Sentenza  177/2025 (ECLI:IT:COST:2025:177) Comunicato
Giudizio:  GIUDIZIO DI LEGITTIMITÀ COSTITUZIONALE IN VIA PRINCIPALE
Presidente: AMOROSO - Redattrice:  SANDULLI M. A.
Udienza Pubblica del 22/10/2025;    Decisione  del 22/10/2025
Deposito del 01/12/2025;    Pubblicazione in G. U.
Norme impugnate:  Art. 1, c. 1°, della legge della Regione Sardegna 31/01/2025, n. 2.
Massime: 
Atti decisi: ric. 16/2025

Pronuncia

SENTENZA N. 177

ANNO 2025

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta da: Presidente: Giovanni AMOROSO; Giudici : Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO, Filippo PATRONI GRIFFI, Marco D’ALBERTI, Giovanni PITRUZZELLA, Antonella SCIARRONE ALIBRANDI, Massimo LUCIANI, Maria Alessandra SANDULLI, Roberto Nicola CASSINELLI, Francesco Saverio MARINI,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 1, della legge della Regione Sardegna 31 gennaio 2025, n. 2 (Modifiche all’articolo 1 della legge regionale n. 5 del 2023 in materia di assistenza primaria), promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri con ricorso notificato il 1° aprile 2025, depositato in cancelleria il 2 aprile 2025, iscritto al n. 16 del registro ricorsi 2025 e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 16, prima serie speciale, dell’anno 2025.

Visto l’atto di costituzione della Regione autonoma della Sardegna;

udita nell’udienza pubblica del 22 ottobre 2025 la Giudice relatrice Maria Alessandra Sandulli;

uditi l’avvocato dello Stato Enrico De Giovanni per il Presidente del Consiglio dei ministri e l’avvocata Sonia Sau per la Regione autonoma della Sardegna;

deliberato nella camera di consiglio del 22 ottobre 2025.

Ritenuto in fatto

1.– Con ricorso notificato il 1° aprile 2025, depositato il successivo 2 aprile, e iscritto al n. 16 del registro ricorsi 2025, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha promosso questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 1, della legge della Regione Sardegna 31 gennaio 2025, n. 2 (Modifiche all’articolo 1 della legge regionale n. 5 del 2023 in materia di assistenza primaria), che modifica il comma 2-ter, secondo periodo, dell’art. 1 della legge della Regione Sardegna 5 maggio 2023, n. 5 (Disposizioni urgenti in materia di assistenza primaria). Disposizione, quest’ultima, introdotta dall’art. 1, comma 1, della legge della Regione Sardegna 20 agosto 2024, n. 12 (Modifiche alla legge regionale n. 5 del 2023 in materia di assistenza primaria), che è stato, a sua volta, impugnato dallo Stato, con il ricorso iscritto al n. 39 del registro ricorsi 2024 e deciso da questa Corte con la sentenza n. 84 del 2025.

L’Avvocatura generale, in premessa, rileva che il citato art. 1, comma 2-ter, secondo periodo, prevede la possibilità di richiamare in servizio i medici in quiescenza che abbiano aderito ai progetti aziendali di assistenza primaria e continuità assistenziale, senza escludere i medici di medicina generale, per i quali, invece, l’art. 21, comma 1, lettera j), dell’Accordo collettivo nazionale per la disciplina dei rapporti con i medici di medicina generale del 4 aprile 2024 (d’ora in avanti: ACN) preclude espressamente il rientro in servizio, se già in quiescenza.

L’art. 1, comma 1, della legge reg. Sardegna n. 2 del 2025 (oggetto dell’odierno giudizio) sostituendo, al citato art. 1, comma 2-ter, secondo periodo, della legge reg. Sardegna n. 5 del 2023, così come modificato dall’art. 1, comma 1, della legge reg. Sardegna n. 12 del 2024, le parole «sino al 31 dicembre 2024» con la frase «sino all’espletamento delle nuove procedure di assegnazione delle sedi di assistenza primaria e continuità assistenziale e comunque entro e non oltre il 30 giugno 2025», proroga gli effetti della disposizione senza incidere sul contenuto del citato art. 1, comma 2-ter.

