N. 35
SENTENZA 12 FEBBRAIO 1981
Deposito in cancelleria 16 febbraio 1981.
Pubblicazione in "Gazz. Uff." n. 63 del 4 marzo 1981.
Pres. AMADEI - Rel. PALADIN
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori: Avv. LEONETTO AMADEI, Presidente - Dott. GIULIO GIONFRIDA - Prof. EDOARDO VOLTERRA - Dott. MICHELE ROSSANO - Prof. ANTONINO DE STEFANO - Prof. LEOPOLDO ELIA - Avv. ORONZO REALE - Dott. BRUNETTO BUCCIARELLI DUCCI - Avv. ALBERTO MALAGUGINI - Prof. LIVIO PALADIN - Dott. ARNALDO MACCARONE - Prof. ANTONIO LA PERGOLA - Prof. VIRGILIO ANDRIOLI - Prof. GIUSEPPE FERRARI, Giudici,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale della legge 8 marzo 1951, n. 122 (Norme per la elezione dei Consigli provinciali), modif. dalle leggi 10 settembre 1960, n. 962, e 10 agosto 1964, n. 663; dell'art. 119 del d.P.R. 30 marzo 1957, n. 361 (Approvazione del testo unico delle leggi recanti norme per la elezione della Camera dei Deputati), anche in relazione al d.P.R. 16 maggio 1960, n. 570, alla legge 8 marzo 1951, n. 122, alla legge 17 febbraio 1968, n. 108, ed alla legge 23 luglio 1973, n. 9, della Regione Trentino - Alto Adige; del d.P.R. 16 maggio 1960, n. 570 (Testo unico delle leggi per la composizione e la elezione degli organi delle amministrazioni comunali) anche in relazione all'art. 119 del d.P.R. 30 marzo 1957, n. 361; dell'art. 2 della legge 5 agosto 1962, n. 1257 (Norme per l'elezione del Consiglio regionale della Valle d'Aosta); dell'articolo 3 della legge 3 febbraio 1964, n. 3 (Norme per la elezione e la convocazione del primo Consiglio regionale del Friuli - Venezia Giulia e disciplina delle cause di ineleggibilità ed incompatibilità e del contenzioso elettorale); della legge 17 febbraio 1968, n. 108 (Norme per la elezione dei Consigli regionali delle Regioni a statuto normale); dell'art. 50 della legge 25 maggio 1970, n. 352 (Norme sui referendum previsti dalla Costituzione e sulla iniziativa legislativa del popolo); dell'art. 79 della legge della Regione Sardegna 23 marzo 1961, n. 4 (Norme per l'elezione del Consiglio regionale); dell'art. 49 della legge della Regione Friuli - Venezia Giulia 27 marzo 1968, n. 20 (Legge elettorale regionale); della legge della Regione Trentino - Alto Adige 23 luglio 1973, n. 9 (Modifiche ed integrazioni alla legge regionale 20 agosto 1952, n. 24, e successive modificazioni, concernenti l'elezione del Consiglio regionale), promossi con ordinanze emesse dai Pretori di Cittadella il 4 dicembre 1975, di Bassano del Grappa il 27 settembre 1975, di San Miniato il 21 gennaio 1976, di Viareggio il 25 marzo 1976, di Genova il 17 marzo 1976, di Castelnuovo Garfagnana il 24 marzo 1976, di Busto Arsizio il 13 dicembre 1976, di Gavirate il 25 maggio 1977, di Massa il 5 luglio 1977, di Reggio Calabria il 22 aprile 1977, dal Tribunale di Verbania l'11 gennaio 1979 e dal Pretore di Casoria il 28 maggio 1979, rispettivamente iscritte ai nn. 42, 228, 262, 380, 391 e 466 del registro ordinanze 1976, ai nn. 80, 371, 456 e 583 del registro ordinanze 1977 ed ai nn. 258 e 523 del registro ordinanze 1979 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 72, 118, 132, 164, 177 e 239 del 1976, nn. 100, 279 e 320 del 1977, n. 53 del 1978 e nn. 154 e 251 del 1979.
Visti gli atti di costituzione della Soc. p.a. Breco's, della Soc. p.a. O.M.S.A., di Di Ceglie Domenico e Ardone Carlo, della Soc. p.a. Muzzi - Gessner e della Regione Friuli - Venezia Giulia;
visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell'udienza pubblica del 10 dicembre 1980 il Giudice relatore Livio Paladin;
uditi gli avvocati Francesco Paolo Fornario per la Soc. p.a. Breco's e per la Soc. p.a. Muzzi - Gessner e Luciano Ventura per Di Ceglie Domenico e Ardone Carlo;
udito l'avvocato dello Stato Giorgio Azzariti per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto:
1. - Dodici ordinanze di varie autorità giudiziarie considerano lesive del principio costituzionale di eguaglianza (nonché, ma limitatamente ad alcune fra le ordinanze stesse, dell'art. 51 Cost.) il diverso trattamento dei componenti gli uffici elettorali, secondo che si tratti dell'elezione della Camera dei deputati (e di altre elezioni assimilate a questi effetti) o dell'elezione dei Consigli comunali (e di altre elezioni che, sul punto, siano disciplinate in base al d.P.R. 16 maggio 1960, n. 570).
