Sentenza  180/2025 (ECLI:IT:COST:2025:180) Comunicato
Giudizio:  GIUDIZIO DI LEGITTIMITÀ COSTITUZIONALE IN VIA INCIDENTALE
Presidente: AMOROSO - Redattore:  ANTONINI
Udienza Pubblica del 07/10/2025;    Decisione  del 07/10/2025
Deposito del 02/12/2025;    Pubblicazione in G. U. 03/12/2025 n.49
Norme impugnate:  Art. 37 del decreto-legge 21/03/2022, n. 21, convertito, con modificazioni, nella legge 20/05/2022, n. 51, come modificato dall’art. 55 del decreto-legge 17/05/2022, n. 50, convertito, con modificazioni, nella legge 15/07/2022, n. 91, e successivamente modificato dall’art.1, c. 120°, lett. a), b) e c), della legge 29/12/2022, n. 197.
Massime: 
Atti decisi: ordd. 11 e 54/2025

Pronuncia

SENTENZA N. 180

ANNO 2025

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta da: Presidente: Giovanni AMOROSO; Giudici : Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Maria Rosaria SAN GIORGIO, Filippo PATRONI GRIFFI, Marco D’ALBERTI, Giovanni PITRUZZELLA, Antonella SCIARRONE ALIBRANDI, Maria Alessandra SANDULLI, Roberto Nicola CASSINELLI,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 37 del decreto-legge 21 marzo 2022, n. 21 (Misure urgenti per contrastare gli effetti economici e umanitari della crisi ucraina), convertito, con modificazioni, nella legge 20 maggio 2022, n. 51, come modificato dall’art. 55 del decreto-legge 17 maggio 2022, n. 50 (Misure urgenti in materia di politiche energetiche nazionali, produttività delle imprese e attrazione degli investimenti, nonché in materia di politiche sociali e di crisi ucraina), convertito, con modificazioni, nella legge 15 luglio 2022, n. 91, e successivamente modificato dall’art.1, comma 120, lettere a), b) e c), della legge 29 dicembre 2022, n. 197 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2023 e bilancio pluriennale per il triennio 2023-2025), promossi dalla Corte di giustizia tributaria di primo grado di Cagliari, sezione 1, e dalla Corte di giustizia tributaria di primo grado di Roma, sezione 19, con ordinanze rispettivamente del 7 ottobre 2024 e del 7 febbraio 2025, iscritte ai numeri 11 e 54 del registro ordinanze 2025 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica, prima serie speciale, numeri 7 e 14 dell’anno 2025.

Visti gli atti di costituzione di Saras spa ed Eni Global Energy Markets spa, nonché gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell’udienza pubblica del 7 ottobre 2025 il Giudice relatore Luca Antonini;

uditi gli avvocati Andrea Silvestri per Saras spa, Livia Salvini e Davide De Girolamo per Eni Global Energy Markets spa, nonché gli avvocati dello Stato Salvatore Faraci e Mattia Cherubini per il Presidente del Consiglio dei ministri;

deliberato nella camera di consiglio del 7 ottobre 2025.

Ritenuto in fatto

1.‒ Con ordinanza del 7 ottobre 2024 (iscritta al n. 11 del registro ordinanze 2025) la Corte di giustizia tributaria di primo grado di Cagliari, sezione 1, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 23 e 53 della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 37, comma 7, del decreto-legge 21 marzo 2022, n. 21 (Misure urgenti per contrastare gli effetti economici e umanitari della crisi ucraina), convertito, con modificazioni, nella legge 20 maggio 2022, n. 51, come modificato dall’art. 55 del decreto-legge 17 maggio 2022, n. 50 (Misure urgenti in materia di politiche energetiche nazionali, produttività delle imprese e attrazione degli investimenti, nonché in materia di politiche sociali e di crisi ucraina), convertito, con modificazioni, nella legge 15 luglio 2022, n. 91, e successivamente modificato dall’art. 1, comma 120, lettere a), b) e c), della legge 29 dicembre 2022, n. 197 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2023 e bilancio pluriennale per il triennio 2023-2025).

2.‒ La CGT di Cagliari espone di essere stata adita con ricorso proposto dalla Società anonima raffinerie sarde spa (Saras spa) avverso l’atto dell’Agenzia delle entrate di diniego del rimborso dell’importo di euro 76.995.188,00 versato dalla società a titolo di contributo straordinario in adempimento alle disposizioni di cui all’art. 37 del d.l. n. 21 del 2022, come convertito e successivamente modificato.

Fa presente, in particolare, che in quel giudizio Saras spa ha richiesto: in via principale, l’annullamento dell’atto di diniego e il conseguente rimborso dell’intero importo versato, in quanto la disciplina impositiva del contributo straordinario avrebbe violato gli artt. 3, 23, 41, 42, 53 e 117 Cost.; in subordine, il riconoscimento del diritto a dedurre l’importo di euro 18.478.845,00 dalla base imponibile dell’imposta sul reddito delle società (IRES), poiché la disposizione di cui all’art. 37, comma 7, del d.l. n. 21 del 2022, come convertito e successivamente modificato, avrebbe violato gli artt. 3 e 53 Cost.

2.1.‒ La CGT di Cagliari dà atto che la società, con memoria depositata ai sensi dell’art. 32 del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546 (Disposizioni sul processo tributario in attuazione della delega al Governo contenuta nell’art. 30 della legge 30 dicembre 1991, n. 413), aveva chiesto, al fine di avvantaggiarsi degli effetti della sentenza di questa Corte n. 111 del 2024, intervenuta nelle more del giudizio a quo, di dichiarare «l’illegittimità del diniego di rimborso per quanto attiene la quota di Contributo riferibile alla componente “accise”».

3.‒ Il giudice rimettente ritiene, in primo luogo, che tutte le questioni di legittimità costituzionale prospettate dalla società in via principale siano manifestamente infondate alla luce delle considerazioni espresse da questa Corte nella sentenza n. 111 del 2024 e, in secondo luogo, di non potere accogliere la richiesta avanzata dalla società con la memoria, «trattandosi di domanda non formulata in sede di ricorso» e, pertanto, inammissibile.

Concentra quindi l’attenzione sulla questione subordinata relativa all’art. 37, comma 7, del d.l. n. 21 del 2022, come convertito e successivamente modificato, secondo cui il contributo straordinario «non è deducibile ai fini delle imposte sui redditi e dell’imposta regionale sulle attività produttive».

4.‒ Osserva quindi che «l’intervento parzialmente demolitorio sull’articolo 37 d.l. n. 21/2022» effettuato con la sentenza n. 111 del 2024 non inciderebbe in alcun modo sulla rilevanza della suddetta questione di legittimità costituzionale, poiché, in assenza della disposizione indubbiata, opererebbe la disposizione di cui all’art. 99, comma 1, del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 (Approvazione del testo unico delle imposte sui redditi), che prevede che «[l]e imposte sui redditi e quelle per le quali è prevista la rivalsa, anche facoltativa, non sono ammesse in deduzione. Le altre imposte sono deducibili nell’esercizio in cui avviene il pagamento».

5.‒ Secondo il giudice a quo, inoltre, non sarebbe possibile procedere a un’interpretazione costituzionalmente orientata, atteso l’univoco tenore letterale della disciplina contenuta nell’art. 37, comma 7, del d.l. n. 21 del 2022, come convertito e successivamente modificato.

6.‒ Quanto alla non manifesta infondatezza, la CGT di Cagliari ritiene che la disposizione censurata, non consentendo la deducibilità del contributo straordinario dalla base imponibile dell’IRES, violerebbe gli artt. 3, 23 e 53 Cost.

6.1.‒ In primo luogo, la stessa si porrebbe in contrasto con gli artt. 3 e 53 Cost. per violazione dei principi di capacità contributiva e di ragionevolezza.

Il giudice a quo muove dalla considerazione che la deducibilità dei costi e degli oneri fiscali dalla base imponibile dell’IRES, a eccezione delle sole imposte sui redditi e di quelle per le quali si applica la rivalsa (fra cui non rientrerebbe il contributo straordinario), costituirebbe un principio ricavabile dall’art. 99, comma 1, del d.P.R. n. 917 del 1986.

La previsione di non deducibilità finirebbe quindi per ledere il principio di capacità contributiva, perché, essendo il contributo straordinario un costo inerente, non se ne potrebbe precludere, «senza compromettere la coerenza del disegno impositivo, la deducibilità una volta che il legislatore abbia, nella propria discrezionalità, stabilito per il reddito d’impresa il criterio di tassazione al netto», come affermato da questa Corte con la sentenza n. 262 del 2020 in materia di indeducibilità dell’imposta municipale propria (IMU) sui beni strumentali dalla base imponibile dell’IRES.

7.‒ La violazione del principio di capacità contributiva sarebbe anche ravvisabile sotto il profilo del divieto di doppia imposizione, avendo la società provveduto, in riferimento al medesimo anno di imposta, al pagamento del contributo straordinario nonché dell’IRES.

8.‒ Il contrasto con gli artt. 3 e 53 Cost. troverebbe conferma, secondo il giudice a quo, in «alcuni principi enunciati dalla richiamata sentenza della Corte costituzionale numero 111/2024».

