gli interventi soggetti a dichiarazione di inizio lavori asseverata) non escludeva in modo automatico la necessità delle procedure ambientali, e demandava a un successivo decreto ministeriale l’individuazione dei criteri di “sostanzialità”.
Successivamente, il d.lgs. n. 190 del 2024 ha modificato tale sistema, avendo previsto anche per gli interventi di modifica (su impianti esistenti o a progetti autorizzati) – a seconda della loro consistenza – la realizzabilità in regime “libero” (Allegato A), di procedura abilitativa semplificata (Allegato B) e di autorizzazione unica (Allegato C).
La disposizione regionale impugnata introduce diverse tipologie di limiti all’attività di repowering e revamping, legate sia all’estensione delle superfici interessate sia, di fatto, al numero di aerogeneratori di nuova generazione autorizzabili, così introducendo un criterio diverso da quello stabilito dal legislatore statale, con esso in contrasto.
Tale criterio risulta estraneo sia alle previsioni statali di cui all’art. 20 del d.lgs. n. 199 del 2021, sia a quanto stabilito dal d.m. del 21 giugno 2024, che hanno attribuito alle regioni la competenza a individuare aree idonee e non idonee, non a introdurre criteri limitativi alla diffusione di impianti FER alternativi a (e in contrasto con) quelli previsti dal legislatore statale.
La disposizione deve, pertanto, dichiararsi costituzionalmente illegittima per violazione degli artt. 3 e 4, lettera e), dello statuto speciale e dell’art. 117, primo comma, Cost., in relazione al principio eurounitario di massima diffusione degli impianti FER, con assorbimento degli altri profili.
6.6.– Il sesto motivo di impugnazione ha ad oggetto l’art. 1, comma 9, della legge reg. Sardegna n. 20 del 2024, là dove individua le aree non idonee alla realizzazione degli impianti off-shore.
Il ricorrente ritiene violati gli artt. 3 e 4, lettera e), dello statuto speciale, nonché l’art. 117, terzo comma, Cost., perché la disposizione impugnata sarebbe in contrasto con l’art. 23 del d.lgs. n. 199 del 2021, che recherebbe principi fondamentali fissati dallo Stato nella materia di legislazione concorrente «produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia».
La questione è fondata.
L’art. 23, comma 1, del d.lgs. n. 199 del 2021 – prima della sua abrogazione da parte dell’art. 15, comma 1, e dell’Allegato D, lettera p), del decreto legislativo 25 novembre 2024, n. 190, recante «Disciplina dei regimi amministrativi per la produzione di energia da fonti rinnovabili, in attuazione dell'articolo 26, commi 4 e 5, lettera b) e d), della legge 5 agosto 2022, n. 118», a decorrere dal 30 dicembre 2024, ai sensi di quanto disposto dall’art. 17, comma 1, del medesimo d.lgs. n. 190 del 2024 – prevedeva che per gli impianti off-shore l’autorizzazione fosse rilasciata dal Ministro della transizione ecologica, di concerto con il Ministro delle infrastrutture e della mobilità sostenibili e sentito, per gli aspetti legati all’attività della pesca marittima, il Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali, nell’ambito del provvedimento adottato a seguito del procedimento unico di cui al successivo comma 4, comprensivo del rilascio della concessione d’uso del demanio marittimo.
L’individuazione delle aree idonee per l’installazione di impianti FER off-shore è di competenza del Ministro delle infrastrutture e trasporti, mediante l’approvazione dei piani di gestione dello spazio marittimo (comma 2). Nelle more dell’approvazione dei richiamati piani, il successivo comma 3 prevede che sono da considerarsi comunque idonee: le piattaforme petrolifere in disuso e l’area distante 2 miglia nautiche da ciascuna piattaforma; nonché, per impianti eolici fino a 100 MW, i porti, previa eventuale variante del piano regolatore portuale. È altresì stabilito, sempre nelle more della definizione delle aree idonee, il divieto di qualsiasi moratoria o sospensione dei termini dei procedimenti di autorizzazione per le domande già presentate (comma 5).
Il d.lgs. n. 199 del 2021, quindi, non prevede la competenza legislativa regionale a individuare per i siti off-shore le aree idonee, né le aree non idonee.
Ciò non osta il fatto che il d.m. 21 giugno 2024, nel novero della potenza nominale complessiva al fine del raggiungimento degli obiettivi da conseguire entro il 2030, faccia riferimento anche agli impianti off-shore, prevedendo specifici criteri di riparto della potenza nominale prodotta, laddove le relative opere di connessione ricadano nel territorio di una regione diversa rispetto a quella la cui costa risulti più prossima alle opere off-shore (art. 2, commi 2 e 4, del richiamato d.m.).
