˙ Sentenza  42/1981 (ECLI:IT:COST:1981:42)
Giudizio:  GIUDIZIO DI LEGITTIMITÀ COSTITUZIONALE IN VIA INCIDENTALE
Presidente: AMADEI - Redattore:  - Relatore: DE STEFANO
Udienza Pubblica del 29/10/1980;    Decisione  del 05/03/1981
Deposito del 23/03/1981;    Pubblicazione in G. U.
Norme impugnate:  
Massime:  11421 11422 11423
Atti decisi: 

Pronuncia

N. 42

SENTENZA 5 MARZO 1981

Deposito in cancelleria 23 marzo 1981.

Pubblicazione in "Gazz. Uff." n. 91 del 1 aprile 1981.

Pres. AMADEI - Rel. DE STEFANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori: Avv. LEONETTO AMADEI, Presidente - Dott. GIULIO GIONFRIDA - Prof. EDOARDO VOLTERRA - Dott. MICHELE ROSSANO - Prof. ANTONINO DE STEFANO - Prof. LEOPOLDO ELIA - Prof. GUGLIELMO ROEHRSSEN - Avv. ORONZO REALE - Dott. BRUNETTO BUCCIARELLI DUCCI - Avv. ALBERTO MALAGUGINI - Prof. LIVIO PALADIN - Dott. ARNALDO MACCARONE - Prof. ANTONIO LA PERGOLA - Prof. VIRGILIO ANDRIOLI - Prof. GIUSEPPE FERRARI, Giudici,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale dell'art. 26, in relazione all'art. 23, del r.d. 16 marzo 1942, n. 267 (Disciplina del fallimento, del concordato preventivo, dell'amministrazione controllata e della liquidazione coatta amministrativa) promossi con ordinanze 8 febbraio 1975 della Corte di cassazione e 30 luglio 1975 del tribunale di Firenze, rispettivamente iscritte ai nn. 215 e 611 del registro ordinanze 1975 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 181 del 9 luglio 1975 e n. 51 del 25 febbraio 1976.

Visti gli atti di costituzione della Società Vanelli Macchine, dell'Istituto Mobiliare Italiano e dell'I.N.P.S.;

udito, nell'udienza pubblica del 29 ottobre 1980, il Giudice relatore Antonino De Stefano;

uditi gli avvocati Maria Luisa Zavattaro Ardizzi per la Società Vanelli Macchine, Giuseppe Ferri per l'Istituto Mobiliare Italiano e Gianni Romoli per l'I.N.P.S.

Ritenuto in fatto:

1. Con ordinanza in data 8 febbraio 1975 la Corte di cassazione a sezioni unite civili ha sollevato, in riferimento all'art. 24, primo e secondo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art. 26, commi primo, secondo e terzo, in relazione all'art. 23, comma primo, ultima proposizione, della legge fallimentare (r.d. 16 marzo 1942, n. 267).

L'art. 26, nel prevedere che contro i decreti del giudice delegato, salvo disposizione contraria, è ammesso reclamo al tribunale fallimentare, entro tre giorni dalla data del decreto, sia da parte del curatore, sia da parte del fallito, del comitato dei creditori e di chiunque vi abbia interesse, stabilisce che il tribunale decide in camera di consiglio e che il ricorso non sospende la esecuzione del decreto. A sua volta l'art. 23, comma primo, ultima parte, dispone che il tribunale che ha dichiarato il fallimento decide sui reclami contro i provvedimenti del giudice delegato. Come si precisa nel dispositivo della ordinanza di rinvio, queste disposizioni vengono sottoposte al giudizio della Corte costituzionale nella parte in cui assoggettano al reclamo al tribunale, regolandolo nel modo ivi previsto, "anche i provvedimenti decisori emessi dal giudice delegato nelle controversie su diritti soggettivi attribuite alla cognizione e decisione di esso nelle ipotesi tipiche previste dalla legge, e in particolare il decreto con cui lo stesso giudice delegato stabilisce il piano di riparto, rendendolo esecutivo".