Osserva il rimettente che in essa è affermato che «gli elementi della struttura dell’imposta, in un tempo ordinario, non consentirebbero, di per sé – nemmeno in forza della più moderna concezione del principio di capacità contributiva in precedenza ricordata […] ‒, di superare il test della connessione razionale e della proporzionalità» e, inoltre, che «solo tenendo conto del carattere del tutto sui generis del contesto in cui è stato calato il temporaneo intervento impositivo, può “eccezionalmente” ritenersi non irragionevole lo strumento utilizzato dal legislatore».

Evidenzia che nella medesima sentenza la Corte ha altresì precisato di dovere sempre «assicurare, nella valutazione del bilanciamento operato dal legislatore, quanto meno il rispetto di una soglia essenziale di non manifesta irragionevolezza, oltre la quale lo stesso dovere tributario finirebbe per smarrire la propria giustificazione in termini di solidarietà, risolvendosi invece nella prospettiva della mera soggezione al potere statale».

Secondo il giudice a quo, «una volta riconosciuto che gli elementi strutturali del contributo in questione sono tali da porlo al di là della soglia minima di connessione razionale e di proporzionalità e che la legittimità costituzionale di tale imposta può essere recuperata soltanto considerando il “carattere del tutto sui generis del contesto”», l’indeducibilità del contributo straordinario dalla base imponibile dell’IRES comporterebbe il superamento della soglia minima di ragionevolezza, poiché «al già precario equilibrio costituzionale di un’imposta in strutturale contrasto con i richiamati parametri costituzionali (che trova la sua unica salvezza nella straordinarietà del momento), si aggiunge l’ulteriore meccanismo di indeducibilità ai fini Ires dell’imposta medesima».

9.‒ Nel giudizio è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato.

9.1.‒ In rito, secondo la difesa statale le questioni sarebbero inammissibili.

9.1.1.‒ In primo luogo, perché il rimettente non avrebbe motivato sulla possibile irrilevanza derivante dall’eventuale accoglimento della domanda di rimborso parziale che la società aveva formulato in quel giudizio con la memoria depositata ai sensi dell’art. 32 del d.lgs. n. 546 del 1992.

La difesa statale osserva che erroneamente il giudice rimettente ha ritenuto che questa pretesa fosse da considerarsi “nuova” e quindi inammissibile, perché con essa la società aveva solo modificato la propria domanda principale, riducendone la portata.

Pertanto, il rimettente avrebbe dovuto prendere in considerazione la domanda proposta con la memoria, piuttosto che dichiararla inammissibile, e compiere, nel contradittorio tra le parti, una verifica sul merito della fondatezza della nuova pretesa, che costituiva una mera emendatio di quella proposta in via principale. Di conseguenza, se avesse accolto la domanda di rimborso parziale non avrebbe potuto esaminare la domanda di rimborso della maggiore IRES corrisposta per effetto del regime di indeducibilità previsto dalla disposizione censurata e le relative questioni di legittimità costituzionale.

9.1.2.‒ In secondo luogo, perché il giudice a quo non avrebbe esaminato il profilo dell’eventuale incidenza del contributo straordinario sulla base imponibile dell’ulteriore «contributo di solidarietà temporaneo» introdotto dall’art. 1, commi da 115 a 119, della legge n. 197 del 2022, che graverebbe su una quota dei redditi prodotti sempre nel corso dell’anno fiscale 2022, cioè lo stesso in cui doveva essere versato il contributo straordinario di cui all’art. 37 del d.l. n. 21 del 2022, come convertito e successivamente modificato.

10.‒ Nel merito, secondo la difesa statale le questioni sarebbero non fondate.

Non sarebbe innanzitutto conferente il riferimento, compiuto dal giudice rimettente, alla sentenza n. 262 del 2020.

Il ragionamento in essa compiuto, infatti, non sarebbe utilizzabile con riferimento al rapporto tra l’IRES e il contributo straordinario, in quanto, mentre «la norma vagliata dalla sentenza in commento sanciva l’indeducibilità, dalla base imponibile dell’Ires, di un’imposta “ordinaria” e “permanente”, quale appunto l’Imu», nel caso di specie verrebbe invece in rilievo «una forma di prelievo “straordinaria” e “una tantum”», che non andrebbe a influire in maniera stabile sulla struttura dell’IRES e non ne altererebbe «il disegno e la coerenza logico-giuridica interna».

La previsione di non deducibilità del contributo straordinario troverebbe quindi giustificazione nel prevalente interesse perseguito dal legislatore di «non “sterilizzare”, perlomeno in parte, l’incremento di gettito atteso dal nuovo “contributo” e volto a finanziare gli interventi necessari al fine di far fronte alla situazione eccezionale».

Inoltre, prosegue la difesa statale, proprio il carattere sui generis del contributo straordinario, affermato dalla citata sentenza n. 111 del 2024, andrebbe «a maggior ragione a giustificare la indeducibilità qui scrutinata».

10.1.‒ A supporto della legittimità costituzionale della disposizione censurata la difesa statale richiama quanto previsto dal considerando n. 55 del regolamento (UE) 2022/1854 del Consiglio, del 6 ottobre 2022, relativo a un intervento di emergenza per far fronte ai prezzi elevati dell’energia, secondo cui gli Stati membri «dovrebbero […] prevedere la deducibilità o non deducibilità del contributo di solidarietà».

Anche a livello unionale, quindi, sarebbe stata riconosciuta la «non irragionevolezza […] della scelta operata dal legislatore tributario italiano».

11.‒ Nel giudizio si è costituita la società Saras spa, che ha chiesto l’accoglimento delle questioni di legittimità costituzionale sollevate dal giudice a quo, ripercorrendo l’iter argomentativo seguito dal giudice rimettente sulla necessaria deducibilità di un costo fiscale inerente.

In particolare, richiamando la sentenza n. 111 del 2024, precisa che risulterebbe priva di giustificazione «l’ulteriore “forzatura” rappresentata, in un quadro di complessiva precarietà degli equilibri costituzionali in gioco, dalla indeducibilità del Contributo dalla base imponibile IRES».

12.‒ Nella successiva memoria Saras spa ha replicato alle eccezioni di inammissibilità prospettate dalla difesa statale nell’atto di intervento e ha inoltre evidenziato che l’indeducibilità prevista dalla disposizione censurata si porrebbe «al di fuori del quadro di “straordinaria urgenza” che ha rappresentato l’unica àncora di salvezza del [contributo straordinario]».

Né, aggiunge la parte, avrebbe rilievo il riferimento al considerando n. 55 del regolamento n. 2022/1854/UE, in quanto riguardante un contributo disciplinato in modo radicalmente diverso da quello ora in esame e, in ogni caso, l’applicazione del regime di non deducibilità dovrebbe necessariamente essere compatibile con la specifica disciplina in materia di imposta sui redditi prevista dall’ordinamento nazionale.

13.‒ Con ordinanza del 7 febbraio 2025 (iscritta al n. 54 del registro ordinanze 2025), la Corte di giustizia tributaria di primo grado di Roma, sezione 19, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 42, 53 e 117, primo comma, Cost., quest’ultimo in relazione all’art. 1 del Protocollo addizionale alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 37 del d.l. n. 21 del 2022, come convertito e successivamente modificato.

13.1.‒ Il giudice rimettente espone che il giudizio a quo ha a oggetto il silenzio-rifiuto dell’Agenzia delle entrate sulla richiesta di Eni Global Energy Markets spa, società che svolge «attività afferenti ai mercati dell’energia», di rimborso dell’importo di euro 304.669.696,86 da essa versato il 30 novembre 2022 a titolo di saldo del contributo straordinario.

14.‒ In punto di rilevanza, il rimettente osserva che la soluzione adottata dalla sentenza n. 111 del 2024 era «modellata» su quel giudizio incidentale di legittimità costituzionale, mentre nel caso ora all’esame, a differenza del precedente, vi sarebbero elementi concreti per ritenere che il contributo straordinario avrebbe «integralmente eroso le ricchezze reddituali e patrimoniali della Società».

14.1.‒ La norma censurata, quindi, si porrebbe, in primo luogo, in contrasto con gli artt. 3, 53 e 42 Cost. in quanto produttiva di effetti confiscatori-espropriativi nei confronti della società.

In particolare, il rimettente evidenzia che l’assolvimento dell’obbligo di pagamento del contributo straordinario, che ammontava a complessivi 507.782.828,11 euro, avrebbe finito per erodere tutto il patrimonio netto sociale dell’ultimo esercizio, come risultante dall’ultimo bilancio approvato il 31 dicembre 2021. Infatti, nonostante il «positivo risultato semestrale ante contributo di 103.331.723,36», al 30 giugno 2022 la società risultava avere subìto una perdita netta di euro 404.451.104,75, «superiore al valore del patrimonio netto alla stessa data», tanto che sarebbe stata necessaria una ricapitalizzazione, al fine di evitare di incorrere nelle conseguenze di cui all’art. 2447 del codice civile.

Inoltre, anche avuto riguardo al reddito, il pagamento del contributo straordinario avrebbe comportato la totale erosione degli utili del 2022, come risultanti dal bilancio per quello stesso anno della società.

