SENTENZA N.171
ANNO 2025
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta da: Presidente: Giovanni AMOROSO; Giudici : Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO, Filippo PATRONI GRIFFI, Marco D’ALBERTI, Giovanni PITRUZZELLA, Antonella SCIARRONE ALIBRANDI, Massimo LUCIANI, Maria Alessandra SANDULLI, Roberto Nicola CASSINELLI, Francesco Saverio MARINI,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 624-bis, commi secondo e terzo, del codice penale, promossi dal Tribunale ordinario di Firenze, prima sezione penale, in composizione monocratica e dal Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Milano, con ordinanze del 9 dicembre 2024 e 14 marzo 2025, rispettivamente iscritte ai numeri 246 del registro ordinanze 2024 e 59 del registro ordinanze 2025 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica, prima serie speciale, numeri 4 e 15, dell’anno 2025.
Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 22 settembre 2025 il Giudice relatore Angelo Buscema;
deliberato nella camera di consiglio del 22 settembre 2025.
Ritenuto in fatto
1.– Il Tribunale ordinario di Firenze, prima sezione penale, in composizione monocratica, con ordinanza iscritta al n. 246 reg. ord. del 2024, ha sollevato questioni di legittimità costituzionale dell’art. 624-bis, secondo comma, del codice penale nella parte in cui non prevede che la pena da esso comminata è diminuita in misura non eccedente un terzo quando per la natura, la specie, i mezzi, le modalità o circostanze dell’azione, ovvero per la particolare tenuità del danno o del pericolo, il fatto risulti di lieve entità, per violazione degli artt. 3 e 27, terzo comma, della Costituzione.
Riferisce il rimettente di dover giudicare un uomo imputato del delitto, aggravato dalla recidiva infraquinquennale, di cui all’art. 628, secondo comma, cod. pen., il quale, al fine di procurarsi un ingiusto profitto, dopo aver sottratto una collana d’oro a un soggetto che percorreva a piedi una piazza di Firenze strappandogliela dal collo ed essersi subito allontanato di corsa, veniva inseguito e bloccato da un altro soggetto; a quel punto, per assicurarsi il possesso della collana e garantirsi l’impunità, tentava inutilmente di divincolarsi.
L’autore del reato veniva arrestato per il reato di rapina impropria e presentato al giudice per la convalida dell’arresto e il successivo giudizio direttissimo.
Il giudice convalidava l’arresto e, previa qualificazione del fatto come furto con strappo ai sensi dell’art. 624-bis, secondo comma, cod. pen., procedeva con il rito direttissimo; dopo alcuni rinvii l’imputato chiedeva proseguirsi con il rito abbreviato, condizionato alla produzione di alcuni documenti e il giudice provvedeva in conformità. Il pubblico ministero chiedeva la condanna dell’imputato per il reato di furto con strappo alla pena finale – previo riconoscimento delle attenuanti generiche – di due anni e otto mesi di reclusione e a euro 618 di multa; la difesa chiedeva l’esclusione della contestata recidiva, il riconoscimento delle attenuanti ex art. 62, numeri 4) e 6), cod. pen., e delle attenuanti generiche, con l’applicazione del minimo della pena.
Ritiene il giudice a quo che sia pacifica la realizzazione, da parte dell’imputato, di un furto con strappo e rileva che la collana è stata recuperata dall’uomo che lo ha inseguito, che l’ha poi restituita al derubato.
Osserva il rimettente, quanto alla rilevanza della questione, che l’art. 624-bis, secondo comma, cod. pen. incrimina la condotta di «chi si impossessa della cosa mobile altrui, sottraendola a chi la detiene, al fine di trarne profitto per sé o per altri, strappandola di mano o di dosso alla persona». Per tale condotta è prevista l’applicazione della pena indicata al primo comma dello stesso articolo in relazione al furto in abitazione, vale a dire la reclusione da quattro a sette anni e la multa da euro 927 a 1.500.
Nell’ambito degli ipotetici fatti riconducibili alla fattispecie criminosa in questione, l’episodio ora in contestazione si contraddistinguerebbe per la sua lieve entità, deponendo in tal senso plurimi elementi.
Innanzitutto, l’imputato ha operato da solo e l’energia dispiegata per porre in essere il furto era limitata: egli procedeva a piedi e non, ad esempio, a bordo di un motociclo e la persona offesa (un uomo di mezza età e quindi non un minorenne o un soggetto in età avanzata) non ha riportato nessun tipo di conseguenze lesive, neppure in termini di abrasioni.
Inoltre, il fatto si è svolto in pieno giorno, in una piazza cittadina, e non di notte in un luogo isolato, ciò che avrebbe potuto comportare effetti pregiudizievoli in capo alla persona offesa in termini psicologici.
Oggetto dello scippo è stata una collana che, quand’anche fosse stata di oro, avrebbe avuto un valore relativamente limitato. La collana è stata, in ogni caso, recuperata poco dopo il fatto, per cui non persiste alcun danno residuo sul piano patrimoniale.
Il disvalore del fatto oggetto del procedimento sarebbe in definitiva estremamente ridotto.
Qualora fosse prevista, come auspicato, una fattispecie attenuata per l’ipotesi del fatto di lieve entità, tale circostanza potrebbe senz’altro applicarsi nel caso di specie, fatta salva l’eventuale applicazione delle ulteriori attenuanti evocate dalla difesa sulla base di elementi diversi.
Quanto alla non manifesta infondatezza, secondo il giudice a quo, la disposizione sarebbe costituzionalmente illegittima nella misura in cui non prevede un’attenuazione del trattamento sanzionatorio del minimo edittale di quattro anni di reclusione, oltre alla multa, in relazione a condotte delittuose che, per quanto conformi al tipo, risultino di gravità assai limitata.
Afferma il rimettente di essere consapevole che una questione simile, inerente all’art. 624-bis, primo comma, cod. pen. (furto in abitazione), è già stata in precedenza sottoposta al vaglio di legittimità costituzionale e dichiarata inammissibile con la sentenza n. 117 del 2021; sarebbe tuttavia possibile una rivisitazione delle considerazioni svolte alla luce delle successive sentenze di questa Corte n. 86 del 2024 e n. 120 del 2023, con le quali è stata introdotta un’analoga circostanza attenuante, rispettivamente, per i reati di rapina e di estorsione.