Tale disciplina, peraltro, non risulta difforme da quella introdotta di recente dall’art. 2, comma 1, lettera h), del d.l. n. 175 del 2025, in corso di conversione, che ha inserito nel d.lgs. n. 190 del 2024 l’art. 11-ter (Aree idonee a mare), ai sensi del quale «sono considerate aree idonee per la realizzazione di interventi relativi a impianti di produzione di energia rinnovabile off-shore, […] le aree individuate dai piani di gestione dello spazio marittimo»; la nuova disciplina non è rilevante nel presente giudizio.
Da tanto deve concludersi che, nell’individuare con legge le aree idonee e non idonee, le regioni possono farlo esclusivamente con riferimento a quelle “a terra”, mentre l’individuazione dei siti off-shore idonei all’installazione di impianti FER è di competenza statale, mediante la predisposizione dei piani di gestione dello spazio marittimo, ferma restando la competenza del Ministro dell’ambiente e la sicurezza energetica e del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti per il rilascio dell’autorizzazione unica.
La disposizione regionale impugnata è, pertanto, costituzionalmente illegittima per violazione dell’art. 117, primo comma, Cost., in relazione ai più volte citati principi eurounitari come attuati dall’art. 23 del d.lgs. n. 199 del 2021, nonché delle competenze statutarie di cui agli artt. 3 e 4, lettera e), dello statuto speciale.
6.7.– Il settimo motivo di impugnazione ha ad oggetto l’art. 3, commi 1, 2, 4 e 5, della legge reg. Sardegna n. 20 del 2024, che introduce asserite misure di semplificazione e accelerazione per la promozione di impianti di produzione di fonti rinnovabili in aree non idonee.
Tali disposizioni, delineando un modello di procedimento autorizzatorio difforme da quello previsto dalle leggi statali, sarebbero affette da vari vizi di legittimità costituzionale in quanto, eccedendo dalle competenze che gli artt. 3 e 4, lettera e), dello statuto speciale riconoscono alla Regione autonoma Sardegna, violerebbero la competenza legislativa esclusiva dello Stato nelle materie di cui all’art. 117, secondo comma, lettere m) ed s), Cost.
6.7.1.– Le questioni aventi ad oggetto l’art. 3, commi 1, 2, 4 e 5, della legge reg. n. 20 del 2024 sono fondate, in riferimento agli artt. 3 e 4, lettera e), dello statuto speciale, nonché all’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., in relazione agli artt. 21 e 146 del d.lgs. n. 42 del 2004.
La disciplina regionale impugnata prevede che, in caso di area non idonea, il divieto di installazione previsto dal comma 5 dell’art. 1 possa essere superato mediante l’attivazione di un procedimento alquanto articolato, che principia con un’istanza del comune interessato all’installazione di impianti FER, volta al raggiungimento di un’intesa con la Regione (comma 1). Tale istanza è presentata, previa deliberazione di una maggioranza qualificata del consiglio comunale (o dei consigli comunali il cui territorio sia interessato), ed è preceduta da un «dibattito pubblico», nonché dall’espletamento di una consultazione popolare che si deve concludere con una posizione favorevole (comma 2). Esaurita la fase sopra descritta, l’istanza del comune è proposta all’Assessorato regionale competente in materia il quale, in base alla disciplina della conferenza dei servizi di cui agli artt. 14, comma 1, e 14-bis della legge n. 241 del 1990, entro novanta giorni dal relativo ricevimento, convoca i soggetti competenti ad esprimersi all’unanimità in relazione alla compatibilità dell’intervento rispetto alla presenza di aree non idonee. In tale procedimento amministrativo, per espressa previsione regionale, non trovano applicazione le ipotesi di silenzio assenso (comma 4). All’esito di tale sequenza procedimentale, la Giunta regionale delibera sull’intesa in base a criteri che saranno successivamente fissati dalla medesima (comma 6). Il proponente, una volta perfezionatasi l’intesa in base al procedimento sopra descritto, potrà successivamente presentare ai soggetti competenti un’istanza per la realizzazione dell’intervento nell’ambito del regime autorizzativo previsto per le aree ordinarie utilizzando il regime della PAS o dell’AU.
Occorre altresì ricordare che questa Corte ha affermato che «la conservazione ambientale e paesaggistica spetta, in base all’articolo 117, secondo comma, lettera s), Cost., alla cura esclusiva dello Stato» (ex multis, sentenze n. 178 e n. 172 del 2018 e n. 103 del 2017) e che per le regioni ad autonomia speciale, come la Sardegna, dotate, in base al loro statuto, di competenze legislative esclusive nella materia, il legislatore statale conserva il potere di vincolare tali competenze con norme qualificabili come riforme economico-sociali (ex plurimis, sentenza n. 160 del 2021).