15.‒ Il giudice a quo ritiene quindi privo di ragionevolezza il contributo straordinario che avrebbe «eroso tutto il patrimonio netto sociale, tutto il risultato operativo e tutto l’utile ante imposte 2021, nonché tutto l’utile 2022», elevando il taxe rate complessivo, determinato dalla combinazione tra l’importo versato a titolo di contributo straordinario e quello a titolo di altre imposte applicate alla società, al livello «del 142 per cento».

Livelli di tassazione così rilevanti sarebbero, peraltro, tali da intaccare il «minimo vitale», determinando la «morte economica» della società, risolvendosi in una privazione iniqua e sproporzionata dei suoi beni.

16.‒ Inoltre il rimettente evidenzia che vi sarebbe anche la violazione del principio di uguaglianza di cui all’art. 3 Cost., perché l’effetto confiscatorio-espropriativo si sarebbe prodotto sulla società ricorrente nel giudizio a quo, ma non anche su altri contribuenti, andando a «incidere in maniera più gravosa su alcuni operatori – quale è evidentemente Egem – per ragioni del tutto “casuali” completamente disancorate da incrementi effettivi di ricchezza».

17.‒ In stretta connessione con l’effetto confiscatorio-espropriativo del contributo straordinario il giudice rimettente prospetta altresì la violazione dell’art. 42 Cost.

Osserva che «se un prelievo ha effetti ablativi integrali delle sostanze del soggetto inciso non [sarebbe] più un tributo», poiché, travalicando i limiti di cui all’art. 53 Cost., avrebbe perso la natura di onere fiscale e assunto, invece, i caratteri di una prestazione patrimoniale diversa e priva di causa, ponendosi, in tal modo, in contrasto con l’art. 42 Cost.

18.‒ In considerazione della ingiustificata limitazione del diritto di proprietà, vi sarebbe anche la violazione dell’art. 117, primo comma, Cost. e, in via mediata, dell’art. 1 Prot. addiz. CEDU.

Richiama le sentenze della Corte europea dei diritti dell’uomo, 14 maggio 2013, N.K.M. contro Ungheria e 7 dicembre 2023, Waldner contro Francia, ed evidenzia che, pur riconoscendo la piena discrezionalità degli Stati nell’imporre misure fiscali, rimarrebbe fermo il sindacato sulla proporzionalità delle misure tributarie, al fine di verificarne la «“base ragionevole”, tale da garantire un giusto equilibrio tra gli imperativi dell’interesse generale e quelli della tutela dei diritti fondamentali dell’individuo».

19.‒ Un altro profilo di violazione degli artt. 3 e 53 Cost. viene prospettato dal rimettente facendo riferimento al fatto che la disposizione censurata avrebbe effetto retroattivo.

Il contributo straordinario assumerebbe, infatti, come ricchezza tassabile un differenziale calcolato sul fatturato dell’imposta sul valore aggiunto (IVA) relativo al periodo ottobre 2021-aprile 2022 (confrontato con il precedente periodo ottobre 2020-aprile 2021) e, siccome è entrato in vigore il 22 marzo 2022 con il d.l. n. 21 del 2022, come convertito e successivamente modificato, graverebbe su una ricchezza che si sarebbe formata in precedenza.

20.‒ Infine, secondo il rimettente, l’art. 37, comma 2, del d.l. n. 21 del 2022, come convertito e successivamente modificato, si porrebbe in ulteriore contrasto con gli artt. 3 e 53 Cost. poiché il calcolo del contributo straordinario, basato «sul raffronto delle attività svolte nel periodo ottobre 2021-aprile 2022 con quelle svolte nel periodo ottobre 2020-aprile 2021», non consentirebbe di tenere conto del fatto che la società avrebbe «sostanzialmente avviato l’attività il 1° gennaio 2021».

Al fine di evitare effetti distorsivi e riportare a ragionevolezza la disposizione censurata, il raffronto dovrebbe quindi riguardare periodi omogenei, per cui il primo periodo dovrebbe partire dal momento in cui la società «effettivamente e sostanzialmente comincia ad operare», riducendo, correlativamente, il secondo periodo temporale di riferimento.

21.‒ Nel giudizio si è costituita Eni Global Energy Markets spa che ha chiesto l’accoglimento delle questioni di legittimità costituzionale sollevate dalla CGT di Roma.

La società osserva, preliminarmente, che, per sindacare l’irragionevolezza di un prelievo, occorrerebbe fare riferimento al «riflesso economico» che esso sortisce sul contribuente e, pertanto, si renderebbe necessario procedere, al fine di compiere il vaglio di legittimità costituzionale della disposizione censurata, a «un esame caso per caso, in relazione alla posizione dei singoli contribuenti incisi».

Seguendo questa prospettiva, emergerebbe che l’imposta avrebbe un contenuto tipicamente espropriativo, essendo state totalmente erose tutte le grandezze della società, sia di carattere reddituale che patrimoniale.

22.‒ La società aggiunge che il divieto di imposte espropriative promanerebbe anche da una lettura dell’art. 53 Cost. legata al concetto di “minimo vitale” che postulerebbe che il livello complessivo di imposizione non dovrebbe mai compromettere i mezzi di sostentamento dei singoli individui per la soddisfazione di bisogni esistenziali primari.

Precisa che «una parte della dottrina ritiene applicabile questo principio non solo alle persone fisiche, ma anche agli enti collettivi», data la rilevanza che «hanno acquisito negli anni le varie “formazioni sociali” che trovano, nonostante la già sottolineata centralità della persona umana, un importantissimo riconoscimento nell’art. 2 Cost.».

In questa accezione, un’imposta che avesse l’effetto di cagionare, come nel caso di specie, la “morte economica” di un ente, non sarebbe rispettosa dell’art. 53 Cost.

23.‒ Inoltre, l’irragionevolezza della disposizione censurata deriverebbe dal fatto che il legislatore non avrebbe previsto un tetto massimo all’imposizione.

La necessità di individuare questo limite risiederebbe nel fatto che questa Corte, con la sentenza n. 111 del 2024, avrebbe affermato che il «presupposto che il legislatore ha inteso assoggettare ad imposizione è, a monte, arbitrario e irrazionale» in quanto non vi sarebbe «rispondenza tra il presupposto e la base imponibile» del contributo straordinario.

Così concepito, il contributo straordinario sarebbe «ontologicamente non coerent[e] ma ritenut[o] ragionevol[e] alla luce del contesto esogeno» e proprio per tale ragione dovrebbe trovare considerazione la necessità di prevedere un limite massimo all’imposizione, non individuato dalla disposizione censurata, al fine di prevenire «il rischio che tale incoerenza determini effetti espropriativi sui contribuenti».

24.‒ Con riferimento, poi, alla violazione dell’art. 117, primo comma, Cost. e, in via mediata, dell’art. 1 Prot. addiz. CEDU, la società evidenzia che la Corte EDU avrebbe frequentemente valorizzato la tutela del diritto di proprietà nell’ambito della materia fiscale, chiarendo, in particolare, che l’esercizio del potere impositivo è legittimo solo se realizza un giusto equilibrio tra il perseguimento dell’interesse pubblico e la necessità di proteggere il diritto di proprietà, dovendo il legislatore operare nel rispetto del canone della proporzionalità tra i mezzi impiegati e gli scopi perseguiti, il che imporrebbe una verifica in concreto del fatto che il contribuente non sia assoggettato a un sacrificio eccessivo ed esorbitante.

Nel caso in esame, questo giusto equilibrio sarebbe assente, poiché la società avrebbe subìto uno «svuotamento radicale del contenuto del diritto di proprietà».

24.1.‒ A queste considerazioni la parte privata aggiunge che la Corte EDU avrebbe valorizzato l’illegittimo “effetto sorpresa” delle misure fiscali introdotte ex post, e osserva che la disposizione censurata produrrebbe un ingiustificato effetto retroattivo, in quanto graverebbe su una ricchezza che si sarebbe eventualmente formata prima della sua entrata in vigore, incidendo in tal modo sulla prevedibilità del prelievo, sicché «le imprese si [sarebbero] trovate del tutto impreparate a corrispondere un così consistente importo, senza poter adeguare la propria operatività al futuro esborso mediante appositi piani finanziari ed economici di accantonamento».

25.‒ La società, infine, argomenta anche sulla questione di legittimità costituzionale della disposizione censurata sotto il profilo della violazione del principio di uguaglianza.

Evidenzia a tal proposito che il contributo straordinario, «proprio perché privo di razionalità e proporzionalità», inciderebbe in maniera più gravosa su alcuni operatori per ragioni del tutto “casuali” e disancorate da incrementi di ricchezza, così discriminandoli rispetto ai loro concorrenti.

26.‒ Relativamente, poi, alla questione della irragionevolezza dell’art. 37, comma 2, del d.l. n. 21 del 2022 come convertito e successivamente modificato, per non avere tenuto conto della possibilità di ridurre i periodi temporali da mettere a confronto, osserva che la disposizione censurata individua «puntualmente», «senza prevedere eccezioni di sorta», le mensilità che confluiscono nella base imponibile del contributo straordinario.

Per tale ragione si determinerebbe un effetto distorsivo per quelle società che hanno avviato l’attività nel corso del primo periodo di raffronto.

