SENTENZA N. 173
ANNO 2025
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta da: Presidente: Giovanni AMOROSO; Giudici : Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO, Filippo PATRONI GRIFFI, Marco D’ALBERTI, Giovanni PITRUZZELLA, Antonella SCIARRONE ALIBRANDI, Massimo LUCIANI, Maria Alessandra SANDULLI, Roberto Nicola CASSINELLI, Francesco Saverio MARINI,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 624-bis, quarto comma, del codice penale, promosso dal Tribunale ordinario di Teramo, in composizione monocratica, con ordinanza del 16 maggio 2024, iscritta al n. 144 del registro ordinanze 2024 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 33, prima serie speciale, dell’anno 2024.
Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 20 ottobre 2025 il Giudice relatore Angelo Buscema;
deliberato nella camera di consiglio del 20 ottobre 2025.
Ritenuto in fatto
1.– Il Tribunale ordinario di Teramo, in composizione monocratica, con ordinanza del 16 maggio 2024, iscritta al n. 144 reg. ord. del 2024, ha sollevato, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 624-bis, quarto comma, del codice penale, nella parte in cui, disciplinando il furto in abitazione, non consente di ritenere prevalente o equivalente la circostanza attenuante prevista del vizio parziale di mente dall’art. 89 cod. pen. allorché essa concorra con la circostanza aggravante di cui all’art. 625, primo comma, numero 2), prima parte, cod. pen. (violenza sulle cose).
Riferisce il rimettente di dover giudicare un uomo imputato del delitto di cui agli artt. 624-bis e 625, primo comma, numero 2), cod. pen. (furto in abitazione aggravato dalla violenza sulle cose) il quale, al fine di procurarsi un ingiusto profitto, dopo aver forzato la porta di ingresso ed essersi introdotto all’interno di un’abitazione, si impossessava di un televisore e di un portamonete contenente la somma di 35,00 euro.
L’autore del reato veniva tratto in arresto perché colto nella flagranza del reato, procedendosi nei termini di legge all’udienza di convalida e al giudizio direttissimo, nel corso del quale il giudice disponeva procedersi a perizia volta ad accertare la capacità di intendere e di volere dell’imputato al momento della commissione del fatto.
Afferma il rimettente che è corretta la contestazione dell’aggravante della violenza sulle cose, in quanto le risultanze istruttorie fanno desumere che l’imputato abbia danneggiato la porta di ingresso della taverna della persona offesa, graffiandola nei pressi della serratura.
Riferisce, poi, il giudice a quo che nella perizia relativa alla capacità di intendere e di volere si afferma che l’imputato è affetto da decadimento cognitivo conseguente a cronica intossicazione da alcol e stupefacenti, con la conseguenza che la capacità di comprendere il disvalore delle azioni e di scegliere condotte alternative, pur non essendo eliminata, è scemata grandemente.
Nella stessa direzione della parziale incapacità di intendere e di volere dell’imputato al momento del fatto depongono le ulteriori relazioni peritali redatte in altri procedimenti penali concernenti lo stesso imputato e acquisite nel giudizio a quo.
Sarebbe, dunque, ampiamente comprovato che l’imputato, al momento del fatto, fosse affetto da una ridotta capacità di intendere e di volere, con la conseguenza che gli si possa applicare la circostanza attenuante di cui all’art. 89 cod. pen. ma, al contempo, non sarebbe possibile procedere a una sentenza ex art. 72-bis del codice di procedura penale (ossia sentenza di non luogo a procedere o sentenza di non doversi procedere) e che vi sia, di conseguenza, la concreta possibilità che, all’esito del giudizio, l’imputato possa essere condannato per il reato di furto in abitazione aggravato dalla violenza sulle cose.
Si evidenzia, inoltre, che, in un ipotetico giudizio di bilanciamento tra l’aggravante in parola e l’attenuante di cui all’art. 89 cod. pen., andrebbe attribuita netta prevalenza a quest’ultima. La grave condizione psicopatologica dell’imputato, infatti, per come documentata e descritta dai periti, delineerebbe uno scenario nel quale la gravità della commissione del fatto di reato a lui attribuito sarebbe fortemente indotta dal suo stato mentale, tale quindi da ridurne sensibilmente la sua capacità di cogliere il significato sociale della propria condotta antigiuridica, nonché di scegliere in maniera orientata tra i vari impulsi dell’agire. Pertanto, la rimproverabilità soggettiva del reato attribuito all’imputato sarebbe ampiamente ridotta, in forza della parziale incapacità di intendere e di volere, della quale lo stesso è risultato affetto al momento della commissione del fatto; in ragione di tale incapacità, l’attenuante di cui all’art. 89 cod. pen. assumerebbe un peso preponderante nel concreto disvalore penale della condotta, rispetto all’aggravante della violenza sulle cose, anche in considerazione dello scarso valore economico del bene attinto dalla vis, nonché del ridotto danno patrimoniale cagionato alla persona offesa.