La questione è stata sollevata nel corso di un giudizio promosso (in relazione al fallimento, dichiarato dal tribunale di Bologna, della s.p.a. Officine meccaniche di Val d'Idice) con ricorsi per cassazione, in via principale o incidentale, di creditori insinuatisi nella procedura fallimentare (I.M.I., I.N.P.S., Banca Credito romagnolo, Banca cooperativa di Bologna, ditta Vanelli Macchine: quest'ultima, come terzo rivendicante di beni mobili compresi nella liquidazione) contro il decreto con cui lo stesso tribunale, in seguito a reclami proposti dal Credito romagnolo, dalla Banca cooperativa di Bologna, dall'I.N.P.S., e dalla ditta Vanelli, ed ai quali si era opposto l'I.M.I., aveva modificato, su punti essenziali, il piano di riparto dell'attivo stabilito dal giudice delegato.

2. Con il primo motivo del ricorso principale l'I.M.I. deduceva che contro il decreto, con cui il giudice delegato, nelle ipotesi tipiche previste dalla legge fallimentare, decide controversie su diritti soggettivi, non è esperibile la procedura del reclamo al tribunale ex art. 26, per sua natura proponibile soltanto contro i provvedimenti ordinatori dello stesso giudice. Il piano di riparto fissa l'ordine di precedenza tra i crediti concorrenti, e quindi la sua approvazione, in quanto risolve tutte le questioni, effettive o potenziali, di graduazione, costituisce appunto una delle suddette ipotesi tipiche, onde il relativo decreto, avendo natura decisoria, ed al tempo stesso definitiva per non essere nei suoi confronti prevista alcuna specifica impugnazione, è soggetto soltanto al ricorso per cassazione ai sensi dell'art. 111 della Costituzione. Il provvedimento impugnato, quindi, essendo stato emesso dal tribunale su un reclamo inammissibile, andava cassato senza rinvio.

Nell'ordinanza di rimessione si premette che la tesi del ricorrente non può, allo stato della normativa vigente, essere accolta. Se è vero che il decreto di approvazione del piano di riparto rientra in una delle ipotesi, in cui sono al giudice delegato attribuiti dalla legge poteri cognitori e decisori in controversie su diritti soggettivi, senza che sia insieme previsto uno specifico mezzo di gravame, deve peraltro riconoscersi che il reclamo ex art. 26, in relazione all'art. 23, comma primo, ultima parte, è esperibile anche in tali ipotesi tipiche, oltre che, in generale, contro tutti i provvedimenti ordinatori del giudice delegato. In tal senso probanti indicazioni testuali sono offerte - secondo il giudice a quo che all'uopo conduce analitica indagine - dalla legge fallimentare. Del resto, soggiunge la Cassazione, proprio come rimedio apprestato anche per le controversie su diritti soggettivi il reclamo ha vissuto e vive nella esperienza giudiziaria, pur dopo la ricezione da parte della Corte costituzionale, nella sentenza n. 118 del 1963, della opposta opinione (sulla cui base fu dichiarata la non fondatezza della sollevata questione di legittimità costituzionale delle medesime disposizioni). Successivamente a tale sentenza, infatti, la giurisprudenza prevalente (diffusamente citata nell'ordinanza) ha continuato a riconoscere la esperibilità del rimedio anche relativamente a questioni di diritti soggettivi nelle controversie tipicamente affidate dalla legge alla cognizione e decisione del giudice delegato.

Alla stregua della portata con cui l'istituto del reclamo ex art. 26 risulta vigere nel diritto vivente, si ripropone, a giudizio delle Sezioni unite della Cassazione, la questione di legittimità costituzionale della disciplina positiva, nella parte in cui essa regola il reclamo de quo, pur quando questo si riferisca a controversie su diritti soggettivi. Questione della cui non manifesta infondatezza, in riferimento alla garanzia della tutela giudiziaria e del diritto di difesa, assicurata dall'art. 24, commi primo e secondo, della Costituzione, non può dubitarsi, alla luce dei rilievi svolti in proposito nella ricordata sentenza n. 118 del 1963 della Corte costituzionale, per quanto attiene non solo agli aspetti particolari della disciplina riflettenti la brevità del termine e la sua decorrenza dalla data del provvedimento indipendentemente dalla effettiva conoscenza dell'interessato, ma anche con riguardo alla stessa struttura del reclamo, come attualmente regolato, nel senso che il procedimento nel suo complesso - per la sommarietà del contraddittorio (che segue una prima fase cognitoria, quella che si svolge innanzi al giudice delegato, parimenti, se non maggiormente, sommaria), per la sede del suo svolgimento e della sua conclusione, per la forma del provvedimento che lo definisce, ed infine per la istituzionale non sospensività del gravame - sembra non garantire sufficientemente, ad un tempo, né la effettiva esercitabilità dell'azione in giudizio, né l'adeguata difesa della parte nel corso del procedimento.