Tenuto conto del fatto che a essere sottoposto all’imposizione è un incremento di ricchezza derivante dallo svolgimento dell’attività nel settore energetico, occorrerebbe allora affermare che il momento iniziale del primo periodo di riferimento, cui parametrare, in modo corrispondente, anche il secondo, dovrebbe coincidere con quello «in cui il soggetto comincia ad effettuare operazioni attive ai fini IVA, come tali risultanti dalle LIPE [liquidazioni periodiche IVA]».

27.‒ Nel giudizio è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato.

27.1.‒ In rito, la difesa statale eccepisce l’inammissibilità delle questioni relative al carattere confiscatorio-espropriativo della disposizione censurata per genericità e omessa valutazione degli effetti che sul giudizio a quo si sarebbero prodotti a seguito della sentenza n. 111 del 2024, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale della disposizione censurata nella parte in cui prevede l’inclusione, nella base imponibile del contributo straordinario, delle accise versate allo Stato e indicate nelle fatture attive.

Evidenzia infatti che il giudice a quo, al fine di valutare l’eventuale effetto confiscatorio-espropriativo del contributo straordinario, avrebbe dovuto rideterminarne l’importo dovuto, espungendo dal calcolo la quota che la società aveva versato a titolo di accise, con la conseguenza che sarebbe del tutto indeterminata la reale incidenza dell’imposta sui valori contabili della società.

27.2.‒ Inoltre, secondo l’interveniente le questioni sarebbero inammissibili in quanto il giudice a quo non avrebbe richiamato correttamente i dati valorizzati per evidenziare l’effetto confiscatorio-espropriativo.

Rileva a tal proposito che il rimettente avrebbe raffrontato il valore globale del contributo straordinario versato dalla società al patrimonio netto risultante dal bilancio del 31 dicembre 2021, nonché all’utile di gestione maturato al 30 giugno 2022, senza tuttavia tenere conto che, in realtà, secondo quanto previsto dall’art. 37, comma 5, del d.l. n. 21 del 2022, come convertito e successivamente modificato, entro la data del 30 giugno 2022 la contribuente era tenuta al versamento solo dell’acconto (pari al 40 per cento di quanto dovuto, mentre il 60 per cento avrebbe dovuto essere versato entro il 30 novembre del 2022). Evidenzia inoltre che il giudice a quo avrebbe fatto riferimento ai soli utili di gestione maturati al 30 giugno 2022, senza considerare gli ulteriori utili eventualmente maturati nel corso del medesimo anno e che avrebbero potuto “coprire” la restante parte dell’importo dovuto.

27.3.‒ Un’ulteriore eccezione di inammissibilità è stata prospettata dalla difesa statale per genericità della formulazione e del petitum delle questioni relative all’esatta individuazione del periodo di riferimento ai fini del calcolo dell’eventuale variazione in aumento del saldo tra le operazioni IVA attive e passive risultanti dalle liquidazioni periodiche.

Infatti, il giudice a quo non avrebbe specificato il criterio oggettivo per individuare il momento in cui una società possa essere considerata effettivamente operativa.

La difesa statale evidenzia, inoltre, che l’ordinanza di rimessione si sarebbe discostata dalla posizione assunta dall’Agenzia delle entrate in via di prassi con la circolare n. 22/E del 23 giugno 2022, secondo cui, qualora un soggetto abbia iniziato l’attività durante il primo periodo di riferimento (1° ottobre 2020-30 aprile 2021), sarebbe necessario confrontare dati omogenei, per cui, se l’attività ha avuto inizio «ad esempio il 1° gennaio 2021 […] si dovranno prendere come termine di confronto i dati desumibili dalle LIPE relative al periodo 1° gennaio 2021 - 30 aprile 2021 e raffrontarli con i dati relativi al periodo 1° gennaio 2022 - 30 aprile 2022».

La medesima circolare, osserva la difesa statale, avrebbe peraltro chiarito che per inizio di attività si deve intendere il momento in cui il soggetto acquista la soggettività passiva ai fini IVA, cioè quando apre la partita IVA e svolge le attività preparatorie finalizzate all’inizio effettivo dell’attività tipica, a prescindere dall’effettiva realizzazione di operazioni attive.

28.‒ Nel merito, secondo la difesa statale, le questioni sarebbero non fondate.

Con riferimento alla questione relativa all’effetto confiscatorio-espropriativo del contributo straordinario, richiama la sentenza n. 111 del 2024 di questa Corte che «ha escluso la possibilità di valutare la legittimità costituzionale di un prelievo tributario alla stregua» dell’art. 42 Cost. e osserva che le risorse economiche del contribuente impiegate per l’adempimento di un tributo «costituiscono il mezzo di pagamento e non l’oggetto dell’imposizione».

Ritiene quindi che, rispetto a una prestazione patrimoniale imposta di natura tributaria, dovrebbero essere valutate unicamente la sua ragionevolezza e proporzionalità alla luce degli artt. 3 e 53 Cost., profili sui quali si sarebbe già pronunciata la sentenza n. 111 del 2024.

Seguendo questa prospettiva, non sarebbe «irragionevole privare un soggetto, anche in misura particolarmente consistente, di una fonte economica conseguita unicamente in ragione di una particolare congiuntura storica, ove venga in rilievo l’esigenza di destinare quelle risorse al fine di sostenere soggetti che, da quella medesima congiuntura, siano stati viceversa svantaggiati».

Aggiunge l’interveniente che la non arbitrarietà dell’imposizione, se vale certamente per lo specifico “indice di capacità contributiva” colpito da un prelievo, varrebbe altresì «e invero a maggior ragione, ove si raffronti il prelievo a grandezze economiche da questo non direttamente incise», come sarebbe nel caso di specie, in cui il prelievo fiscale non assume a presupposto di imposta il reddito o il patrimonio (cui invece fa riferimento il giudice rimettente), ma una diversa grandezza economica marginale corrispondente alla variazione in aumento del saldo tra le operazioni IVA attive e passive di cui alle LIPE dei periodi di riferimento.

Da questo punto di vista, raffrontare un prelievo fiscale a un valore economico diverso da quello specificamente tassato significherebbe misurare il livello di incidenza del primo sul secondo non in astratto, ma in misura diversa «da contribuente a contribuente, in ragione delle specifiche caratteristiche di ognuno di essi», ma questo comporterebbe che «[i]l medesimo prelievo finirebbe pertanto per essere costituzionale o incostituzionale, a seconda del contribuente preso in considerazione».

Né sarebbe corretto ritenere che l’irragionevolezza e la sproporzione del contributo straordinario risiederebbero nel fatto che la disposizione censurata non prevede una “soglia massima” di incidenza sulle disponibilità economiche e patrimoniali del contribuente.

Infatti, «ogni operazione in ipotesi tesa a individuare una siffatta “soglia massima” o “aliquota massima” di incidenza sulla grandezza economica tassata si rivelerebbe del tutto arbitraria», in quanto spetterebbe solo «al legislatore, di volta in volta, stabilire in che misura tale “grandezza economica” debba essere incisa, alla luce delle caratteristiche di questa, nonché in considerazione delle peculiari contingenze, anche di carattere storico-sociale ed economico» nelle quali il tributo sia imposto.

29.‒ Secondo la difesa statale sarebbe non fondata anche la questione relativa alla violazione dell’art. 117, primo comma, Cost. e, in via mediata, dell’art. 1 Prot. addiz. CEDU, in quanto la Corte EDU ha sempre riconosciuto un ampio margine di discrezionalità ai legislatori dei singoli Stati membri, anche per quanto riguarda il trattamento fiscale, seppure «particolarmente elevato».

30.‒ Non fondata sarebbe altresì l’ulteriore questione volta a contestare la retroattività del contributo straordinario in quanto, una disposizione che va a incidere su un dato indice o valore economico già insorto, sarebbe in contrasto con gli artt. 3 e 53 Cost. solo se il medesimo indice non sia più in grado di esprimere una «capacità contributiva attuale», cioè una ricchezza o una forza economica tuttora rilevabile.

Nel caso di specie, la congiuntura economica che aveva determinato la salita anomala dei prezzi dell’energia elettrica e dei prodotti energetici era «ancora in corso» al momento dell’entrata in vigore della disposizione censurata.

31.‒ Infine, secondo la difesa statale non sarebbe fondata l’ultima questione relativa alla mancata considerazione, ai fini dell’eventuale emersione di un saldo tra le operazioni IVA attive e passive, del momento di effettiva operatività dell’attività da parte del soggetto passivo.

Ritiene a tal proposito che, se, da un lato, è vero che i periodi temporali posti a raffronto devono essere omogenei, d’altro lato, «la “venuta a esistenza” del soggetto inciso dal prelievo […] non può che farsi coincidere con la sua formale costituzione», poiché un diverso parametro, teso a far valere l’inizio della sostanziale ed effettiva operatività «sarebbe del tutto incerto e arbitrario».

32.‒ Nella memoria l’Avvocatura generale dello Stato ha insistito sulle eccezioni di inammissibilità e di infondatezza delle questioni proposte con l’atto di intervento, replicando alle deduzioni contenute nell’atto di costituzione della parte privata.