Da un lato, infatti, l'art. 119 del testo unico delle leggi recanti norme per l'elezione della Camera (d.P.R. 30 marzo 1957, n. 361) stabilisce che, "in occasione delle elezioni politiche", ai lavoratori dipendenti "chiamati ad adempiere funzioni presso gli Uffici elettorali" spettino - a carico dei pubblici e privati datori di lavoro - "tre giorni di ferie retribuite, senza pregiudizio delle ferie spettanti ai sensi di legge o di accordi sindacali in vigore". D'altro lato, nessuna disposizione del genere si ritrova nel testo unico delle leggi per la composizione e la elezione degli organi delle Amministrazioni comunali (d.P.R. n. 570/1960 cit.).
2. - Precisamente, con ordinanza emessa il 4 dicembre 1975, il Pretore di Cittadella impugna in tal senso - per preteso contrasto con gli artt. 3 e 51 Cost. - l'art. 26 del d.P.R. n. 570 del 1960 (sul trattamento dovuto ai presidenti dei relativi uffici elettorali di sezione, nonché agli scrutatori ed ai segretari), "nella parte in cui non dispone, diversamente dall'art. 119 del d.P.R. 30 marzo 1957, n. 361, la corresponsione di tre giorni di ferie" a favore del dipendente interessato. Identica, invero, sarebbe la funzione spettante agli uffici elettorali, tanto nel caso di elezioni amministrative quanto in ordine ad elezioni politiche; ed "egualmente obbligatorio" risulterebbe l'ufficio in questione, per le persone designate ad adempierlo.
A sua volta, il Pretore di Castelnuovo Garfagnana - con ordinanza emessa il 24 marzo 1976 - ha sollevato analoga questione di legittimità costituzionale nei riguardi dell'art. 20 del d.P.R. n. 570 del 1960 (sulla composizione degli uffici elettorali): imputando a questa norma, in asserita violazione dell'art. 3 Cost., il fatto di non aver previsto "anche per le elezioni amministrative la corresponsione di tre giorni di ferie retribuite ai componenti degli uffici elettorali che siano dipendenti privati". Il medesimo articolo è stato inoltre impugnato - in riferimento agli artt. 3 e 51, primo comma, della Costituzione - mediante l'ordinanza emessa il 22 aprile 1977 dal Pretore di Reggio Calabria.
Ancora, la ricordata disparità di trattamento ha indotto il Pretore di Gavirate a promuovere, mediante un'ordinanza emessa il 25 maggio 1977, questione di legittimità costituzionale dell'intero d.P.R. 16 maggio 1970 (rectius: 1960), n. 570, nonché della legge 8 marzo 1951, n. 122, e successive modificazioni (in tema di elezione dei Consigli provinciali), con riferimento all'art. 3, primo comma, della Costituzione.
3. - Per converso, il Pretore di San Miniato, con ordinanza emessa il 21 gennaio 1976, ha sostenuto che, "tanto nelle elezioni politiche generali quanto nelle elezioni regionali, provinciali e comunali, viene sempre in considerazione l'esercizio del diritto di voto da parte del cittadino e l'espressione della volontà del popolo sovrano"; ma ha, per conseguenza, impugnato lo stesso art. 119 del d.P.R. n. 361 del 1957, ritenendolo lesivo del primo e del secondo comma dell'art. 3 Cost., "limitatamente alla parola " politiche " o comunque nella parte in cui non prevede la concessione di tre giorni di ferie retribuite anche in occasione delle elezioni comunali, provinciali e/o regionali".
Sulla base di analoghe motivazioni, la medesima norma è stata inoltre impugnata dal Pretore di Genova, con ordinanza del 17 marzo 1976, che per altro si riferisce al solo primo comma dell'art. 3 Cost.; dal Pretore di Massa e dal Tribunale di Verbania - con ordinanze rispettivamente emesse il 5 luglio 1977 e l'11 gennaio 1979 - che ipotizzano invece la violazione del secondo comma dell'art. 3; ed infine dal Pretore di Casoria, che ripropone negli identici termini - con ordinanza del 28 maggio 1979 - l'impugnativa del Pretore di San Miniato.
