Sentenza  155/2025 (ECLI:IT:COST:2025:155)
Giudizio:  GIUDIZIO DI LEGITTIMITÀ COSTITUZIONALE IN VIA INCIDENTALE
Presidente: AMOROSO - Redattore:  PATRONI GRIFFI
Udienza Pubblica del 08/07/2025;    Decisione  del 09/07/2025
Deposito del 23/10/2025;    Pubblicazione in G. U.
Norme impugnate:  Artt. 5 e 12, c. 2°, 9° e 10°, della legge 19/02/2004, n. 40.
Massime: 
Atti decisi: ord. 186/2024

Pronuncia

SENTENZA N. 155

ANNO 2025

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta da: Presidente: Giovanni AMOROSO; Giudici : Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO, Filippo PATRONI GRIFFI, Marco D’ALBERTI, Giovanni PITRUZZELLA, Antonella SCIARRONE ALIBRANDI, Massimo LUCIANI, Maria Alessandra SANDULLI, Roberto Nicola CASSINELLI, Francesco Saverio MARINI,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 5 e 12, commi 2, 9 e 10, della legge 19 febbraio 2004, n. 40 (Norme in materia di procreazione medicalmente assistita), promosso dal Tribunale ordinario di Como, prima sezione civile, in composizione collegiale, nel procedimento vertente tra M. P. e M. B., con ordinanza del 13 settembre 2024, iscritta al n. 186 del registro ordinanze 2024 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 42, prima serie speciale, dell’anno 2024.

Visti gli atti di costituzione di M. P. e M. B., di Federica Benzi nella qualità di curatore speciale delle minori V. P. e B. P., nonché l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell’udienza pubblica dell’8 luglio 2025 il Giudice relatore Filippo Patroni Griffi;

uditi gli avvocati Susanna Lollini per M. P. e M. B., Federica Benzi nella qualità di curatore speciale delle minori V. P. e B. P., nonché l’avvocato dello Stato Wally Ferrante per il Presidente del Consiglio dei ministri;

deliberato nella camera di consiglio del 9 luglio 2025.

Ritenuto in fatto

1.– Con ordinanza del 13 settembre 2024, (reg. ord. n. 186 del 2024), il Tribunale ordinario di Como, prima sezione civile, in composizione collegiale, ha sollevato questioni di legittimità costituzionale degli artt. 5 e 12, commi 2, 9 e 10, della legge 19 febbraio 2004, n. 40 (Norme in materia di procreazione medicalmente assistita), nella parte in cui, limitando l’accesso alle tecniche di procreazione medicalmente assistita (PMA) alle sole coppie di sesso diverso, impedirebbero che vi possa ricorrere una coppia formata da componenti attualmente dello stesso sesso, allo scopo di consentire la fecondazione omologa tra il gamete maschile di uno di essi (crioconservato prima della rettificazione dell’attribuzione di sesso, quando la coppia era formata da componenti di sesso diverso) e il gamete femminile dell’altro e sanzionerebbero, di riflesso, chiunque applichi tali tecniche a coppie composte da soggetti dello stesso sesso; così precludendo a tale coppia la possibilità di procedere al riconoscimento e alla dichiarazione giudiziale di paternità.

Le questioni sono sollevate in riferimento agli artt. 2, 3, 31, secondo comma, 32, primo comma, e 117, primo comma, della Costituzione, quest’ultimo in relazione agli artt. 8 e 14 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo; agli artt. 2, paragrafo 1, 17, 23 e 26 del Patto internazionale sui diritti civili e politici adottato dall’Assemblea generale dell’Organizzazione delle Nazioni Unite il 16 dicembre 1966 in tema di divieto di discriminazione e diritto al rispetto della vita privata e familiare, e agli artt. 2, 3 e 9 della Convenzione ONU sui diritti del fanciullo, approvata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 20 novembre 1989, ratificata e resa esecutiva con legge 27 maggio 1991, n. 176.

