N. 28
SENTENZA 10 FEBBRAIO 1981
Deposito in cancelleria: 15 febbraio 1981.
Pubblicazione in "Gazz. Uff." n. 48 del 17 febbraio 1981.
Pres. AMADEI - Rel. DE STEFANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori: Avv. LEONETTO AMADEI, Presidente - Dott. GIULIO GIONFRIDA - Prof. EDOARDO VOLTERRA - Dott. MICHELE ROSSANO - Prof. ANTONINO DE STEFANO - Prof. LEOPOLDO ELIA - Prof. GUGLIELMO ROEHRSSEN - Avv. ORONZO REALE - Avv. ALBERTO MALAGUGINI - Prof. LIVIO PALADIN - Dott. ARNALDO MACCARONE - Prof. ANTONIO LA PERGOLA - Prof. VIRGILIO ANDRIOLI - Prof. GIUSEPPE FERRARI, Giudici,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio sull'ammissibilità, ai sensi dell'art. 2, comma primo, legge cost. 11 marzo 1953, n. 1, della richiesta di referendum popolare per l'abrogazione degli articoli 256; 266; 269; 270; 271; 272; 273; 274; 279; 290; 291; 292; 292 bis, comma primo limitatamente alle parole: "290, comma secondo (vilipendio delle forze armate) e 292 (vilipendio della bandiera o di altro emblema dello Stato)"; 293; 299; 302; 303; 304; 305; 327; 342; 402; 403; 404; 414, comma terzo (Alla pena stabilita nel numero 1) soggiace anche chi pubblicamente fa l'apologia di uno o più delitti); 415; 656; 657; 661; 667 e 668 del codice penale, approvato con regio decreto 19 ottobre 1930, n. 1398 e successive modificazioni (n. 14 reg. ref.).
Vista l'ordinanza 2 dicembre 1980 con la quale l'Ufficio centrale per il referendum presso la Corte di cassazione ha dichiarato legittima la suddetta richiesta;
udito, nella camera di consiglio del 14 gennaio 1981, il Giudice relatore Antonino De Stefano;
uditi l'avv. Mauro Mellini per il Comitato promotore del referendum e l'avvocato dello Stato Giorgio Azzariti per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto:
L'Ufficio centrale per il referendum, costituito presso la Corte di cassazione, ha esaminato, in applicazione della legge 25 maggio 1970, n. 352, e successive modificazioni, la richiesta di referendum popolare, presentata il 26 giugno 1980 da Rippa Giuseppe, Cherubini Laura, Passeri Maria Grazia, Pergameno Silvio, Vigevano Paolo e Mellini Mauro, sul seguente quesito: "Volete voi che siano abrogati gli articoli 256; 266; 269; 270; 271; 272; 273; 274; 279; 290; 291; 292; 292 bis, comma primo limitatamente alle parole "290, comma secondo (vilipendio delle forze armate) e 292 (vilipendio della bandiera o di altro emblema dello Stato)"; 293; 299; 302; 303; 304; 305; 327; 342; 402; 403; 404; 414, comma terzo (Alla pena stabilita nel numero 1 ) soggiace anche chi pubblicamente fa l'apologia di uno o più delitti); 415; 656; 657; 661; 667 e 668 del codice penale approvato con regio decreto 19 ottobre 1930, n. 1398 e successive modificazioni?".