4. - Più comprensivamente, il Pretore di Bassano del Grappa - con ordinanza emessa il 27 settembre 1975 - ritiene che l'intera legislazione elettorale sia viziata dal diverso trattamento dei componenti i rispettivi uffici elettorali; e pertanto impugna - in riferimento all'art. 3 Cost. - sia l'art. 119 del d.P.R. n. 361 del 1957 (come pure l'art. 50 della legge 25 maggio 1970, n. 352, sulla disciplina dei referendum popolari, l'art. 3 della legge 3 febbraio 1964, n. 3, sull'elezione del primo Consiglio regionale del Friuli - Venezia Giulia, l'art. 49 della legge 27 marzo 1968, n. 20, della Regione Friuli - Venezia Giulia, sulle successive elezioni consiliari, l'art. 79 della legge 23 marzo 1961, n. 4, della Regione Sardegna, sempre in tema di elezione del Consiglio regionale, nonché l'art. 2 della legge 5 agosto 1962, n. 1257, sull'elezione del Consiglio regionale della Valle d'Aosta), sia l'intero d.P.R. n. 570 del 1960, come pure la legge 8 marzo 1951, n. 127 (rectius: n. 122), la legge 17 febbraio 1968, n. 108, sull'elezione dei Consigli regionali delle Regioni a statuto normale, nonché la legge 23 luglio 1973, n. 9, della Regione Trentino-Alto Adige, sull'elezione del relativo Consiglio regionale: che sarebbero tutti lesivi del principio di eguaglianza, "nel punto in cui discriminano i cittadini chiamati allo svolgimento delle funzioni di presidente, scrutatore, segretario e rappresentante di lista o di candidati, stabilendo o meno il diritto al compenso di tre giornate di ferie retribuite a seconda del tipo di elezioni".
Nel medesimo tempo, tuttavia, il Pretore di Bassano del Grappa dubita che l'art. 119 del testo unico per l'elezione della Camera (e le corrispondenti norme di richiamo, contenute nelle altre leggi elettorali testé ricordate) siano in contrasto con gli artt. 3 e 53 Cost., là dove stabiliscono "a carico dei datori di lavoro pubblico o privato, anziché della pubblica amministrazione, il compenso pari a tre giorni di ferie retribuite a favore dei loro dipendenti chiamati a svolgere ... funzioni pubbliche ... negli uffici elettorali"; e dubita inoltre che le norme stesse contraddicano l'art. 51 Cost., "in quanto prevedono il compenso suindicato a favore di persone e per l'esercizio di funzioni pubbliche, per le quali può essere concessa solo una indennità".
Limitatamente al primo ordine di questioni, sul medesimo piano dell'ordinanza del Pretore di Bassano del Grappa si colloca l'ordinanza 13 dicembre 1976 del Pretore di Busto Arsizio: nella quale si impugnano - per pretesa violazione dell'art. 3 Cost. - sia l'art. 119 del d.P.R. n. 361 del 1957 e l'art. 50 della legge n. 352 del 1970, sia l'intero d.P.R. n. 570 del 1960, nonché le intere leggi n. 127 (rectius: n. 122) del 1951 e n. 108 del 1968.
Infine, l'ordinanza 25 marzo 1976 del Pretore di Viareggio impugna da un lato - in riferimento al primo comma dell'art. 3 Cost. - il d.P.R. n. 570 del 1960, la legge n. 122 del 1951, la legge n. 108 del 1968; e, d'altro lato, solleva invece questione di legittimità costituzionale dell'art. 119 del d.P.R. n. 361 del 1957 - in riferimento agli artt. 3, primo comma, e 53, primo comma, della Costituzione - "perché pone un onere economico relativo alla partecipazione dei lavoratori dipendenti al munus publicum elettorale a carico dei datori di lavoro anziché a carico dello Stato quale espressione della collettività": ma ciò, nel solo "caso di accoglimento della eccezione di incostituzionalità sopra sollevata".
5. - In tutti i giudizi è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura dello Stato.
Quanto alle questioni concernenti la censurata disparità di trattamento fra lavoratori dipendenti, rispettivamente impegnati in elezioni amministrative (oppure regionali) e in elezioni politiche, l'Avvocatura ne afferma l'infondatezza, notando come la differenziazione sia giustificata dal fatto che le elezioni politiche "coinvolgono i fini generali del paese"; tanto è vero che, in ordine ad esse, il legislatore ha stabilito "una più severa tutela penale, sanzionando l'obbligatorietà del voto" e "dettando particolari disposizioni per assicurare la partecipazione ... del personale civile e militare dello Stato".
Quanto invece alle impugnative promosse dal Pretore di Bassano del Grappa, l'Avvocatura contesta anzitutto la rilevanza di quelle che hanno di mira gli obblighi imposti ai datori di lavoro anziché alla pubblica amministrazione; nel caso in esame sarebbe stato pacifico - infatti - doversi applicare la legge n. 108 del 1968, la quale non impone al datore di lavoro la corresponsione di alcun compenso a favore dei dipendenti chiamati ad adempiere funzioni elettorali. Comunque, la questione della legittimità di tale corresponsione - quale è stata sollevata oltre che dal Pretore di Bassano del Grappa, dal Pretore di Viareggio - dovrebbe dirsi infondata (ed anzi, sarebbe già stata ritenuta manifestamente infondata dalla Corte di cassazione): poiché l'obbligo di corrispondere la retribuzione contestata dal giudice a quo "rientra puntualmente" - si afferma nell'atto di intervento - "nel sistema del diritto del lavoro". D'altra parte, sarebbe quanto meno dubbio che la disciplina dettata dall'art. 119 del testo unico delle leggi per l'elezione della Camera dei deputati si applichi anche alle elezioni dei Consigli del Friuli - Venezia Giulia e della Sardegna, in virtù dei generici rinvii operati dalle rispettive leggi regionali. E si dovrebbe in ogni caso ritenere irrilevante l'impugnativa di una legge statale non più in vigore, come quella che ha regolato la prima elezione del Consiglio della Regione Friuli - Venezia Giulia.