Pertanto, lo stesso art. 1, comma 2-ter, nella versione risultante dalla modifica impugnata nel presente giudizio, dispone che «[l]e ASL, allo scopo di garantire uniformi livelli essenziali di assistenza nel territorio e con la prioritaria finalità di individuare misure organizzative atte ad assicurare l’assistenza sanitaria di base ai cittadini di aree disagiate della Regione, sono autorizzate a fornire a tutti i medici impegnati nei progetti aziendali di assistenza primaria e continuità assistenziale i ricettari di cui all’articolo 50 del decreto legge 30 settembre 2003, n. 269, convertito con modificazioni dalla legge 24 novembre 2003, n. 326 (Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269, recante disposizioni urgenti per favorire lo sviluppo e per la correzione dell’andamento dei conti pubblici). La disposizione è, altresì, applicabile ai medici in quiescenza che abbiano aderito ai progetti aziendali di assistenza primaria e continuità assistenziale, anche con contratti libero professionali, laddove non sia garantita la completa copertura delle cure primarie, per assicurarne le medesime funzioni, per le sole attività e limitatamente ai pazienti degli ambiti territoriali riferibili ai predetti progetti, sino all’espletamento delle nuove procedure di assegnazione delle sedi di assistenza primaria e continuità assistenziale e comunque entro e non oltre il 30 giugno 2025».

L’impugnato art. 1, comma 1, della legge reg. Sardegna n. 2 del 2025, dunque, presenterebbe i medesimi profili di illegittimità costituzionale contestati all’art. 1, comma 1, della legge reg. Sardegna n. 12 del 2024 con il menzionato ricorso iscritto al n. 39 reg. ric. del 2024.

In particolare, esso eccederebbe dalle competenze statutarie della Regione autonoma della Sardegna di cui agli artt. 3, 4 e 5 della legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3 (Statuto speciale per la Sardegna) e, ponendosi in contrasto con la normativa statale di riferimento, nonché con l’art. 21, comma 1, lettera j), dell’ACN, violerebbe la competenza legislativa esclusiva dello Stato in materia di ordinamento civile, di cui all’art. 117, secondo comma, lettera l), della Costituzione.

Il ricorrente sottolinea che l’art. 1, comma 1, della legge reg. Sardegna n. 2 del 2025 non introduce misure correttive, ma si limita a intervenire, prorogandolo, sull’ambito temporale di applicazione dell’art. 1, comma 2-ter, secondo periodo, della legge reg. Sardegna n. 5 del 2023, che rimane, così, immutata nel contenuto sostanziale.

Il medico di medicina generale già in quiescenza potrebbe continuare, quindi, ad aderire al progetto assistenziale attivato dall’azienda sanitaria locale (ASL), a disporre del ricettario e a riprendere, di fatto, funzioni analoghe – per natura e per strumenti impiegati – a quelle che aveva prima del pensionamento; in tal modo ponendosi in contrasto con il citato art. 21, comma 1, lettera j), dell’ACN.

Aggiunge, altresì, il Presidente del Consiglio dei ministri che ai medici di medicina generale non potrebbe neppure estendersi la deroga di cui all’art. 2-bis, comma 5, del decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18 (Misure di potenziamento del Servizio sanitario nazionale e di sostegno economico per famiglie, lavoratori e imprese connesse all’emergenza epidemiologica da COVID-19), convertito, con modificazioni, nella legge 24 aprile 2020, n. 27, che consente alle regioni e alle Province autonome di Trento e di Bolzano di richiamare in servizio personale sanitario in quiescenza per far fronte all’impatto dell’emergenza epidemiologica da COVID-19 e garantire i livelli essenziali di assistenza (LEA).

Solo ai dipendenti del Servizio sanitario nazionale (SSN) sarebbe possibile, infatti, rientrare dalla quiescenza con incarichi di lavoro autonomo, in quanto espressamente previsto dalla normativa statale, mentre tale possibilità sarebbe preclusa, dall’ACN, ai medici di medicina generale.

Quello dei medici di medicina generale, infatti, è un rapporto di lavoro in regime convenzionale, caratterizzato dall’autonomia professionale e, nella specie – come chiarito dalla Corte di cassazione (si citano sezioni unite civili, ordinanza 21 ottobre 2005, n. 20344 e sezione lavoro, sentenza 8 aprile 2008, n. 9142) – «un rapporto privatistico di lavoro autonomo di tipo professionale con la pubblica amministrazione».