2.− Il giudice a quo riferisce che la ricorrente, M. P., agendo in proprio e nella qualità di genitore di due minori, ha chiesto di accertare e dichiarare la genitorialità genetica della convenuta M. B., affinché le figlie minori vengano indicate quali figlie (anche) di quest’ultima, con conseguente annotazione sull’atto di nascita del nominativo di M. B. quale madre o, in subordine, genitore, e del cognome delle minori “P. B.”, con indicazione quindi anche del cognome di M. B. La convenuta, unita civilmente alla ricorrente, ha manifestato la sua adesione alle domande proposte da quest’ultima. Si è associata alla richiesta anche la curatrice speciale delle minori, la quale ha formulato domanda subordinata affinché nell’atto di nascita la convenuta – donatrice del gamete maschile prima della rettificazione di attribuzione di sesso – venga indicata non «come madre», ma «come padre».

2.1.− Il rimettente premette una sintetica ricostruzione dei fatti, rappresentando che:

− nel corso del 2012, l’attrice aveva avviato una relazione con l’allora Ma. B.;

− nel 2014, quest’ultimo aveva intrapreso un percorso per la rettificazione di attribuzione di sesso, sfociato nella sentenza del 13 ottobre 2016 di rettificazione di attribuzione di sesso (in femminile) e nome (in M. B.);

− in data 25 dicembre 2018, era nata, a Como, V. P., previo consenso informato prestato tanto da M. P. quanto da M. B., mediante fecondazione medicalmente assistita con utilizzo del liquido seminale (appartenente a M. B.) crioconservato sotto il nome “Ma. B.”;

− in data 25 febbraio 2019, la convenuta era stata designata tutrice di V. P. e il 16 maggio 2019 le parti avevano costituito un’unione civile;

− in data 3 marzo 2021, il Tribunale di Como aveva rigettato l’impugnazione ex art. 95 del d.P.R. 3 novembre 2000, n. 396 (Regolamento per la revisione e la semplificazione dell’ordinamento dello stato civile, a norma dell’articolo 2, comma 12, della legge 15 maggio 1997, n. 127) del rifiuto opposto dall’ufficiale dello stato civile di procedere al riconoscimento di paternità, da parte di M. B., della minore V. P.;

− in data 12 giugno 2021, era nata, a Como, B. P. previo consenso informato prestato tanto da M. P. quanto da M. B., sempre mediante fecondazione medicalmente assistita con utilizzo del liquido seminale (appartenente a M. B.) crioconservato sotto il nome “Ma. B.”.

2.2.− Tanto premesso in punto di fatto, il giudice a quo ripercorre i casi “contigui” a quello in esame sottolineandone le differenze.

In particolare, con riferimento alla figura della madre «solo» intenzionale rispetto alla quale vengono ricordate le sentenze di questa Corte n. 230 del 2020 e n. 32 del 2021, segnala come in esse si sia affermato che, sebbene la genitorialità del nato al seguito del ricorso a tecniche di PMA sia legata al «consenso» prestato e alla «responsabilità» conseguentemente assunta da entrambi i soggetti che hanno deciso di ricorrere a tale tecnica procreativa, occorre, pur sempre, che quelle coinvolte nel progetto di genitorialità così condiviso siano coppie di sesso diverso, atteso che le coppie dello stesso sesso non possono accedere, in Italia, alle tecniche di PMA, come espressamente disposto dall’art. 5 della legge n. 40 del 2004.

Ciò premesso, viene sottolineata la profonda differenza con la fattispecie in esame, ove il genitore per il quale si chiede il riconoscimento non è «solo» una madre intenzionale ma il genitore biologico. Estraneo al caso oggetto di esame sarebbe, dunque, «l’aspirazione della madre intenzionale a essere genitore», che la sentenza n. 230 del 2020 ha escluso che possa assurgere «a livello di diritto fondamentale della persona».