Nemmeno sarebbe sostenibile - secondo l'Avvocatura dello Stato - la violazione dell'art. 51 Cost., che garantisce a chi deve svolgere funzioni pubbliche elettive il "diritto di disporre del tempo necessario al loro adempimento e di conservare il ... posto di lavoro senza stabilire alcun diritto di compenso": giacché nel caso in esame non si tratterebbe di funzioni pubbliche elettive, bensì di "incarichi ... di funzioni elettorali", che non potrebbero considerarsi necessariamente gratuite, in forza dell'art. 51.
6. - Si è costituita, quanto al giudizio promosso dal Pretore di Bassano del Grappa, la Regione Friuli - Venezia Giulia, per chiedere che questa Corte dichiari "inammissibile ed irrilevante od infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 49 della legge regionale elettorale del Friuli-Venezia Giulia, n. 20 del 27 marzo 1968": inammissibile, perché quella impugnata sarebbe "una norma di rinvio formale" alle disposizioni che regolano l'elezione della Camera dei deputati; irrilevante, perché nella specie la norma non potrebbe trovare applicazione; infondata, per le stesse ragioni già svolte dall'Avvocatura dello Stato.
Nel medesimo giudizio s'è inoltre costituita, fuori termine, la convenuta società Breco's, che invece argomenta l'irrilevanza (e comunque sostiene l'infondatezza) della questione di legittimità costituzionale della legge n. 108 del 1968, nella parte concernente la mancata previsione di tre giorni di ferie retribuite a favore dei rappresentanti di lista: cui già spetterebbero i compensi che ciascun partito corrisponde ai propri rappresentanti, valendosi dell'apposito contributo disposto dalla legge n. 195 del 1974. Giustamente, per contro, il giudice a quo avrebbe messo in dubbio la legittimità della disciplina riguardante le elezioni politiche, là dove essa imporrebbe oneri incostituzionali a carico dei soli datori di lavoro.
Quanto al giudizio pendente dinanzi al pretore di Genova, si sono costituiti sia gli attori Domenico Di Ceglie e Carlo Ardone, sia la convenuta società O.M.S.A. I primi aderiscono in toto alle argomentazioni del giudice a quo. La seconda eccepisce, viceversa, l'inammissibilità dell'impugnativa dell'art. 119 del d.P.R. n. 361 del 1957, posto che il giudizio a quo riguarderebbe lavoratori chiamati a svolgere funzioni elettorali in occasione di elezioni regionali e provinciali. Nel merito, la questione sarebbe comunque infondata, poiché il principio di eguaglianza sarebbe stato pienamente rispettato: tutti i cittadini coinvolti nelle operazioni elettorali politiche avrebbero infatti diritto a tre giorni di ferie retribuite; mentre nessun cittadino godrebbe di diritti del genere, in ordine alle elezioni amministrative e regionali.
Si è infine costituita la società Muzzi - Gessner, convenuta nel giudizio pendente dinanzi al pretore di Busto Arsizio. Con due consecutive memorie, tale società deduce anzitutto l'irrilevanza delle proposte questioni, nella parte concernente i rappresentanti di lista o di candidato, dal momento che lo stesso ricorrente nel giudizio a quo dichiara di aver svolto funzioni di scrutatore. In ogni caso, le questioni sarebbero infondate: sia perché norme eccezionali, come quella dettata dall'art. 119 del d.P.R. n. 361 del 1957, non si presterebbero ad essere estese dalla Corte, in applicazione dell'art. 3 Cost.; sia perché l'astensione del lavoratore dal servizio, per quanto dovuta a causa di forza maggiore, non comporterebbe - secondo i vigenti principi generali - il diritto di percepire la retribuzione relativa al periodo dell'astensione stessa.
7. - Già chiamate e discusse nella pubblica udienza del 19 marzo 1980, le cause sono state rinviate a nuovo ruolo - per effetto dell'ordinanza n. 145 del 1980 - e quindi ridiscusse nella pubblica udienza del 10 dicembre 1980.