La rilevanza nel giudizio a quo della sollevata questione è affermata nel riflesso che, qualora fosse riconosciuta fondata, il provvedimento impugnato dovrebbe essere cassato senza rinvio, con l'assorbimento di ogni altra censura proposta sia con il ricorso principale dell'I.M.I., che con i ricorsi incidentali; mentre, nella ipotesi della non fondatezza, il primo motivo del ricorso dell'I.M.I. (con il quale, come già riferito, si sostiene la inammissibilità del reclamo al tribunale di Bologna in quanto non esperibile per contestazioni come quelle in oggetto, vertenti su diritti soggettivi) dovrebbe essere respinto. Per quanto poi concerne il ricorso incidentale della ditta Vanelli, l'ordinanza di rinvio considera che il reclamo della ditta al tribunale contro il provvedimento emesso dal giudice delegato, risulta presentato fuori termine: pertanto, la questione di legittimità costituzionale è rilevante, non soltanto, come per le impugnazioni di tutte le altre parti, nei termini generali già delineati, ma anche in modo più specifico, con riferimento peculiare alla disposizione di cui all'art. 26, comma primo, che individua nella "data del decreto", a prescindere dalla effettiva conoscenza di questo da parte dell'interessato, il dies a quo di decorrenza del termine di tre giorni, utile per la proposizione del reclamo.

3. Adempiute le formalità di rito per le notifiche, comunicazioni e pubblicazione dell'ordinanza di rinvio, nel giudizio innanzi alla Corte si sono costituiti l'I.M.I., l'I.N.P.S. e la ditta Vanelli Macchine, rappresentati e difesi il primo dagli avvocati Giuseppe Ferri e Giorgio Guazzugli Marini, il secondo dagli avvocati Sergio Traverso, Mariano Petrina e Gianni Romoli e la terza dagli avvocati Clara Ghislanzoni e Maria Luisa Zavattaro Ardizzi. Non è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri.

Nell'atto di deduzioni dell'I.M.I., si premette che l'art. 26 è di per sé inapplicabile ai provvedimenti cognitori e decisori del giudice delegato, o, se applicabile, è costituzionalmente illegittimo; con la conseguenza, in ambo i casi, per quanto riguarda il giudizio a quo, di una sola identica soluzione: la cassazione senza rinvio, perché emesso su un reclamo inammissibile, del provvedimento del tribunale di Bologna. La difesa dell'I.M.I. propende per la prima ipotesi, esprimendo ampie riserve circa i motivi esposti nella ordinanza di rinvio a sostegno della tesi della estensione, in base alla legge fallimentare, del reclamo ex art. 26 ai provvedimenti decisori del giudice delegato.

La questione di legittimità costituzionale sollevata nei confronti dell'art. 26 dovrebbe perciò essere dichiarata non fondata, in quanto basata su un presupposto che non sussiste; restando indubbio, peraltro, che se invece - come affermato dalla Cassazione - il reclamo ex art. 26 dovesse ritenersi applicabile anche per i provvedimenti decisori del giudice delegato incidenti su diritti soggettivi, la norma impugnata dovrebbe senz'altro essere dichiarata illegittima.

A sua volta l'I.N.P.S. sostiene anzitutto che la questione di legittimità costituzionale sollevata dalla Cassazione dovrebbe essere dichiarata inammissibile per irrilevanza. Se è per la brevità del termine e per la stessa struttura del reclamo che l'art. 26 - come denunciato dalla ordinanza di rinvio - lede il diritto tutelato dall'art. 24 della Costituzione, poiché il reclamo è un mezzo offerto a chi si ritiene leso dal provvedimento del giudice delegato, la eccezione di incostituzionalità - così come è stata formulata - non potrebbe essere ritenuta "rilevante", né quindi essere sollevata, se non con riferimento alla parte reclamante, cui capiti di vedere il suo diritto di azione e difesa compromesso dalle limitazioni denunciate nell'art. 26. Ciò però nel caso non si verifica, il reclamo al tribunale fallimentare essendo stato proposto dall'I.N.P.S. e non dall'I.M.I., e il fatto stesso che il reclamo sia stato accolto dimostrando che il diritto alla difesa del reclamante è stato tutelato. Inoltre, se la tesi del giudice a quo fosse riconosciuta esatta, e l'art. 26 venisse dichiarato incostituzionale, la cassazione senza rinvio - che ne conseguirebbe - del provvedimento emesso dal tribunale fallimentare sul reclamo, riporterebbe in vita il provvedimento originario del giudice delegato, contro il quale l'I.N.P.S. non avrebbe più rimedio. Col risultato che, per tutelare il suo diritto di difesa si verrebbe a privare l'Istituto, con palese contraddizione, dei risultati che pure è riuscito ad ottenere proprio con quel mezzo di difesa che si suppone inadeguato. Quanto al merito della questione, qualora la si ritenesse proponibile, l'I.N.P.S. conclude rimettendosi alla decisione di questa Corte.