Inoltre, mentre con riguardo a taluni delitti come il furto, il particolare rigore sanzionatorio è attenuato dalla possibilità di bilanciamento con una circostanza attenuante, nel furto con strappo, viceversa, l’eccezionale asprezza del trattamento sanzionatorio si esprimerebbe già nella cornice edittale di base, sicché l’eventuale riconoscimento delle circostanze attenuanti previste dall’ordinamento – pur possibile – non sarebbe sufficiente a rendere tale eccesso sanzionatorio compatibile con i principi costituzionali, cosicché l’art. 624-bis, secondo comma, cod. pen. violerebbe gli artt. 3 e 27, terzo comma, Cost.
L’estremo rigore del minimo edittale previsto per il predetto reato violerebbe il principio di necessaria ragionevolezza nella determinazione della pena, soprattutto se ricollegato alla fondamentale funzione rieducativa che la stessa deve perseguire per espresso dettato costituzionale. In assenza di una previsione specifica che contempli una pena più mite per fatti di entità più lieve – come invece disposto per altre fattispecie – in casi come quello in esame (in cui, per modalità della condotta ed entità dell’offesa, il fatto concretamente realizzato sia di gravità contenuta) non sarebbe possibile adeguare correttamente il trattamento sanzionatorio alla gravità del fatto e alla necessaria rieducazione del suo autore.
Con riguardo all’art. 624-bis, secondo comma, cod. pen., la mancata previsione di una fattispecie attenuata per le ipotesi di lieve entità sarebbe censurabile sia in punto di ragionevolezza intrinseca del trattamento sanzionatorio, sia sotto il più generale profilo del principio di uguaglianza in relazione a quanto previsto per altre condotte delittuose.
Sotto il primo profilo, a fronte di una cornice edittale che prevede una pena minima di quattro anni di reclusione (oltre a una multa), sarebbe irragionevole la mancata previsione di un’attenuazione della pena per i fatti di lieve entità.
Sotto il secondo profilo, la mancata previsione di una fattispecie attenuata per le ipotesi di lieve entità violerebbe il principio di uguaglianza in relazione a quanto previsto per i reati di rapina e di estorsione.
Le fattispecie del furto con strappo e della rapina propria sarebbero, come rilevato dalla Corte di cassazione, per così dire, confinanti: nell’ambito di entrambe vi sarebbe l’apprensione di un bene altrui con modalità lato sensu violente, ma i due reati si distinguerebbero in relazione alla direzione della violenza.
La stessa Corte costituzionale, prosegue il rimettente, nella sentenza n. 125 del 2016, ha affermato che la distinzione tra la fattispecie incriminatrice del furto con strappo (art. 624-bis, secondo comma, cod. pen.) e quella della rapina (art. 628 cod. pen.) risiederebbe nella diversa direzione della violenza esplicata dall’agente. Sussisterebbe un furto con strappo quando la violenza sia immediatamente rivolta verso la cosa, e solo indirettamente verso la persona che la detiene, mentre costituirebbe una rapina l’impossessamento della cosa mobile altrui mediante una violenza diretta sulla persona. Nel furto con strappo la vittima risentirebbe della violenza solamente in modo riflesso, come effetto della violenza impiegata sulla cosa per strapparla di mano o di dosso alla persona, mentre nella rapina la violenza alla persona costituirebbe il mezzo attraverso il quale avviene la sottrazione.
Alla luce della citata differenziazione, il reato di rapina sarebbe agevolmente individuabile come più grave rispetto al reato di furto con strappo.
La stessa maggiore gravità sarebbe individuabile anche per il reato di estorsione.
Osserva il rimettente che, se l’attuale imputato avesse esercitato una violenza diretta modesta (e non solo indiretta) contro la persona offesa per impossessarsi del bene, il fatto avrebbe dovuto qualificarsi come rapina (reato più grave), ma avrebbe potuto ritenersi di lieve entità, in considerazione della limitata gravità della violenza, del contesto (in pieno giorno, in una piazza cittadina), dell’oggetto della condotta e del successivo recupero del bene.
Analogamente, se – dopo la sottrazione mediante strappo – per conseguire il possesso del bene o per assicurarsi l’impunità lo scippatore avesse usato un minimo di violenza o di minaccia nei confronti della persona offesa o di chi lo ha inseguito, si sarebbe configurato il più grave reato di rapina impropria e, in tal caso, l’imputato avrebbe potuto beneficiare della circostanza attenuante introdotta con la sentenza della Corte costituzionale n. 86 del 2024 e quindi, paradossalmente, avere un trattamento sanzionatorio più lieve.
In particolare, in caso di rapina attenuata per la lieve entità del fatto la pena minima irrogabile sarebbe di tre anni e quattro mesi di reclusione oltre alla multa, fatta salva l’applicazione di eventuali ulteriori circostanze attenuanti (ad esempio quella ex art. 62, numero 4, cod. pen. e le circostanze attenuanti generiche). Analoga pena sarebbe applicabile per l’estorsione, riconoscendo la circostanza attenuante della lieve entità.
Per il furto con strappo – che secondo il rimettente sarebbe reato meno grave – la pena minima irrogabile è, viceversa, quella di quattro anni di reclusione oltre alla multa, senza considerare le eventuali circostanze attenuanti.
Sarebbe evidente l’irragionevolezza della previsione, per un reato più lieve, di un trattamento sanzionatorio più severo rispetto a quello previsto per il reato più grave.
Una simile pena, irragionevole sia sotto il profilo intrinseco, sia in relazione alle fattispecie più gravi di rapina e di estorsione, non potrebbe del resto assolvere alla funzione rieducatrice di cui all’art. 27, terzo comma, Cost. La pena stessa sarebbe infatti eccessiva e ingiusta, violando il canone della proporzionalità rispetto al fatto di reato posto in essere e in raffronto alle citate fattispecie più gravi. In quanto sproporzionata, essa non potrebbe essere percepita dal condannato come giusta ed esplicare, quindi, la propria funzione rieducativa; al contrario, il condannato non potrebbe che percepirla come irragionevole e non aderire al trattamento rieducativo.