Questa Corte ha ripetutamente affermato, inoltre, che la legislazione regionale non può prevedere una procedura per l’autorizzazione paesaggistica diversa da quella dettata dalla legislazione statale, perché alle regioni non è consentito introdurre deroghe agli istituti statali di protezione ambientale, i quali dettano una disciplina uniforme, valevole su tutto il territorio nazionale, nel cui ambito deve essere annoverata l’autorizzazione paesaggistica (ex multis, sentenze n. 22 del 2025 e n. 160 del 2021).
Le disposizioni oggi impugnate consentono, invece, l’approvazione degli interventi in aree non idonee mediante l’articolato procedimento previsto dal citato art. 3 anche «a prescindere dall’autorizzazione paesaggistica di cui all’art. 146 del codice dei beni culturali e del paesaggio, la quale è norma di grande riforma economico-sociale che la Regione autonoma della Sardegna deve rispettare (sentenza n. 238 del 2013), in quanto adottata nell’ambito della competenza esclusiva statale nella materia “tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali”, di cui all’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost.» (sentenza n. 189 del 2016).
Pertanto, le disposizioni in esame devono dichiararsi costituzionalmente illegittime, per violazione degli artt. 3 e 4, lettera e), dello statuto speciale e dell’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., in relazione agli artt. 21 e 146 del d.lgs. n. 42 del 2004.
Restano assorbite le ulteriori censure.
La declaratoria d’illegittimità costituzionale deve essere estesa in via consequenziale, ai sensi dell’art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), al comma 6 dell’art. 3, che delega la Giunta regionale a definire i criteri e le procedure del dibattito pubblico e le modalità di coinvolgimento delle popolazioni interessate, nonché i criteri di istruttoria e di valutazione delle istanze.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
1) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 1, comma 2, primo periodo, della legge della Regione Sardegna 5 dicembre 2024, n. 20, recante «Misure urgenti per l’individuazione di aree e superfici idonee e non idonee all’installazione e promozione di impianti a fonti di energia rinnovabile (FER) e per la semplificazione dei procedimenti autorizzativi», limitatamente alle parole «, ovvero autorizzati che non abbiano determinato una modifica irreversibile dello stato dei luoghi»;
2) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 1, comma 5, primo, secondo, terzo e quarto periodo, della legge reg. Sardegna n. 20 del 2024;
3) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 1, comma 8, della legge reg. Sardegna n. 20 del 2024;
4) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 1, comma 9, della legge reg. Sardegna n. 20 del 2024;
5) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 3, commi 1, 2, 4 e 5, della legge reg. Sardegna n. 20 del 2024;
6) dichiara, in via consequenziale, ai sensi dell’art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), l’illegittimità costituzionale dell’art. 3, comma 6, della legge reg. Sardegna n. 20 del 2024;
7) dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, commi 2, 5, 7, 8 e 9, della legge reg. Sardegna n. 20 del 2024, promosse, in riferimento all’art. 97 della Costituzione, dal Presidente del Consiglio dei ministri con il ricorso indicato in epigrafe;
8) dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, commi 2, 5, 7, 8 e 9, promosse, in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., dal Presidente del Consiglio dei ministri con il ricorso indicato in epigrafe;
9) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 2, primo periodo, della legge reg. Sardegna. 20 del 2024, nella parte in cui prevede che la nuova legge regionale si applichi anche ai procedimenti autorizzatori in corso, promossa, in riferimento agli artt. 3 e 41 Cost., dal Presidente del Consiglio dei ministri con il ricorso indicato in epigrafe;
10) dichiara non fondata, nei sensi di cui in motivazione, la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 7, della legge reg. Sardegna n. 20 del 2024, promossa, in riferimento all’art. 117, primo comma, Cost., in relazione all’art. 16-septies della direttiva (UE) 2018/2001 del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’11 dicembre 2018, sulla promozione dell’uso dell’energia da fonti rinnovabili, introdotto dall’art. 1, numero 7), della direttiva (UE) 2023/2413 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 18 ottobre 2023, che modifica la direttiva (UE) 2018/2001, il regolamento (UE) 2018/1999 e la direttiva n. 98/70/CE per quanto riguarda la promozione dell’energia da fonti rinnovabili e che abroga la direttiva (UE) 2015/652 del Consiglio, dal Presidente del Consiglio dei ministri con il ricorso indicato in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l’8 ottobre 2025.