Nell'atto di deduzioni della ditta Vanelli si rivolgono critiche a quelle parti della disposizione impugnata che particolarmente la interessano: ai punti, cioè, concernenti la durata (di soli tre giorni) e la decorrenza (dalla data del decreto del giudice delegato) del termine previsto dall'art. 26 per la presentazione del reclamo. Durata e decorrenza che, per la loro brevità e inadeguatezza, non solo non assicurano, ma irrimediabilmente impediscono agli interessati l'esercizio della difesa.

In data 5 ottobre 1980 sono state presentate due memorie, una da parte dell'I.M.I., l'altra da parte della ditta Vanelli.

La difesa dell'I.M.I., premesso che la eccezione di irrilevanza formulata nell'atto di deduzioni dell'I.N.P.S. è sicuramente insostenibile, dopo aver ripreso e illustrato, riguardo al merito, gli argomenti già svolti nelle precedenti deduzioni, osserva che, sulla questione concernente la estensione del reclamo previsto dall'art. 26 ai provvedimenti decisori del giudice delegato, la giurisprudenza della Cassazione successiva alla emanazione della ordinanza di rinvio delle Sezioni unite, rivela notevoli perplessità. Se infatti - sottolinea la memoria - la maggior parte delle decisioni, in questi ultimi anni, sono conformi, sul punto, all'indirizzo (favorevole alla estensione del reclamo ai provvedimenti decisori) affermato in quella ordinanza, non mancano sentenze che tale estensione escludono, adeguandosi a loro volta alla interpretazione accolta nella sentenza n. 118 del 1963 della Corte costituzionale.

La difesa della ditta Vanelli Macchine, dopo aver accennato alle vicende del giudizio a quo e alle modifiche apportate dal tribunale al piano di riparto predisposto dal giudice delegato, osserva che la interpretazione delle leggi spetta alla Cassazione e dunque la Corte costituzionale, riguardo alla interpretazione della norma impugnata, non potrebbe discostarsi da quella prevalsa nella giurisprudenza della Cassazione. Con la conseguenza che l'art. 26 della legge fallimentare dovrebbe essere senz'altro dichiarato illegittimo.

4. Con ordinanza in data 30 luglio 1975 la questione di legittimità costituzionale, già sollevata dalle Sezioni unite della Corte di cassazione, è stata ritenuta non manifestamente infondata, e perciò sottoposta al giudizio della Corte costituzionale, anche dal tribunale di Firenze, che ha impugnato l'art. 26 della legge fallimentare, in relazione all'art. 23, ultimo capoverso, della stessa legge, per violazione dell'art. 24 della Costituzione, "nella parte in cui assoggetta a reclamo davanti al tribunale fallimentare i provvedimenti decisori emessi dal giudice delegato nelle controversie su diritti soggettivi, senza assicurare adeguata garanzia e sufficiente tutela del diritto di difesa ai titolari dei diritti medesimi".

La questione è stata sollevata, d'ufficio, nel corso dell'esame di un reclamo del curatore del fallimento di Casanova Carolina ed altri, pendente innanzi al suddetto tribunale, avverso il decreto con cui il giudice delegato, in sede di riparto, aveva deciso che non dovessero applicarsi sulle somme da pagare a ex dipendenti della ditta fallita e a professionisti che avevano prestato la loro opera a favore della procedura fallimentare, le ritenute di acconto i.r.p.e.f.