Non sarebbero, infine, percorribili interpretazioni conformi della disposizione censurata ai parametri costituzionali evocati, essendo chiaro e univoco il dato letterale.
2.– Il Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Milano, con ordinanza iscritta al n. 59 reg. ord. del 2025, ha sollevato questioni di legittimità costituzionale, per violazione degli artt. 3 e 27, commi primo e terzo, Cost., dell’art. 624-bis, commi secondo e terzo, cod. pen., nella parte in cui non prevede che la pena da esso comminata sia diminuita in misura non eccedente un terzo quando, per la natura, la specie, i mezzi, le modalità o circostanze dell’azione, ovvero per la particolare tenuità del danno o del pericolo, il fatto risulti di lieve entità.
Riferisce il rimettente di dover giudicare un uomo imputato del delitto di cui agli artt. 624-bis, secondo comma, e 625, primo comma, numero 8-bis), cod. pen. Segnatamente, a bordo di un treno, durante la fase di arresto del convoglio, si impossessava di una catenina d’oro con ciondolo in acquamarina, strappandola dal collo della vittima e dandosi alla fuga, scendendo dal treno ormai fermo, all’interno della stazione di Milano Affori.
Sostiene il giudice a quo che l’imputato è stato sottoposto a fermo di indiziato di delitto per il reato di furto con strappo aggravato, commesso su un mezzo di trasporto pubblico.
Il pubblico ministero esercitava l’azione penale con richiesta di giudizio immediato e il giudice per le indagini preliminari emetteva il relativo decreto; l’imputato chiedeva di procedere nelle forme del rito abbreviato e il giudice a quo, in qualità di giudice dell’udienza preliminare, fissava l’udienza per l’ammissione del rito e l’eventuale discussione.
Dopo l’ammissione al rito abbreviato, il difensore dell’imputato chiedeva al giudice di sollevare questione di legittimità costituzionale dell’art. 624-bis cod. pen. in relazione al quantum di pena, relativamente al minimo edittale, per violazione degli artt. 3 e 27, commi primo e terzo, Cost.
Ritiene il rimettente che le questioni di legittimità costituzionale prospettate siano rilevanti, vertendo sulla asserita non proporzionalità e irragionevolezza della vigente disciplina normativa in materia di furto con strappo ai sensi dell’art. 624-bis, commi secondo e terzo, cod. pen., per ritenuta violazione dei principi di uguaglianza sostanziale e razionalità di cui all’art. 3 Cost., nonché dei principi di personalità della responsabilità penale e della finalità rieducativa a cui la pena deve sempre tendere, sanciti dall’art. 27, commi primo e terzo, Cost.
La soluzione delle questioni di legittimità costituzionale influirebbe direttamente sul giudizio a quo, nel caso in cui il rimettente decidesse di condannare l’imputato per le condotte in contestazione.
Osserva il rimettente come non appaiano percorribili interpretazioni costituzionalmente orientate della disposizione censurata e che l’art. 5 della legge 26 aprile 2019, n. 36 (Modifiche al codice penale e altre disposizioni in materia di legittima difesa) ha innalzato la pena per il furto con strappo ridisegnando la cornice edittale da un minimo di quattro a un massimo di sette anni.
Ritiene il rimettente che non sarebbe percorribile la via della mitigazione del trattamento sanzionatorio attraverso il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche ai sensi dell’art. 62-bis cod. pen., atteso come queste non possano assolvere alla funzione di correggere l’eventuale sproporzione dei limiti edittali stabiliti dal legislatore.
Quanto alla non manifesta infondatezza, il rimettente ritiene che, nel caso di specie, ricorra la stessa ratio posta a fondamento delle pronunce della Corte costituzionale n. 120 del 2023 (per le ipotesi di estorsione) e n. 86 del 2024 (per il reato di rapina).
L’attuale sistema normativo, a seguito delle riforme che si sono verificate negli ultimi anni al fine di inasprire le pene e disincentivare la commissione del reato in esame, prevederebbe una disciplina contrastante con i principi di uguaglianza e ragionevolezza di cui all’art. 3 Cost. e con quello della finalità rieducativa della pena, ai sensi dell’art. 27, commi primo e terzo, Cost.
Sarebbe irragionevole e sproporzionata l’equiparazione del furto con strappo al furto in abitazione, essendo la seconda una fattispecie connotata da maggiore offensività, atteso come la disposizione tuteli anche la sfera del domicilio personale.
Parimenti irragionevole apparirebbe la parificazione nel trattamento sanzionatorio, segnatamente nel minimo edittale, delle ipotesi di furto con strappo aggravato a quelli di rapina ed estorsione, caratterizzate da violenza sulla persona.
Nel caso in esame, sarebbe stato innalzato il limite minimo edittale senza introdurre una “valvola di sicurezza” che permetta al giudice di temperare la sanzione quando l’offensività concreta del fatto di reato non ne giustifichi una punizione così severa.
L’art. 624-bis cod. pen., nel non prevedere un congruo limite edittale o, quantomeno, la riduzione di pena fino a un terzo, quindi, parificherebbe ingiustificatamente situazioni eterogenee, erodendo la discrezionalità del giudice e la possibilità di valorizzare le peculiarità del caso concreto.
La prospettiva di esecuzione di una pena eccessivamente gravosa, come nel caso di specie, sarebbe inoltre suscettibile di ingenerare nel condannato la convinzione di essere vittima di un ingiusto sopruso, sentimento che vanificherebbe qualunque efficace percorso rieducativo, cui le pene devono sempre tendere.
3.– È intervenuto in entrambi i giudizi il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che le questioni siano dichiarate inammissibili in quanto le ordinanze di rimessione mancherebbero di una adeguata e autonoma illustrazione dei motivi della rilevanza e di quelli per i quali la normativa censurata integrerebbe una violazione dei principi di ragionevolezza e della funzione rieducativa della pena.