L'oggetto dei singoli articoli indicati nel quesito, quale si desume dalle rubriche, è rispettivamente il seguente:
Art. 256: Procacciamento di notizie concernenti la sicurezza dello Stato;
Art. 266: Istigazione di militari a disobbedire alle leggi;
Art. 269: Attività antinazionale del cittadino all'estero;
Art. 270: Associazioni sovversive;
Art. 271: Associazioni antinazionali;
Art. 272: Propaganda ed apologia sovversiva o antinazionale;
Art. 273: Illecita costituzione di associazioni aventi carattere internazionale;
Art. 274: Illecita partecipazione ad associazioni aventi carattere internazionale;
Art. 279. Lesa prerogativa della irresponsabilità del Presidente della Repubblica;
Art. 290: Vilipendio della Repubblica, delle istituzioni costituzionali e delle Forze Armate;
Art. 291: Vilipendio alla Nazione italiana;
Art.292: Vilipendio alla bandiera o ad altro emblema dello Stato;
Art. 292 bis: Circostanza aggravante;
Art. 293: Circostanza aggravante;
Art. 299: Offesa alla bandiera o ad altro emblema di uno Stato estero;
Art. 302: Istigazione a commettere alcuno dei delitti preveduti dai capi primo e secondo;
Art. 303: Pubblica istigazione e apologia;
Art. 304: Cospirazione politica mediante accordo;
Art. 305: Cospirazione politica mediante associazione;
Art. 327: Eccitamento al dispregio e vilipendio delle istituzioni, delle leggi o degli atti dell'Autorità;
Art. 342: Oltraggio a un corpo politico, amministrativo o giudiziario;
Art. 402: Vilipendio della religione dello Stato;
Art. 403: Offese alla religione dello Stato mediante vilipendio di persone;
Art. 404: Offese alla religione dello Stato mediante vilipendio di cose;
Art. 414: Istigazione a delinquere;
Art. 415: Istigazione a disobbedire alle leggi;
Art. 656: Pubblicazione o diffusione di notizie false, esagerate o tendenziose, atte a turbare l'ordine pubblico;
Art. 657: Grida o notizie atte a turbare la tranquillità pubblica o privata;
Art. 661: Abuso della credulità popolare;
Art. 667: Esecuzione abusiva di azioni destinate ad essere riprodotte col cinematografo;
Art. 668: Rappresentazioni teatrali o cinematografiche abusive.
Con ordinanza del 2 dicembre 1980, depositata in pari data, l'Ufficio centrale ha dato atto che la richiesta è stata preceduta dall'attività di promozione conforme ai requisiti di legge, che è stata presentata da soggetti che vi erano legittimati, che il deposito è avvenuto nel termine di tre mesi dalla data di vidimazione dei fogli, che la richiesta di abrogazione degli articoli del codice penale innanzi specificati è stata regolarmente formulata e trascritta nella facciata contenente le firme di ciascun foglio, che il numero definitivo delle sottoscrizioni regolari supera quello di 500.000 voluto dalla Costituzione; e considerato che è indubbio il carattere legislativo dell'atto normativo sottoposto a referendum, che "le due pronunce della Corte costituzionale relative a due articoli oggetto del referendum (sentenza n. 87 del 1966 dichiarante l'illegittimità costituzionale del secondo comma dell'art. 272 del codice penale e sentenza n. 108 del 1974 relativa ad un'interpretazione additiva dell'art. 415 del codice penale) non hanno cancellato gli articoli stessi dall'ordinamento, talché il referendum relativo ai due articoli in questione deve intendersi circoscritto al loro contenuto normativo attuale", ha dichiarato legittima la richiesta anzidetta.
Ricevuta comunicazione dell'ordinanza, il Presidente di questa Corte ha fissato per la conseguente deliberazione il giorno 14 gennaio 1981, dandone a sua volta comunicazione ai presentatori della richiesta ed al Presidente del Consiglio dei ministri, ai sensi dell'art. 33, comma secondo, della legge n. 352 del 1970.