In particolare, a ulteriore supporto dell’eccezione di inammissibilità della questione relativa all’effetto espropriativo del contributo straordinario, evidenzia che il petitum prospettato sarebbe incerto, non avendo specificato se riguardi la disposizione nella misura in cui ha determinato un effetto espropriativo nel caso concreto ovvero perché «non contiene disposizioni generali ed astratte capaci di impedire il prodursi di un simile risultato».

Inoltre, sempre con riferimento alla questione relativa all’effetto confiscatorio-espropriativo del contributo straordinario, secondo la difesa statale la sentenza n. 111 del 2024 avrebbe affermato «a chiare lettere» la razionalità e la proporzionalità del contributo straordinario rispetto al suo presupposto, tenuto conto della necessità di un intervento urgente e dell’assenza di dati ulteriori disponibili rispetto a quelli emergenti dalla LIPE.

Viene quindi ribadita l’impossibilità di verificarne l’impatto su altre grandezze economiche, quali l’utile netto di esercizio e il preesistente patrimonio netto, estranee al presupposto impositivo individuato dal legislatore.

33.‒ Anche Eni Global Energy Markets spa ha depositato memoria con la quale ha insistito sulle considerazioni già espresse nell’atto di costituzione e ha replicato alle eccezioni di inammissibilità e alle deduzioni difensive di merito della difesa statale.

33.1.‒ In particolare, circa l’eccezione d’inammissibilità per omessa valutazione dell’impatto della parziale dichiarazione di illegittimità costituzionale di cui alla sentenza n. 111 del 2024, evidenzia che «Egem, in quanto trader energetico, non è mai soggetto ad accise, con la conseguenza che, ovviamente, non può nemmeno in ipotesi immaginarsi un “impatto” di tali imposte sulla base imponibile del Contributo da essa versato».

Sarebbe per questa ragione, infatti, che la società «non ha domandato (né avrebbe potuto farlo) il rimborso del Contributo in ragione dell’incidenza delle accise sulla sua base imponibile», sicché, «in assenza della domanda di rimborso, è evidente che il giudice non avrebbe giammai potuto pronunciarsi, senza incorrere in extra petita».

33.2.‒ Con specifico riguardo, poi, alla questione relativa agli effetti confiscatorio-espropriativi del contributo straordinario, la società, partendo dalle riserve che la sentenza n. 111 del 2024 avrebbe manifestato rispetto alla coerenza del contributo, evidenzia la necessità di considerare la tutela di cui all’art. 42 Cost.

In particolare, precisa che quando la «l. n. 197/2022, all’art. 1, commi 115 e ss., ha introdotto un contributo di solidarietà a carico delle imprese energetiche», ha però previsto «una soglia massima dell’importo dovuto parametrata proprio al patrimonio netto e, in particolare, al suo 25%» e, inoltre, che il «d.l. n. 104/2023 [che] ha introdotto un’imposta straordinaria sugli extraprofitti degli istituti finanziari» ha stabilito, anch’esso, un tetto massimo, mentre solo «il Contributo qui scrutinato non prevede il medesimo strumento di tutela dei contribuenti da effetti espropriativi».

Circa, poi, la questione della violazione degli artt. 3 e 53 Cost. relativa al corretto computo dei periodi temporali da prendere in considerazione, la parte privata insiste sulla necessità di assumere come punto di riferimento il «momento in cui il soggetto comincia ad effettuare operazioni attive ai fini IVA, come tali risultanti dalle LIPE».

Considerato in diritto

1.‒ Con ordinanza del 7 ottobre 2024 (reg. ord. n. 11 del 2025) la CGT di Cagliari ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 23 e 53 Cost., questioni di legittimità costituzionale dell’art. 37, comma 7, del d.l. n. 21 del 2022, come convertito e successivamente modificato, secondo cui il contributo straordinario non è deducibile dall’IRES.

1.1.‒ Quanto alla rilevanza delle questioni, il rimettente evidenzia che, a seguito della sentenza di questa Corte n. 111 del 2024, che ha ritenuto non fondate le questioni di legittimità costituzionale sulla cui base Saras spa aveva richiesto, in via principale, la restituzione dell’intero contributo straordinario versato, residuava al suo esame solo l’ulteriore domanda subordinata, concernente la restituzione della maggiore IRES versata in ragione della previsione di non deducibilità del contributo straordinario.

Tuttavia, all’accoglimento di questa domanda farebbe da ostacolo proprio la disposizione ora censurata, che prevede l’indeducibilità del contributo straordinario dall’IRES, in quanto, in sua assenza, opererebbe la disposizione di cui all’art. 99, comma 1, del d.P.R. n. 917 del 1986, che riconosce in via generale la deducibilità delle imposte, salvo per quelle sui redditi e quelle per le quali è prevista la rivalsa, anche facoltativa.

2.‒ Quanto alla non manifesta infondatezza, secondo il rimettente la disposizione censurata si porrebbe, in primo luogo, in contrasto con gli artt. 3 e 53 Cost. per violazione dei principi di capacità contributiva e di ragionevolezza.

Prendendo le mosse dai principi affermati da questa Corte con la sentenza n. 262 del 2020 in materia di indeducibilità dell’IMU sui beni strumentali dall’IRES, il giudice a quo ritiene infatti che, essendo il contributo straordinario un costo inerente all’attività di impresa, la previsione di non deducibilità dall’IRES comporterebbe la rottura del rapporto di continuità e di coerenza che deve sussistere tra la base imponibile e il relativo presupposto, dato che l’art. 75 del d.P.R. n. 917 del 1986 prevede che l’imposta si applica sul reddito complessivo netto.

Il contrasto con gli artt. 3 e 53 Cost. troverebbe peraltro conferma anche nei principi enunciati da questa Corte nella sentenza n. 111 del 2024, che avrebbe già rilevato il «precario equilibrio costituzionale» del contributo straordinario, che quindi si rifletterebbe anche sul meccanismo di indeducibilità ai fini IRES della medesima imposta.

2.1.‒ La violazione dell’art. 53 Cost. sarebbe ravvisabile anche sotto il profilo del divieto di doppia imposizione, avendo la società provveduto, in riferimento al medesimo anno di imposta, al pagamento sia del contributo straordinario che dell’IRES.

3.‒ Con ordinanza del 7 febbraio 2025 (reg. ord. n. 54 del 2025), la CGT di Roma ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 42, 53 e 117, primo comma, Cost., quest’ultimo in relazione all’art. 1 Prot. addiz. CEDU, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 37 del d.l. n. 21 del 2022, come convertito e successivamente modificato.

3.1.‒ Ai fini della rilevanza delle questioni, il rimettente dà atto della sentenza n. 111 del 2024, ma precisa che, nel caso ora all’esame, a differenza del precedente, vi sarebbero elementi concreti per giustificare nuove questioni di legittimità costituzionale sul contributo straordinario di cui la società chiede il rimborso, in quanto ne avrebbe «integralmente eroso le ricchezze reddituali e patrimoniali».

3.2.‒ Quanto alla non manifesta infondatezza, in primo luogo il rimettente precisa che il pagamento del contributo straordinario avrebbe «eroso tutto il patrimonio netto sociale, tutto il risultato operativo e tutto l’utile ante imposte 2021, nonché tutto l’utile 2022», elevando il taxe rate complessivo, determinato dalla combinazione tra l’importo versato a titolo di contributo straordinario e quello a titolo di altre imposte applicate alla società, al livello insostenibile del 142 per cento.

Livelli di tassazione così rilevanti intaccherebbero il «minimo vitale», determinando la «morte economica» della società, con una privazione iniqua e sproporzionata dei suoi beni.

Tale effetto confiscatorio-espropriativo delle ricchezze patrimoniali e reddituali – che per ragioni del tutto “casuali”, disancorate da incrementi effettivi di ricchezza, si sarebbe prodotto solo sulla società ricorrente nel giudizio a quo e non anche su altri contribuenti – determinerebbe, secondo il giudice rimettente, la violazione degli artt. 3, 42 e 53 Cost.

3.3.‒ In considerazione della ingiustificata compressione del diritto di proprietà, vi sarebbe anche la violazione dell’art. 117, primo comma, Cost. e, in via mediata, dell’art. 1 Prot. addiz. CEDU.

4.‒ Inoltre, il rimettente ritiene che la norma censurata violerebbe gli artt. 3 e 53 Cost. perché avrebbe effetto retroattivo. Il contributo straordinario assumerebbe, infatti, come ricchezza tassabile un differenziale calcolato sul fatturato IVA relativo al periodo ottobre 2021-aprile 2022 (confrontato con il precedente periodo ottobre 2020-aprile 2021) e, siccome è entrato in vigore il 22 marzo 2022, con il d.l. n. 21 del 2022, come convertito e successivamente modificato, graverebbe su una ricchezza che si sarebbe formata precedentemente.

5.‒ Infine, secondo il giudice a quo l’art. 37, comma 2, del d.l. n. 21 del 2022, come convertito e successivamente modificato, si porrebbe in ulteriore contrasto con gli artt. 3 e 53 Cost., poiché il calcolo del contributo straordinario, basato «sul raffronto delle attività svolte nel periodo ottobre 2021-aprile 2022 con quelle svolte nel periodo ottobre 2020-aprile 2021», non consentirebbe di tenere conto del fatto che la società avrebbe «sostanzialmente avviato l’attività il 1° gennaio 2021».