Il Tribunale di Firenze e il Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Milano si limiterebbero, infatti, ad affermare l’eccessività del minimo edittale rispetto ai fatti di lieve entità, senza però esplicitare i motivi in concreto di questa ritenuta sproporzione.
Inoltre, pur se il petitum delle questioni proposte sarebbe relativo alla declaratoria di illegittimità costituzionale dell’art. 624-bis, secondo comma, cod. pen. con riguardo al trattamento sanzionatorio per violazione dei parametri costituzionali di cui agli artt. 3 e 27 Cost., la relativa causa petendi si incentrerebbe sulla irragionevolezza del trattamento sanzionatorio troppo elevato nel minimo, sicché il rimettente avrebbe dovuto motivare in relazione a questo aspetto, onere che, a parere dell’Avvocatura, non sarebbe stato soddisfatto, il che costituirebbe motivo di inammissibilità delle dedotte questioni.
Quanto alla ritenuta violazione del principio di uguaglianza ex art. 3 Cost., le ordinanze di rimessione cadrebbero in errore nell’individuare il presupposto interpretativo da cui ha tratto origine il promovimento dei giudizi di legittimità costituzionale, ossia che anche per il delitto di furto con strappo debbano essere valutati i medesimi profili che hanno condotto la Corte costituzionale a introdurre, con le citate sentenze n. 120 del 2023 e n. 86 del 2024, una circostanza attenuante per i fatti di lieve entità, rispettivamente, per i delitti di estorsione e di rapina.
Invero, secondo la difesa statale, le richiamate sentenze evidenzierebbero come l’introduzione della “valvola di sicurezza” sanzionatoria del fatto lieve fosse giustificata, nelle predette ipotesi delittuose, dalla necessità di poter modulare e rendere proporzionata la sanzione al caso concreto, trattandosi di delitti caratterizzati dall’elemento essenziale della «“violenza o minaccia”», con una «“latitudine” tale da includere una “pluralità di condotte materiali” non del tutto sovrapponibili»; viceversa, il furto con strappo sarebbe una fattispecie delineata in termini definiti.
L’Avvocatura generale ricorda, infine, come la Corte costituzionale avrebbe evidenziato che la tecnica legislativa, consistente nel «“ritagliare”» fattispecie di minore gravità in funzione di un riequilibrio complessivo della disciplina penale, si addica essenzialmente alle ipotesi nelle quali il reato-base abbia una formulazione molto ampia (è citata la sentenza n. 88 del 2019).
Considerato in diritto
1.– Il Tribunale di Firenze, prima sezione penale, in composizione monocratica (reg. ord. n. 246 del 2024), ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 27, terzo comma, Cost., questioni di legittimità costituzionale dell’art. 624-bis, secondo comma, cod. pen. nella parte in cui non prevede che la pena da esso comminata per il reato di furto con strappo è diminuita in misura non eccedente un terzo quando per la natura, la specie, i mezzi, le modalità o circostanze dell’azione, ovvero per la particolare tenuità del danno o del pericolo, il fatto risulti di lieve entità.
Il rimettente ritiene innanzitutto violato il principio di ragionevolezza in quanto il furto con strappo, privo di una attenuante di lieve entità, sarebbe caratterizzato da una eccezionale asprezza del trattamento sanzionatorio e, in particolare, da una pena edittale minima di quattro anni di reclusione e 927 euro di multa, sanzione che non permetterebbe, nei casi di minore offensività, di contenere la pena entro i limiti della proporzionalità rispetto alla gravità del fatto e all’importanza del bene giuridico leso.
Ritiene altresì violato il principio di uguaglianza, rispetto ai reati di rapina ed estorsione – che sarebbero più gravi del furto con strappo in quanto caratterizzati da violenza alla persona – per i quali è prevista l’attenuante della lieve entità del fatto.
Infine, sarebbe leso il principio della finalità rieducativa della pena, in quanto si tratterebbe di una sanzione eccessiva e sproporzionata che non potrebbe essere percepita dal condannato come “giusta”.
2.– Il Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Milano (reg. ord. n. 59 del 2025) ha sollevato, anch’egli in riferimento agli artt. 3 e 27, commi primo e terzo, Cost., questioni di legittimità costituzionale dell’art. 624-bis, commi secondo e terzo, cod. pen. con lo stesso petitum.
Il rimettente formula le medesime censure riferendole però, oltre che al secondo comma dell’art. 624-bis, cod. pen., anche al terzo comma (secondo cui «[l]a pena è della reclusione da cinque anni a dieci anni e della multa da euro 1.000 a euro 2.500 se il reato è aggravato da una o più delle circostanze previste nel primo comma dell’articolo 625 ovvero se ricorre una o più delle circostanze indicate all’articolo 61»), che individua diverse e più gravi pene nell’ipotesi di furto con strappo aggravato.
Il giudice a quo ritiene, inoltre, che il principio di uguaglianza sia violato in quanto il furto con strappo è equiparato, quanto al trattamento sanzionatorio, al furto in abitazione, fattispecie quest’ultima che sarebbe connotata da maggiore offensività, atteso che tale reato sarebbe posto a presidio del domicilio, bene giuridico costituzionalmente protetto.
3.– Data la corrispondenza del petitum e dei parametri evocati, e preso atto che i motivi di doglianza sono simili e in gran parte sovrapponibili, tutti diretti a lamentare l’eccessività del minimo edittale previsto per il reato di furto con strappo e a chiedere l’introduzione dell’attenuante della lieve entità, le ordinanze possono essere riunite e decise congiuntamente.
4.– L’Avvocatura generale dello Stato eccepisce l’inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale per difetto di motivazione circa la rilevanza e la non manifesta infondatezza, per incoerenza del petitum in relazione alla causa petendi.
Le censure si incentrerebbero, più che sulla irragionevolezza dell’assenza dell’attenuante della lieve entità, sulla eccessività del trattamento sanzionatorio nel minimo.