Quanto, poi, alle differenze con l’ipotesi in cui, all’interno della coppia omosessuale femminile che ricorre alla procreazione medicalmente assistita, l’una abbia donato l’ovulo e l’altra abbia condotto a termine la gravidanza con utilizzo di un gamete maschile di un terzo ignoto, viene sottolineato come, nella fattispecie in esame, l’apporto della stessa M. B. che ha fornito il gamete maschile, ha consentito la procreazione (con l’ovulo di M. P.) mediante il ricorso alla PMA omologa.

Con riferimento, infine, al caso del padre premorto fornitore del gamete maschile (di cui si è occupata la Corte di cassazione, prima sezione civile, sentenza 15 maggio 2019, n. 13000, valorizzando il dato della «discendenza biologica» tra l’uomo e il nato nonché l’interesse di quest’ultimo di acquisire rapidamente la certezza della propria discendenza bigenitoriale), si sottolinea che, nel caso oggetto di scrutinio nel giudizio a quo, l’unica vera differenza è che a ricorrere alla fecondazione omologa mediante procreazione medicalmente assistita non è una coppia eterosessuale, o meglio, una coppia rimasta tale anche al momento del ricorso alla fecondazione. Tale differenza, però, a fronte della complementarità biologica dei componenti della coppia, non può giustificare un trattamento diverso, non potendosi impedire il riconoscimento al genitore che ha fornito l’indispensabile contributo biologico maschile alla procreazione e restando irrilevante la circostanza di quale sia il suo attuale sesso.

2.3.− Passando all’esame della normativa codicistica di riferimento, e in particolare degli artt. 250 e 269 del codice civile, il Tribunale comasco, da un lato, rileva che la convenuta non potrebbe assumere la qualifica di madre in quanto non ha partorito né ha donato il gamete femminile e, dall’altro lato, osserva però che non vi sarebbe alcuna contraddizione logica né esisterebbe alcun divieto nell’impianto normativo all’iscrizione della stessa come padre delle figlie, con tale definizione riconoscendo chi fornisce il contributo maschile necessario alla procreazione. D’altronde, oggetto dell’accertamento nel giudizio a quo è proprio il dato biologico della procreazione.

E però, prosegue il rimettente, quale elemento ostativo a tale conclusione si porrebbe l’impossibilità di operare un’interpretazione adeguatrice dell’art. 5 della legge n. 40 del 2004, tale da permettere l’accesso alle tecniche ivi disciplinate pure alle coppie omosessuali, quale era divenuta quella composta da attrice e convenuta all’epoca del ricorso alla PMA. Verrebbe, in tal modo, precluso il riconoscimento di paternità da parte di chi, pur avendo contribuito con i propri gameti maschili alla procreazione, sia poi diventata donna al momento del riconoscimento.

Così inquadrata la questione, viene quindi sostenuta l’impossibilità di accogliere la domanda di dichiarazione giudiziale di paternità (come riqualificata dal giudice) in favore della convenuta, per l’impossibilità di pervenire ad una lettura costituzionalmente orientata dell’art. 5 della legge n. 40 del 2004.

E, dunque, a parere del Tribunale di Como, gli artt. 5 e 12, commi 2, 9 e 10, della legge n. 40 del 2004, nella parte in cui, limitando l’accesso alle tecniche di procreazione medicalmente assistita alle sole coppie di sesso diverso, impedirebbero che vi possa ricorrere una coppia formata da componenti dello stesso sesso allo scopo di consentire la fecondazione omologa tra il gamete maschile di uno di essi (crioconservato prima della rettificazione di attribuzione di sesso, quando la coppia era formata da componenti di sesso diverso) e il gamete femminile dell’altro e sanzionerebbero, di riflesso, chiunque applichi tali tecniche a coppie composte da soggetti dello stesso sesso, si porrebbero in contrasto con una serie di disposizioni costituzionali:

