˙ Sentenza  31/1981 (ECLI:IT:COST:1981:31)
Giudizio:  GIUDIZIO SULL'AMMISSIBILITÀ DEI REFERENDUM
Presidente: AMADEI - Redattore:  - Relatore: DE STEFANO
Camera di Consiglio del 14/01/1981;    Decisione  del 12/02/1981
Deposito del 13/02/1981;    Pubblicazione in G. U.
Norme impugnate:  
Massime:  9396 9397
Atti decisi: 

Pronuncia

N. 31

SENTENZA 12 FEBBRAIO 1981

Deposito in cancelleria: 13 febbraio 1981.

Pubblicazione in "Gazz. Uff." n. 48 del 17 febbraio 1981.

Pres. AMADEI - Rel. DE STEFANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori: Avv. LEONETTO AMADEI, Presidente - Dott. GIULTO GIONFRIDA - Prof. EDOARDO VOLTERRA - Dott. MICHELE ROSSANO - Prof. ANTONINO DE STEFANO - Prof. LEOPOLDO ELIA - Prof. GUGLIELMO ROEHRSSEN - Avv. ORONZO REALE - Avv. ALBERTO MALAGUGINI - Prof. LIVIO PALADIN - Dott. ARNALDO MACCARONE - Prof. ANTONIO LA PERGOLA - Prof. VIRGILIO ANDRIOLI - Prof. GIUSEPPE FERRARI, Giudici,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio sull'ammissibilità, ai sensi dell'art. 2, comma primo, legge cost. 11 marzo 1953, n. 1, della richiesta di referendum popolare per l'abrogazione degli articoli l, 2, 3, 4,5 , 6, 7, 20, 22 della legge 2 agosto 1975, n. 393: "Norme sulla localizzazione delle centrali elettronucleari e sulla produzione e sull'impiego di energia elettrica" (n. 20 reg. ref.).

Vista l'ordinanza 2 dicembre 1980 con la quale l'Ufficio centrale per il referendum presso la Corte di cassazione ha dichiarato legittima la suddetta richiesta;

udito, nella camera di consiglio del 14 gennaio 1981, il Giudice relatore Antonino De Stefano;

udito l'avv. Mauro Mellini per il Comitato promotore del referendum.

Ritenuto in fatto:

L'Ufficio centrale per il referendum, costituito presso la Corte di cassazione, ha esaminato, in applicazione della legge 25 maggio 1970, n. 352, e successive modificazioni, la richiesta di referendum popolare, presentata il 26 giugno 1980 da Rippa Giuseppe, Cherubini Laura, Passeri Maria Grazia, Pergameno Silvio e Vigevano Paolo, sul seguente quesito: "Volete voi l'abrogazione degli articoli 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 20,22 della legge 2 agosto 1975, n. 393 "Norme sulla localizzazione delle centrali elettronucleari e sulla produzione e sull'impiego di energia elettrica?".

Con ordinanza del 2 dicembre 1980, depositata in pari data, l'Ufficio centrale ha dato atto che la richiesta è stata preceduta dall'attività di promozione conforme ai requisiti di legge, che è stata presentata da soggetti che vi erano legittimati, che il deposito è avvenuto nel termine di tre mesi dalla data di vidimazione dei fogli, che la richiesta di abrogazione delle su indicate norme è stata regolarmente formulata e trascritta nella facciata contenente le firme di ciascun foglio, che il numero definitivo delle sottoscrizioni regolari supera quello di 500.000 voluto dalla Costituzione; e considerato che è indubbio il carattere legislativo dell'atto normativo sottoposto a referendum, e che al riguardo non sono intervenuti atti di abrogazione, né pronunce di illegittimità costituzionale, ha dichiarato legittima la richiesta anzidetta.

Ricevuta comunicazione dell'ordinanza, il Presidente di questa Corte ha fissato per la conseguente deliberazione il giorno 14 gennaio 1981, dandone a sua volta comunicazione ai presentatori della richiesta ed al Presidente del Consiglio dei ministri, ai sensi dell'art. 33, comma secondo, della legge n. 352 del 1970.

In data 10 gennaio 1981, il Comitato promotore del referendum in esame ha presentato una memoria. In essa si osserva che sull'ammissibilità della richiesta nessuna questione potrebbe sorgere. L'omogeneità del quesito sarebbe infatti fuori di discussione, in quanto la proposta referendaria è chiaramente diretta a bloccare, attraverso l'abrogazione delle norme sulla localizzazione delle centrali nucleari, un programma destinato ad attuarsi, oltre tutto, con il sacrificio di interessi locali fondamentali. Peraltro, anche l'ipotesi che la legge in questione, per il fatto che vi si fa riferimento alle regioni o ad alcune di esse, possa considerarsi una "legge cornice", dovrebbe senz'altro escludersi. Il fatto che in essa si disponga, in modo particolare, per l'insediamento delle centrali nucleari in alcune regioni, è comunque, secondo il Comitato promotore, argomento più che sufficiente per abrogarla.

Nessuna memoria è stata presentata da parte dell'Avvocatura dello Stato.