In una memoria, presentata il 10 gennaio 1981, il Comitato promotore del referendum, contestati (singolarmente e nel loro insieme) i motivi posti dalla sentenza di questa Corte n. 16 del 1978 a base del criterio della omogeneità come requisito essenziale del quesito (e in applicazione del quale con la stessa sentenza la richiesta di referendum abrogativo su 97 articoli del codice penale, allora presentata, fu dichiarata inammissibile), osserva che questa volta il quesito referendario è stato comunque formulato - tenendo conto di quanto allora la Corte ebbe ad affermare - in modo nettamente diverso. Nell'attuale richiesta, infatti: a) tutti gli articoli di cui si propone l'abrogazione riguardano la parte speciale del codice penale, ed in particolare la previsione di altrettanti reati o ipotesi particolari di reato, con l'esclusione quindi sia di norme relative alla specie della pena (la norma dell'ergastolo è oggetto di separato referendum), sia delle norme generali sulle attenuanti, le aggravanti, i loro meccanismi, ecc.; b) quanto ai reati considerati, pur essendo essi classificati in vario modo (delitti contro la personalità dello Stato, contro la pubblica amministrazione, contro il sentimento religioso, contro l'ordine pubblico, o contravvenzioni concernenti la polizia di sicurezza) si tratta pur sempre di reati che si concretano in una comunicazione verbale o scritta, in sé considerata, e quindi sullo stabilirsi di una trasmissione di dati del pensiero da uno ad altri soggetti, oppure, all'inverso, nell'acquisizione di informazioni, con esclusione quindi di ogni ipotesi di reato consistente in condotta con eventi o comunque con effetti materiali sulle cose o sulle persone. Sono inclusi, è vero, anche i reati di associazione, che, però, mentre si consumano con espressioni reciproche di volontà tra gli associati, hanno finalità specifiche riconducibili, in tutto o in parte, ad espressioni di pensiero e di attività politica, e sono in larga misura strumentali anche rispetto ai reati di cui sopra si è detto. Perciò - se ne conclude - se si ha riguardo alla caratterizzazione impressa dalle norme abrogande all'intero complesso del codice, e quindi all'effetto su di esso della proposta abrogazione, si deve convenire che le norme stesse (che criminalizzano con particolari qualificazioni, sanzioni e finalità, condotte che per lo più, in tutto o in parte, ricadrebbero sotto comminatorie diverse, dirette a tutelare beni privati e senza finalità politiche) caratterizzano in modo tipicamente autoritario, improntato alla "ragion di Stato" diffidente e dura verso le manifestazioni del pensiero, il codice penale vigente. Omogeneità del quesito, dunque, anche rispetto all'intento specifico di quanti saranno chiamati a pronunciarsi pro o contro l'abrogazione. L'atteggiamento positivo o negativo dei votanti, rispetto a tutte ed a ciascuna delle norme in questione, è infatti sicuramente riconducibile ad un'unica matrice politico - culturale, riscontrabile del resto anche attraverso un esame della storia delle norme stesse.
Di parere diverso, in una memoria presentata, anch'essa in data 10 gennaio 1981, per il Presidente del Consiglio dei ministri, è l'Avvocatura dello Stato, secondo la quale la richiesta di referendum anche questa volta dovrebbe essere dichiarata inammissibile. Nella memoria si riconosce che l'attuale richiesta, rispetto a quella presentata nel 1977 per l'abrogazione di 97 articoli dello stesso codice penale, è stata radicalmente semplificata, e che gli stessi promotori hanno precisato di averla limitata alle norme che disciplinano i reati d'opinione, riunione ed associazione. Anche a voler ammettere, però, la riconducibilità del quesito ad unica categoria di reati così genericamente definiti, è da escludere che in tal modo sia stata raggiunta la necessaria omogeneità dei quesiti da proporre al corpo elettorale. Tra gli articoli dei quali si propone l'abrogazione, infatti, alcuni, come gli articoli 256 (procacciamento di notizie concernenti la sicurezza dello Stato), 270 (associazioni sovversive), 279 (lesa prerogativa dell'irresponsabilità del Presidente della Repubblica), 305 (cospirazione politica mediante associazione), puniscono reati che non sembra possano definirsi di opinione. Del resto - prosegue l'Avvocatura - anche quegli articoli che pacificamente configurano, tutti, reati di opinione, tutelano a loro volta beni giuridicamente diversi. Anche riguardo ad essi, perciò, attraverso la inosservanza del limite della "omogeneità del quesito", finisce con l'essere lesa la libertà degli elettori, chiamati ad esprimere un voto - bloccato su diversi quesiti, ai quali si potrebbe voler dare risposte diverse.