− l’art. 2 Cost., in quanto non garantiscono il diritto fondamentale dell’individuo alla genitorialità e all’identità di genere, discriminandolo per la scelta operata;

l’art. 3 Cost., sotto un duplice profilo, posto che:

a) discriminano la coppia omosessuale che faccia ricorso alla fecondazione omologa;

b) discriminano colui che abbia scelto di procedere alla rettificazione di attribuzione di sesso, per di più assegnando valore determinante al momento in cui tale scelta è stata presa (ovverosia prima o dopo la nascita dei figli, non potendo, nel primo caso, essere rimessa in discussione la qualifica di padre, una volta riconosciuta dall’ordinamento, a seguito della mutata attribuzione di sesso);

− l’art. 31, secondo comma, Cost., poiché la tutela della filiazione e il conseguente diritto dei figli alla bigenitorialità sono irrimediabilmente pregiudicati dal rigetto della pretesa del loro unico padre biologico di riconoscerli, lasciandoli, così, esposti a una situazione di incertezza giuridica sul duplice piano delle relazioni sociali e della loro identità personale;

− l’art. 32, primo comma, Cost., in quanto l’impossibilità di formare una famiglia con figli assieme al proprio partner, nonostante la complementarità biologica dei rispettivi apporti procreativi, nuoce alla salute psicofisica della coppia oltre che dei figli;

− l’art. 117, primo comma, Cost. in relazione ai seguenti parametri interposti:

a) gli artt. 8 e 14 CEDU, per le ragioni già indicate con riferimento alla ritenuta violazione degli artt. 2, 3 e 31, secondo comma, Cost., anche considerando che quanto affermato con riferimento al genitore «solo» intenzionale dalla Corte europea dei diritti dell’uomo vale, a fortiori, nel caso di genitore avente un legame biologico con il minore;

b) gli artt. 2, paragrafo 1, 17, 23 e 26 PIDCP, in tema di divieto di discriminazione e diritto al rispetto della vita privata e familiare, «per gli stessi motivi»;

c) gli artt. 2, 3 e 9 della Convenzione ONU sui diritti del fanciullo, «che impone agli Stati aderenti l’obbligo di rendere effettivi tali diritti e di garantire la stabilità dei legami e delle relazioni del minore in riferimento a tutte le persone con cui quest’ultimo abbia instaurato un rapporto personale stretto, persino in assenza di un legame biologico».

3.− Con atto depositato il 5 novembre 2024, è intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che le sollevate questioni siano dichiarate inammissibili o, in subordine, non fondate.

3.1.− In via preliminare, l’Avvocatura eccepisce l’inammissibilità per due motivi.

In primo luogo, viene prospettato che l’esame del merito sarebbe precluso per difetto di rilevanza in quanto il rimettente si limita a censurare le disposizioni della legge n. 40 del 2004 che prevedono il divieto di accedere alle tecniche di procreazione medicalmente assistita per le coppie dello stesso sesso (art. 5) e comminano sanzioni per la violazione del suddetto divieto (art. 12), ritenendole ostative rispetto all’accertamento giudiziale della genitorialità in capo alla convenuta, senza fare alcuna menzione dell’art. 8 della medesima legge n. 40 del 2004 che disciplina lo stato giuridico dei nati da tecniche di PMA. Da ciò, conseguirebbe un’incompleta ricostruzione del quadro normativo di riferimento, che, compromettendo irrimediabilmente l’iter logico in ordine alla non manifesta infondatezza delle questioni, ne determinerebbe l’inammissibilità.

Inoltre, le disposizioni sanzionatorie contenute nel citato art. 12 sarebbero da considerare estranee al thema decidendum, che riguarda esclusivamente l’accertamento della genitorialità biologica di due minori in capo alla convenuta.

L’Avvocatura afferma, dunque, che l’intervento chiesto afferisce a un dato normativo (gli artt. 5 e 12 della legge n. 40 del 2004) non rilevante ai fini della decisione da adottare relativa alla proposta azione di stato finalizzata ad una declaratoria giudiziale di paternità ex artt. 250 e 269 cod. civ.