Le suddette doglianze sarebbero altresì inammissibili per erroneità del presupposto interpretativo, in quanto, al contrario che per i reati di estorsione e rapina per i quali questa Corte ha introdotto la circostanza di lieve entità, rispettivamente, con le sentenze n. 120 del 2023 e n. 86 del 2024, il furto con strappo sarebbe caratterizzato da elementi ben definiti, cosicché non sarebbe possibile individuare ipotesi di lieve entità del fatto.
5.– Le eccezioni non sono fondate.
5.1.– Quanto alla carenza di motivazione, i giudici rimettenti hanno invero adeguatamente argomentato sulla rilevanza delle questioni sia riportando puntualmente le imputazioni in cui sono descritte, in maniera chiara e dettagliata, le concrete condotte che sono tenuti a giudicare, sia esponendo in maniera non implausibile le ragioni che li inducono a ritenere, nel caso concreto, che possano ravvisarsi fatti di lieve entità, e hanno infine esposto le ragioni per le quali sarebbe eccessiva la pena minima prevista per il furto con strappo.
In particolare, quanto alla asserita assenza di una adeguata e autonoma illustrazione dei motivi per cui il minimo edittale censurato sarebbe troppo elevato per i fatti di lieve entità, entrambe le ordinanze motivano plausibilmente circa l’eccessività del trattamento sanzionatorio rispetto alle ipotesi concrete che i giudici sono chiamati a giudicare e che entrambi ritengono di disvalore tale da non giustificare un minimo edittale di quattro anni di reclusione.
Per costante giurisprudenza costituzionale, la motivazione sulla rilevanza formulata dal giudice a quo è oggetto di un controllo meramente esterno a opera di questa Corte, limitato ad accertare che la motivazione non sia implausibile, palesemente erronea e contraddittoria, con riguardo all’applicabilità della norma nel processo principale (ex plurimis, sentenze n. 137 e n. 129 del 2025, n. 122 e n. 23 del 2024). Tale controllo non si spinge fino a un esame autonomo degli elementi che hanno portato il giudice a quo a determinate conclusioni, potendo questa Corte sindacare tale valutazione solo se essa appaia assolutamente priva di fondamento.
Inoltre, entrambe le ordinanze si soffermano sui profili di irragionevolezza estrinseca della disposizione censurata, individuando tertia comparationis in parte divergenti (l’ordinanza iscritta al n. 246 reg. ord. del 2024 insiste, in particolare, sulle ipotesi di estorsione e rapina di lieve entità; l’ordinanza iscritta al n. 59 reg. ord. del 2025 rimarca l’indebita parificazione tra furto in abitazione e scippo, da un lato, e quella tra furto con strappo aggravato e rapina ed estorsione semplice, dall’altro), ma tutti coerenti ed omogenei rispetto alla disposizione censurata.
5.2.– Altrettanto non fondata è l’eccezione di difetto di rilevanza delle questioni in ragione della non idoneità del petitum a eliminare il vulnus costituzionale e della sua incoerenza rispetto alla causa petendi.
Quanto, in particolare, all’ordinanza iscritta al n. 59 reg. ord. del 2025, nonostante l’art. 624-bis, quarto comma, cod. pen. preveda la “blindatura” cosiddetta “totale” delle circostanze aggravanti di cui all’art. 625 cod. pen., è sempre vero che, pur non potendo eventuali attenuanti essere ritenute equivalenti o prevalenti, la disposizione stabilisce che «le diminuzioni di pena si operano sulla quantità della stessa risultante dall’aumento conseguente alle predette circostanze aggravanti».
La disposizione pretende, dunque, che l’aumento per le predette aggravanti vada comunque sempre operato, ma stabilisce che, una volta eseguito tale aumento di pena, possa essere applicata la circostanza diminuente del fatto di lieve entità.
Ne deriva la rilevanza delle questioni, posto che, ove venisse accolta, il giudice potrebbe, in ogni caso, applicare una diminuzione di pena derivante dalla circostanza della lieve entità, pur dovendola riferire alla pena determinata all’esito dell’aumento sanzionatorio previsto per l’aggravante.
5.3.– Quanto alla eccepita incoerenza del petitum in relazione alla causa petendi si osserva che alla luce della giurisprudenza costituzionale può parlarsi di contraddittorietà del petitum che determina l’inammissibilità della questione solo quando le modalità argomentative dell’ordinanza di rimessione non consentano di individuare con chiarezza il contenuto e il “verso” delle censure, ipotizzando interventi di segno diverso e contrapposto (ex plurimis, sentenze n. 138 del 2024, n. 221 del 2023 e n. 205 del 2021).
Nella presente fattispecie il “verso” delle censure appare chiaro, consistendo nella richiesta della possibilità di irrogare una pena più bassa rispetto a quella prevista dal minimo edittale del furto con strappo, semplice o aggravato, in ipotesi di fatti di lieve entità.
5.4.– Infine, non è fondata l’eccezione di inammissibilità per erroneità del presupposto interpretativo poiché si tratta di obiezione che attiene al merito (ex plurimis, sentenze n. 101 e n. 23 del 2025 e n. 131 del 2024).
6.– In via preliminare, ritiene questa Corte necessaria una breve ricostruzione dell’evoluzione normativa del delitto di furto con strappo (anche semplicemente detto “scippo”).
Nel disegno originario del codice penale del 1930 (“codice Rocco”), tanto il furto in abitazione quanto il furto con strappo erano contemplati all’art. 625 cod. pen., rispettivamente al numero 1) («se il colpevole, per commettere il fatto, si introduce o si trattiene in un edificio o in un altro luogo destinato ad abitazione») e al numero 4) («se il fatto è commesso […] strappando la cosa di mano o di dosso alla persona»), come semplici aggravanti speciali del furto, punito, allora, nella forma base ex art. 624 cod. pen., con la pena della reclusione fino a tre anni e, dunque, con la pena minima di quindici giorni di reclusione.