Considerato in diritto:

La richiesta di referendum abrogativo, dichiarata legittima con ordinanza del 2 dicembre 1980 dall'Ufficio centrale costituito presso la Corte di cassazione, e sulla cui ammissibilità la Corte è chiamata a pronunciarsi, investe, come si rileva dal quesito, gli artt. 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 20, 22 della legge 2 agosto 1975, n. 393 (Norme sulla localizzazione delle centrali elettro - nucleari e sulla produzione e sull'impiego di energia elettrica). Gli articoli da 1 a 7 sono compresi nel Capo I (Centrali elettronucleari); gli articoli 20 e 22 nelle Disposizioni finali e transitorie.

Le disposizioni suindicate regolano le varie fasi del procedimento per la localizzazione delle centrali elettro - nucleari, la cui costruzione è affidata all'ENEL; il quesito referendario, avendo a suo oggetto un complesso normativo riconducibile ad una matrice unitaria, può essere riconosciuto "omogeneo", alla luce dei principi affermati dalla Corte nella sentenza n. 16 del 1978. Occorre perciò verificare se sussista alcuna delle altre ragioni d'inammissibilità enunciate dalla Corte in quell'occasione.

Considera in proposito la Corte che lo Stato italiano fa parte della Comunità europea dell'energia atomica (EURATOM), al cui Trattato istitutivo, firmato a Roma il 25 marzo 1957, ha dato esecuzione la legge 14 ottobre 1957, n. 1203. Nel Preambolo al Trattato gli Stati contraenti si dichiarano "coscienti che l'energia nucleare costituisce la risorsa essenziale che assicurerà lo sviluppo e il rinnovo delle produzioni e permetterà il progresso delle opere di pace"; "convinti che soltanto da uno sforzo comune intrapreso senza indugio è possibile ripromettersi realizzazioni commisurate alla capacità creativa dei loro paesi"; e "risoluti a creare le premesse per lo sviluppo di una potente industria nucleare, fonte di vaste disponibilità di energia e di un ammodernamento delle tecniche, e così pure di altre e molteplici applicazioni che contribuiscono al benessere dei loro popoli". Si dan carico, nel contempo, "d'instaurare condizioni di sicurezza che allontanino i pericoli per la vita e la salute delle popolazioni". Per il perseguimento di siffatte finalità viene appunto decisa la creazione di apposita Comunità, il cui compito, precisato dall'art. 1, è di "contribuire, creando le premesse necessarie per la formazione e il rapido incremento delle industrie nucleari, all'elevazione del tenore di vita degli Stati membri e allo sviluppo degli scambi con gli altri paesi". A tal uopo l'EURATOM deve, fra l'altro, agevolando gl'investimenti ed incoraggiando le iniziative, "assicurare la realizzazione degli impianti fondamentali necessari allo sviluppo dell'energia nucleare nella Comunità" (art. 2, lett. c). Nel titolo II del Trattato sono, poi, dettate particolareggiate disposizioni "intese a favorire il progresso nel campo dell'energia nucleare" con un vasto ambito di applicazione, che va dallo sviluppo delle ricerche, dalla diffusione delle cognizioni, dalla protezione sanitaria, agl'investimenti, alle imprese comuni, all'approvvigionamento di minerali, materie grezze e materie fissili speciali, al controllo di sicurezza, al regime di proprietà delle anzidette materie fissili, al mercato comune nucleare, alle relazioni con Stati terzi, con organizzazioni internazionali e con cittadini di Stati terzi.

Il "progresso nell'utilizzazione pacifica dell'energia nucleare", scopo primario cui, come si è visto, è preordinato l'EURATOM, s'inquadra poi, condizionandone l'attuazione, nella "politica energetica comunitaria", obiettivo prioritario che le Comunità europee perseguono per garantire la sicurezza dell'approvvigionamento energetico, in attuazione dell'art. 103 del coevo Trattato che istituisce la Comunità economica europea, egualmente oggetto della legge di ratifica ed esecuzione n. 1203 del 1957 dianzi citata.

Infatti, già con la risoluzione del Consiglio delle Comunità europee del 17 dicembre 1974, concernente gli obiettivi per il 1985 della politica energetica comunitaria, è stato deciso, al comma 5, di modificare la struttura del consumo di energia "avvalendosi sempre più dell'elettricità via via che in particolare evolverà l'energia nucleare". Con la successiva risoluzione adottata dallo stesso Consiglio in data 13 febbraio 1975, concernente i mezzi da porre in opera per raggiungere gli obiettivi della politica energetica comunitaria, si è poi stabilito, al comma 3, di basare essenzialmente i programmi di equipaggiamento elettrico degli Stati membri "sull'energia nucleare per le centrali di grande potenza". Infine, con la risoluzione del 20 novembre 1978 si è considerato che "la scelta dei siti d'ubicazione delle nuove centrali elettriche - tanto nucleari quanto di tipo tradizionale - rappresenta uno dei problemi importanti posti dallo sviluppo dell'energia elettrica", pur dando atto che "le decisioni relative all'ubicazione delle centrali elettriche sono di competenza degli Stati membri".