Viene sul punto sottolineato che lo stesso Tribunale di Como si premura di prospettare un’interpretazione costituzionalmente orientata delle predette disposizioni codicistiche, escludendo l’esistenza di una preclusione normativa a che sia dichiarata giudizialmente la paternità di un genitore biologico solo perché (divenuto medio tempore) di sesso femminile. Rispetto alla prospettata opzione ermeneutica costituzionalmente orientata, non potrebbero assumere, quindi, alcuna efficacia ostativa le disposizioni (artt. 5 e 12 della legge n. 40 del 2004) della cui legittimità costituzionale il rimettente dubita.

Da tutto ciò conseguirebbe, quindi, l’inammissibilità delle censure per insufficiente motivazione sulla rilevanza della questione.

In secondo luogo, sotto distinto profilo, la difesa statale eccepisce l’inammissibilità della questione perché tesa ad ottenere una sentenza manipolativa additiva in una materia caratterizzata da ampia discrezionalità legislativa, nella quale, quindi, difetterebbe un’unica soluzione costituzionalmente obbligata. Conseguentemente, l’intervento richiesto risulterebbe eccedente rispetto ai poteri spettanti a questa Corte.

3.2.− Nel merito, l’interveniente illustra i motivi per i quali le questioni sono comunque non fondate, sia con argomenti sistematici, sia con argomenti sviluppati in relazione alle singole censure.

Sul piano sovranazionale, si segnala che l’individuazione del punto di equilibrio tra diritto all’autodeterminazione del genitore transgender, interesse pubblico alla certezza del diritto e dello stato civile e diritti fondamentali del bambino a conoscere le proprie origini, a ricevere cure ed educazione da entrambi i genitori e ad avere con loro un legame giuridico stabile, è stata oggetto di recenti sentenze della Corte EDU, con le quali è stata dichiarata l’impossibilità giuridica per un genitore transgender di indicare il proprio sesso attuale sul certificato di nascita del figlio concepito dopo il cambiamento di sesso.

Rispetto all’ordinamento interno, si osserva che l’intera disciplina civilistica dei rapporti di famiglia è incentrata sulla diversità di genere dei genitori e che la giurisprudenza di questa Corte (sentenze n. 230 del 2020, n. 237 e n. 221 del 2019) ha escluso la possibilità di operare un’interpretazione adeguatrice dell’art. 5 della legge n. 40 del 2004 nel senso dell’estensione dell’accesso alle tecniche di procreazione medicalmente assistita alle coppie omoaffettive.

Con specifico riferimento al ravvisato contrasto con il canone di ragionevolezza, si rammenta che il potere discrezionale del legislatore è suscettibile di sindacato costituzionale solo laddove il suo esercizio travalichi il canone della ragionevolezza che deve presiedere alle scelte normative, circostanza non verificatasi ad opera della normativa delineata dalla legge n. 40 del 2004.

L’asserita violazione dell’art. 32 Cost., poi, viene esclusa sulla base di considerazioni già svolte sul tema da questa Corte, la quale, nella sentenza n. 221 del 2019, ha affermato che «[l]a tutela costituzionale della “salute” non può essere estesa fino a imporre la soddisfazione di qualsiasi aspirazione soggettiva o bisogno che una coppia (o anche un individuo) reputi essenziale, così da rendere incompatibile con l’evocato parametro ogni ostacolo normativo frapposto alla sua realizzazione».

Si sostiene, infine, il rispetto, da parte delle disposizioni censurate, dell’art. 117, primo comma, Cost. e dei parametri interposti evocati in considerazione dell’ampio margine di apprezzamento riconosciuto agli Stati membri, in assenza di un generale consenso europeo nella disciplina della fecondazione medicalmente assistita.

4– Con atto depositato il 25 ottobre 2024, si è costituita in giudizio la curatrice delle due minori, aderendo alla richiesta di declaratoria di illegittimità costituzionale degli artt. 5 e 12 della legge n. 40 del 2004 negli stessi termini auspicati dal giudice a quo.

