˙ Sentenza  48/1981 (ECLI:IT:COST:1981:48)
Giudizio:  GIUDIZIO SULL'AMMISSIBILITÀ DEI REFERENDUM
Presidente: AMADEI - Redattore:  - Relatore: DE STEFANO
Camera di Consiglio del 23/03/1981;    Decisione  del 23/03/1981
Deposito del 23/03/1981;    Pubblicazione in G. U.
Norme impugnate:  
Massime:  24482
Atti decisi: 

Pronuncia

N. 48

SENTENZA 23 MARZO 1981

Deposito in cancelleria: 23 marzo 1981.

Pubblicazione in "Gazz. Uff." n. 83 del 24 marzo 1981.

Pres. AMADEI - Rel. DE STEFANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori: Avv. LEONETTO AMADEI, Presidente - Dott. GIULIO GIONFRIDA - Prof. EDOARDO VOLTERRA - Dott. MICHELE ROSSANO - Prof. ANTONINO DE STEFANO - Prof. LEOPOLDO ELIA - Prof. GUGLIELMO ROEHRSSEN - Avv. ORONZO REALE - Dott. BRUNETTO BUCCIARELLI DUCCI - Avv. ALBERTO MALAGUGINI - Prof. LIVIO PALADIN - Dott. ARNALDO MACCARONE - Prof. ANTONIO LA PERGOLA - Prof. VIRGILIO ANDRTOLI - Prof. GIUSEPPE FERRARI, Giudici,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio sull'ammissibilità, ai sensi dell'art. 2, comma primo, legge cost. 11 marzo 1953, n. 1, della richiesta di referendum popolare per l'abrogazione del decreto legge 15 dicembre 1979, n. 625, convertito nella legge 6 febbraio 1980, n. 15 ("Conversione in legge, con modificazioni, del decreto legge 15 dicembre 1979, n. 625, concernente misure urgenti per la tutela dell'ordine democratico e della sicurezza pubblica"), come modificato, nell'art. 6, dall'articolo unico della legge 13 febbraio 1981, n. 18 ("Conversione in legge, con modificazioni, del decreto legge 12 dicembre 1980, n. 851, recante proroga della durata dell'applicazione delle disposizioni di cui all'art. 6 del decreto legge 15 dicembre 1979, n. 625, convertito, con modificazioni, nella legge 6 febbraio 1980, n. 15").

Viste le ordinanze 5 e 14 marzo 1981 con le quali l'Ufficio centrale per il referendum presso la Corte di cassazione ha dichiarato legittima la suddetta richiesta;

udito nella camera di consiglio del 23 marzo 1981 il Giudice relatore Antonino De Stefano.

Ritenuto in fatto:

Con sentenza 9 febbraio 1981, n. 22, la Corte costituzionale si è pronunciata sulla ammissibilità della richiesta di referendum, presentata il 26 giugno 1980 all'Ufficio centrale per il referendum costituito presso la Corte di cassazione e da questo dichiarata legittima con ordinanza 2 dicembre 1980, per l'abrogazione del d.l. 15 dicembre 1979, n. 625, recante "misure urgenti per la tutela dell'ordine democratico e della sicurezza pubblica" (convertito con modificazioni nella legge 6 febbraio 1980, n. 15). La richiesta veniva dichiarata dalla Corte ammissibile, ad eccezione però dell'art. 6 del decreto legge. Come infatti si rileva nella sentenza, le disposizioni di tale articolo (concernenti il c.d. "fermo di pubblica Sicurezza"), destinate ad applicarsi, come previsto all'ultimo comma, per la durata di un anno dalla entrata in vigore del decreto, trascorso l'anno, dopo il 18 dicembre 1980 erano bensì ancora applicabili, ma solo in forza dell'art. 1 del sopravvenuto d.l. 12 dicembre 1980, n. 851, con il quale la durata dell'applicazione delle disposizioni stesse era stata prorogata di sessanta giorni. Perciò, allo stato, la Corte riteneva di dover procedere alla verifica della ammissibilità del quesito referendario (formulato nei confronti dell'intero testo del provvedimento), escludendo dall'esame e dalla conseguente pronuncia tanto il menzionato art. 6, che nella sua portata originaria non era più applicabile, quanto la norma di proroga, non contemplata dal quesito nei termini dichiarati legittimi dalla ordinanza dell'Ufficio centrale. Dichiarava, inoltre, la Corte che competeva all'Ufficio centrale - secondo quanto afferrato nella precedente sentenza n. 68 del 1978 - valutare se la richiesta referendaria dovesse estendersi alla nuova disciplina, venuta a dare ulteriore vigore all'art. 6 dell'originario decreto legge, dopo la sua ordinanza, nel corso del procedimento. In caso positivo, solo dopo la delibera in tal senso dell'Ufficio centrale, la Corte costituzionale avrebbe potuto verificare se il nuovo disposto risultante dal concorso delle due norme (art. 6 del d.l. n. 625 del 1979 e art. 1 del d.l. n. 851 del 1980) dovesse venir ammesso alla consultazione referendaria.