Senonché, osserva il rimettente, per il reato di furto in abitazione, l’art. 624-bis, quarto comma, cod. pen., preclude il normale giudizio di bilanciamento tra circostanze, disponendo testualmente che «[l]e circostanze attenuanti, diverse da quelle previste dagli articoli 98 e 625-bis, concorrenti con una o più delle circostanze aggravanti di cui all’art. 625, non possono essere ritenute equivalenti o prevalenti rispetto a queste e le diminuzioni di pena si operano sulla quantità della stessa risultante dall’aumento conseguente alle predette circostanze aggravanti»; conseguentemente, la chiara formulazione letterale della disposizione consente, nel caso di specie, di dare rilevanza all’attenuante della seminfermità di mente soltanto dopo che la pena base sia stata aumentata in virtù dell’applicazione della suddetta aggravante relativa alla violenza sulle cose.
Quanto alla non manifesta infondatezza, ritiene il rimettente che la questione di legittimità costituzionale troverebbe giustificazione nella sentenza n. 217 del 2023 di questa Corte, con la quale è stata dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 628, quinto comma, cod. pen. nella parte in cui non consente di ritenere prevalente o equivalente la circostanza attenuante prevista dall’art. 89 cod. pen., allorché concorra con l’aggravante di cui al terzo comma, numero 3-bis), dello stesso art. 628 cod. pen.
Quest’ultima disposizione, relativa al reato di rapina, sarebbe strutturata in maniera del tutto simile rispetto a quella oggetto del presente giudizio, in quanto, in entrambe, il legislatore ha previsto un meccanismo in forza del quale, al ricorrere di talune aggravanti, le circostanze attenuanti concorrenti non sono soggette all’ordinario giudizio di bilanciamento, prevedendosi che la diminuzione di pena per queste ultime venga operato soltanto dopo che alla pena base si sia applicato l’aumento per la circostanza aggravante; in entrambe le disposizioni, inoltre, il legislatore esclude da tale regola l’attenuante di cui all’art. 98 cod. pen.
Seguendo la suddetta sentenza n. 217 del 2023, una volta che il legislatore abbia ritenuto di prevedere una specifica deroga all’applicazione del meccanismo di computo delle circostanze previsto dall’art. 628, quinto comma, cod. pen. in favore dei minorenni, un imperativo di coerenza, per linee interne al sistema, esigerebbe che tale deroga si estenda anche alla posizione, del tutto analoga, degli imputati affetti da vizio parziale di mente.
Secondo il giudice a quo tali argomentazioni ben si adatterebbero anche alla disposizione oggetto del presente giudizio, in quanto, anche nell’art. 624-bis, quarto comma, cod. pen., viene esclusa dal novero delle circostanze attenuanti assoggettate alla regola ivi prevista quella di cui all’art. 98 cod. pen., mentre risulterebbe ingiustificatamente compresa quella del cosiddetto vizio parziale di mente, nonostante tra le due ipotesi vi sia una comune ragione che ne giustifica la loro previsione, vale a dire quella di attenuare il trattamento sanzionatorio allorquando il fatto di reato sia commesso da un soggetto con un grado di capacità di intendere e di volere limitato.
Similmente, non vi sarebbero differenze rilevanti tra le due fattispecie di reato, tali per cui la declaratoria di illegittimità costituzionale del reato di rapina – nella parte in cui non consente di ritenere prevalente o equivalente la circostanza attenuante dell’art. 89 cod. pen., ancorché concorra con altre circostanze aggravanti – non possa scorgersi anche rispetto alla fattispecie di reato di furto in abitazione: trattasi, infatti, di norme collocate tra i delitti contro il patrimonio mediante violenza alle cose o alle persone. Entrambe le norme incriminatrici, inoltre, sarebbero strutturate nella forma del cosiddetto reato complesso e ambedue prevederebbero, quale fattispecie base, il delitto di furto. Tutte e due le norme, inoltre, sarebbero articolate nella struttura di reato di danno e a forma vincolata. Tanto la rapina quanto il furto in abitazione, inoltre, sarebbero reati posti a tutela di plurimi beni giuridici, salvaguardando non soltanto il patrimonio, ma anche l’integrità fisica della vittima, il primo, e la sicurezza individuale e, più in generale, la sfera personale di inviolabilità e riservatezza della persona, il secondo.