Non si manca, peraltro, di sottolineare come la vicenda in esame sia più «semplice» e «tradizionale» di quanto potrebbe risultare prima facie, in quanto le minori sono state generate dalle parti del giudizio, ereditando il patrimonio genetico per parte paterna da M. B. (già Ma. B.) e per parte materna da M. P. che le ha partorite. A costituire un ostacolo al riconoscimento del loro diritto alla bigenitorialità si pone unicamente il fatto che il processo di transizione di genere da parte di uno dei genitori sia avvenuto prima della nascita delle minori. A fronte della medesima situazione biologica relativa al patrimonio genetico maschile, se il processo di transizione fosse stato compiuto dal padre dopo il concepimento e la nascita delle minori, M. B. avrebbe acquisito lo status di loro genitore per effetto del passaggio in capo alla stessa di tutti i diritti ed i doveri già appartenuti a Ma. B.

5.– Con atto depositato il 4 novembre 2024, si sono costitute in giudizio altresì l’attrice e la convenuta del giudizio a quo, chiedendo che le questioni vengano dichiarate inammissibili.

Viene ripercorso criticamente il ragionamento svolto dal Tribunale comasco, osservando come nella vicenda in esame non debba trovare applicazione il censurato art. 5, potendo, a tutto concedere, rivolgersi il prospettato dubbio di illegittimità costituzionale verso l’art. 250 cod. civ.

Sul punto viene, infatti, evidenziato che la richiesta avanzata in via giudiziale è finalizzata all’accertamento del rapporto di filiazione strettamente connesso al rapporto genetico maschile che lega le due bambine a M. B., già Ma. B., e non tocca quindi la legge n. 40 del 2004, relativa ai requisiti di accesso alla PMA.

6.– In data 13 giugno 2025, la curatrice delle due minori ha depositato memoria, con la quale insiste per l’accoglimento della questione.

Confrontandosi con la recente pronuncia n. 68 del 2025 di questa Corte, si osserva che la declaratoria di illegittimità costituzionale dell’art. 8 della legge n. 40 del 2004 comporterebbe conseguenze anche sull’art. 250 cod. civ. richiamato dal successivo art. 269.

Avendo tale sentenza, rimarcato la centralità dell’interesse del minore alla bigenitorialità e al riconoscimento, sin dalla nascita, come figlio della coppia, si sottolinea come essa consentirebbe a fortiori, il riconoscimento nel caso in esame ove la madre intenzionale è anche il genitore biologico.

7.– In data 16 giugno 2025, hanno depositato memoria anche M. P. e M. B., ugualmente partendo dalla lettura della sentenza di questa Corte n. 68 del 2025.

Si afferma che tale pronuncia consentirebbe di articolare una decisione di accoglimento da parte dello stesso rimettente sulla domanda di accertamento dello stato, se non sulla base dell’accertamento del legame genetico esistente, quanto meno proprio in forza del citato art. 8, non ostando (più) al riconoscimento dello status filiationis il ricorso alla PMA all’estero, da parte di due donne (tali essendo le ricorrenti in virtù della sentenza di rettificazione di attribuzione di sesso precedentemente intervenuta).

Considerato in diritto

1.– Con l’ordinanza indicata in epigrafe (reg. ord. n. 186 del 2024), il Tribunale di Como, prima sezione civile, in composizione collegiale, ha sollevato questioni di legittimità costituzionale degli artt. 5 e 12, commi 2, 9 e 10, della legge n. 40 del 2004, nella parte in cui, limitando l’accesso alle tecniche di procreazione medicalmente assistita alle sole coppie di sesso diverso, impedirebbero che vi possa ricorrere una coppia formata da componenti dello stesso sesso allo scopo di consentire la fecondazione omologa tra il gamete maschile di uno di essi (crioconservato prima della rettificazione di attribuzione di sesso, quando la coppia era formata da componenti di sesso diverso) e il gamete femminile dell’altro e sanzionerebbero, di riflesso, chiunque applichi tali tecniche a coppie composte da soggetti dello stesso sesso. In altri termini, il divieto per le coppie dello stesso sesso di accedere alla PMA determinerebbe l’impossibilità del riconoscimento da parte del genitore biologico che abbia mutato sesso, così precludendo, ai sensi dell’art. 250 cod. civ., l’accoglimento dell’istanza di dichiarazione giudiziale di paternità, possibile solo nei casi in cui il riconoscimento sia ammesso.