Viene poi osservato che il legislatore statale ha demandato la disciplina del rapporto di lavoro del personale medico di medicina generale in regime di convenzione alla negoziazione collettiva già con la legge 23 dicembre 1978, n. 833 (Istituzione del servizio sanitario nazionale) e che tale sistema è stato ribadito e precisato dall’art. 8, comma 1, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502 (Riordino della disciplina in materia sanitaria, a norma dell’articolo 1 della legge 23 ottobre 1992, n. 421), il quale rimette la disciplina del rapporto tra il SSN e i medici di medicina generale e pediatri di libera scelta a specifiche convenzioni di durata triennale conformi agli accordi collettivi nazionali. Si ricorda, inoltre, che l’art. 2-nonies del decreto-legge 29 marzo 2004, n. 81 (Interventi urgenti per fronteggiare situazioni di pericolo per la salute pubblica), convertito, con modificazioni, nella legge 26 maggio 2004, n. 138, ha confermato «la struttura di regolazione del contratto del personale sanitario a rapporto convenzionale», garantito mediante la conclusione di accordi all’esito di un procedimento di contrattazione collettiva, definito in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano.

A parere del Presidente del Consiglio dei ministri, pertanto, la disciplina di riferimento non potrebbe, nel caso di specie, che essere rappresentata dalle disposizioni dell’ACN, e, come avrebbe ricordato questa Corte con la sentenza n. 186 del 2016, la contrattazione collettiva nazionale del settore sarebbe certamente parte della materia dell’ordinamento civile; ciò al fine di garantire la necessaria uniformità di regolamentazione su tutto il territorio nazionale, nonché la conformità del rapporto di lavoro non solo alle prescrizioni della legislazione statale, ma anche a quanto previsto dagli accordi collettivi di settore.

Da ultimo, la difesa statale rileva che non sarebbe possibile superare i dedotti profili di illegittimità costituzionale ricorrendo a una interpretazione costituzionalmente orientata dell’impugnato art. 1, comma 1, in quanto essi non deriverebbero dall’assenza di un richiamo testuale dell’art. 21, comma 1 lettera j), dell’ACN, ma piuttosto dal contrasto che sussisterebbe tra quest’ultimo «e quanto previsto dall’art. 1 della legge regionale in esame, che, prorogando l’efficacia della disposizione, continua a violare i divieti posti dalla contrattazione collettiva di settore».

Per tali ragioni, il ricorrente ritiene che l’art. 1, comma 1, della legge reg. Sardegna n. 2 del 2025 violi la competenza legislativa esclusiva dello Stato in materia di ordinamento civile di cui all’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost., per invasione del perimetro riservato alla contrattazione collettiva.

2.– Con atto depositato il 7 maggio 2025, si è costituita in giudizio la Regione autonoma della Sardegna, chiedendo di dichiarare non fondata la questione di legittimità costituzionale.

La resistente premette che l’assistenza di base e la continuità assistenziale sono aree dell’assistenza distrettuale, che, ai sensi degli artt. 4 e 5 del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 12 gennaio 2017 (Definizione e aggiornamento dei livelli essenziali di assistenza, di cui all’articolo 1, comma 7, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502), rientrano tra i LEA, definiti, nell’art. 1 del d.lgs. n. 502 del 1992, come le prestazioni che devono essere obbligatoriamente erogate con costi totalmente o parzialmente a carico del SSN, in quanto strumenti di attuazione del diritto fondamentale alla tutela della salute di cui all’art. 32 Cost.

La Regione osserva, quindi, che la mancata erogazione dell’assistenza di base e della continuità assistenziale a tutti i cittadini costituirebbe una violazione dell’art. 32 Cost. e che essa sarebbe tenuta, facendosi carico della relativa spesa, al finanziamento dei suddetti LEA e all’adozione delle misure organizzative necessarie a garantirne l’effettiva attuazione: obiettivo per il cui raggiungimento la disponibilità di un numero adeguato di medici qualificati sarebbe elemento imprescindibile.

Sempre in via preliminare, la Regione ricorda, poi, di aver già evidenziato, nel giudizio precedentemente svoltosi davanti a questa Corte e conclusosi con la sentenza n. 26 del 2024, le criticità riscontrate nel garantire – sia a causa della propria conformazione territoriale e delle carenze strutturali, sia per la scarsa attrattività delle posizioni lavorative – l’assistenza primaria e la continuità assistenziale.