Trattandosi di giudizio vertente senza dubbio su diritti soggettivi, e per di più - si sottolinea - su diritti di terzi non partecipi della procedura fallimentare, in punto di rilevanza il tribunale fa anzitutto presente di non poter pronunciarsi sul reclamo se la questione di legittimità costituzionale formulata, nei termini suesposti, nei confronti dell'art. 26 della legge fallimentare, non venga prima decisa.

Quanto ai motivi della non manifesta infondatezza, dopo aver accennato alle divergenze e alla evoluzione delle interpretazioni giurisprudenziali, dopo la sentenza n. 118 del 1963 della Corte costituzionale, circa la applicabilità del reclamo previsto dall'art. 26 ai provvedimenti decisori (oltre che ordinatori) del giudice delegato, il giudice a quo, sulla base delle argomentazioni svolte nella ordinanza delle Sezioni unite della Corte di cassazione, accede alla tesi della interpretazione estensiva del reclamo ex art. 26 ai provvedimenti decisori del giudice delegato, interpretazione che, affermatasi nella giurisprudenza, va ormai considerata "diritto vivente".

Tuttavia, secondo il tribunale di Firenze, la estensione del reclamo ex art. 26 ai provvedimenti decisori del giudice delegato comporta inevitabilmente, dato il modo con cui il reclamo è regolato nell'art. 26, la illegittimità, in parte qua, della disposizione impugnata. Come infatti fu già chiaramente detto - prosegue il provvedimento di rimessione - nella sentenza n. 118 del 1963 della Corte costituzionale, la regolamentazione del "reclamo al tribunale" nell'art. 26 presenta, riguardo alle esigenze di garanzia del diritto di agire e difendersi in giudizio, di cui all'art. 24 della Costituzione, varie e vistose carenze, non soltanto negli aspetti particolari (brevità del termine e sua decorrenza dalla data del provvedimento indipendentemente dalla effettiva conoscenza che pure - per poterlo impugnare - dovrebbe essere messo in condizione di averne il soggetto colpito), ma per la struttura stessa del reclamo: per la mancanza, cioè, di ogni strumento diretto ad assicurare l'eventuale partecipazione di titolari di diritti soggettivi coinvolti, e quindi per la sommarietà del contraddittorio, per la sede del suo svolgimento e della sua conclusione, per la forma del provvedimento che lo definisce, per la istituzionale non sospensività del gravame.

Notificata, comunicata e pubblicata l'ordinanza nelle forme di rito, nessuna delle parti del processo di provenienza si è costituita innanzi alla Corte. Il Presidente del Consiglio dei ministri non è intervenuto.

5. All'udienza pubblica le difese dell'I.M.I. e della ditta Vanelli, richiamando gli argomenti svolti nelle rispettive memorie, hanno concluso per la fondatezza della questione, mentre la difesa dell'I.N.P.S. ha insistito nella richiesta che la questione sia dichiarata inammissibile per difetto di rilevanza.

Considerato in diritto:

1. Le questioni sottoposte alla Corte dalle due ordinanze, della Corte di cassazione, Sezioni unite civili, e del tribunale di Firenze, sono sostanzialmente identiche, e pertanto i relativi giudizi vengono riuniti per essere decisi con unica sentenza.

2. Il thema decidendum può essere enunciato nei seguenti termini: se sia costituzionalmente illegittimo - per contrasto con l'art. 24 della Costituzione - l'art. 26 della legge fallimentare (r.d. 16 marzo 1942, n. 267, "Disciplina del fallimento, del concordato preventivo, dell'amministrazione controllata e della liquidazione coatta amministrativa"), in relazione all'art. 23 della stessa legge, nella parte in cui assoggetta a reclamo al collegio del tribunale, regolandolo nel modo ivi previsto, i provvedimenti decisori emessi dal giudice delegato in materia di piani di riparto dell'attivo.