In seguito alla suindicata sentenza n. 22 del 1981 e alla legge 13 febbraio 1981, n. 18, a sua volta sopravvenuta, e con la quale, convertito in legge, con modificazioni, il decreto legge n. 851 del 1980, il periodo di applicabilità delle disposizioni dell'art. 6 del d.l. 15 dicembre 1979, n. 625, è stato ulteriormente prolungato fino al 31 dicembre 1981, l'Ufficio centrale per il referendum ha pronunciato, in data 5 marzo 1981, una seconda ordinanza, depositata in pari data, con la quale ha disposto che le operazioni relative alla menzionata richiesta di referendum popolare si svolgano sul seguente quesito: "Volete voi l'abrogazione del decreto legge 15 dicembre 1979, n. 625, convertito nella legge 6 febbraio 1980, n. 15 ("Conversione in legge, con modificazioni, del decreto legge 15 dicembre 1979, n. 625, concernente misure urgenti per la tutela dell'ordine democratico e della sicurezza pubblica"), come modificato, nell'art. 6, dall'articolo unico della legge 13 febbraio 1981, n. 18 ("Conversione in legge, con modificazioni, del decreto legge 12 dicembre 1980, n. 851, recante proroga della durata dell'applicazione delle disposizioni di cui all'art. 6 del decreto legge 15 dicembre 1979, n. 625, convertito con modificazioni nella legge 6 febbraio 1980, n. 15")?". Nel testo originario del provvedimento, invero, nell'ultima parte del quesito, risultava erroneamente scritto "decreto legge 15 dicembre 1980, n. 15". Alla mancata trascrizione delle parole e dei numeri compresi tra "dicembre" e "1980" ("1979, n. 625, convertito, con modificazioni, nella legge 6 febbraio") si è tuttavia posto rimedio con altra ordinanza, di correzione, in data 14 marzo 1981, dello stesso Ufficio centrale.

Nel riformulare, nel modo suddetto, il quesito referendario, l'Ufficio centrale si basa essenzialmente sull'art. 39 della legge 25 maggio 1970, n. 352, come modificato in seguito alla su citata sentenza della Corte costituzionale n. 68 del 1978, con la quale l'articolo stesso fu dichiarato illegittimo "limitatamente alla parte in cui non prevede che se l'abrogazione degli atti o delle singole disposizioni cui si riferisce il referendum venga accompagnata da altra disciplina della stessa materia senza modificare né i principi ispiratori della complessiva disciplina preesistente, né i contenuti normativi essenziali dei singoli precetti, il referendum si effettui sulle nuove disposizioni legislative". Richiamati i principi enunciati in quella sentenza, l'Ufficio centrale osserva che alla stregua di essi, nel caso, la modifica operata dalle norme sopravvenute, limitata alla proroga della durata di talune delle disposizioni dettate dall'atto normativo sottoposto a referendum senza toccarne altrimenti i contenuti, è indubbiamente riconducibile ai principi ispiratori della complessiva disciplina preesistente, essendosi il legislatore determinato - come già rilevato nella sentenza di questa Corte n. 22 del 1981 ai fini della ritenuta omogeneità, rispetto alle parti già esaminate del decreto legge n. 625 del 1979 convertito nella legge n. 15 del 1980, del quesito referendario - "ad apportare modifiche all'intero sistema di prevenzione e repressione nell'ambito penale in funzione preminente della lotta al terrorismo ed alla delinquenza comune". E non v'ha dubbio che la norma in questione (che la Corte costituzionale - si sottolinea - ha escluso dall'esame e dalla conseguente pronuncia di ammissibilità in quanto non più applicabile nella sua portata originaria), si presenta quale componente fondamentale e caratterizzante di questo disegno del legislatore. A giudizio dell'Ufficio centrale, perciò, le operazioni referendarie vanno senz'altro estese alle nuove disposizioni.