L’allarme sociale generato dalla percepita diffusione dei furti e del pericolo rilevante per la sicurezza individuale, ha portato il legislatore nel 2001, con l’art. 2 della legge 26 marzo 2001, n. 128 (Interventi legislativi in materia di tutela della sicurezza dei cittadini) all’eliminazione delle due ipotesi aggravanti dal testo dell’art. 625 cod. pen. che sono state trasportate in un nuovo art. 624-bis cod. pen. e trasformate in ipotesi autonome di reato.
L’intento del legislatore era, in particolare, quello di isolare due manifestazioni del furto ritenute piuttosto significative e allarmanti e, mediante la trasformazione in autonome ipotesi delittuose, sottrarle al meccanismo di bilanciamento delle circostanze ex art. 69 cod. pen.
In tal modo, è venuta meno la possibilità per il giudice di neutralizzare l’aumento sanzionatorio previsto per l’ipotesi aggravata, mediante il giudizio di equivalenza con eventuali circostanze di segno opposto o nei casi di ritenuta prevalenza delle attenuanti.
L’accento posto all’epoca su queste due peculiari tipologie di furto si giustificava in quanto all’offesa patrimoniale si aggiungeva anche un vulnus a interessi di natura più eminentemente personale: così nel caso di furto in abitazione, dove il fatto avviene nel domicilio, nonché nel furto con strappo, in cui la sottrazione si realizza per il tramite di una violenza che, seppure indirettamente, finisce per coinvolgere la persona vittima dell’aggressione patrimoniale.
Nel corso degli anni, la fattispecie è stata oggetto di diversi interventi normativi che ne hanno modificato la disciplina sanzionatoria, con un forte inasprimento della risposta punitiva.
Dapprima, con l’art. 1, comma 6, della legge 23 giugno 2017, n. 103 (Modifiche al codice penale, al codice di procedura penale e all’ordinamento penitenziario), la cornice edittale è stata portata, per la fattispecie base, alla reclusione da tre a sei anni oltre a una multa e, per quella aggravata, da quattro a dieci anni oltre a una multa; tale modifica normativa ha, inoltre, “blindato”, sottraendole completamente dal giudizio di bilanciamento con eventuali circostanze di segno opposto, le ipotesi di furto con strappo aggravate ai sensi dell’art. 625 cod. pen. (ipotesi peraltro estremamente frequenti).
Per effetto della “blindatura”, eventuali diminuzioni si operano oggi, ai sensi dell’ultimo comma dell’art. 624-bis cod. pen., sulla quantità di pena risultante dall’aumento per le aggravanti in parola.
Da ultimo, con la legge n. 36 del 2019, la pena della reclusione ha subìto un ulteriore aumento, arrivando alla misura attuale: da quattro a sette anni oltre a una multa per la fattispecie base (primo comma dell’art. 624-bis cod. pen.), da cinque a dieci anni oltre a una multa per l’ipotesi aggravata (terzo comma dell’art. 624-bis cod. pen.).
L’art. 3, comma 1, della predetta legge è inoltre intervenuto sul testo dell’art. 165 cod. pen., stabilendo che «[n]el caso di condanna per il reato previsto dall’articolo 624-bis, la sospensione condizionale della pena è comunque subordinata al pagamento integrale dell’importo dovuto per il risarcimento del danno alla persona offesa».
Ne risulta, quindi, un quadro sanzionatorio complessivo di indubbia severità, che questa Corte ha più volte evidenziato, segnalando che «la pressione punitiva attualmente esercitata riguardo ai delitti contro il patrimonio è ormai diventata estremamente rilevante» (sentenza n. 190 del 2020; nello stesso senso, sentenze n. 259 e n. 117 del 2021): ciò deriva non solo dalla previsione di un minimo edittale consistente, quale è quello attualmente vigente di quattro anni oltre a una multa, ma anche dalla scelta legislativa di precludere il bilanciamento di ogni attenuante (fatta eccezione per la minore età e le ipotesi della collaborazione post factum di cui all’art. 625-bis cod. pen.), rispetto alle circostanze aggravanti del reato in questione, che fanno partire la pena base da cinque anni di reclusione oltre a una multa.
7.– Dopo aver tratteggiato l’evoluzione normativa del furto con strappo all’interno dei reati contro il patrimonio, occorre confrontarsi con la vigente formulazione dell’art. 624-bis, secondo comma, cod. pen., secondo cui: «[a]lla stessa pena di cui al primo comma [reclusione da quattro a sette anni e multa da euro 927 a euro 1.500] soggiace chi si impossessa della cosa mobile altrui, sottraendola a chi la detiene, al fine di trarne profitto per sé o per altri, strappandola di mano o di dosso alla persona. La pena è della reclusione da cinque a dieci anni e della multa da euro 1.000 a euro 2.500 se il reato è aggravato da una o più delle circostanze previste nel primo comma dell’articolo 625 ovvero se ricorre una o più delle circostanze indicate all’articolo 61. Le circostanze attenuanti, diverse da quelle previste dagli articoli 98 [reo almeno quattordicenne ma minore degli anni diciotto] e 625-bis [reo che abbia consentito l’individuazione dei correi o di coloro che hanno acquistato, ricevuto od occultato la cosa sottratta o si sono comunque intromessi per farla acquistare, ricevere od occultare], concorrenti con una o più delle circostanze aggravanti di cui all’articolo 625, non possono essere ritenute equivalenti o prevalenti rispetto a queste e le diminuzioni di pena si operano sulla quantità della stessa risultante dall’aumento conseguente alle predette circostanze aggravanti».
I rimettenti chiedono che tale disposizione sia dichiarata costituzionalmente illegittima, nella parte in cui non prevede che la pena è diminuita in misura non eccedente un terzo quando per la natura, la specie, i mezzi, le modalità o circostanze dell’azione, ovvero per la particolare tenuità del danno o del pericolo, il fatto risulti di lieve entità, per violazione degli artt. 3 e 27, terzo comma, Cost.
8.– Nel merito le questioni non sono fondate.