Viene prospettata la violazione degli artt. 2, 3, 31, secondo comma, 32, primo comma, e 117, primo comma, Cost., quest’ultimo in relazione agli artt. 8 e 14 CEDU, agli artt. 2, paragrafo 1, 17, 23 e 26 PIDCP in tema di divieto di discriminazione e diritto al rispetto della vita privata e familiare, e agli artt. 2, 3 e 9 della Convenzione ONU sui diritti del fanciullo.

2.− In via preliminare, va rigettata l’eccezione dell’Avvocatura di inammissibilità delle questioni in quanto asseritamente tese a ottenere «una sentenza manipolativa additiva» in una materia caratterizzata da ampia discrezionalità legislativa, quale è quella dell’accesso alle tecniche di PMA.

Nel caso in esame, invero, non si chiede di intervenire su tale aspetto della disciplina.

Il rimettente, infatti, si duole dei riflessi sulla possibilità di riconoscimento, e quindi di dichiarazione giudiziale di paternità, che deriverebbero, ai sensi del censurato art. 5, dall’impossibilità per le coppie omosessuali di accedere alla PMA.

Le odierne questioni, pertanto, per quanto meglio esposto nella trattazione di merito, non toccano in alcun modo il profilo dell’aspirazione alla genitorialità, ma riguardano l’interesse del figlio nato in Italia da PMA praticata all’estero al riconoscimento, in particolare, anche da parte del genitore che ha fornito il gamete maschile, poi divenuto donna.

3.– L’Avvocatura eccepisce, inoltre, l’inammissibilità delle questioni sollevate «per difetto di rilevanza», sostenendo che l’interpretazione costituzionalmente orientata della normativa rilevante ai fini della decisione della proposta azione di status (artt. 250 e 269 cod. civ.), prospettata dallo stesso rimettente come idonea ad assicurare il superiore interesse delle minori, non sarebbe in alcun modo preclusa dai censurati artt. 5 e 12.

Tali doglianze, per come prospettate, toccano la ricostruzione del quadro normativo di riferimento, involgendo, più propriamente, profili di merito delle questioni, alla cui trattazione devono essere quindi ricondotte.

4.– Nel merito, le questioni vanno dichiarate inammissibili.

4.1.– Il giudizio a quo ha ad oggetto un’azione di status tesa alla dichiarazione giudiziale di paternità (per come riqualificata dal Tribunale comasco) di due minori, nate mediante ricorso alle tecniche di PMA, in capo alla convenuta. Quest’ultima aveva fornito il proprio gamete maschile, che era stato crioconservato in epoca antecedente al suo mutamento di sesso, per procedere alla fecondazione omologa unitamente alla propria partner.

Le disposizioni che disciplinano le condizioni per il riconoscimento dei figli nati fuori dal matrimonio e per la dichiarazione giudiziale di paternità e di maternità sono costituite dagli artt. 250 e 269 cod. civ.

In mancanza di matrimonio – non operando la presunzione di paternità di cui all’art. 231 cod. civ. – l’accertamento della filiazione avviene tramite un atto volontario (art. 250 cod. civ.) o, in difetto, attraverso un accertamento giudiziale (art. 269 cod. civ.).

In particolare, per quanto qui di interesse, la dichiarazione di paternità o maternità disciplinata dall’art. 269 cod. civ. è l’istituto teso a garantire al figlio che sia nato fuori del matrimonio, e che non sia stato spontaneamente riconosciuto, il diritto a conseguire, comunque, lo status di figlio.