Adempiute le formalità di rito per la trasmissione, comunicazioni e notifiche della ordinanza dell'Ufficio centrale, il Presidente della Corte costituzionale, con decreto 10 marzo 1981, ha fissato, per il conseguente giudizio di ammissibilità, la camera di consiglio del 23 marzo 1981.

Considerato in diritto:

Con la precedente sentenza n. 22 dell'anno in corso questa Corte ha dichiarato ammissibile la richiesta di referendum popolare per l'abrogazione del d.l. 15 dicembre 1979, n. 625 (misure urgenti per la tutela dell'ordine democratico e della sicurezza pubblica), convertito con modificazioni nella legge 6 febbraio 1980, n. 15, escludendo, però, dall'esame e dalla conseguente pronuncia l'art. 6 di tale provvedimento. Ha osservato, infatti, la Corte che l'applicazione del menzionato articolo (che disciplina l'istituto del c.d. "fermo di pubblica sicurezza") era limitata, per effetto del suo ultimo comma, al periodo di un anno dall'entrata in vigore del decreto legge, e cioè con decorrenza dal 18 dicembre 1979. Non essendo ancora decorso l'anno, le disposizioni dell'art. 6 erano tuttora applicabili allorché l'Ufficio centrale per il referendum, costituito presso la Corte di cassazione, aveva, con ordinanza del 2 dicembre 1980, dichiarato legittima la richiesta anzidetta, relativa all'intero testo del provvedimento. Successivamente, per effetto dell'art. 1 del d.l. 12 dicembre 1980, n. 851, la durata dell'applicazione delle disposizioni dell'art. 6 era stata prorogata di sessanta giorni, a decorrere dalla scadenza del termine fissato nell'ultimo comma dell'articolo medesimo. La nuova norma aveva dunque modificato, sotto il profilo della durata, la precedente. La Corte, pertanto, in base a quanto affermato nella sentenza n. 68 del 1978, ha ritenuto di spettanza dell'Ufficio centrale "valutare se la richiesta referendaria debba estendersi alla nuova disciplina, sopravvenuta, dopo la sua ordinanza, nel corso del procedimento", soggiungendo che "in caso positivo, solo dopo la delibera in tal senso adottata dall'Ufficio centrale la Corte potrà verificare se il nuovo disposto, risultante dal concorso delle due norme, debba venir ammesso alla consultazione referendaria".

Con la legge 13 febbraio 1981, n. 18, che ha convertito in legge, con modificazioni, il citato d.l. n. 851 del 1980, il periodo di applicabilità delle disposizioni dell'art. 6 in parola, è stato ulteriormente prorogato fino al 31 dicembre 1981.