Tale situazione si sarebbe vieppiù aggravata, a causa, per un verso, dell’accesso al pensionamento anticipato introdotto dal decreto-legge 28 gennaio 2019, n. 4 (Disposizioni urgenti in materia di reddito di cittadinanza e di pensioni), convertito, con modificazioni, nella legge 28 marzo 2019, n. 26 e, per l’altro, dell’impatto negativo sull’attrattività della professione medica provocato dall’emergenza epidemiologica da COVID-19.

Dato tale contesto, la resistente mette in evidenza di aver intrapreso, a partire dal 2023, una serie di azioni volte a fronteggiare le suddette criticità. In un primo momento, ha temporaneamente aumentato, su base volontaria, il massimale dei medici di medicina generale operanti in sedi disagiate e, successivamente, data la scarsa adesione alla misura, ha destinato risorse alle ASL, per finanziare progetti aziendali volti a rafforzare l’assistenza primaria e la continuità assistenziale, incentivando prioritariamente proprio i suddetti medici di medicina generale. Le ASL avrebbero conseguentemente avviato progetti di ambulatori straordinari di comunità territoriale (ASCOT), i quali, integrando l’assistenza primaria nelle aree carenti, in attesa dell’assegnazione delle sedi vacanti secondo quanto previsto dall’ACN, sarebbero finalizzati a garantire agli utenti privi di medico di medicina generale le prestazioni ordinarie di competenza di tali professionisti, quali prescrizioni, visite, rinnovo di piani terapeutici, attivazione di assistenza domiciliare e certificazioni di malattia.

La Regione, peraltro, ricorda di aver comunque provveduto annualmente a svolgere le procedure per l’assegnazione delle sedi vacanti, senza esito positivo: tanto che nel 2024 sarebbero risultate prive di copertura 527 sedi su 1427 e «oltre mezzo milione di persone» non avrebbero «nel proprio ambito il MMG [medico di medicina generale], in particolare quelle che non risiedono in prossimità delle grandi aree urbane».

In ragione di tali criticità – rileva la difesa di parte resistente – la Regione non avrebbe potuto esimersi dal dare continuità, con la disposizione impugnata nell’odierno giudizio, a una misura regionale volta a garantire la dovuta assistenza sanitaria, in attesa dell’esito della procedura di assegnazione delle sedi vacanti e, comunque sia, in attesa di interventi statali che pongano rimedio alle conseguenze della pluriennale assenza di programmazione che ha portato all’attuale scenario.

La difesa regionale ricorda, inoltre, che le criticità dell’assistenza primaria, alle quali la norma regionale impugnata cercherebbe di dare risposta, sarebbero attestate anche dal rapporto del 4 marzo 2025 della Fondazione GIMBE sul Servizio sanitario nazionale.

Conclusa l’ampia ricostruzione in fatto sulle rilevate criticità nell’erogazione dell’assistenza primaria e di continuità assistenziale, cui sarebbe stata chiamata a ovviare l’impugnata disposizione legislativa regionale, la resistente ritiene che non sussisterebbe la dedotta invasione della competenza legislativa esclusiva dello Stato in materia di ordinamento civile, in cui, secondo lo Stato, sarebbe incorso il legislatore regionale per essere intervenuto su aspetti del rapporto tra il Servizio sanitario regionale (SSR) e i medici di medicina generale e continuità assistenziale.

Sarebbe innanzitutto erroneo il presupposto da cui muove il ricorrente per denunciare la dedotta invasione della propria competenza legislativa esclusiva. Si rileva, in particolare, che l’impugnata disposizione non consentirebbe ai medici di medicina generale in quiescenza di partecipare alle procedure per l’assegnazione delle sedi di assistenza primaria a ciclo di scelta (cosiddetti medici di base) e ad attività oraria (guardie mediche) disciplinate dall’ACN e così di (re)instaurare il relativo rapporto convenzionale con il SSR. Dal che deriverebbe la non rilevanza nel caso di specie delle «incompatibilità previste dall’ACN per la partecipazione alle predette procedure (art. 19, comma 2) e per l’inserimento nel ruolo dell’assistenza primaria oggetto dell’ACN (art. 21, comma 1, lett. j)».

A parere della Regione, infatti, i medici di medicina generale convenzionati, cui farebbe riferimento l’ACN, non sarebbero – contrariamente a quanto sostiene il ricorrente – tutti i medici che hanno rapporti libero professionali con il SSR, ma esclusivamente quelli di cui agli artt. 19 e seguenti del medesimo accordo.

Ciò chiarito, secondo la resistente il ricorso sarebbe, comunque, non fondato.