Ben vero che i provvedimenti di rimessione delineano la questione, nel motivarne la non manifesta infondatezza, con più ampio riferimento ai "provvedimenti decisori emessi dal giudice delegato nelle controversie su diritti soggettivi attribuite alla cognizione e decisione di esso nelle ipotesi tipiche previste dalla legge" (ordinanza della Corte di cassazione), ed ai "provvedimenti decisori emessi dal giudice delegato sulle controversie su diritti soggettivi" (ordinanza del tribunale di Firenze). Ma questa Corte, nei cui compiti rientra - come affermato dalla sua giurisprudenza (da ultimo sentenze nn. 137 e 151 del 1980) - precisare l'oggetto della questione sottoposta al suo esame, considera, secondo quanto esplicitamente risulta dalle stesse ordinanze, che nel giudizio pendente innanzi alla Corte di cassazione il provvedimento, contro il quale era stato esperito il reclamo di cui all'art. 26 della legge fallimentare, era il decreto con il quale il giudice delegato, tenuto conto delle osservazioni dei creditori, "stabilisce il piano di riparto, rendendolo esecutivo" (art. 110, ultimo comma, della stessa legge); e che nell'altro giudizio a quo, pendente innanzi al tribunale di Firenze, il reclamo era stato proposto dal curatore del fallimento contro il decreto con il quale il giudice delegato, in sede di riparto dell'attivo, aveva disposto che il pagamento ai creditori ammessi al passivo per prestazioni di lavoro subordinato alle dipendenze dell'impresa fallita, fosse effettuato senza operare alcuna ritenuta a titolo di acconto dell'i.r.p.e.f. dovuta dai percipienti. Ritiene, pertanto, la Corte, che la questione di legittimità costituzionale del reclamo previsto dall'art. 26 in parola, non debba essere trattata con riferimento a qualsiasi provvedimento decisorio del giudice delegato (cerchia alquanto eterogenea), ma debba essere puntualmente circoscritta nei termini sopra indicati, e cioè con riferimento ai provvedimenti decisori che il giudice delegato adotta, ai sensi degli articoli 110 segg. della legge fallimentare, in sede di ripartizione dell'attivo.

3. Preliminarmente occorre esaminare l'eccezione di inammissibilità per difetto di rilevanza della sollevata questione, opposta - nel giudizio instaurato a seguito dell'ordinanza della Corte di cassazione - dalla difesa dell'Istituto Nazionale della Previdenza Sociale (I.N.P.S.), sia nell'atto di costituzione che alla pubblica udienza.

L'I.N.P.S., come esposto in narrativa, obietta che la questione di legittimità costituzionale dell'art. 26 della legge fallimentare, essendo basata sull'asserito contrasto con l'art. 24 della Costituzione, non poteva venir sollevata se non con riferimento "alla parte reclamante, il cui diritto a difesa potrebbe essere compromesso dalle limitazioni dell'art. 26"; mentre, nel caso di specie, "reclamante era l'I.N.P.S. e non l'I.M.I., ed il fatto stesso che il reclamo sia stato accolto dimostra che il diritto a difesa del reclamante è stato tutelato".

Ma in punto di rilevanza il giudice a quo ha diffusamente motivato, deducendo che, qualora la questione fosse riconosciuta fondata, il provvedimento impugnato dovrebbe essere cassato senza rinvio, con l'assorbimento di ogni altra censura, mentre, nella ipotesi della non fondatezza, il primo motivo del ricorso dell'Istituto Mobiliare Italiano (I.M.I.) dovrebbe essere disatteso. Per quanto in particolare concerne il ricorso incidentale della ditta Vanelli, la sollevata questione sarebbe poi rilevante in modo più specifico, con riferimento peculiare alla disposizione dell'impugnato art. 26, che individua nella "data del decreto", a prescindere dalla effettiva conoscenza di questo da parte dell'interessato, il dies a quo di decorrenza del termine di tre giorni, utile per la proposizione del reclamo: termine che nella specie la parte non ha rispettato. Sicché, ove la questione fosse dichiarata non fondata, la Corte di cassazione dovrebbe rilevare d'ufficio la preclusione formatasi sul decreto del giudice delegato per mancanza di tempestiva impugnazione, con conseguente declaratoria di inammissibilità del ricorso successivamente proposto.

La Corte ritiene che gli argomenti addotti dalla difesa dell'I.N.P.S. a sostegno della eccezione di irrilevanza, trovino nella motivazione del provvedimento di rimessione puntuale ed esauriente confutazione. È poi appena il caso di osservare che la questione sollevata dalla Corte di cassazione nei confronti dell'art. 26 della legge fallimentare non investe solo il previsto termine di tre giorni e la sua decorrenza dalla data del decreto del giudice delegato, ma anche la regolamentazione del procedimento nel suo complesso, il che non riguarda, ovviamente, il solo reclamante ma tutte le parti interessate.

