ORDINANZA N. 178
ANNO 2025
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta da: Presidente: Giovanni AMOROSO; Giudici : Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO, Filippo PATRONI GRIFFI, Marco D’ALBERTI, Giovanni PITRUZZELLA, Antonella SCIARRONE ALIBRANDI, Massimo LUCIANI, Maria Alessandra SANDULLI, Roberto Nicola CASSINELLI, Francesco Saverio MARINI,
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato sorto a seguito della deliberazione del Consiglio dei ministri 4 aprile 2025, in relazione al decreto-legge 11 aprile 2025, n. 48 (Disposizioni urgenti in materia di sicurezza pubblica, di tutela del personale in servizio, nonché di vittime dell’usura e di ordinamento penitenziario), promosso dal deputato Riccardo Magi, nei confronti del Governo della Repubblica, in persona del Presidente del Consiglio dei ministri, con ricorso depositato in cancelleria il 5 maggio 2025 e iscritto al n. 6 del registro conflitti tra poteri dello Stato 2025, fase di ammissibilità.
Udito nella camera di consiglio del 20 ottobre 2025 il Giudice relatore Luca Antonini;
deliberato nella camera di consiglio del 20 ottobre 2025.
Ritenuto che, con ricorso depositato il 5 maggio 2025 (reg. confl. pot. n. 6 del 2025), il deputato Riccardo Magi ha promosso conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato nei confronti del Governo della Repubblica, in persona del Presidente del Consiglio dei ministri;
che il ricorrente chiede a questa Corte di dichiarare che non spettava al Governo approvare la deliberazione 4 aprile 2025, avente a oggetto quello che sarebbe poi divenuto il decreto-legge 11 aprile 2025, n. 48 (Disposizioni urgenti in materia di sicurezza pubblica, di tutela del personale in servizio, nonché di vittime dell’usura e di ordinamento penitenziario), e, conseguentemente, di annullare la deliberazione stessa e il citato decreto-legge, «nella sua interezza o – in subordine – nelle parti che essa riterrà prive del requisito originario della straordinaria necessità e urgenza»;
che il ricorrente premette che il 22 gennaio 2024 è stato presentato alla Camera dei deputati il disegno di legge ordinario A.C. 1660 (Disposizioni in materia di sicurezza pubblica, di tutela del personale in servizio, nonché di vittime dell’usura e di ordinamento penitenziario);
che il ricorrente ripercorre le tappe dei lavori parlamentari esponendo che, dopo un ciclo di audizioni e l’esame degli emendamenti proposti, le Commissioni riunite I (Affari costituzionali) e II (Giustizia) in sede referente hanno conferito a quattro relatori mandato a riferire all’Assemblea della Camera;
che questa ha iniziato l’esame del testo proposto dalle Commissioni medesime (A.C. 1660-A) il 10 settembre 2024 e lo ha approvato il successivo 18 settembre;
che il disegno di legge è stato quindi trasmesso al Senato della Repubblica (A.S. 1236) e qui assegnato alle Commissioni riunite 1ª (Affari costituzionali) e 2ª (Giustizia) in sede referente, che il 26 marzo 2025, dopo un «confronto politico serrato», hanno conferito mandato a riferire in aula a due relatori;
che, tuttavia, l’esame del disegno di legge da parte del Senato, benché fosse stato calendarizzato, è stato sospeso, in considerazione della sostanziale sovrapponibilità delle norme recate dal disegno stesso a quelle introdotte dal d.l. n. 48 del 2025;
che, in punto di ammissibilità del sollevato conflitto, il ricorrente argomenta, quanto alla propria legittimazione, richiamando l’ordinanza di questa Corte n. 17 del 2019 – nella parte in cui ha affermato che lo «status costituzionale del parlamentare comprende […] un complesso di attribuzioni inerenti al diritto di parola, di proposta e di voto, che gli spettano come singolo rappresentante della Nazione, individualmente considerato, da esercitare in modo autonomo e indipendente, non rimuovibili né modificabili a iniziativa di altro organo parlamentare» – e la successiva giurisprudenza costituzionale conforme (sono citate le ordinanze n. 193 e n. 188 del 2021 e n. 60 del 2020);
che, peraltro, il ricorrente afferma che nel «caso odierno la situazione è assai diversa» rispetto alle fattispecie prese in esame nelle pronunce appena menzionate, giacché «[l]’attacco alle prerogative dei singoli parlamentari viene da un potere esterno al Parlamento (cioè dall’Esecutivo)»;
che il Governo, difatti, deliberando di adottare il suddetto decreto-legge mentre era in corso «l’esercizio delle attribuzioni dei singoli parlamentari» – quali «il potere di iniziativa legislativa» di cui all’art. 71, primo comma, della Costituzione e «la partecipazione al procedimento legislativo ex art. 72 della Costituzione» – le avrebbe rese «del tutto van[e]»;