Considerato in diritto:
1. - I dodici giudizi possono essere congiuntamente decisi, in quanto le ordinanze di rimessione si riferiscono tutte ad una comune problematica, malgrado la molteplicità delle norme (o delle discipline normative), volta per volta impugnate dai giudici a quibus. Vero è che tutte le ordinanze sono state emesse nel corso di procedimenti instaurati da lavoratori dipendenti che avevano svolto funzioni presso uffici elettorali (quali presidenti di seggio, scrutatori o rappresentanti di lista), in occasione di elezioni comunali o provinciali o regionali; e pertanto pretendevano il pagamento di una somma corrispondente a tre giorni di ferie da parte dei rispettivi datori di lavoro. Espressamente od implicitamente, secondo le diverse ipotesi, tutte le ordinanze procedono inoltre dalla premessa interpretativa per cui la previsione di tre "giorni di ferie retribuite" - contenuta nell'art. 119 del testo unico delle leggi recanti norme per la elezione della Camera dei deputati (d.P.R. 30 marzo 1957, n. 361), circa i lavoratori dipendenti "chiamati ad adempiere funzioni presso gli Uffici elettorali", "in occasione delle elezioni politiche" - avrebbe natura eccezionale o quanto meno speciale, perché derogante "al principio generale della sinallagmaticità del contratto di lavoro" (come si rileva nell'ordinanza 27 settembre 1975 del pretore di Bassano del Grappa); e dunque sarebbe inapplicabile per analogia, al di fuori dei casi specificamente riguardati dal legislatore. Per altro, tutti i giudici a quibus ipotizzano - anche se alcune ordinanze ne traggono lo spunto per sollevare ulteriori questioni di legittimità costituzionale, talvolta di segno diverso ed opposto - che la conseguente disparità di trattamento fra i componenti gli uffici elettorali contraddica l'art. 3 della Costituzione: in quanto incompatibile sia con il principio generale di eguaglianza, sia con l'esigenza - basata sul secondo comma dell'articolo stesso, cui certe ordinanze fanno esplicito richiamo - che i lavoratori impegnati nell'esercizio di funzioni elettorali non subiscano svantaggi di ordine economico, tali da pregiudicare la loro "effettiva partecipazione ... all'organizzazione politica ... del Paese".
2. - Fermo rimane, però, che il complesso delle norme od anche degli interi testi normativi, impugnati con questo fondamento dalle varie ordinanze di rimessione, si presenta estremamente eterogeneo: da una parte vi rientrano, infatti, l'art. 119 del d.P.R. n. 361 del 1957, come pure la serie delle norme, statali o regionali, che fanno generico rinvio alle disposizioni del testo unico delle leggi per l'elezione della Camera; dall'altra parte esso abbraccia, viceversa, il d.P.R. 16 maggio 1960, n. 570, contenente il testo unico delle leggi per la composizione e la elezione degli organi delle Amministrazioni comunali (che viene talvolta impugnato integralmente, talvolta con particolare riguardo agli artt. 20 e 26), come pure una serie di altre leggi, statali e regionali, che per integrare le rispettive discipline elettorali rimandano alle "norme stabilite per le elezioni dei Consigli comunali" (secondo il disposto già dettato dall'art. 8 cpv. della legge 8 marzo 1951, n. 122, quanto all'elezione dei Consigli provinciali, quindi ripreso - fra l'altro - dall'art. 1, ultimo comma, della legge 17 febbraio 1968, n. 108, quanto all'elezione dei Consigli regionali nelle Regioni a statuto ordinario).
Ora, è manifesto che la Corte non potrebbe sindacare, congiuntamente e contemporaneamente, la legittimità di tutto questo insieme di normative e di norme, là dove si tratta pur sempre di risolvere - almeno in prima linea - un solo problema di legittimità costituzionale; vale a dire, se possa dirsi conforme all'art. 3 Cost. il divario riscontrabile, secondo le specie di elezioni, nel trattamento dei componenti i relativi uffici elettorali. A1 contrario, è compito della Corte definire anzitutto i termini della questione: cioè precisare se esista e quale sia la norma fra le tante che nella presente occasione sono state messe in gioco, che si presti - in ipotesi - a formare l'oggetto d'una decisione di accoglimento additivo del tipo prospettato dai giudici a quibus, per colmare la mancata previsione d'un compenso pari a tre giorni di ferie retribuite, relativamente alle elezioni comunali, provinciali e regionali.
Ciò posto, tale norma va senz'altro identificata nell'art. 119 del d.P.R. n. 361 del 1957. Pur contenuto in un atto normativo intitolato alla sola elezione della Camera dei deputati, è questo - infatti - l'unico disposto che preveda il beneficio della corresponsione di tre giorni di ferie retribuite, circoscrivendo la propria disciplina in vista dei componenti gli uffici elettorali costituiti in occasione di elezioni politiche (e, per ciò stesso, escludendo i componenti di tutti gli uffici residui). Né si rivela casuale, in tal senso, che a sanare la pretesa violazione del principio di eguaglianza basti far cadere da quel testo l'aggettivo "politiche" - secondo l'espressa richiesta delle. ordinanze emesse dai pretori di San Miniato e di Casoria - senza nemmeno ricorrere ad un dispositivo che integri o manipoli il testo medesimo.