Ad integrazione del contraddittorio espressamente previsto dall'art. 33, comma terzo, della legge n. 352 del 1970, nella camera di consiglio del 14 gennaio 1981 sono stati uditi l'Avv. Mauro Mellini, per il Comitato promotore, e l'avvocato dello Stato Giorgio Azzariti, per il Presidente del Consiglio dei ministri, i quali hanno rispettivamente insistito per l'ammissibilità e per la inammissibilità del referendum.
Considerato in diritto:
La richiesta di referendum abrogativo, sulla cui ammissibilità la Corte è chiamata a pronunciarsi, a seguito della ordinanza del 2 dicembre 1980 dell'Ufficio centrale costituito presso la Corte di cassazione, che ne ha dichiarato la legittimità, investe, in tutto o in parte, trentuno articoli del codice penale, approvato con r.d. 19 ottobre 1930, n. 1398, e successive modificazioni. Di essi ventisei sono compresi nel Libro II (Dei delitti in particolare), e precisamente gli artt. 256, 266, 269, 270, 271, 272, 273, 274 nel Titolo I (Dei delitti contro la personalità dello Stato), Capo I (Dei delitti contro la personalità internazionale dello Stato); gli artt. 279, 290, 291, 292, 292 - bis, comma primo, limitatamente alle parole "290, comma secondo (vilipendio delle forze armate) e 292 (vilipendio della bandiera o di altro emblema dello Stato)", 293, nello stesso Titolo I, ma Capo II (Dei delitti contro la personalità interna dello Stato); l'art. 299 nello stesso Titolo I, ma Capo IV (Dei delitti contro gli Stati esteri, i loro Capi e i loro rappresentanti); gli artt. 302, 303, 304, 305 nello stesso Titolo I, ma Capo V (Disposizioni generali e comuni ai capi precedenti); l'art. 327 nel Titolo II (Dei delitti contro la pubblica Amministrazione), Capo I (Dei delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica Amministrazione); l'art. 342 nello stesso Titolo II, ma Capo II (Dei delitti dei privati contro la pubblica Amministrazione); gli artt. 402, 403, 404 nel Titolo IV (Dei delitti contro il sentimento religioso e contro la pietà dei defunti), Capo I (Dei delitti contro la religione dello Stato e i culti ammessi); gli artt. 414, comma terzo (Alla pena stabilita nel numero 1 soggiace anche chi pubblicamente fa l'apologia di uno o più delitti), 415 nel Titolo V (Dei delitti contro l'ordine pubblico). I rimanenti cinque sono compresi nel Libro III (Delle contravvenzioni in particolare), Titolo I (Delle contravvenzioni di polizia), Capo I (Delle contravvenzioni concernenti la polizia di sicurezza), Sezione I (Delle contravvenzioni concernenti l'ordine pubblico e la tranquillità pubblica), e precisamente: gli artt. 656,657,661, nel comma 1 (Delle contravvenzioni concernenti l'inosservanza dei provvedimenti di polizia e le manifestazioni sediziose e pericolose); gli artt. 667, 668 nel comma 3 (Delle contravvenzioni concernenti la vigilanza su talune industrie e sugli spettacoli pubblici).