che, in particolare, il deputato Magi assume che il Governo, approvando un decreto-legge riproduttivo del disegno di legge all’esame del Senato in assenza dei presupposti di straordinaria necessità e urgenza, avrebbe «amputa[t]o arbitrariamente» il dibattito parlamentare che era in corso da un anno e mezzo e, in tal modo, avrebbe «ferito la competenza costituzionale delle Camere», il cui ruolo sarebbe stato «radicalmente pretermesso»;
che, dunque, l’atto di «pretesa urgenza» del Governo avrebbe «leso gravemente le prerogative delle Camere e, insieme, dei singoli parlamentari»;
che, al riguardo, il ricorrente, da un lato, ricorda che, secondo questa Corte, l’ampia «autonomia politica del Governo nel ricorrere al decreto-legge […] non può giustificare lo svuotamento del ruolo politico e legislativo del Parlamento» (è citata la sentenza n. 146 del 2024); dall’altro, sostiene che nella specie i deputati avrebbero maturato «la certezza che sarebbero tornati a discutere» il disegno di legge, poiché il testo all’esame del Senato conteneva modifiche (introdotte dalle suddette Commissioni riunite) rispetto a quello licenziato dalla Camera;
che, espone ancora il ricorrente, l’asserito «svuotamento della funzione parlamentare» e le ipotizzate lesioni delle prerogative costituzionali dei deputati sono stati anche posti a fondamento delle cinque questioni pregiudiziali presentate alla Camera – e da questa discusse e respinte – durante l’iter di conversione in legge del d.l. n. 48 del 2025;
che il ricorrente osserva, inoltre, che il d.l. n. 48 del 2025 ha introdotto anche disposizioni penali e che, benché la decretazione d’urgenza non si ponga di per sé in contrasto con la riserva di legge di cui all’art. 25, secondo comma, Cost., nel caso in esame il Governo avrebbe dovuto «astenersi» dall’adottare il decreto-legge stesso, al fine di consentire un adeguato dibattito parlamentare, dal momento che questa Corte tenderebbe «in campo penale […] a esprimere una preferenza per la legge del Parlamento» (sono citate le sentenze n. 32 del 2014 e n. 487 del 1989).
Considerato che il deputato Riccardo Magi ha promosso conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato nei confronti del Governo della Repubblica, in persona del Presidente del Consiglio dei ministri;
che il ricorrente chiede a questa Corte di dichiarare che non spettava al Governo approvare la deliberazione 4 aprile 2025, avente a oggetto quello che sarebbe poi divenuto il d.l. n. 48 del 2025, e, conseguentemente, di annullare la deliberazione stessa e il citato decreto-legge, «nella sua interezza o – in subordine – nelle parti che essa riterrà prive del requisito originario della straordinaria necessità e urgenza»;
che gli atti all’origine del conflitto sono intervenuti quando la Camera dei deputati aveva già approvato il disegno di legge ordinario A.C. 1660-A e lo aveva trasmesso al Senato della Repubblica, che non ha tuttavia proceduto a esaminare il testo in quanto le sue norme erano state, frattanto, sostanzialmente riprodotte nel suddetto decreto-legge;
che, ad avviso del confliggente, il Governo, trasponendo le disposizioni di cui al disegno di legge ordinario, alcune delle quali peraltro di natura penale, nel menzionato decreto-legge in assenza dei requisiti di straordinaria necessità e urgenza, avrebbe «amputa[t]o arbitrariamente» il dibattito parlamentare in corso, così «fer[endo] la competenza costituzionale delle Camere», il cui «ruolo [sarebbe stato] radicalmente pretermesso»;
che sarebbero state al contempo menomate anche le attribuzioni costituzionali dei singoli parlamentari e, in particolare, il potere di iniziativa legislativa e il diritto di partecipazione al procedimento legislativo loro spettanti;
che, nella presente fase del giudizio, questa Corte è chiamata a deliberare, in camera di consiglio e senza contraddittorio, sulla sussistenza dei requisiti soggettivo e oggettivo prescritti dall’art. 37, primo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), ossia a decidere se il conflitto insorga tra organi competenti a dichiarare definitivamente la volontà del potere cui appartengono e per la delimitazione della sfera di attribuzioni determinata per i vari poteri da norme costituzionali;