Al fine di evitare effetti distorsivi e riportare a ragionevolezza la disposizione censurata, il raffronto dovrebbe invece riguardare periodi omogenei, per cui il primo periodo dovrebbe partire dal momento in cui la società «effettivamente e sostanzialmente comincia ad operare», riducendo, correlativamente, il secondo periodo temporale di riferimento.

6.‒ Preliminarmente, poiché le ordinanze di rimessione hanno a oggetto la medesima disposizione e pongono questioni in larga parte coincidenti, va disposta la riunione dei giudizi per una loro trattazione congiunta.

7.‒ Nel giudizio di cui all’ordinanza di rimessione della CGT di Cagliari la difesa statale ha, in primo luogo, eccepito l’inammissibilità delle questioni. Erroneamente, infatti, il giudice a quo avrebbe ritenuto che fosse nuova – mentre costituiva una mera emendatio di quella proposta in via principale –, e quindi inammissibile, la richiesta di rimborso parziale che la parte aveva proposto con memoria, a seguito della dichiarazione di parziale illegittimità costituzionale della disposizione censurata di cui alla sentenza n. 111 del 2024, intervenuta nelle more del giudizio.

7.1.‒ L’eccezione non è fondata.

Il sindacato sul giudizio di rilevanza della questione «è riservato al rimettente e, rispetto a esso, questa Corte effettua un controllo meramente “esterno”, limitato ad accertare l’esistenza di una motivazione non implausibile, non palesemente erronea o contraddittoria» (sentenza n. 25 del 2025; nello stesso senso, sentenze n. 192 del 2022 e n. 32 del 2021).

Nel caso di specie la motivazione del rimettente appare tale, anche perché la rideterminazione del quantum richiesto dalla società nel giudizio a quo non avrebbe impedito al giudice tributario di pronunciarsi anche sulla domanda subordinata, restando quindi invariata, in punto di rilevanza e di non manifesta infondatezza, la questione relativa alla legittimità costituzionale del meccanismo di indeducibilità del contributo straordinario.

7.2.‒ Nemmeno fondata è l’ulteriore eccezione proposta dalla difesa statale deducendo che il rimettente, nel compiere il giudizio di rilevanza, avrebbe dovuto valutare l’eventuale incidenza di questo contributo sulla base imponibile prevista da quello successivo introdotto dall’art. 1, commi da 115 a 119, della legge n. 197 del 2022.

Per la valutazione del giudizio di rilevanza assume, infatti, rilievo la disposizione di cui il giudice a quo deve fare applicazione, ovvero l’art. 37, comma 7, del d.l. n. 21 del 2022, come convertito e successivamente modificato, senza essere tenuto a considerare altre disposizioni di legge che non hanno incidenza ai fini della decisione.

8.‒ Nel giudizio di cui all’ordinanza di rimessione della CGT di Roma la difesa statale, in riferimento alle questioni relative all’effetto confiscatorio-espropriativo del contributo straordinario, ne ha eccepito, in primo luogo, l’inammissibilità in quanto il giudice a quo non avrebbe considerato gli effetti della sentenza n. 111 del 2024, che ha escluso le accise dal calcolo della base imponibile.

Secondo la difesa statale il giudice rimettente avrebbe dovuto tenere conto che, a seguito della sentenza indicata, l’importo del contributo straordinario avrebbe dovuto essere ridotto, con evidenti riflessi sulla ricchezza effettivamente incisa.

8.1.‒ L’eccezione non è fondata.

L’ordinanza di rimessione è adeguatamente motivata sulla non manifesta infondatezza, anche perché da essa si evince che la società aveva richiesto, con l’atto introduttivo, solo il rimborso dell’intero contributo straordinario da essa versato. La medesima richiesta è stata ribadita anche a seguito della sentenza n. 111 del 2024, senza che sia stato prospettato da nessuna delle parti in giudizio che questa pronuncia avrebbe potuto avervi incidenza e quindi comportare il riconoscimento del diritto a un rimborso parziale.

In assenza di una specifica domanda della società nel giudizio a quo, nel rispetto del principio dispositivo che governa anche il processo tributario, il giudice di primo grado non ha quindi esaminato, perché non poteva, l’eventuale esistenza di quel diritto al rimborso parziale.

A supporto di questa considerazione milita quanto riferisce la difesa della parte privata nella memoria, dove si è posto in evidenza che «Egem, in quanto trader energetico, non è mai soggetto ad accise, con la conseguenza che, ovviamente, non può nemmeno in ipotesi immaginarsi un “impatto” di tali imposte sulla base imponibile del Contributo da essa versato».

9.‒ Sempre con riferimento alle questioni relative all’effetto confiscatorio-espropriativo del contributo straordinario, la difesa statale ne ha ulteriormente eccepito l’inammissibilità per genericità, in quanto il giudice rimettente non avrebbe correttamente fornito elementi concreti per giungere alla sua conclusione.

9.1.‒ L’eccezione non è fondata.

Il percorso motivazionale del giudice a quo non risulta generico o indeterminato, poiché sono stati specificamente indicati gli elementi fattuali sulla base dei quali ha tratto il proprio convincimento circa la radicale incidenza del contributo straordinario sul patrimonio e sul reddito riferibili alla società.

10.‒ Un’ulteriore eccezione di inammissibilità è stata prospettata dalla difesa statale perché l’ordinanza di rimessione non avrebbe chiarito in base a quali criteri oggettivi si dovrebbe definire il momento di inizio di operatività della società tenuta al pagamento del contributo.

10.1.‒ L’eccezione non è fondata.

Secondo la CGT di Roma, il contributo straordinario dovrebbe colpire soggetti «effettivamente esercenti l’attività di impresa (laddove si presume che risiedano gli extraprofitti) e non anche le Società neocostituite o non operative, che eventualmente pongono in essere solo attività preparatorie».

Implicito in questa motivazione è che il momento iniziale da prendere in considerazione dovrebbe essere quello in cui la società inizia a emettere fatture attive.

Su questa medesima linea, del resto, si pone la società nell’atto di costituzione e poi in memoria.

Diversamente da quanto prospettato dalla difesa statale, quindi, il giudice rimettente ha individuato il criterio oggettivo in base al quale stabilire l’esatto momento inziale cui ancorare il conteggio del primo periodo temporale.

11.– Le questioni sollevate dalla CGT di Cagliari non sono fondate.

È pur vero che questa Corte, con riferimento all’IRES, ha enucleato il principio per cui, se il legislatore, nella sua discrezionalità, ne ha «identificato il presupposto nel possesso del “reddito complessivo netto”, scegliendo di privilegiare tra diverse opzioni quella della determinazione analitica del reddito, non può, senza rompere un vincolo di coerenza, rendere indeducibile un costo fiscale chiaramente e interamente inerente» (sentenza n. 262 del 2020).

È altrettanto indubitabile che il «contributo a titolo di prelievo solidaristico straordinario» costituisce un costo fiscale inerente e che non è qualificabile tra le imposte indeducibili, ai sensi art. 99, comma 1, TUIR, in quanto gravanti sui redditi o perché ne è prevista la rivalsa.

Tuttavia, la medesima sentenza n. 262 del 2020 ha anche chiarito che detto principio «non esclude in assoluto che il legislatore possa prevedere limiti alla deducibilità dei costi, anche se effettivamente sostenuti nell’ambito di un’attività d’impresa», essendo possibili «deroghe che rispondono a esigenze di tutela dell’interesse fiscale».

In questa prospettiva, occorre allora nuovamente ricordare che il suddetto contributo «è stato emanato nell’ambito di una situazione eccezionale, caratterizzata dal manifestarsi della grave crisi internazionale, causata dall’invasione russa dell’Ucraina, in conseguenza della quale la Russia ha diminuito, in modo progressivo, le forniture di gas naturale all’Unione europea». È in questo contesto che le imprese produttrici di energia elettrica e il settore dei combustibili fossili hanno beneficiato «“degli aumenti estremi dei prezzi dovuti all’attuale situazione di mercato, con profitti che vanno al di là dei risultati delle normali attività commerciali”». Si è verificata, pertanto, una grave situazione di crisi e per far fronte agli «“effetti insostenibili sui consumatori e sulle imprese”» (sentenza n. 111 del 2024), data la straordinarietà degli eventi, è stato necessario adottare misure solidaristiche di particolare rilievo.

Il contributo per l’anno 2022, di cui all’art. 37, comma 1, del d.l. n. 21 del 2022, come convertito e successivamente modificato, è stato, infatti, un prelievo una tantum sugli scambi di prodotti energetici di quegli operatori che hanno, in sostanza, beneficiato di un andamento anticiclico, ed è stato introdotto per finanziare interventi solidaristici urgenti, finalizzati a «contenere per le imprese e i consumatori gli effetti dell’aumento dei prezzi e delle tariffe del settore energetico» (sentenza n. 111 del 2024).

In questi termini, il prelievo straordinario ha riguardato esclusivamente una capacità contributiva riconducibile a «un incremento “speculativo” dei prezzi di vendita dei prodotti energetici» – connesso a fattori del tutto esogeni, indipendenti dalle ordinarie scelte economiche e aziendali – e che, in quanto tale, appariva indicativa «di una maggiore forza economica delle imprese operanti in quel determinato settore» (ancora sentenza n. 111 del 2024).