Innanzitutto, la Regione ribadisce che la mancata erogazione dei LEA determinerebbe la violazione dell’art. 32 Cost. e che – come avrebbe affermato anche questa Corte nella sentenza n. 62 del 2020 – alla piena realizzazione di tale diritto fondamentale concorrerebbero anche la qualità e l’indefettibilità del servizio sanitario.

Su queste basi, la resistente evidenzia che alle regioni – come chiarito anche dalla citata sentenza n. 62 del 2020 – spetta il compito di organizzare sul territorio il suddetto servizio e garantire l’erogazione delle relative prestazioni nel rispetto di standard costituzionalmente conformi.

Pertanto, in presenza di situazioni che non consentirebbero la piena attuazione dell’art. 32 Cost., tanto più ove lo Stato non appronti alcuna misura per affrontare tali criticità, le regioni avrebbero «il dovere di adottare misure organizzative idonee a tutelare il diritto alla salute di chi non ha accesso ai LEA».

Proprio a questa esigenza risponderebbe l’impugnata modifica del comma 2-ter, secondo periodo, dell’art. 1 della legge reg. Sardegna n. 5 del 2023, che, approntando misure straordinarie a salvaguardia di un diritto costituzionalmente garantito, esplicherebbe una prevalente finalità organizzativa, in funzione attuativa dell’art. 32 Cost., tale da escludere la violazione dedotta dal ricorrente.

Alla luce di ciò, la Regione aggiunge (richiamando ancora la sentenza n. 26 del 2024 di questa Corte) che la disciplina del rapporto in convenzione dei medici dell’assistenza primaria dovrebbe necessariamente confrontarsi con gli effetti che essa produce sul diritto dei cittadini alla tutela della salute.

In merito, poi, all’art. 2-bis, comma 5, del d.l. n. 18 del 2020, come convertito, che l’Avvocatura dello Stato ha richiamato a sostegno dell’asserita illegittimità costituzionale dell’impugnata disposizione, la resistente chiede a questa Corte di autorimettersi la questione diretta ad accertarne l’illegittimità costituzionale, nella parte in cui non include i medici di medicina generale in quiescenza tra quelli chiamati a concorrere a garantire i LEA, in quanto, non potendo le prestazioni rese da tali medici essere svolte da altri, di fatto escluderebbe dai LEA le relative prestazioni distrettuali.

A tale riguardo la difesa regionale rileva che una disposizione che, al dichiarato fine di garantire i LEA, consente il ricorso eccezionale a medici di ogni categoria e persino ai veterinari, purché legati al SSR da rapporto di lavoro dipendente, ma non alla categoria di medici che sarebbero chiamati in via esclusiva a erogare le prestazioni afferenti a specifiche e carenti aree dei LEA, sarebbe, per un verso, irragionevole, illogica e contraddittoria, e, per l’altro, contrastante con gli artt. 3 e 32 Cost., in quanto, pur avendo la generale finalità di garantire tali LEA, escluderebbe «ingiustificatamente dalla sua portata una parte dei titolari di tali diritti, ovvero i cittadini che non hanno accesso all’assistenza primaria».

Alla luce delle considerazioni sopra esposte, la Regione chiede che sia dichiarata la non fondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 1, della legge reg. Sardegna n. 2 del 2025.

3.– La Regione autonoma della Sardegna, in vista dell’udienza pubblica, ha depositato memoria, nella quale, insistendo sulle posizioni espresse nell’atto di costituzione, ha altresì ricordato che questa Corte, con la sentenza n. 84 del 2025, ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 1, della legge reg. Sardegna n. 12 del 2024, rilevando, prosegue la resistente, la «chiara ratio organizzativa finalizzata a assicurare la completa copertura delle cure primarie, altrimenti pregiudicata dalla assenza nelle aree più disagiate di medici di tale tipologia di assistenza».

Considerato in diritto

1.– Con il ricorso indicato in epigrafe (reg. ric. n. 16 del 2025), il Presidente del Consiglio dei ministri impugna l’art. 1, comma 1, della legge reg. Sardegna n. 2 del 2025, che sostituisce, nel comma 2-ter, secondo periodo, dell’art. 1 della legge reg. Sardegna n. 5 del 2023, le parole «sino al 31 dicembre 2024» con la frase «sino all’espletamento delle nuove procedure di assegnazione delle sedi di assistenza primaria e continuità assistenziale e comunque entro e non oltre il 30 giugno 2025», così prorogando gli effetti di tale disposizione normativa.