8.1.– Occorre ricordare che questa Corte ha progressivamente esteso l’attenuante “indefinita” della lieve entità (o della minore gravità) del fatto a numerose ipotesi di reato per le quali il legislatore ha previsto minimi edittali particolarmente elevati: «al sequestro estorsivo [(sentenza n. 68 del 2012)], al sabotaggio militare (sentenza n. 244 del 2022), all’estorsione (sentenza n. 120 del 2023), alla rapina (sentenza n. 86 del 2024), alla pornografia minorile (sentenza n. 91 del 2024), e da ultimo alla deformazione o sfregio permanente del viso (sentenza n. 83 del 2025)» (sentenza n. 113 del 2025).
Questa Corte ha evidenziato che «[o]ltre all’asprezza del minimo edittale, il tratto comune delle fattispecie oggetto di queste pronunce è la latitudine tipica del fatto-reato, tale da abbracciare “episodi marcatamente dissimili, sul piano criminologico e del tasso di disvalore”» (sentenza n. 83 del 2025, riferita al reato di deformazione permanente del viso di cui all’art. 583-quinquies cod. pen.).
Lo stesso concetto è stato ribadito nella sentenza n. 113 del 2025 (a proposito del reato di sequestro di persona a scopo di estorsione ex art. 630 cod. pen.), nella quale si afferma che «la funzione specifica dell’attenuante» è quella «di mitigare una risposta sanzionatoria calibrata dal legislatore con riferimento a un nucleo centrale di tipologie criminose connotate in via generale da elevato disvalore, ma che risulterebbe sproporzionata laddove applicata in relazione a fatti che, pur integrando tutti i requisiti della fattispecie astratta, siano in concreto caratterizzati da un disvalore marcatamente inferiore, collocandosi piuttosto ai margini della fattispecie delittuosa».
È stato inoltre affermato che «nello scrutinio di legittimità costituzionale sulla proporzionalità della pena, assume rilievo centrale la formulazione particolarmente ampia della disposizione censurata, la cui latitudine normativa sia tale da ricomprendere fattispecie significativamente diversificate sul piano criminologico e del tasso di disvalore; e proprio in tali ipotesi è stata sottolineata la necessità di prevedere delle diminuenti al fine di garantire la possibilità di graduare e individualizzare la sanzione rispetto allo specifico disvalore della singola condotta e assicurare il rispetto dei princìpi fissati dagli artt. 3 e 27 Cost. (ex multis, sentenze n. 120 del 2023, n. 244 del 2022, n. 117 del 2021, n. 88 del 2019, n. 106 del 2014 e n. 68 del 2012)» (sentenza n. 91 del 2024 riferita al reato di produzione di materiale pedopornografico di cui all’art. 600-ter cod. pen.).
Nella medesima pronuncia questa Corte ha rilevato che «la mancata previsione di una “valvola di sicurezza” che consenta al giudice di modulare la pena, onde adeguarla alla gravità concreta del fatto […], può determinare l’irrogazione di una sanzione non proporzionata ogni qual volta il fatto medesimo si presenti totalmente immune dai profili di allarme sociale che hanno indotto il legislatore a stabilire per questo titolo di reato un minimo edittale di notevole asprezza».
In effetti, proprio il fatto che la circostanza della lieve entità sia stata introdotta nei reati più disparati lascia intendere che è proprio la possibilità di individuare delle condotte che in concreto si stacchino in maniera significativa dalla portata offensiva astratta del reato, a rendere costituzionalmente obbligata l’introduzione di tale “valvola di sicurezza”, che permetta di adeguare la pena all’offensività del fatto concreto, secondo i principi di uguaglianza e proporzionalità.
8.2.– Occorre qui valutare se tale attenuante debba trovare applicazione anche al furto con strappo, ipotizzando le possibili manifestazioni del reato onde verificare la necessità di introdurre una “valvola di sicurezza” per fatti che, pur integrando tutti i requisiti della fattispecie astratta del reato, siano in concreto caratterizzati da un disvalore marcatamente inferiore, collocandosi ai margini della fattispecie delittuosa.
Ebbene, secondo la giurisprudenza univoca della Corte di cassazione «”lo strappo” di cui all’art. 624[-bis] cod. pen. [è] connotato da un qualche grado di violenza, seppure esercitata sulla cosa e non sulla persona, direttamente finalizzata allo spossessamento del bene» (Corte di cassazione, sezione quarta penale, sentenza 7 novembre 2024-27 gennaio 2025, n. 2985; nello stesso senso, sezione quinta penale, sentenza 9 giugno-26 ottobre 2016, n. 44976).
È stato inoltre affermato che, ai fini dell’applicazione dell’art. 624-bis, secondo comma, cod. pen. «occorre […] che la persona offesa avverta materialmente l’azione violenta diretta sulla res […] Diversamente […] risulterebbe integrato il furto con destrezza» (Corte di cassazione, sezione quinta penale, sentenza 21 giugno-20 settembre 2022, n. 34740).
Già in passato, inoltre, la medesima Corte di cassazione aveva affermato che «lo scippo è un furto che si concreta in un atto violento esercitato su un oggetto il quale viene staccato improvvisamente dalla persona del detentore in modo che questo percepisca la violenza dell’atto» (Corte di cassazione, sezione seconda, sentenza 24 novembre 1981-8 maggio 1982, n. 4813).
Emerge, dunque, che nello scippo, l’apprensione del bene altrui da parte del reo si realizza necessariamente con una violenza che deve connotarsi di una certa forza e che il reato è ben definito ed estremamente “compatto” in relazione all’omogeneità della sua portata offensiva.
L’intrinseca gravità del furto con strappo è dimostrata dal fatto che tale reato si accompagna sempre a una violenza avvertita dal soggetto scippato e a una intrusione nella sua sfera personale attraverso il contatto con il reo (sia pure mediato dalla res sottratta); inoltre, il furto con strappo presenta profili di pericolosità significativi, dal momento che può facilmente degenerare in un reato più grave e, comunque, determinare ulteriori conseguenze dannose (si pensi al classico esempio della persona che, a seguito dello strappo della borsa o di altro oggetto da parte dello scippatore, cade a terra con potenziali conseguenze per la sua stessa integrità fisica), tali da alimentare una diffusa sensazione di insicurezza e frustrazione che incidono sulla qualità della vita, potendo condizionare le future decisioni dei consociati relative ai propri spostamenti.