Infine, il contrasto della disposizione con la Costituzione non sarebbe risolvibile attraverso una lettura costituzionalmente orientata, atteso il suo inequivoco tenore letterale.
2.– È intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata non fondata.
Innanzitutto, secondo l’Avvocatura, non sarebbe convincente l’assunto del giudice a quo circa l’assoluta omogeneità tra le due diminuenti, della minore età e della seminfermità, in relazione alle quali, ad avviso del Tribunale di Teramo, vi sarebbe una comune ragione che ne giustifica la previsione, vale a dire quella di attenuare il trattamento sanzionatorio allorquando il fatto di reato sia commesso da un soggetto con grado di capacità di intendere e di volere limitato.
La diminuente del vizio parziale di mente, infatti, si baserebbe unicamente sulla sussistenza di un difetto della capacità di intendere e di volere mentre, in concreto, potrebbe ipotizzarsi il caso di un reo minorenne con un grado di maturità pari, se non superiore, a quello di un adulto; siccome la legge non prevede per il Tribunale dei minori la possibilità di non concedere la diminuente, se ne dedurrebbe che la ratio sottesa a tale sconto di pena non sarebbe soltanto quella di andare incontro a una possibile limitazione della capacità di intendere e di volere, ma anche quella di avvantaggiare il minorenne.
Inoltre, non sarebbe condivisibile neppure il secondo presupposto fondante l’impostazione esegetica del giudice a quo ovverosia l’omogeneità o, comunque, l’assimilabilità tra il reato di furto in abitazione ex art. 624-bis cod. pen. e il reato di rapina ex art. 628 cod. pen., in quanto la prima sarebbe norma penale incriminatrice che tutela, come bene giuridico di estrazione costituzionale, il domicilio, mentre tale ratio sarebbe estranea alla seconda norma.
Evidenzia altresì la difesa statale che il legislatore sarebbe libero, nell’esercizio della sua ampia discrezionalità, di procedere alle valutazioni di politica criminale che ritiene preferibili, fermo il limite invalicabile dell’irragionevole arbitrarietà e della manifesta irragionevolezza, concetti diversi e ben più gravi rispetto alla opinabilità di una norma, come quella in argomento, che non potrebbe essere tacciata di manifesta irragionevolezza.
Peraltro, la giurisprudenza costituzionale (è citata la sentenza della Corte costituzionale n. 88 del 2019) sarebbe costante nel sancire che deroghe al bilanciamento sono possibili e rientrano nell’ambito delle scelte del legislatore, e che sono sindacabili soltanto ove trasmodino nella manifesta irragionevolezza o nell’arbitrio (è citata la sentenza di questa Corte n. 68 del 2012).
Ancora, rileva la difesa statale che l’aggravante in questione non precluderebbe in assoluto l’applicazione delle diminuenti con essa concorrenti, imponendo al giudice una diversa modalità operativa di loro applicazione, atteso che il giudicante potrebbe, comunque, operare la modifica in mitius del quantum sanzionatorio, con l’accortezza di farlo soltanto dopo aver previamente applicato l’aggravante. Il legislatore, quindi, non avrebbe radicalmente eliminato l’effetto, vantaggioso per il reo, delle attenuanti, ma lo avrebbe soltanto ridimensionato.
Infine, ricorda che la giurisprudenza costituzionale (sentenza n. 117 del 2021) sulle aggravanti “privilegiate” si è sviluppata prevalentemente in tema di recidiva reiterata, mentre il divieto di bilanciamento sancito dall’art. 624-bis, quarto comma, cod. pen. opererebbe in base a un modello differente.
Considerato in diritto
1.– Il Tribunale di Teramo, in composizione monocratica, con l’ordinanza indicata in epigrafe (reg. ord. n. 144 del 2024) ha sollevato, in riferimento all’art. 3 Cost., questione di legittimità costituzionale dell’art. 624-bis, quarto comma, cod. pen., nella parte in cui, disciplinando il furto in abitazione, non consente di ritenere prevalente o equivalente la circostanza attenuante del vizio parziale di mente prevista dall’art. 89 cod. pen., allorché essa concorra con la circostanza aggravante di cui all’art. 625, primo comma, numero 2), prima parte (violenza sulle cose), cod. pen.
Il giudice rimettente, sulla base di quanto affermato nella sentenza di questa Corte n. 217 del 2023, ritiene irragionevole che, nonostante l’identità di ratio tra l’attenuante della minore età di cui all’art. 98 cod. pen. – per la quale è possibile il bilanciamento con le circostanze aggravanti – e quella in questione della seminfermità, quest’ultima debba ricevere un trattamento diverso e deteriore.