Pertanto, il citato art. 1, comma 2-ter, nella versione risultante dalla modifica impugnata nel presente giudizio, dispone che «[l]e ASL, allo scopo di garantire uniformi livelli essenziali di assistenza nel territorio e con la prioritaria finalità di individuare misure organizzative atte ad assicurare l’assistenza sanitaria di base ai cittadini di aree disagiate della Regione, sono autorizzate a fornire a tutti i medici impegnati nei progetti aziendali di assistenza primaria e continuità assistenziale i ricettari di cui all’articolo 50 del decreto legge 30 settembre 2003, n. 269, convertito con modificazioni dalla legge 24 novembre 2003, n. 326 (Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269, recante disposizioni urgenti per favorire lo sviluppo e per la correzione dell’andamento dei conti pubblici). La disposizione è, altresì, applicabile ai medici in quiescenza che abbiano aderito ai progetti aziendali di assistenza primaria e continuità assistenziale, anche con contratti libero professionali, laddove non sia garantita la completa copertura delle cure primarie, per assicurarne le medesime funzioni, per le sole attività e limitatamente ai pazienti degli ambiti territoriali riferibili ai predetti progetti, sino all’espletamento delle nuove procedure di assegnazione delle sedi di assistenza primaria e continuità assistenziale e comunque entro e non oltre il 30 giugno 2025».

A parere del ricorrente, la disposizione oggetto del presente giudizio perpetuerebbe i vizi di illegittimità costituzionale già denunciati in riferimento all’art. 1, comma 1, della legge reg. Sardegna n. 12 del 2024, che ha introdotto il citato comma 2-ter, impugnato con il ricorso iscritto al n. 39 reg. ric. del 2024, nel frattempo respinto da questa Corte con la sentenza n. 84 del 2025.

Il legislatore sardo, pertanto, avrebbe ecceduto dalle competenze statutarie di cui agli artt. 3, 4 e 5 dello statuto speciale, e avrebbe invaso la competenza legislativa esclusiva dello Stato in materia di ordinamento civile, che riserva alla contrattazione collettiva la disciplina del rapporto di lavoro del personale medico di medicina generale.

L’impugnata disposizione, infatti, contrasterebbe con «la normativa statale di riferimento nonché con l’art. 21, comma 1, lettera j)», dell’ACN, in base al quale è incompatibile con lo svolgimento delle attività previste dall’ACN il medico che «fruisca di trattamento di quiescenza come previsto dalla normativa vigente».

2.– Come si è già ricordato, la disciplina sarda, nella versione antecedente a quella modificata dalla disposizione oggi impugnata, è stata oggetto del giudizio di legittimità costituzionale deciso da questa Corte con la sentenza n. 84 del 2025. Anche in quell’occasione era stata denunciata (con argomenti pressoché identici a quelli odierni) l’invasione della competenza legislativa esclusiva dello Stato in materia di ordinamento civile.

È pertanto opportuno richiamare alcuni dei passaggi argomentativi della citata pronuncia, che ha rigettato la questione sollevata sul presupposto che la disposizione impugnata dovesse essere ascritta «alla competenza legislativa della Regione autonoma della Sardegna nella materia “tutela della salute”, in riferimento ai profili organizzativi dell’assistenza primaria».

Innanzitutto, questa Corte – anche alla luce dei più recenti approdi in materia (sentenze n. 124 e n. 112 del 2023) – ha riconosciuto alla disposizione impugnata «una ratio organizzativa, in funzione della tutela della salute», volta ad «assicurare l’assistenza primaria ai cittadini residenti in zone disagiate e sprovviste del medico di medicina generale»; ciò risultando (allora come ora) dalla lettera dello stesso art. 1, comma 2-ter, della legge reg. Sardegna n. 5 del 2023, nel quale «è chiaramente indicata la matrice finalistica che ha mosso il legislatore regionale; vi si legge, infatti, che lo “scopo” è quello “di garantire uniformi livelli essenziali di assistenza nel territorio”, con “la prioritaria finalità di individuare misure organizzative atte ad assicurare l’assistenza sanitaria di base ai cittadini di aree disagiate della Regione”».