Data questa particolare struttura e finalità del contributo solidaristico straordinario, la mancata previsione della sua deducibilità, da un lato, si presenta non incoerente con la sua natura e, dall’altro, rappresenta una deroga non irragionevole o sproporzionata al principio della deducibilità dall’IRES dei costi fiscali inerenti, trovando giustificazione nell’interesse fiscale connesso alle esigenze di finanza pubblica determinate dai descritti eventi straordinari.

Peraltro, va anche considerato che l’indeducibilità dell’IMU sugli immobili strumentali dall’IRES determinava «l’indebita penalizzazione […] di quelle imprese che abbiano scelto (opzione non certo biasimabile, perché funzionale alla solidità dell’azienda) di investire gli utili nell’acquisto della proprietà degli immobili strumentali rispetto a quelle che svolgono la propria attività utilizzando immobili in locazione: solo queste ultime possono infatti dedurre tutti i costi (i relativi canoni), non essendo soggette, come invece le prime, all’IMU (indeducibile)» (sentenza n. 262 del 2020).

È anche a causa di tale distorsione che questa Corte, del resto, ha precisato – e non può che ribadire – che «alla mera esigenza di gettito, in particolare, il legislatore è tenuto a rispondere in modo trasparente, aumentando l’aliquota dell’imposta principale, non attraverso incoerenti manovre sulla deducibilità, che si risolvono in discriminatori, sommersi e rilevanti incrementi della base imponibile a danno solo di alcuni contribuenti» (ancora sentenza n. 262 del 2020).

Nel caso in esame, invece, nessun significativo effetto distorsivo si è verificato in forza della mancata previsione della deducibilità del contributo straordinario dall’IRES: qualora il legislatore, in vista della complessiva esigenza di gettito del biennio, avesse aumentato l’aliquota del contributo per poi prevederne, nell’anno successivo, la deducibilità dall’IRES, l’effetto sarebbe stato sostanzialmente analogo, senza alcun miglioramento della situazione dei soggetti passivi (alcuni o tutti) del contributo.

11.1.– Parimenti non fondata è la questione relativa alla violazione del divieto di doppia imposizione, che è evocato in termini non pertinenti: questa Corte ha già precisato che il mancato riconoscimento della deducibilità di un’imposta dall’IRES non dà «luogo a un fenomeno di doppia imposizione giuridica» (sentenza n. 171 del 2024 e n. 262 del 2020) quando i presupposti dei due tributi sono diversi.

12.– La prima questione sollevata dalla CGT di Roma in riferimento agli artt. 3, 42 e 53 Cost, a ragione del carattere confiscatorio del contributo di solidarietà straordinario, non è fondata.

Con riferimento all’art. 42 Cost., questa Corte ha già chiarito, riguardo a una simile censura sul medesimo contributo straordinario, che nel «nostro ordinamento costituzionale […] la previsione nell’art. 53 Cost. di un esplicito principio di capacità contributiva al quale rapportare la legittimità degli interventi impositivi (a differenza di altri ordinamenti come quello tedesco dove il Grundgesetz non contempla espressamente tale principio) preclude la possibilità di evocare, in qualche modo forzandone, dal punto di vista concettuale, l’area di applicazione, la garanzia costituzionale del diritto di proprietà» (sentenza n. 111 del 2024).

Va però precisato che la nuova questione sollevata dal rimettente, a differenza di quelle decise nella sentenza da ultimo citata, si fonda sull’assunto che il contributo straordinario non avrebbe determinato l’erosione solo di una parte rilevante del patrimonio, bensì quella di «tutto il patrimonio netto sociale, [di] tutto il risultato operativo e [di] tutto l’utile ante imposte 2021, nonché [di] tutto l’utile 2022».

Nemmeno questa specifica prospettiva, che evoca la possibilità di effetti abnormi in termini di incisione sul patrimonio e sul reddito di un’impresa, cambia, tuttavia, i termini della questione, perché il sindacato di questa Corte, in riferimento ai parametri nazionali, si esaurisce comunque all’interno della verifica, ai sensi degli artt. 3 e 53 Cost., della non arbitrarietà dell’indice di capacità contributiva individuato dal legislatore, nonché della ragionevolezza e proporzionalità dell’imposizione, senza che venga in rilievo la tutela della proprietà di cui all’art. 42 Cost.

Peraltro, va anche precisato che patrimonio e reddito, cioè le entità di cui il rimettente denuncia l’effetto confiscatorio, sono estranei al presupposto del contributo di solidarietà straordinario che, come rileva la difesa statale, attiene a una diversa grandezza economica, corrispondente alla variazione in aumento del saldo tra le operazioni IVA attive e passive di cui alle LIPE dei periodi di riferimento.

12.1.– Ciò chiarito, tuttavia questa Corte non è insensibile alla prospettazione del giudice a quo, il quale evidenzia una situazione che tende a profilarsi come estrema.

Va sottolineato che il prodursi di simili effetti da parte di imposte straordinarie, aggiuntive rispetto a quelle ordinarie, come rilevato dalla difesa di Eni Global Energy Markets spa, normalmente – e ragionevolmente – viene evitato dal legislatore stabilendo un tetto massimo all’imposizione, come peraltro è avvenuto anche per il contributo di solidarietà temporaneo successivo a quello qui censurato, previsto dall’art. 1, comma 115, della legge n. 197 del 2022, in relazione al quale è stata stabilita «una soglia massima dell’[importo dovuto] parametrata proprio al patrimonio netto e, in particolare, al suo 25%» (comma 116).

Tale soglia massima non è stata, invece, disposta in riferimento al contributo qui censurato che, come questa Corte ha precisato, presenta, eppure, caratteri strutturali critici, che «in un tempo ordinario, non consentirebbero, di per sé – nemmeno in forza della più moderna concezione del principio di capacità contributiva in precedenza ricordata (punto 7.1.2.) –, di superare il test della connessione razionale e della proporzionalità» (sentenza n.111 del 2024).

Il legislatore, infatti, si è limitato a prevedere una soglia assoluta (5 milioni di euro) e percentuale (il 10 per cento) al di sotto della quale non trova applicazione l’imposta.

Anche in relazione a questa lacuna, tuttavia, vengono in rilievo quelle «circostanze straordinarie che qualificano in termini del tutto sui generis l’intervento normativo» (sentenza n. 111 del 2024), a fronte delle quali si sono manifestate particolarissime esigenze di gettito e di solidarietà.

Questa considerazione – nella quale è implicito che «in un tempo ordinario» (sentenza n. 111 del 2024) un effetto come quello denunciato dal rimettente dovrebbe ritenersi un indice dell’arbitrarietà dell’imposta – è dirimente anche riguardo alla mancata fissazione di una soglia massima al prelievo, probabilmente dovuta alla difficoltà di calibrarne le conseguenze in termini di gettito, e che, del resto, avrebbe potuto essere definita solo dal legislatore date le peculiari contingenze ed esigenze nelle quali il tributo, con le sue specifiche caratteristiche, è stato concepito.

In conclusione, in relazione ai profili di legittimità costituzionale sollevati dal rimettente in riferimento agli artt. 3 e 53 Cost., anche rispetto al denunciato effetto di «casuale» discriminazione, questa Corte non può che ribadire che «[è] solo tenendo conto del carattere del tutto sui generis del contesto in cui è stato calato il temporaneo intervento impositivo che, quindi, può eccezionalmente ritenersi non irragionevole lo strumento utilizzato dal legislatore» (sentenza n. 111 del 2024).

12.1.1.– Non è invece pertinente il richiamo del rimettente al minimo vitale, trattandosi di grandezza concettualmente non riferibile alle imprese, e che, in ogni caso, nei lavori dell’Assemblea costituente inerenti al principio di capacità contributiva, è stato evocato (in particolare dall’onorevole Scoca) per escludere che l’imposizione fiscale potesse sottrarre alla persona il minimo necessario all’esistenza personale e familiare, ma senza riferimenti agli enti collettivi.

12.2.– Nemmeno fondata è la questione sollevata sul medesimo presupposto dell’erosione totale del patrimonio e del reddito nel caso concreto, in riferimento all’art. 117, primo comma, Cost. e, in via mediata, all’art. 1 Prot. addiz. CEDU in relazione alla tutela dell’autonoma nozione di proprietà.

Al riguardo, va innanzitutto ribadito che «quando si tratta di definire e attuare politiche in materia fiscale la Corte EDU è solita riconoscere un ampio margine di apprezzamento agli Stati: le autorità nazionali sono infatti ritenute “in linea di massima in una posizione migliore del giudice internazionale” per decidere che cosa rientri nell’interesse della giustizia sociale (ex plurimis, Corte europea dei diritti dell’uomo, sentenza 24 giugno 2014, Azienda Agricola Silverfunghi sas e altri contro Italia; principio peraltro ribadito anche in Corte EDU, sentenza 7 dicembre 2023, Waldner contro Francia)» (sentenza n. 111 del 2024).