L'Ufficio centrale, con ordinanza emessa il 5 marzo 1981 (il cui dispositivo, inficiato da errore materiale, è stato corretto con successiva ordinanza del 14 marzo 1981), ha ritenuto che la modifica operata dalle norme sopravvenute, limitata, com'è, alla sola proroga della durata delle disposizioni dettate dall'art. 6, senza toccare altrimenti i contenuti dell'atto normativo sottoposto a referendum, "è indubbiamente riconducibile ai principi ispiratori della complessiva disciplina preesistente", della quale "la norma considerata si presenta quale componente fondamentale e caratterizzante". Ha disposto, pertanto, che le operazioni referendarie si estendano alla nuova disposizione, ed in conseguenza ha riformulato il quesito referendario nei seguenti termini: "Volete voi l'abrogazione del decreto legge 15 dicembre 1979, n. 625, convertito nella legge 6 febbraio 1980, n. 15 ("Conversione in legge, con modificazioni, del decreto legge 15 dicembre 1979, n. 625, concernente misure urgenti per la tutela dell'ordine democratico e della sicurezza pubblica"), come modificato, nell'art. 6 dall'articolo unico della legge 13 febbraio 1981, n. 18 ("Conversione in legge, con modificazioni, del decreto legge 12 dicembre 1980, n. 851, recante proroga della durata dell'applicazione delle disposizioni di cui all'art. 6 del decreto legge 15 dicembre 1979, n. 625, convertito, con modificazioni, nella legge 6 febbraio 1980, n. 15")?".

Compete ora a questa Corte, come già innanzi detto, verificare se sussistano eventuali ragioni di inammissibilità in ordine al quesito referendario così modificato. In proposito va ricordato che con la richiamata sentenza n. 22 del 1981 si è già affermato che "le altre disposizioni del d.l. n. 625 del 1979, come modificato dalla legge di conversione n. 15 del 1980, appaiono informate, pur nella varietà dei loro contenuti, ad un principio comune, che conferisce alla materia disciplinata un connotato di sostanziale unitarietà", e che il quesito, "pur con la esclusione, allo stato, dell'art. 6, risulta omogeneo ed univoco, alla luce dei principi enunciati nella sentenza n. 16 del 1978.

Le stesse conclusioni la Corte ritiene di dover confermare, una volta che nel contesto normativo del quale si propone la totale abrogazione, viene reinserito. per effetto della sua prorogata applicabilità, quell'art. 6, che appare preordinato, al pari delle altre disposizioni, al medesimo intento perseguito dal legislatore, di apportare, cioè, in una fase di emergenza, "modifiche all'intero sistema di prevenzione e repressione nell'ambito penale, in funzione preminente, appunto, della lotta al terrorismo ed alla delinquenza comune".

Persiste, pertanto, nella richiesta referendaria in esame, pur dopo l'apportata modifica, il già riscontrato requisito di omogeneità. Né si riscontra, per effetto della modifica stessa, alcun'altra ragione d'inammissibilità. La richiesta va dunque dichiarata ammissibile nei nuovi termini indicati dall'Ufficio centrale con le citate ordinanze.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara ammissibile la richiesta di referendum popolare, come modificata per effetto delle ordinanze del 5 e 14 marzo 1981 dell'Ufficio centrale per il referendum, costituito presso la Corte di cassazione, per l'abrogazione del d.l. 15 dicembre 1979, n. 625, recante "Misure urgenti per la tutela dell'ordine democratico e della sicurezza pubblica" (convertito con modificazioni nella legge 6 febbraio 1980, n. 15), come modificato, nell'art. 6, dall'art. 1 del d.l. 12 dicembre 1980, n. 851, nel testo modificato dalla legge di conversione 13 febbraio 1981, n. 18.

Così deciso in Roma, in camera di consiglio, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 23 marzo 1981.

F.to: LEONETTO AMADEI - GIULIO GIONFRIDA - EDOARDO VOLTERRA - MICHELE ROSSANO - ANTONINO DE STEFANO - LEOPOLDO ELIA - GUGLIELMO ROEHRSSEN - ORONZO REALE - BRUNETTO BUCCIARELLI DUCCI - ALBERTO MALAGUGINI - LIVIO PALADIN - ARNALDO MACCARONE - ANTONIO LA PERGOLA - VIRGILIO ANDRIOLI - GIUSEPPE FERRARI.

GIOVANNI VITALE - Cancelliere