In proposito devesi richiamare la costante giurisprudenza di questa Corte (da ultimo, sentenza n. 174 del 1980), secondo la quale il giudizio sulla rilevanza di una questione di legittimità costituzionale rientra nella primaria competenza del giudice a quo. La cui motivazione sul punto è suscettibile di sindacato soltanto "qualora risulti chiaramente viziata nell'impostazione e nel procedimento, e ne derivi, pertanto, l'evidente esclusione del carattere di necessaria pregiudizialità della soluzione della questione di legittimità rispetto alla decisione del merito" (sentenza n. 19 del 1978), il che non ricorre nel caso in esame. L'eccezione di inammissibilità va dunque respinta, avendo il giudice a quo motivato sulla rilevanza in modo specifico e adeguato.

4. La questione è fondata.

Giova, in proposito, prender le mosse dalla sentenza di questa Corte n. 118 del 1963, alla quale ripetutamente fan richiamo i provvedimenti di rimessione. In quell'occasione il giudice a quo - investito della opposizione ad un decreto del giudice delegato che, in applicazione degli artt. 77 e 150 della legge fallimentare, aveva ingiunto ad un associato in partecipazione di versare la parte ancora dovuta dei conferimenti, nei limiti delle perdite a suo carico - aveva dubitato della legittimità costituzionale degli artt. 23, ultimo comma, e 26, primo comma, nella parte che recita: "entro tre giorni dalla data del decreto", e secondo comma, della legge medesima, in riferimento agli artt. 24, primo comma, e 111, secondo comma, della Costituzione. Ma la Corte dichiarò non fondata la questione, ritenendo che le disposizioni impugnate dovessero necessariamente interpretarsi nel senso che il meccanismo, da esse delineato, non fosse applicabile ai provvedimenti, come quello allora contestato, "emessi dal giudice delegato nell'esercizio di funzioni di cognizione, aventi per oggetto diritti soggettivi": ciò essendo escluso "sia dalla stessa struttura del reclamo ... sia dalle forme o dalle garanzie di tutela dei diritti soggettivi, assicurate dall'ordinamento generale". L'opposta interpretazione data dal giudice a quo avrebbe invero condotto, ad avviso della Corte, a situazioni nelle quali si sarebbe verificata "non già una limitazione o un affievolimento dei diritti soggettivi, ma addirittura l'impossibilità di una loro tutela giurisdizionale".

Senonché, le Sezioni unite della Corte di cassazione - alle quali il ricorso dell'I.M.I. è stato deferito ai sensi dell'art. 374, comma secondo, del codice di procedura civile, trattandosi di questione di diritto già decisa in senso difforme dalle Sezioni semplici - nella loro ordinanza, richiamando giurisprudenza "largamente prevalente", hanno invece ritenuto esperibile il reclamo ex art. 26 anche nelle controversie su diritti soggettivi tipicamente attribuite dalla legge al giudice delegato; ed hanno affermato che, nella specie, il decreto di approvazione del piano di riparto rientra appunto in una delle ipotesi tipiche, in cui sono al giudice delegato attribuiti dalla legge poteri cognitori e decisori in controversie su diritti soggettivi, senza che sia insieme previsto uno specifico mezzo di gravame, dovendo pertanto riconoscersi che contro il decreto medesimo è esperibile il reclamo in parola. La medesima interpretazione delle denunciate norme vien posta a base dell'ordinanza del tribunale di Firenze, che in proposito fa puntuale riferimento all'ordinanza delle Sezioni unite della Corte di cassazione. Gli stessi orientamenti interpretativi, del resto, risultano più volte ribaditi e nettamente preponderanti nella giurisprudenza successiva alle ordinanze di rinvio.

Non v'ha allora dubbio che, in tal modo interpretate ed applicate, le disposizioni impugnate vivono nella realtà concreta in modo incompatibile con il precetto dell'art. 24 della Costituzione.

5. Suffraga la pronuncia di fondatezza della sollevata questione innanzi tutto la natura decisoria dei provvedimenti che il giudice delegato adotta in sede di ripartizione delle attività fallimentari, in applicazione degli artt. 110 e seguenti della legge fallimentare. Oggetto della cognizione del giudice è, infatti, l'ordine tra i vari creditori, quale disciplinato dall'art. 111, integrato dagli artt. 2777 - 2783 del codice civile, come modificati dalla legge 29 luglio 1975, n. 426, in materia di privilegi. Ben vero che il riparto ha per presupposto le situazioni consolidatesi nella procedura di accertamento del passivo, ma ciò non toglie al decreto di esecutività del riparto quel carattere di novità, consistente nell'accertamento dell'ordine tra i creditori concorsuali, in difetto del quale l'ammissione al passivo non legittima alla collocazione sulle somme disponibili.