Va poi precisato che, sebbene la situazione prospettata dal rimettente tenda, nel caso concreto, ad assumere un carattere estremo, ciò non avviene in conseguenza di aliquote così elevate da compromettere situazioni personali, come invece nei casi considerati in Corte EDU, sentenza 14 maggio 2013, N.K.M. contro Ungheria (così come in quella, analoga, Corte EDU, sentenza 2 luglio 2013, R.Sz. contro Ungheria), ma di congiunture aziendali particolari su cui si è innestato il singolare meccanismo impositivo del contributo di solidarietà; questo però non era privo di giustificazione in quanto introdotto, come si è visto, per fronteggiare una situazione straordinaria che non consentiva, data la necessità di intervenire urgentemente, di fare riferimento al più confacente parametro del reddito, come chiarito dalla sentenza n. 111 del 2024.

Infine, la sentenza della Corte EDU 7 dicembre 2023, Waldner contro Francia, citata dal rimettente, appare inconferente, perché ha riguardato una fattispecie del tutto diversa, in cui veniva in rilievo il difetto di proporzionalità di una maggiorazione d’imposta del 25 per cento a carico di soggetti che non aderiscono a un Organismo di gestione autorizzato (OGA) ai fini della dichiarazione dei redditi.

12.3. – Neppure fondata è la questione sul contrasto con gli artt. 3 e 53 Cost. che, secondo il rimettente, conseguirebbe dal carattere retroattivo dell’imposizione.

Questa Corte ha ripetutamente affermato che «una legge tributaria retroattiva non comporta di per sé violazione del principio della capacità contributiva, occorrendo, invece, verificare, di volta in volta, se la legge stessa, nell’assumere a presupposto della prestazione un fatto o una situazione passati, abbia spezzato il rapporto che deve sussistere tra imposizione e capacità stessa, violando così il precetto costituzionale sopra richiamato» (ex plurimis, sentenza n. 315 del 1994).

Nel caso di specie, la manifestazione di ricchezza presa in considerazione dal legislatore è pur sempre quella maturata nell’anno 2022, data di entrata in vigore della disposizione censurata e di versamento del contributo, sebbene essa sia stata calcolata tenendo conto, in modo anche retrospettivo, del differenziale tra i dati delle dichiarazioni IVA del primo periodo preso a riferimento (ottobre 2020-aprile 2021) rispetto a quelli del secondo periodo (ottobre 2021-aprile 2022).

Il riferimento, quindi, a fatti passati ha costituito solo lo strumento per concretizzare il meccanismo impositivo alla base del contributo straordinario, senza che possa ritenersi venuto meno, solo per questo, il carattere dell’attualità dell’indice di capacità contributiva considerato dal legislatore.

12.4. – La questione sull’art. 37, comma 2, del d.l. n. 21 del 2022, come convertito e successivamente modificato, per difetto di omogeneità dei periodi temporali messi a confronto ai fini del calcolo del contributo straordinario, con conseguente violazione degli artt. 3 e 53 Cost., non è fondata nei termini che seguono.

Il giudice a quo lamenta che la società avrebbe «sostanzialmente avviato l’attività il 1° gennaio 2021», per cui, al fine di evitare effetti distorsivi e riportare a ragionevolezza la disposizione censurata, occorrerebbe, da un lato, considerare solo il momento in cui la società «effettivamente e sostanzialmente comincia ad operare», implicitamente individuato in quello in cui inizia a emettere fatture attive e, dall’altro, ridurre, correlativamente, il secondo periodo temporale di riferimento.

È indubbio, con riferimento a quest’ultimo profilo, che solo confrontando periodi temporali omogenei è possibile misurare l’eventuale incremento di capacità contributiva, per cui dalla contrazione del primo periodo temporale deve derivarne anche quella del secondo periodo, come del resto confermato nella prassi dell’Agenzia delle entrate (circolare n. 22/E del 2022).

Circa, invece, l’individuazione del dies a quo del primo periodo temporale da mettere a confronto con quello successivo, il rimettente giunge alla conclusione, sostenuta dalla parte privata nel suo atto di costituzione, che dovrebbe essere preso in considerazione il momento in cui il contribuente ha iniziato a emettere fatture IVA attive, id est quando è iniziata l’attività di cessione dei prodotti energetici.

Tale interpretazione non può essere seguita, perché, in contrasto con il tenore della disposizione censurata – che impone di tenere conto «del saldo tra le operazioni attive e le operazioni passive» realizzate nel primo periodo e di metterlo a confronto con il saldo relativo al successivo periodo temporale –, sottrarrebbe dal calcolo del saldo relativo al primo periodo le fatture IVA passive.

L’eventualità che il soggetto passivo realizzi, durante il primo periodo temporale posto a confronto, solo operazioni passive e che queste siano superiori agli importi relativi alle operazioni attive del medesimo periodo, è stata, peraltro, già valutata dal legislatore, che ha previsto che «[i]n caso di saldo negativo del periodo dal 1° ottobre 2020 al 30 aprile 2021, ai fini del calcolo della base imponibile per tale periodo è assunto un valore di riferimento pari a zero».

Al fine della determinazione del momento d’ingresso nel sistema dell’IVA, occorre allora valorizzare il compimento di operazioni passive, secondo una impostazione che trova conforto nella giurisprudenza della Corte di giustizia e della Corte di cassazione.

La Corte di giustizia (sentenza 2 giugno 2016, causa C-263/15, Lajvér Meliorációs Nonprofit Kft.) ha, infatti, precisato che «chi ha l’intenzione, confermata da elementi obiettivi, di iniziare in modo autonomo [un’attività economica] ai sensi dell’articolo 9 della direttiva 2006/112 ed effettua a tal fine le prime spese di investimento deve essere considerato come soggetto passivo (v., per analogia, sentenze 21 marzo 2000, Gabalfrisa e a., da C-110/98 a C-147/98, EU:C:2000:145, punto 47, nonché dell’8 giugno 2000, Breitsohl, C-400/98, EU:C:2000:304, punto 34)».

Ha poi evidenziato (sentenza 6 ottobre 2022, causa C-293/21, UAB “Vittamed technologijos”; sentenza 28 febbraio 2018, causa C-672/16, Imofloresmira – Investimentos Imobiliários SA) che «è l’acquisto di beni o servizi da parte di un soggetto passivo che agisce come tale a determinare l’applicazione del sistema dell’IVA e, quindi, del sistema della detrazione. L’impiego dei beni o servizi, reale o previsto, determina solo l’entità della detrazione iniziale alla quale il soggetto passivo ha diritto in virtù dell’articolo 168 della direttiva IVA e l’entità delle eventuali rettifiche durante i periodi successivi, ma non incide sulla nascita del diritto alla detrazione (v., in tal senso, sentenza dell’11 luglio 1991, Lennartz, C-97/90, EU:C:1991:315, punto 15)».

La giurisprudenza di legittimità si è pronunciata in senso conforme (Corte di cassazione, sezione quinta civile, ordinanza 17 marzo 2021, n. 7440), ribadendo che «[è] difatti l’acquisto di beni o servizi da parte di un soggetto passivo che agisce come tale a determinare l’applicazione del sistema dell’iva».

Un’interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 37, comma 2, del d.l. n. 21 del 2022, come convertito e successivamente modificato, richiede, quindi, che, ai fini del calcolo del contributo, il primo periodo temporale, in caso di società neo-costituite, decorra dal compimento di operazioni passive finalizzate all’attività di impresa e che, correlativamente, anche il secondo periodo temporale venga, in modo omogeneo, temporalmente ristretto.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi,

1) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 37, comma 7, del decreto-legge 21 marzo 2022, n. 21 (Misure urgenti per contrastare gli effetti economici e umanitari della crisi ucraina), convertito, con modificazioni, nella legge 20 maggio 2022, n. 51, come modificato dall’art. 55 del decreto-legge 17 maggio 2022, n. 50 (Misure urgenti in materia di politiche energetiche nazionali, produttività delle imprese e attrazione degli investimenti, nonché in materia di politiche sociali e di crisi ucraina), convertito, con modificazioni, nella legge 15 luglio 2022, n. 91, e successivamente modificato dall’art. 1, comma 120, lettere a), b) e c), della legge 29 dicembre 2022, n. 197 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2023 e bilancio pluriennale per il triennio 2023-2025), sollevate, in riferimento agli artt. 3, 23 e 53 della Costituzione, dalla Corte di giustizia tributaria di primo grado di Cagliari, sezione 1, con l’ordinanza indicata in epigrafe;

2) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 37 del d.l. n. 21 del 2022, come convertito e successivamente modificato, sollevate, in riferimento agli artt. 3, 42, 53 e 117, primo comma, Cost., quest’ultimo in relazione all’art. 1 del Protocollo addizionale alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo, dalla Corte di giustizia tributaria di primo grado di Roma, sezione 19, con l’ordinanza indicata in epigrafe;

3) dichiara non fondate, nei sensi di cui in motivazione, le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 37, comma 2, del d.l. n. 21 del 2022, come convertito e successivamente modificato, sollevate, in riferimento agli artt. 3 e 53 Cost., dalla Corte di giustizia tributaria di primo grado di Roma, sezione 19, con l’ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 7 ottobre 2025.

F.to:

Giovanni AMOROSO, Presidente

Luca ANTONINI, Redattore

Roberto MILANA, Direttore della Cancelleria

Depositata in Cancelleria il 2 dicembre 2025

Il Direttore della Cancelleria

F.to: Roberto MILANA