F.to:
Giovanni AMOROSO, Presidente
Angelo BUSCEMA, Redattore
Roberto MILANA, Direttore della Cancelleria
Depositata in Cancelleria il 16 dicembre 2025
Il Direttore della Cancelleria
F.to: Roberto MILANA
Allegato:
ordinanza letta all'udienza del 7 ottobre 2025
ORDINANZA
Visti gli atti relativi al giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 1, commi 2, 5, 7, 8 e 9, e 3, commi 1, 2, 4 e 5, della legge della Regione Sardegna 5 dicembre 2024, n. 20, recante «Misure urgenti per l'individuazione di aree e superfici idonee e non idonee all'installazione e promozione di impianti a fonti di energia rinnovabile (FER) e per la semplificazione di procedimenti autorizzativi», promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri con ricorso depositato il 3 febbraio 2025 (reg. ric. n. 8 del 2025).
Rilevato che, con atti depositati il 17 e il 18 marzo 2025, sono intervenuti nel giudizio le società Ortus Power Resources Italy srl, OPR Sun 8 srl, OPR Sun 11 srl, OPR Sun 17 srl, OPR Sun 30 srl, Pacifico Lapislazzuli srl, FRV Italia srl, EF Agri - società agricola arl, Maple Tree Solar srl, DRen Solare 12 srl, Lightsource Renewable Energy Italy spv 22 srl, DRen Solare 8 srl, DRen Solare 15 srl, ANT srl, EVO srl, Iberdrola Renovables Italia spa, ERG Wind Energy srl, Engie Trexenta srl, Engie Mistral srl, nonché RWE Renewables Italia srl;
che le menzionate società, attive nello sviluppo, costruzione, riparazione ed esercizio di impianti di produzione energetica da fonte rinnovabile eolica, fotovoltaica e agrivoltaica e nella realizzazione di impianti di accumulo di energia rinnovabile sul territorio italiano, assumono, complessivamente, di vantare un «interesse qualificato» a tutela del quale sarebbero legittimati a intervenire ad adiuvandum, rilevando che l'ammissibilità dell'intervento assicurerebbe loro l'esercizio del diritto di difesa e sarebbe conforme al principio di parità, avuto riguardo alla possibilità, riconosciuta da questa Corte ai soggetti portatori di interessi collettivi o diffusi, di depositare opiniones.
Considerato che questa Corte ha ripetutamente affermato che il giudizio in via principale «si svolge esclusivamente tra soggetti titolari di potestà legislativa e non ammette l'intervento di soggetti che ne siano privi» (ex plurimis, ordinanza letta all'udienza del 9 aprile 2024, allegata alla sentenza n. 119 del 2024), né «di soggetti diversi dalla parte ricorrente e dal titolare della potestà legislativa il cui esercizio è oggetto di contestazione, salva l'ipotesi, in via del tutto eccezionale, in cui la legge impugnata incida specificamente sulla sfera di attribuzione costituzionale di altre regioni o province autonome» (ordinanza letta all'udienza dell'8 luglio 2025, allegata alla sentenza n. 134 del 2025 e ordinanza letta all'udienza del 14 gennaio 2025, allegata alla sentenza n. 28 del 2025);
che questa Corte ha altresì escluso che il ristretto confine entro cui è ammissibile l'intervento pregiudichi il diritto di difesa di soggetti i cui interessi possano essere incisi dall'esito del giudizio in via di azione, osservando che questo «non scaturisce da una controversia concreta rispetto alla quale possa configurarsi l'interesse di specifici soggetti, vertendo piuttosto sulla astratta conformità a Costituzione della legge impugnata» (ordinanza letta all'udienza del 9 aprile 2024 e allegata alla sentenza n. 119 del 2024);
che, pertanto, gli interventi devono essere dichiarati inammissibili.
Per Questi Motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara inammissibili gli interventi in giudizio delle società Ortus Power Resources Italy srl, OPR Sun 8 srl, OPR Sun 11 srl, OPR Sun 17 srl, OPR Sun 30 srl, Pacifico Lapislazzuli srl, FRV Italia srl, EF Agri - società agricola arl, Maple Tree Solar srl, DRen Solare 12 srl, Lightsource Renewable Energy Italy spv 22 srl, DRen Solare 8 srl, DRen Solare 15 srl, ANT srl, EVO srl, Iberdrola Renovables Italia spa, ERG Wind Energy srl, Engie Trexenta srl, Engie Mistral srl, nonché RWE Renewables Italia srl.
F.to: Giovanni Amoroso, Presidente