che la giurisprudenza costituzionale ha riconosciuto, sotto il profilo soggettivo, l’esistenza di una sfera di prerogative costituzionali, «inerenti al diritto di parola, di proposta e di voto», che possono essere difese dal singolo parlamentare con lo strumento del ricorso per conflitto di attribuzione tra poteri, qualora «risultino lese da altri organi parlamentari» (ex plurimis, tra le più recenti, ordinanza n. 154 del 2022);
che deve essere, invece, «escluso che il singolo parlamentare sia legittimato a sollevare conflitto di attribuzione nei confronti del Governo» quando agisce «a tutela di prerogative attribuite dalla Costituzione all’intera Camera a cui appartiene» (ordinanza n. 17 del 2019);
che, a tale ultimo riguardo, con l’ordinanza n. 151 del 2022 questa Corte ha ricordato di avere più volte specificato la necessità che le attribuzioni costituzionali asseritamente lese «spett[i]no al singolo parlamentare in quanto tale», dovendo essere pertanto ravvisabile, in capo a esso, una posizione «quantomeno distinta e autonoma rispetto a quella facente capo alla Camera di appartenenza»;
che, al contrario, le doglianze del ricorrente relative all’eccentricità del modus operandi del Governo coinvolgono direttamente l’intera Assemblea, consistendo in sostanza nella supposta sottrazione al Parlamento della funzione legislativa, che ai sensi dell’art. 70 Cost. è esercitata collettivamente dalle Camere;
che, quando viene prospettata un’esautorazione del Parlamento dall’esercizio della funzione legislativa e la situazione posta alla base del conflitto coinvolge l’intera Assemblea, titolare della sfera di attribuzioni costituzionali in ipotesi lese e, quindi, eventualmente legittimata a sollevare conflitto è la Camera di appartenenza del singolo parlamentare e non quest’ultimo (in tal senso, ancora, ordinanze n. 154 e n. 151 del 2022, nonché n. 67 e n. 66 del 2021);
che non è, d’altra parte, sufficiente, ai fini dell’ammissibilità del conflitto, affermare, come fa il ricorrente, che il Governo avrebbe menomato anche le prerogative individuali dei singoli parlamentari, ovvero che, «insieme» alle prerogative delle Camere, l’atto di «pretesa urgenza» adottato dal Governo avrebbe leso pure quelle dei parlamentari uti singuli;
che, infatti, in fattispecie come quella in esame la posizione del singolo parlamentare rimane «“assorbita” da quella della propria Camera di appartenenza» (di nuovo, ordinanza n. 151 del 2022);
che, d’altronde, in molteplici occasioni questa Corte ha negato l’ipotizzabilità di una concorrenza tra la legittimazione attiva del singolo parlamentare e quella della Camera di appartenenza (ex plurimis, ordinanze n. 151 del 2022, n. 67 e n. 66 del 2021), escludendo che il parlamentare stesso possa rappresentare – in un conflitto promosso nei confronti del Governo – l’intera istituzione cui appartiene (ex plurimis, ordinanze n. 80 del 2022 e n. 277 del 2017), poiché non è «titolare di attribuzioni individuali costituzionalmente protette nei confronti dell’esecutivo» (ex plurimis, ordinanze n. 151 e n. 80 del 2022 e n. 67 del 2021);
che va altresì rilevato, sotto il profilo oggettivo, che il ricorrente non ha allegato «una sostanziale negazione o un’evidente menomazione» (ex plurimis, ordinanza n. 212 del 2022) delle proprie prerogative costituzionali;
che, infatti, il ricorso offre una ricostruzione lacunosa dell’iter parlamentare afferente alla conversione in legge del d.l. n. 48 del 2025, limitandosi a dare al riguardo conto della presentazione di cinque questioni pregiudiziali, una delle quali sottoscritta dallo stesso deputato Magi, odierno ricorrente, dirette a precludere l’ulteriore esame del disegno di conversione in considerazione delle asserite violazioni dedotte anche in questa sede;
che, tuttavia, proprio la presentazione di tali questioni, che sono state ampiamente discusse e poi respinte dalla Camera nel corso della seduta del 23 aprile 2025, dimostra come, pure dopo la sospensione dell’esame del disegno di legge ordinario, non sia comunque mancato il confronto parlamentare e come il ricorrente abbia «avuto la possibilità di esercitare le proprie funzioni costituzionali, partecipando al procedimento di conversione» (ordinanza n. 275 del 2019; nello stesso senso, ordinanza n. 197 del 2020);
che, per le ragioni dianzi esposte, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara inammissibile il ricorso per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato, promosso dal deputato Riccardo Magi, indicato in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 20 ottobre 2025.
F.to:
Giovanni AMOROSO, Presidente
Luca ANTONINI, Redattore
Roberto MILANA, Direttore della Cancelleria
Depositata in Cancelleria l’1 dicembre 2025
Il Direttore della Cancelleria
F.to: Roberto MILANA