Corrispondentemente, dev'essere invece dichiarata l'inammissibilità delle impugnative concernenti il d.P.R. n. 570 del 1960, nonché le altre leggi elettorali collegate. A dimostrazione della difficoltà di proporre in questi termini una ben definita questione di legittimità costituzionale, sta il fatto stesso dell'impugnazione dell'intero decreto n. 570 (o, meglio, delle complessive disposizioni di legge che vi sono riprodotte), nonché di altre leggi globalmente riguardate (n. 122 del 1951, in tema di elezioni regionali nelle Regioni a statuto ordinario; n. 9 del 1973, contenente la legge elettorale per il Consiglio del Trentino - Alto Adige): come si verifica nei dispositivi delle ordinanze emesse dai pretori di Bassano del Grappa, di Viareggio, di Busto Arsizio e di Gavirate, che in sostanza imputano a tali atti normativi ciò che essi dovevano disporre e non hanno disposto - in una parte qualsiasi dei loro stessi testi - per conformarsi all'art. 119 del d.P.R. n. 361 del 1957. D'altro canto, le conclusioni non mutano per quelle ordinanze che, più puntualmente, hanno impugnato l'art. 20 oppure l'art. 26 del d.P.R. n. 570 del 1960. Limitandosi a disciplinare la composizione degli uffici elettorali, l'art. 20 non rappresenta - con ogni evidenza - la sedes materiae per la soluzione del problema in esame; mentre l'impugnativa dell'art. 26 si rivela comunque inammissibile, dal momento che questa norma è stata abrogata per effetto dell'art. 1, ultimo comma, della legge 22 maggio 1970, n. 312 (sull'aumento degli onorari per i componenti di tutti gli uffici elettorali di sezione), prima ancora che i giudizi a quibus fossero stati instaurati.
Occorre aggiungere che sono doppiamente inammissibili le stesse questioni di legittimità costituzionale, concernenti le norme di svariate leggi sulla consultazione del corpo elettorale (art. 79 della legge n. 4/1961 della Regione Sardegna; art. 2 della legge n. 1257/1962; art. 49 della legge n. 20/1968 della Regione Friuli - Venezia Giulia; art. 50 della legge n. 352/1970), che si richiamano al testo unico per l'elezione della Camera dei deputati. Da un lato, nessuna di queste norme è destinata a trovare applicazione nei giudizi - pendenti presso i pretori di Bassano del Grappa e di Busto Arsizio - nel corso dei quali esse sono state denunciate. D'altro lato, si tratta di norme che non pregiudicano in nessun modo le pretese dei componenti gli uffici elettorali costituiti in occasione di elezioni comunali, provinciali o regionali: poiché esse non fanno che rinviare - in quanto applicabili - alla disciplina elettorale vigente per la Camera, quali che siano le disposizioni dettate in proposito. A più forte ragione, del resto, altrettanto vale per l'impugnativa dell'art. 3 della legge statale 3 febbraio 1964, n. 3, che è stata sostituita - già in vista della seconda elezione del Consiglio regionale - dalla predetta legge n. 20/1968 della Regione Friuli - Venezia Giulia.
Giova infine chiarire, sin d'ora, che sono altresì inammissibili - per difetto di rilevanza - le questioni sollevate dal Pretore di Bassano del Grappa, in ordine all'asserito contrasto con gli artt. 3, 51 e 53 della Costituzione, che vizierebbe l'art. 119 del d.P.R. n. 361/1957 (e le corrispondenti norme di rinvio). Inutilmente il giudice a quo argomenta che i principi costituzionali di eguaglianza e di capacità contributiva escluderebbero che oneri inerenti all'esercizio di funzioni elettorali possano venire legittimamente imposti ai soli datori di lavoro, anziché alla "pubblica amministrazione"; tanto più che lo stesso art. 51 Cost. implicherebbe soltanto "che ai componenti degli uffici elettorali sia assicurata una giusta indennità ..., ma non anche una paga per lavoro non prestato". Tutto ciò non toglie, infatti, che la controversia pendente dinanzi al Pretore di Bassano del Grappa sia stata instaurata - a quanto precisa l'ordinanza di rimessione - da un lavoratore dipendente che aveva svolto funzioni di rappresentante di lista in occasione delle consultazioni elettorali del 15 giugno 1975, "per l'elezione congiunta degli organi delle amministrazioni comunali, provinciali e regionali nella regione a statuto ordinario del Veneto"; sicché nei confronti dell'attore non vi è luogo all'immediata applicazione dell'art. 119 del d.P.R. n. 361/1957, nella parte in cui tale norma concede "tre giorni di ferie retribuite" a carico dei datori di lavoro.