Su tali basi si è riconosciuto che «[l]a disciplina regionale si configura […] “come un rimedio organizzativo straordinario finalizzato a assicurare la completa copertura delle cure primarie”» e si è ritenuto, di conseguenza, non sussistente «il denunciato contrasto tra l’art. 21, comma 1, lettera j), dell’ACN e la norma regionale impugnata, la quale non è neppure elusiva della disciplina della medicina generale, considerata nel suo complesso».

L’impugnata disciplina regionale è stata letta come «una risposta all’impossibilità di ricorrere ai medici di medicina generale regolarmente in convenzione per assicurare le prestazioni “essenziali” riconducibili a tali ambiti di assistenza, necessarie a garantire “la qualità e l’indefettibilità del servizio, ogniqualvolta un individuo dimorante sul territorio regionale si trovi in condizioni di bisogno rispetto alla salute” (sentenza n. 62 del 2020)».

Si è quindi ribadito che «rientra nella “responsabilità organizzativa dell’ente territoriale” (sentenza n. 124 del 2023) l’adozione di misure volte a dare risposta a situazioni di accertata criticità nella fruizione dei livelli essenziali di assistenza primaria, al fine di assicurare l’effettivo godimento del diritto alla salute».

Pur non potendosi disconoscere la centralità della «negoziazione collettiva e la vincolatività delle prescrizioni dell’ACN», si è, in conclusione, affermato che non si può precludere alle regioni «l’adozione di misure organizzative straordinarie volte a dare una pronta risposta alle criticità nella fruizione dei livelli essenziali di assistenza primaria, per di più con una valenza temporalmente circoscritta, allorché potrebbero avere effetti secondari o riflessi sul convenzionamento». A ragionare diversamente, infatti, si impedirebbe «alle stesse di intervenire con propri strumenti per evitare che tali contingenti criticità determinino il sacrificio dell’effettività del fondamentale diritto alla salute, privandolo del nucleo invalicabile di garanzie minime».

3.– Alla luce delle considerazioni svolte nella richiamata sentenza, anche la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 1, della legge reg. Sardegna n. 2 del 2025, deve essere dichiarata non fondata.

Come rileva lo stesso ricorrente, il contenuto precettivo dell’art. 1, comma 2-ter, secondo periodo, della legge reg. Sardegna n. 5 del 2023, così come modificato dall’impugnato art. 1, comma 1, della legge reg. Sardegna n. 2 del 2025, oggetto dell’odierno giudizio, è, infatti, rimasto inalterato, avendo il legislatore regionale unicamente prorogato il termine massimo di efficacia della disposizione «sino all’espletamento delle nuove procedure di assegnazione delle sedi di assistenza primaria e continuità assistenziale e comunque entro e non oltre il 30 giugno 2025».

La modifica normativa non smentisce pertanto il carattere di misura organizzativa straordinaria che tenta di dare risposta alla contingente situazione di scopertura dell’assistenza primaria e della continuità assistenziale nella Regione.

Del resto, è plausibile che le rilevate carenze in tale ambito, proprio per la loro gravità, non avrebbero potuto trovare soluzione nel breve periodo e si sarebbero protratte – circostanza che, a ogni modo, il ricorrente non ha specificamente messo in discussione – quando è stato introdotto l’impugnato art. 1, comma 1, della legge reg. Sardegna n. 2 del 2025.

4.– Per le ragioni che precedono, la disposizione impugnata (così come il citato art. 1, comma 2-ter, della legge reg. Sardegna n. 5 del 2023 nella versione originaria), per la sua finalità e per i suoi intrinseci contenuti, va ricondotta alla competenza legislativa della Regione autonoma della Sardegna nella materia «tutela della salute», in riferimento ai profili organizzativi dell’assistenza primaria.

La censura relativa alla lesione della competenza legislativa esclusiva dello Stato nella materia «ordinamento civile» non è quindi fondata.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 1, della legge della Regione Sardegna 31 gennaio 2025, n. 2 (Modifiche all’articolo 1 della legge regionale n. 5 del 2023 in materia di assistenza primaria), promossa, in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera l), della Costituzione, nonché agli artt. 3, 4 e 5 della legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3 (Statuto speciale per la Sardegna), dal Presidente del Consiglio dei ministri, con il ricorso indicato in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 22 ottobre 2025.

F.to:

Giovanni AMOROSO, Presidente

Maria Alessandra SANDULLI, Redattrice

Roberto MILANA, Direttore della Cancelleria

Depositata in Cancelleria l’1 dicembre 2025

Il Direttore della Cancelleria

F.to: Roberto MILANA