2.– L’Avvocatura generale dello Stato sostiene la non fondatezza della questione in ragione della discrezionalità del legislatore nel decidere in merito alle possibili deroghe al bilanciamento fra circostanze ed evidenzia la diversità, da un lato, delle due circostanze poste a raffronto, dal momento che quella di cui all’art. 98 cod. pen., al contrario della seminfermità, sarebbe ispirata da un intento premiale nei confronti del minore e, dall’altro, dei due reati di furto in abitazione e rapina, che tutelerebbero beni giuridici in parte diversi.
3.– La questione è fondata.
3.1.– Questa Corte, in tema di bilanciamento di circostanze nel reato di rapina, dapprima con la citata sentenza n. 217 del 2023 e, in seguito, con la sentenza n. 130 del 2025, ha dichiarato costituzionalmente illegittimo, per contrasto con l’art. 3 Cost., l’art. 628, quinto comma, cod. pen., nella parte in cui non consente di ritenere prevalente o equivalente la circostanza attenuante prevista dall’art. 89 cod. pen., allorché concorra, nel primo caso, con l’aggravante di cui al terzo comma, numero 3-bis), dello stesso art. 628 (ossia se il fatto è commesso in un edificio o in altro luogo destinato in tutto o in parte a privata dimora o nelle pertinenze di essa o in luoghi tali da ostacolare la pubblica o privata difesa) e, nel secondo caso, con quella di cui al successivo numero 3-quater) (se il fatto è commesso nei confronti di persona che si trovi nell’atto di fruire ovvero che abbia appena fruito dei servizi di istituti di credito, uffici postali o sportelli automatici adibiti al prelievo di denaro).
Le suddette pronunce hanno evidenziato, in particolare, «un’irragionevole disparità [della circostanza attenuante della seminfermità] rispetto al trattamento riservato [a quella] della minore età di cui all’art. 98 cod. pen., espressamente sottratta dal legislatore al divieto di equivalenza o prevalenza rispetto alle circostanze aggravanti elencate dall’art. 628, quinto comma».
Nello specifico, questa Corte ha osservato che «la valutazione, da parte del legislatore, di una più ridotta meritevolezza di pena di chi abbia commesso il fatto essendo ancora minorenne, per quanto già giudicato imputabile dal giudice […] “non può […] non essere affermata” anche con riferimento a chi, essendo affetto da vizio parziale di mente, abbia agito trovandosi in “tale stato di mente da scemare grandemente, senza escluderla, la capacità di intendere e di volere” (art. 89 cod. pen.)» (sentenza n. 130 del 2025).
Identica, dunque, risulta la ratio delle due attenuanti, «fondata sul minor grado di rimproverabilità dell’autore di reato», cosicché, «un imperativo di coerenza, per linee interne al sistema», impone l’applicazione della deroga prevista dall’art. 628, quinto comma, cod. pen. per gli imputati minorenni anche agli «imputati affetti da vizio parziale di mente» (sentenza n. 217 del 2023).
Con particolare riferimento al meccanismo in questione, cosiddetto di “blindatura totale” delle circostanze aggravanti (secondo cui le stesse devono essere necessariamente prese in considerazione ai fini del quantum della pena e non possono essere “neutralizzate” mediante il bilanciamento con le eventuali attenuanti), questa Corte «ha, sinora, sempre escluso che un simile meccanismo sia, di per sé, incompatibile con i principi costituzionali di volta in volta evocati» (ancora, sentenza n. 217 del 2023).
In proposito, è stato osservato che deroghe al bilanciamento sono possibili e rientrano nell’ambito delle scelte del legislatore quando ricorrono particolari esigenze di protezione di beni costituzionalmente tutelati (sentenze n. 217 del 2023 e n. 117 del 2021). In tali ipotesi, ben può il legislatore dettare criteri speciali sull’applicazione delle circostanze, richiedendo che vada calcolato prima l’aggravamento di pena derivante da particolari circostanze e solo successivamente le diminuzioni connesse al riconoscimento di quelle attenuanti.
Nell’orientare la valutazione di questa Corte in simili ipotesi è stata decisiva la considerazione che il meccanismo di calcolo degli aumenti e delle riduzioni di pena connessi all’applicazione di circostanze di segno opposto produce sì, nella generalità dei casi, un effetto di inasprimento delle sanzioni applicabili al delitto aggravato, conformemente, del resto, alle intenzioni del legislatore, ma non esclude affatto che il giudice applichi, in concreto, la diminuzione di pena connessa al riconoscimento di attenuanti, sia pure sulla pena già aumentata per effetto del riconoscimento dell’aggravante cosiddetta “blindata”.