La normativa investita dalla richiesta referendaria in esame è strettamente collegata al richiamato ambito di operatività del Trattato di Roma, indirizzato alla finalità di progresso nella utilizzazione pacifica dell'energia nucleare, che lo Stato italiano ha fatto propria, mediante la partecipazione alla Comunità europea dell'energia atomica, concorrendo così a costituire quell'ordinamento comunitario e sovranazionale, la cui importanza storica ed il cui rilievo, in riferimento all'art. 11 della Costituzione, sono stati già posti in evidenza dalla Corte fin dalla sentenza n. 183 del 1973. La normativa stessa, infatti, ha inteso sopperire - secondo quanto si desume dai relativi lavori parlamentari - agli ostacoli pressoché insormontabili che avevano fino allora impedito all'Ente nazionale per l'energia elettrica (ENEL) di procedere, mediante la realizzazione delle centrali elettronucleari, al necessario potenziamento degli impianti di produzione di energia elettrica. Come è stato posto in evidenza in quella sede, si è voluto evitare il persistere di tali difficoltà con "una soluzione che, pur esaltando le autonomie locali, permetta che una decisione finale, riservata al Parlamento, surroghi la eventuale carenza delle autorità locali". Con l'abrogazione di tale normativa, allora, si ritornerebbe innegabilmente a quella situazione di "paralisi", cui si era inteso ovviare. Il che, d'altronde, è esplicitamente confermato dal Comitato promotore che, nella presentata memoria, afferma essere "la proposta chiaramente diretta a bloccare l'attuazione di un programma nucleare".

Siffatto "blocco" non inciderebbe soltanto nella sfera riservata dal Trattato allo Stato italiano per la discrezionale scelta delle modalità più idonee volte alla realizzazione del programma nucleare nel rispetto delle autonomie locali e delle esigenze di sicurezza ed ecologiche; ma impedirebbe addirittura la stessa attuazione di un qualsiasi programma nucleare e concreterebbe, perciò, la palese violazione di un fondamentale impegno assunto dallo Stato italiano con l'adesione al Trattato di Roma, vanificando conseguentemente la sua partecipazione alla Comunità dell'EURATOM. Significativo rilievo, a tal proposito, va dato all'art. 192 del Trattato medesimo, a mente del quale gli Stati membri della Comunità sono tenuti ad agevolare quest'ultima "nell'esecuzione della sua missione": a tal uopo essi devono adottare "tutte le misure, di carattere generale o particolare, atte ad assicurare l'adempimento degli obblighi derivanti dal Trattato" ed astenersi "da qualsiasi misura che possa risultare pregiudizievole al raggiungimento degli scopi del Trattato". Né va taciuto che alle attività inerenti alla costruzione ed all'esercizio nei rispettivi territori di impianti per uso pacifico dell'energia nucleare (tra i quali assumono precipuo rilievo le centrali elettro - nucleari), gli Stati membri della Comunità soprintendono proprio in tale veste, come è implicitamente presupposto dai regolamenti e dalle direttive comunitarie dettate per il "controllo di sicurezza Euratom" e per la "protezione delle popolazioni contro i pericoli delle radiazioni ionizzanti".

La responsabilità che lo Stato italiano assumerebbe verso la Comunità e verso gli altri Stati membri a cagione della "disapplicazione" del Trattato conseguente all'abrogazione della normativa oggetto del quesito è una responsabilità - come la Corte ha affermato nella sentenza n. 30 di pari data - che è stata riservata alla valutazione politica del Parlamento, con il risultato di sottrarre le leggi di esecuzione dei trattati internazionali e quelle produttive di effetti strettamente collegati all'ambito di operatività dei trattati medesimi (come, nella specie, la Corte ritiene siano le norme in parola) alla consultazione popolare, alla quale si rivolge il referendum abrogativo previsto dall'art. 75 della Costituzione. Per tali ragioni, la richiesta referendaria in esame va dichiarata inammissibile.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara inammissibile la richiesta di referendum popolare per la parziale abrogazione della legge 2 agosto 1975, n. 393 (Norme sulla localizzazione delle centrali elettronucleari e sulla produzione e sull'impiego di energia elettrica), nei termini indicati in epigrafe, dichiarata legittima, con ordinanza del 2 dicembre 1980 dell'Ufficio centrale per il referendum, costituito presso la Corte di cassazione.

Così deciso in Roma, in camera di consiglio, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 12 febbraio 1981.

F.to: LEONETTO AMADEI - GIULIO GIONFRIDA - EDOARDO VOLTERRA - MICHELE ROSSANO - ANTONINO DE STEFANO - LEOPOLDO ELIA - GUGLIELMO ROEHRSSEN - ORONZO REALE - ALBERTO MALAGUGINI - LIVIO PALADIN - ARNALDO MACCARONE - ANTONIO LA PERGOLA - VIRGILIO ANDRIOLI - GIUSEPPE FERRARI.

GIOVANNI VITALE - Cancelliere