Va preliminarmente ricordato che con sentenza n. 16 del 1978 questa Corte ebbe già a dichiarare inammissibile, fra le altre allora sottoposte alla sua pronuncia, la richiesta di referendum, presentata il 30 giugno 1977, per l'abrogazione, totale o parziale, di novantasette articoli del codice penale. In quella occasione la Corte, premessa la esistenza di "valori di ordine costituzionale, riferibili alle strutture od ai temi delle richieste referendarie, da tutelare escludendo i relativi referendum, al di là della lettera dell'art. 75, secondo comma, della Costituzione", enunciò "quattro distinti complessi di ragioni d'inammissibilità"; ed in primo luogo considerò "inammissibili le richieste così formulate, che ciascun quesito da sottoporre al corpo elettorale contenga una tale pluralità di domande eterogenee, carenti di una matrice razionalmente unitaria, da non poter venire ricondotto alla logica dell'art. 75 della Costituzione; discostandosi in modo manifesto ed arbitrario degli scopi in vista dei quali l'istituto del referendum abrogativo è stato introdotto nella Costituzione, come strumento di genuina manifestazione della sovranità popolare". Di tale criterio la Corte fece allora puntuale applicazione, dichiarando inammissibile il menzionato referendum vertente su novantasette articoli del codice penale; ed al riguardo osservò che "per quanti sforzi interpretativi si facciano, da tali disposizioni non si riesce ad estrarre un quesito comune e razionalmente unitario; e ciò fornisce allora la riprova che la richiesta non può venire ammessa, perché incompatibile con le proclamazioni degli artt. 1, 48 e 75 della Costituzione".
Il Comitato promotore del referendum ora in esame, contesta, nella presentata memoria, la fondatezza dei motivi posti dalla richiamata sentenza n. 16 del 1978 a base del criterio della "omogeneità" come requisito essenziale del quesito referendario. Ma la Corte non ravvisa argomenti che possano indurla a discostarsi dai principi allora formulati, che anzi ritiene di dover pienamente confermare, rinviando in proposito alla trattazione condotta nella sentenza n. 27 di data pari alla presente, con la quale è stata dichiarata inammissibile la coeva richiesta di referendum per l'abrogazione parziale della legge 27 dicembre 1977, n. 968, sulla disciplina della caccia.
Nella sua memoria il Comitato afferma inoltre che questa volta il quesito referendario è stato comunque formulato tenendo conto delle censure mosse dalla Corte al precedente quesito, e perciò eliminando dal suo oggetto tutte quelle norme del codice penale "che allora furono ritenute eterogenee rispetto a quelle di cui oggi viene proposta l'abrogazione". Infatti, tutte le norme rimaste comprese nel quesito - vien precisato - concernono solo reati che, anche se classificati in vario modo, si concretano pur sempre "in una comunicazione verbale o scritta, in sé considerata, e quindi sullo stabilirsi di una trasmissione di dati del pensiero da uno ad altri soggetti, oppure all'inverso nell'acquisizione di informazioni". In tale categoria "sono altresì inclusi reati di associazione che, mentre si consumano con espressioni reciproche di volontà tra gli associati, hanno finalità specifiche riconducibili, in vario modo, in tutto o in parte, ad espressioni del pensiero e dell'attività politica e sono in larga misura strumentali anche rispetto ai reati di cui sopra". Le norme anzidette "caratterizzano in modo tipicamente autoritario, improntato alla "ragion di Stato", diffidente e dura verso le manifestazioni del pensiero, il codice penale vigente". Considerazioni, queste, che "valgono anche a qualificare l'omogeneità dell'intento specifico di quanti saranno chiamati a votare per o contro l'abrogazione, essendo riconducibile l'atteggiamento positivo o negativo rispetto a tutte ed a ciascuna delle norme in questione, ad un'unica matrice politico - culturale".
Dal suo canto l'Avvocatura dello Stato, nella memoria, pur riconoscendo che l'attuale richiesta referendaria, rispetto a quella presentata nel 1977 per l'abrogazione di novantasette articoli dello stesso codice penale, appare semplificata, essendo stata limitata, come precisato dai promotori, alle norme che disciplinano i reati d'opinione, riunione ed associazione, ritiene che anche questa volta debba essere dichiarata inammissibile. Invero, non soltanto alcune delle norme di cui si propone l'abrogazione puniscono reati che non possono definirsi di opinione, come, a titolo di esempio, gli articoli 256 (procacciamento di notizie concernenti la sicurezza dello Stato), 270 (associazioni sovversive), 279 (lesa prerogativa della irresponsabilità del Presidente della Repubblica), 305 (cospirazione politica mediante associazione). Ma gli stessi articoli che pacificamente configurano reati di opinione, tutelano, a loro volta, beni giuridicamente diversi. Il quesito si rivela, dunque, carente della necessaria ed imprescindibile "omogeneità".