3.2.– Nella questione odierna, questa Corte non ha ragioni per discostarsi da quanto affermato nelle suddette pronunce n. 217 del 2023 e n. 130 del 2025.
Gli elementi di distinzione tra la questione in esame (ossia la circostanza che il meccanismo di “blindatura” si riferisce al reato di furto in abitazione e che la circostanza aggravante che il rimettente vorrebbe porre in bilanciamento con la seminfermità è quella della violenza sulle cose) e quelli oggetto delle suddette pronunce non giustificano, infatti, una soluzione differente.
3.3.– Occorre, per chiarezza, riportare la parte di interesse delle disposizioni in tema di furto in abitazione (art. 624-bis cod. pen.) e rapina (art. 628 cod. pen.).
L’ultimo comma dell’art. 624-bis cod. pen. stabilisce che «[l]e circostanze attenuanti, diverse da quelle previste dagli articoli 98 e 625-bis, concorrenti con una o più delle circostanze aggravanti di cui all’articolo 625, non possono essere ritenute equivalenti o prevalenti rispetto a queste e le diminuzioni di pena si operano sulla quantità della stessa risultante dall’aumento conseguente alle predette circostanze aggravanti».
In maniera del tutto analoga, l’art. 628, quinto comma, cod. pen. prevede che «[l]e circostanze attenuanti, diverse da quella prevista dall’articolo 98, concorrenti con le aggravanti di cui al terzo comma, numeri 3), 3-bis), 3-ter) e 3-quater), non possono essere ritenute equivalenti o prevalenti rispetto a queste e le diminuzioni di pena si operano sulla quantità della stessa risultante dall’aumento conseguente alle predette aggravanti».
3.4.– Ebbene, il fatto che il meccanismo di “blindatura totale” è riferito ai reati di furto in abitazione e furto con strappo (art. 624-bis cod. pen.), mentre nei due precedenti giurisprudenziali citati era riferito al reato di rapina (art. 628 cod. pen.), è irrilevante, dato che le censure non si appuntano sul suddetto meccanismo – considerato legittimo da questa Corte – ma su quali debbano essere le eccezioni a tale meccanismo, che il giudice a quo vorrebbe estendere alla seminfermità di cui all’art. 89 cod. pen.
3.5.– Quanto poi alle diversità riguardanti l’aggravante con la quale l’attenuante della seminfermità entra in rapporto, valgono, mutatis mutandis, le considerazioni già svolte da questa Corte nella sentenza n. 130 del 2025.
La diversità tra le circostanze aggravanti, cosiddette privilegiate, che venivano in considerazione nelle citate sentenze n. 217 del 2023 e n. 130 del 2025 e quella che viene oggi in rilievo (violenza sulle cose) non giustifica una soluzione che si discosti dalle precedenti, proprio perché, anche in quella sede, è stata censurata la mancata estensione della deroga prevista in caso di minore età all’attenuante del vizio parziale di mente, sulla base di considerazioni fondate non già sulla natura delle aggravanti, ma sull’equiparabilità tra la condizione dell’infermo parziale di mente e quella del minorenne, entrambi soggetti che evidenziano un grado di rimproverabilità significativamente ridotto; considerazioni che risultano pienamente trasponibili anche al caso di specie.
4.– Deve, dunque, essere dichiarata l’illegittimità costituzionale, per violazione dell’art. 3 Cost., dell’art. 624-bis, quarto comma, cod. pen., nella parte in cui non consente, nel caso del delitto di furto in abitazione, di ritenere equivalente o prevalente la circostanza attenuante prevista dall’art. 89 cod. pen., allorché concorra con l’aggravante di cui all’art. 625, primo comma, numero 2), prima parte, cod. pen.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 624-bis, quarto comma, del codice penale, nella parte in cui non consente, nel caso del delitto di furto in abitazione, di ritenere equivalente o prevalente la circostanza attenuante prevista dall’art. 89 cod. pen., allorché concorra con l’aggravante di cui all’art. 625, primo comma, numero 2), prima parte, cod. pen.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 20 ottobre 2025.
F.to:
Giovanni AMOROSO, Presidente
Angelo BUSCEMA, Redattore
Roberto MILANA, Direttore della Cancelleria
Depositata in Cancelleria il 27 novembre 2025
Il Direttore della Cancelleria
F.to: Roberto MILANA