Il rimettente censura, invece, gli artt. 5 e 12 della legge n. 40 del 2004.

Tali disposizioni hanno a oggetto il diverso profilo dell’accesso alle tecniche di PMA, disciplinando, rispettivamente, le condizioni soggettive di accesso e le sanzioni poste a presidio dei divieti ivi previsti.

4.2.– Il Tribunale comasco non si confronta adeguatamente con il complessivo quadro normativo in materia.

Infatti, prospetta le questioni di legittimità costituzionale sull’erroneo presupposto che il divieto di accesso alle tecniche di PMA per le coppie omosessuali sancito dall’art. 5 (e presidiato dall’art. 12) della legge n. 40 del 2004 precluda al soggetto che, nell’ambito di una fecondazione omologa, ha fornito il proprio contributo maschile alla procreazione ed è poi divenuto donna, di procedere al riconoscimento delle figlie e, correlativamente, di essere potenziale destinatario della relativa dichiarazione giudiziale di paternità.

Oggetto dell’istanza esaminata nel giudizio a quo era l’attribuzione dello status di figlio delle due minori già nate. Il giudice, quindi, doveva confrontarsi unicamente con le indicazioni del legislatore in ordine ai presupposti per l’accoglimento della dichiarazione giudiziale di paternità.

Ebbene, l’assetto normativo codicistico rappresentato dagli artt. 250 e 269 cod. civ. pone come presupposto (necessario e sufficiente) per l’accoglimento dell’istanza di dichiarazione giudiziale di paternità l’accertamento del legame biologico tra genitore e figlio. Ciò è, del resto, ribadito dalla Corte di cassazione, la quale ha costantemente affermato che «l’art. 269 c.c. […] attribuisce la paternità naturale in base al mero dato biologico» (così, ex multis, Corte di cassazione, prima sezione civile, ordinanza 13 dicembre 2018, n. 32308).

Dunque, al fine di accogliere la domanda di dichiarazione giudiziale di paternità ex art. 269 cod. civ., il Tribunale era chiamato unicamente ad accertare il dato biologico dell’apporto alla procreazione (nel caso di specie, pacifico). Nessun rilievo ostativo poteva assumere la normativa censurata, in quanto relativa al diverso profilo dell’accesso alle tecniche di PMA.

D’altronde, rispetto alla sussistenza del legame biologico tra genitore e figlio (rappresentato, nel caso in esame, dall’aver fornito i gameti maschili) non incide la vicenda del (successivo) mutamento di sesso di colui che ha dato il proprio apporto alla procreazione.

5.− Per quanto esposto, le questioni di legittimità costituzionale sollevate dal Tribunale di Como devono essere dichiarate inammissibili.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 5 e 12, commi 2, 9 e 10, della legge 19 febbraio 2004, n. 40 (Norme in materia di procreazione medicalmente assistita), sollevate, in riferimento agli artt. 2, 3, 31, secondo comma, 32, primo comma, e 117, primo comma, della Costituzione, quest’ultimo in relazione agli artt. 8 e 14 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, agli artt. 2, paragrafo 1, 17, 23 e 26 del Patto internazionale sui diritti civili e politici adottato dall’Assemblea generale dell’Organizzazione delle Nazioni Unite il 16 dicembre 1966 in tema di divieto di discriminazione e diritto al rispetto della vita privata e familiare, e agli artt. 2, 3 e 9 della Convenzione ONU sui diritti del fanciullo, approvata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 20 novembre 1989, ratificata e resa esecutiva con legge 27 maggio 1991, n. 176, dal Tribunale ordinario di Como, prima sezione civile, in composizione collegiale, con l’ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 9 luglio 2025.

F.to:

Giovanni AMOROSO, Presidente

Filippo PATRONI GRIFFI, Redattore

Igor DI BERNARDINI, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 23 ottobre 2025

Il Cancelliere

F.to: Igor DI BERNARDINI


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