È innegabile che la condotta propria dello “scippo”, in quanto diretta a strappare di mano o di dosso un oggetto che sta a diretto contatto con la persona, e in quanto la violenza è necessariamente percepita dalla vittima, costituisce una intrusione nella sfera personale inviolabile di quest’ultima, intrusione violenta che non si presta a significative gradazioni sul piano dell’offensività.
Del resto, come questa Corte ha affermato con riguardo alla diversa fattispecie del furto in abitazione (sentenza n. 117 del 2021), anche il furto con strappo è una fattispecie descritta dall’art. 624-bis cod. pen. in termini piuttosto definiti, in cui non sono ipotizzabili in concreto dei fatti che si discostino significativamente dalla portata offensiva della fattispecie astratta.
In altri termini lo scippo, in virtù della suddetta omogeneità nella sua portata offensiva in concreto, non comprende al suo interno fattispecie diversificate sul piano criminologico e del tasso di disvalore, tali rendere necessario l’accoglimento della questione.
8.3.– Deve evidenziarsi, dunque, che, relativamente al reato di furto con strappo, non sono ipotizzabili fattispecie concrete «totalmente immun[i] dai profili di allarme sociale che hanno indotto il legislatore a stabilire per questo titolo di reato un minimo edittale di notevole asprezza» (sentenza n. 120 del 2023). Del resto, gli stessi episodi oggetto dei giudizi a quibus sono caratterizzati da una violenza improvvisa; in entrambi i casi l’effetto sorpresa è stato sfruttato per sottrarre alla vittima un bene di valore tutt’altro che irrisorio e depongono univocamente nel senso di un diffuso allarme sociale.
Ne consegue che non è ravvisabile la violazione degli artt. 3 e 27, commi primo e terzo, Cost. con riguardo ai principi di ragionevolezza e proporzionalità della pena.
8.4.– Quanto alla asserita disparità di trattamento rispetto ad altre ipotesi delittuose, si osserva che l’introduzione della attenuante in questione, capace di “personalizzare” la pena adeguandola al disvalore concreto della condotta, in virtù del principio della “personalità” della responsabilità penale, sancito dal primo comma dell’art. 27 Cost., si giustifica per reati quali la rapina e l’estorsione e non anche per il furto con strappo.
Diversamente che per il reato di furto con strappo, nella rapina la violenza non è un elemento essenziale per la sua configurabilità, potendo in alternativa esservi solo una minaccia, che costituisce un quid di minore gravità rispetto a qualsiasi atto di violenza; il reato di rapina racchiude, dunque, al suo interno una serie di condotte alquanto variegate, di gravità più modesta o assai notevole, cosicché per esso ben si giustifica l’attenuante della lieve entità.
Lo stesso ragionamento può svilupparsi nel raffronto con il reato di estorsione di cui all’art. 629 cod. pen., per il quale, con la ricordata sentenza n. 120 del 2023, è stata introdotta la stessa attenuante della lieve entità: anch’esso include nel proprio ambito applicativo episodi notevolmente dissimili, sul piano criminologico e del tasso di disvalore, in particolare per la più o meno marcata “occasionalità” dell’iniziativa delittuosa, oltre che per la ridotta entità dell’offesa alla vittima e la non elevata utilità pretesa.
8.5.– Infine, non sembra pertinente il raffronto con il furto in abitazione, se non altro perché neppure per quest’ultimo reato è prevista la circostanza attenuante della lieve entità del fatto, né si può predicare una irragionevole assimilazione dei reati previsti rispettivamente al primo e al secondo comma dell’art. 624-bis cod. pen. quanto alle pene: se è vero che il furto in abitazione oltre al patrimonio lede l’inviolabilità del domicilio (art. 14 Cost.), il furto con strappo coinvolge nella lesione tipica valori non solo patrimoniali ma anche inerenti all’integrità fisica della persona.
8.6.– Le medesime considerazioni valgono, a fortiori, anche per l’ipotesi aggravata prevista dal terzo comma dell’art. 624-bis cod. pen., che si differenzia dalla fattispecie base solo per l’elemento di maggiore gravità (aggravanti comuni di cui all’art. 61 cod. pen. e quelle specifiche di cui all’art. 625 cod. pen.) che giustifica l’aumento sanzionatorio.
Il furto con strappo, dunque, anche nella sua forma aggravata – che non può che determinare una valutazione complessiva dell’offesa in termini di maggiore gravità – non comprende al suo interno fatti connotati da un tasso di disvalore tale da rendere necessaria l’introduzione, da parte di questa Corte, della circostanza attenuante della lieve entità.
Non può poi non evidenziarsi come «la forza “privilegiata” delle aggravanti di cui al combinato disposto degli artt. 624-bis, quarto comma, e 625 cod. pen. ceda non solo di fronte all’attenuante della minore età ex art. 98 cod. pen., ma anche a quella della collaborazione del reo ex art. 625-bis cod. pen., attenuante “ad effetto speciale”, quest’ultima, appositamente introdotta dalla legge n. 128 del 2001, la cui previsione contribuisce all’equilibrio complessivo di una disciplina sanzionatoria pur certamente severa» (sentenza n. 117 del 2021).
9.– Tanto premesso, la significativa differenza tra le fattispecie poste a raffronto, induce questa Corte a non ravvisare una violazione del principio di uguaglianza.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi,
dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 624-bis, commi secondo e terzo, del codice penale, sollevate, in riferimento, complessivamente, agli artt. 3 e 27, commi primo e terzo, della Costituzione, dal Tribunale ordinario di Firenze, prima sezione penale, in composizione monocratica, e dal Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Milano con le ordinanze indicate in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 22 settembre 2025.
F.to:
Giovanni AMOROSO, Presidente
Angelo BUSCEMA, Redattore
Roberto MILANA, Direttore della Cancelleria
Depositata in Cancelleria il 27 novembre 2025
Il Direttore della Cancelleria
F.to: Roberto MILANA