La Corte ritiene fondate le conclusioni cui perviene l'Avvocatura dello Stato. In proposito occorre anzitutto considerare che la "omogeneità" del quesito referendario non può essere vagliata - come già puntualizzato nella sentenza n. 16 del 1978 - alla stregua degl'intendimenti soggettivi dei presentatori e dei sottoscrittori della richiesta: né tanto meno in relazione ai mutevoli intenti che potrebbero indurre gli elettori a votare per o contro l'abrogazione. Nella ipotesi in cui formi oggetto del quesito una pluralità di norme, come nella specie, devesi, invece, ricercare se dalle norme medesime, obiettivamente considerate nella loro struttura e nella loro finalità, sia dato porre in evidenza un comune principio, la cui eliminazione dall'ordinamento attraverso l'abrogazione delle norme in cui si concreta, o la cui permanenza in alternativa, verrà a dipendere dalla risposta che il corpo elettorale fornirà al dilemma. In ciò si realizza appunto quella caratteristica di chiarezza, di inconfondibilità della domanda, che, in una con le concomitanti caratteristiche di semplicità e di univocità, sole possono soddisfare l'esigenza di "nettezza" del quesito, a sua volta postulata dalla "nettezza" della scelta, secondo quanto affermato dalla già citata sentenza n. 27 di pari data.
Ora i trentuno articoli oggetto della richiesta in esame sono forzosamente e soggettivamente conglobati dai promotori in un unico contesto, mentre molteplici sono i parametri che obiettivamente li differenziano. I reati perseguiti sono in maggioranza delitti, ma alcuni di essi sono semplici contravvenzioni; alcuni sono reati di pericolo, altri di danno; dei delitti perseguiti alcuni possono venir qualificati come delitti politici, altri come delitti comuni. La stessa tripartizione adoperata dai promotori, di reati di opinione, riunione ed associazione, postula significativamente una pluralità di condotte, che certo non possono tutte ricondursi univocamente alla manifestazione del pensiero. Ma soprattutto determinante, ai fini della eterogeneità che indubbiamente ne consegue, è la profonda diversità - che più rileva nella coscienza sociale e maggiormente quindi incide sulla libertà di scelta dell'elettore - dei beni tutelati, che vanno dagl'interessi concernenti la vita dello Stato nella sua essenza unitaria, al regolare funzionamento della pubblica Amministrazione, all'ordine pubblico, per giungere fino al sentimento religioso.
Anche questa volta, pertanto, dalle disposizioni del codice penale delle quali si propone l'abrogazione, non è dato estrarre un quesito comune, razionalmente unitario; e la richiesta in esame va, pertanto, dichiarata inammissibile.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara inammissibile la richiesta di referendum popolare per l'abrogazione di 31 articoli del codice penale, approvato con r.d. 19 ottobre 1930, n. 1398, e successive modificazioni, nei termini indicati in epigrafe, dichiarata legittima con ordinanza del 2 dicembre 1980 dell'Ufficio centrale per il referendum, costituito presso la Corte di cassazione.
Così deciso in Roma, in camera di consiglio, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 10 febbraio 1981.
F.to: LEONETTO AMADEI - GIULIO GIONFRIDA - EDOARDO VOLTERRA - MICHELE ROSSANO - ANTONINO DE STEFANO - LEOPOLDO ELIA - GUGLIELMO ROEHRSSEN - ORONZO REALE - ALBERTO MALAGUGINI - LIVIO PALADIN - ARNALDO MACCARONE - ANTONIO LA PERGOLA - VIRGILIO ANDRIOLI - GIUSEPPE FERRARI.
GIOVANNI VITALE - Cancelliere