Si verte, dunque, nell'ambito di diritti soggettivi, la cui tutela è resa impossibile, o quanto meno estremamente difficile, dalla eccessiva brevità del termine (appena "tre giorni") previsto dall'art. 26 per l'esperimento del reclamo; nonché dalla sua decorrenza "dalla data del decreto", indipendentemente dalla conoscenza di esso da parte dell'interessato. Con il che resta evidentemente vulnerato - come già sottolineato nella ricordata sentenza di questa Corte n. 118 del 1963 - il diritto di difesa costituzionalmente garantito, il cui effettivo esercizio postula appunto che il termine di decadenza dall'impugnazione sia congruo, e che decorra dal momento in cui l'interessato all'impugnativa abbia avuto notizia della emanazione dell'atto impugnabile, o quanto meno tale notizia abbia attinto un livello di conoscibilità da parte dell'interessato medesimo.

La stessa "struttura" del procedimento di reclamo ex artt. 23 e 26, inoltre, non assicura adeguata tutela giurisdizionale ai diritti soggettivi coinvolti nella ripartizione delle attività fallimentari. Significativa, al riguardo, è soprattutto la sommarietà del contraddittorio propria di siffatto procedimento, essendo previsto che il tribunale investito del reclamo abbia soltanto la facoltà, e non l'obbligo, di sentire in camera di consiglio le parti; e ciò - come giustamente rileva la Corte di cassazione - dopo una prima fase cognitoria innanzi al giudice delegato "parimenti, quando non maggiormente, sommaria". Né di minor rilievo appare la forma del provvedimento che definisce il procedimento di reclamo: decreto, per il quale - come rilevato dalla sentenza n. 118 del 1963 - "non si richiede motivazione".

Per le su esposte considerazioni la Corte ritiene che la disposizione dettata dall'art. 26 della legge fallimentare, in relazione all'art. 23 della stessa legge, nella parte in cui, secondo l'accolta interpretazione, prevede la esperibilità del reclamo al tribunale fallimentare contro i provvedimenti decisori emessi dal giudice delegato in materia di piani di riparto, regolandolo nel modo ivi previsto, contrasti con l'art. 24 della Costituzione, in quanto non vengono adeguatamente garantiti né l'effettivo esercizio dell'azione in giudizio, né la difesa della parte nel corso del procedimento; e pertanto ne va dichiarata la illegittimità costituzionale.

Quale sia, poi, il rimedio che il vigente ordinamento appresta - una volta escluso il reclamo come strutturato dall'art. 26 in relazione all'art. 23 - per la tutela dei diritti soggettivi che si assumano lesi dai suddetti provvedimenti adottati dal giudice delegato in materia di piani di riparto delle attività fallimentari, è questione ermeneutica che non compete a questa Corte risolvere. Sempre che il legislatore non ritenga poi di por mano ad un opportuno riassetto della intera materia delle procedure concorsuali, traendo occasione dalle segnalazioni che la Corte gli ha rivolto con le sentenze nn. 152 e 155 del 1980 a proposito di altre disposizioni della stessa legge.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la illegittimità costituzionale dell'art. 26, in relazione all'art. 23, del r.d. 16 marzo 1942, n. 267 (Disciplina del fallimento, del concordato preventivo, dell'amministrazione controllata e della liquidazione coatta amministrativa), nella parte in cui assoggetta al reclamo al tribunale, disciplinato nel modo ivi previsto, i provvedimenti decisori emessi dal giudice delegato in materia di piani di riparto dell'attivo.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 5 marzo 1981.

F.to: LEONETTO AMADEI - GIULIO GIONFRIDA - EDOARDO VOLTERRA - MICHELE ROSSANO - ANTONINO DE STEFANO - LEOPOLDO ELIA - GUGLIELMO ROEHRSSEN - ORONZO REALE - BRUNETTO BUCCIARELLI DUCCI - ALBERTO MALAGUGINI - LIVIO PALADIN - ARNALDO MACCARONE - ANTONIO LA PERGOLA - VIRGILIO ANDRIOLI.

GIOVANNI VITALE - Cancelliere