Del pari, a questa Corte è precluso il sindacato dell'analoga questione di legittimità costituzionale dell'art. 119 - in riferimento agli artt. 3, primo comma, e 53, primo comma, della Costituzione, proposta dal Pretore di Viareggio. Tale impugnativa è stata sollevata, in vero, subordinatamente all'accoglimento della questione concernente la legittimità costituzionale del d.P.R. numero 570/1960, nonché delle leggi n. 122/1951 e n. 108/1968, in riferimento all'art. 3 Cost.: questione della quale si è già riscontrata l'inammissibilità.
3. - Circoscritta all'art. 119 del d.P.R. n. 361/1957 - nella parte in cui tale norma violerebbe l'art. 3 Cost., escludendo dal compenso di "tre giorni di ferie retribuite" i lavoratori dipendenti chiamati ad adempiere funzioni elettorali, in occasione di elezioni comunali, provinciali o regionali - la questione non è fondata.
Indiscutibilmente, le funzioni svolte dai componenti di tutti gli uffici elettorali di sezione possono dirsi omogenee, come pure sono identici od affini i loro doveri (a partire dall'obbligatorietà dell'ufficio), le loro responsabilità e le relative sanzioni penali, la loro qualità di pubblici ufficiali; ed è in coerenza con queste premesse che identici sono gli onorari, previsti dal legislatore "per tutte le consultazioni elettorali" (come ora dispone l'art. 1 della legge 13 marzo 1980, n. 70). Ma da questi dati non discende che la norma denunciata dovesse prevedere, in termini altrettanto generali, la concessione di "tre giorni di ferie retribuite".
Anzitutto, la Costituzione non esige che i lavoratori dipendenti siano puntualmente compensati - a carico dei rispettivi datori di lavoro - per qualsivoglia sacrificio o svantaggio di ordine economico, dovuto all'adempimento di pubbliche funzioni, sia pure obbligatorie come quelle pertinenti agli uffici elettorali (fatta ovviamente eccezione per i rappresentanti di lista). Malgrado alcune ordinanze di rimessione lo abbiano addotto in questo senso, il terzo comma dell'art. 51 Cost. si limita a stabilire il principio della conservazione del posto di lavoro, quanto al lavoratore "chiamato a funzioni elettive"; ma non richiede affatto, pur non escludendolo a priori, che il periodo di assenza dal lavoro, nel corso del quale la prestazione del lavoratore sia resa impossibile od inesigibile dall'esercizio delle funzioni predette, venga retribuito né in tutto né in parte. Parallelamente, anche nel secondo comma dell'art. 52 Cost. si dispone soltanto che l'adempimento dell'obbligatorio servizio militare "non pregiudica la posizione di lavoro del cittadino": dal che questa Corte ha dedotto che il tempo trascorso per adempiere agli obblighi di leva dev'essere computato agli effetti dell'anzianità (cfr. la sent. n. 8 del 1963), ma ferma restando la sospensione del rapporto agli effetti retributivi.
Degli stessi criteri va fatta pertanto applicazione, circa le funzioni elettorali cui si riferisce la norma impugnata: le quali rientrano anch'esse fra i "doveri inderogabili di solidarietà politica", imposti dall'art. 2 Cost., senza distinzione fra i cittadini tenuti ad adempierle. In altre parole, per ciò che riguarda gli uffici elettorali, due sole sono in tal senso le esigenze costituzionalmente rilevanti: primo, che non si pregiudichi la "posizione di lavoro", propria di chi svolga le corrispondenti funzioni; secondo, che l'indennità prevista dalla legge sia fissata in misura eguale per tutti, a parità di funzioni esercitate. Nessuna esigenza ulteriore deriva, viceversa, dal capoverso dell'art. 3 Cost., nella parte concernente "l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica ... del Paese": al di là di ogni altra considerazione, basti infatti notare che tale principio non attiene al solo (e neppure al complessivo) lavoro subordinato, ma a tutti i lavoratori materialmente impediti nell'esercizio dei loro diritti fondamentali; e non può comunque considerarsi violato, se ai lavoratori interessati spetti un adeguato compenso, gravante sui pubblici poteri anziché sugli eventuali datori di lavoro.
Ma l'art. 119 del d.P.R. n. 361 del 1957 non viola nemmeno, per ciò che esso esclude, il principio generale d'eguaglianza di cui al primo comma dell'art. 3 Cost. Quella prevista dalla norma impugnata è una specifica misura agevolativa, discrezionalmente disposta dal legislatore (a partire dall'art. 49 della legge 16 maggio 1956, n. 493), senza che ciò abbia comportato alcuna arbitraria discriminazione. Sebbene le elezioni di ogni specie costituiscano tutte esplicazione della sovranità popolare, ben diverse sono infatti - per posizione e per funzioni - le assemblee elettive che ciascun tipo di consultazione mira a rinnovare; ed è manifesto che le attribuzioni delle assemblee parlamentari "sono espressione del potere di indirizzo politico generale", svolgendosi "a livello di sovranità", in contrapposto al "livello di autonomia" sul quale si collocano i Consigli regionali, provinciali e comunali (come questa Corte ha già chiarito, sia pure ad altri fini, nelle sentenze n. 66 del 1964 e n. 110 del 1970).
Un sintomo non trascurabile della particolare rilevanza che spetta in tal senso alle elezioni politiche ed alle assemblee parlamentari è poi offerto dall'intera legge 2 maggio 1974, n. 195 (non superata ma solamente integrata - con riferimento ad una specifica ipotesi - dall'art. 2 della legge 8 agosto 1980, n. 422, quanto alle "spese derivanti dalle elezioni dei consigli regionali a statuto ordinario svoltesi l'8 e 9 gennaio 1980"). Effettivamente, la legge n. 195 dispone, da un lato, che i partiti politici hanno diritto a contributi finanziari gravanti sul bilancio dello Stato, "a titolo di concorso nelle spese elettorali sostenute per il rinnovo delle due Camere" (cfr. l'art. 1, primo comma): e aggiunge, d'altro lato, che gli ulteriori contributi previsti "per l'attività funzionale dei relativi partiti", oltre che "per l'esplicazione dei propri compiti", vanno direttamente erogati ai gruppi parlamentari (cfr. l'art. 3, primo comma). Analoghe finalità, consistenti nel rendere più agevole e sicuro il regolare svolgimento delle operazioni elettorali politiche, stanno anche a fondamento della norma impugnata, che perciò non contraddice il principio costituzionale di eguaglianza.
Del resto, che le esclusioni implicitamente statuite dall'art. 119 del d.P.R. n. 361 del 1957 non siano tali da violare l'art. 3 Cost., è confermato dalla circostanza - sottolineata in una buona parte delle stesse ordinanze di rimessione - che gli oneri derivanti dalla concessione di "tre giorni di ferie retribuite" rappresentano pur sempre alcunché di anomalo rispetto all'ordinaria struttura del rapporto di lavoro (malgrado i correttivi che a diversi effetti sono stati previsti da varie disposizioni di legge); sicché non può dirsi ingiustificato che la norma impugnata non abbia esteso la deroga al principio di corrispettività delle prestazioni, là dove non soccorrevano le peculiari ragioni concernenti l'elezione della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
1. - Dichiara inammissibili:
a) le questioni di legittimità costituzionale degli articoli 20 e 26, nonché dell'intero d.P.R. 16 maggio 1960, n. 570, della legge 8 marzo 1951, n. 122, della legge 17 febbraio 1968, n. 108, e della legge 23 luglio 1973, n. 9, della Regione Trentino - Alto Adige, rispettivamente sollevate - in riferimento agli artt. 3 e 51 Cost. - dai pretori di Cittadella, di Castelnuovo Garfagnana, di Reggio Calabria, di Gavirate, di Bassano del Grappa, di Busto Arsizio, di Viareggio, con le ordinanze indicate in epigrafe;
b) le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 79 della legge 23 marzo 1961, n. 4, della Regione Sardegna, dell'art. 2 della legge 5 agosto 1962, n. 1257, dell'art. 3 della legge 3 febbraio 1964, n. 3, dell'art. 49 della legge 27 marzo 1968, n. 20, della Regione Friuli - Venezia Giulia, dell'art.50 della legge 25 maggio 1970, n. 352, rispettivamente sollevate - in riferimento all'art. 3 Cost. - dai pretori di Bassano del Grappa e di Busto Arsizio, con le ordinanze indicate in epigrafe;
c) le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 119 del d.P.R. 30 marzo 1957, n. 361, nonché dell'art. 79 della legge 23 marzo 1961, n. 4, della Regione Sardegna, dell'art. 2 della legge 5 agosto 1962, n. 1257, dell'art. 3 della legge 3 febbraio 1964, n. 3, dell'art. 49 della legge 27 marzo 1968, n. 20, della Regione Friuli - Venezia Giulia, dell'art. 50 della legge 25 maggio 1970, n. 352, rispettivamente sollevate - in riferimento agli artt. 3, 51 e 53 Cost. - dai pretori di Bassano del Grappa e di Viareggio, con le ordinanze indicate in epigrafe;
2. - Dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 119 del d.P.R. 30 marzo 1957, n. 361, in riferimento all'art. 3 Cost., sollevata dai pretori di Bassano del Grappa, di San Miniato, di Genova, di Busto Arsizio, di Massa, di Casoria e dal Tribunale di Verbania, con le ordinanze indicate in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte Costituzionale, Palazzo della Consulta, il 12 febbraio 1981.
F.to: LEONETTO AMADEI - GIULIO GIONFRIDA - EDOARDO VOLTERRA - MICHELE ROSSANO - ANTONINO DE STEFANO - LEOPOLDO ELIA - ORONZO REALE - BRUNETTO BUCCIARELLI DUCCI - ALBERTO MALAGUGINI - LIVIO PALADIN - ARNALDO MACCARONE - ANTONIO LA PERGOLA - VIRGILIO ANDRIOLI - GIUSEPPE FERRARI. GIOVANNI VITALE, Cancelliere