N. 22
SENTENZA 9 FEBBRAIO 1981
Deposito in cancelleria: 10 febbraio 1981.
Pubblicazione in "Gazz. Uff." n. 44 del 13 febbraio 1981.
Pres. AMADEI - Rel. DE STEFANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori: Avv. LEONETTO AMADEI, Presidente - Dott. GIULIO GIONFRIDA - Prof. EDOARDO VOLTERRA - Dott. MICHELE ROSSANO - Prof. ANTONINO DE STEFANO - Prof. LEOPOLDO ELIA - Prof. GUGLIELMO ROEHRSSEN - Avv. ORONZO REALE - Avv. ALBERTO MALAGUGINI - Prof. LIVIO PALADIN - Dott. ARNALDO MACCARONE - Prof. ANTONIO LA PERGOLA Prof. VIRGILIO ANDRIOLI - Prof. GIUSEPPE FERRARI, Giudici,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio sull'ammissibilità, ai sensi dell'art. 2, comma primo, legge cost. 11 marzo 1953, n. 1, della richiesta di referendum popolare per l'abrogazione del decreto legge 15 dicembre 1979, n. 625, convertito in legge con legge 6 febbraio 1980, n. 15 (conversione in legge, con modificazioni, del decreto legge 15 dicembre 1979, n. 625, concernente misure urgenti per la tutela dell'ordine democratico e della sicurezza pubblica) (n. 13 reg. ref.).
Vista l'ordinanza 2 dicembre 1980 con la quale l'Ufficio centrale per il referendum presso la Corte di cassazione ha dichiarato legittima la suddetta richiesta;
udito, nella camera di consiglio del 14 gennaio 1981, il Giudice relatore Antonino De Stefano;
uditi l'avv. Mauro Mellini per il Comitato promotore del referendum e l'avvocato dello Stato Giorgio Azzariti per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto:
L'Ufficio centrale per il referendum, costituito presso la Corte di cassazione, ha esaminato, in applicazione della legge 25 maggio 1970, n. 352, e successive modificazioni, la richiesta di referendum popolare, presentata il 26 giugno 1980 da Rippa Giuseppe, Cherubini Laura, Passeri Maria Grazia, Pergameno Silvio, Vigevano Paolo e Mellini Mauro, sul seguente quesito: "Volete voi l'abrogazione del decreto legge 15 dicembre 1979, n. 625, convertito in legge con legge 6 febbraio 1980, n. 15 (conversione in legge, con modificazioni, del decreto legge 15 dicembre 1979, n. 625, concernente misure urgenti per la tutela dell'ordine democratico e della sicurezza pubblica)?".
Con ordinanza del 2 dicembre 1980, depositata in pari data, l'Ufficio centrale ha dato atto che la richiesta è stata preceduta dall'attività di promozione conforme ai requisiti di legge, che è stata presentata da soggetti che vi erano legittimati, che il deposito è avvenuto nel termine di tre mesi dalla data di vidimazione dei fogli, che la richiesta di abrogazione del su indicato decreto legge n. 625 del 1979, convertito con modificazioni in legge n. 15 del 1980, è stata regolarmente formulata e trascritta nella facciata contenente le firme di ciascun foglio, che il numero definitivo delle sottoscrizioni regolari supera quello di 500.000 voluto dalla Costituzione; e considerato che è indubbio il carattere legislativo dell'atto normativo sottoposto a referendum, che "al momento della presente deliberazione non assume rilievo l'efficacia limitata nel tempo dell'art. 6 della legge", e che al riguardo non sono intervenuti atti di abrogazione, né pronunce di illegittimità costituzionale, ha dichiarato legittima la richiesta anzidetta.
Ricevuta la comunicazione dell'ordinanza, il Presidente di questa Corte ha fissato per la conseguente deliberazione il giorno 14 gennaio 1981, dandone a sua volta comunicazione ai presentatori della richiesta ed al Presidente del Consiglio dei ministri, ai sensi dell'art. 33, comma secondo, della legge n. 352 del 1970.
In una memoria presentata il 10 gennaio 1981, il Comitato promotore, pur contestando, in via di principio, la legittimità del criterio della "omogeneità del quesito" (come degli altri limiti di ammissibilità del referendum abrogativo enunciati nella sentenza di questa Corte n. 16 del 1978) osserva che comunque, nel caso, la richiesta di referendum non troverebbe in quel criterio alcun ostacolo.
Il provvedimento legislativo in questione, emanato, con decreto legge, a "tutela dell'ordine democratico e della sicurezza pubblica", per fronteggiare una situazione di emergenza, ha infatti carattere di legge speciale. Non diversamente, ed anzi in modo ancor più accentuato, di quelle della legge n. 152 del 1975, c.d. legge Reale (analoga per oggetto e riguardo alla quale, con la sentenza anzidetta, la richiesta di referendum allora presentata fu ritenuta conforme al suddetto criterio) le sue disposizioni obbediscono tutte ad un'unica ratio politica. Anche in questo caso, perciò, secondo il Comitato promotore, la richiesta di referendum dovrebbe essere dichiarata senz'altro ammissibile.
Anche l'Avvocatura dello Stato, per il Presidente del Consiglio dei ministri, ha presentato, in data 10 gennaio 1981, una memoria, in cui sostiene che la richiesta di referendum va dichiarata inammissibile. A suo avviso, infatti, una ragione di inammissibilità (diversa da quella della varietà ed eterogeneità dei contenuti normativi) è da individuarsi nel carattere transitorio dell'ultimo comma dell'art. 6 (norma di importanza tutt'altro che secondaria), che disciplina il c.d. fermo di polizia. In virtù dell'ultimo comma dell'art. 6 le disposizioni di quell'articolo si applicano per la durata di un anno dall'entrata in vigore del decreto legge. Perciò, anche se questo termine è stato recentemente prorogato (con decreto legge 12 dicembre 1980, n. 851) di sessanta giorni, le disposizioni stesse cesseranno di aver vigore ben prima della domenica in cui, ai sensi dell'art. 34 della legge 352 del 1970, la consultazione popolare può aver luogo. Ora, osserva l'Avvocatura, così come è da escludersi - lo si desume sia dall'art. 75, comma primo, della Costituzione, sia dagli artt. 37 e 39 della legge n. 352 del 1970 - che il referendum possa svolgersi su disposizioni di leggi abrogate, o dichiarate costituzionalmente illegittime, ugualmente deve dirsi che il referendum non può svolgersi su norme il cui vigore sia cessato, come nel caso, per la scadenza del termine finale stabilito nella legge stessa per il vigore delle disposizioni che essa contiene. Ad avviso dell'Avvocatura, però, in tale ipotesi, competente a rilevare questa impossibilità, non può essere la Corte di cassazione, in applicazione analogica dell'art. 39 della legge n. 352, ma la Corte costituzionale, in sede di verifica di ammissibilità della richiesta. L'art. 39 della legge n. 352, infatti, prevede un fatto - l'abrogazione - estraneo alla legge oggetto del referendum. Nella specie, invece, la impossibilità dello svolgimento del referendum deriva direttamente dal contenuto della legge che ne costituisce l'oggetto, e vizia quindi, fin dall'origine, la relativa richiesta. Si tratta quindi di un vizio, che consiste nella illegittimità costituzionale della richiesta, che risulta rivolta ad uno scopo diverso da quello - l'abrogazione della legge - indicato dall'art. 75, primo comma, della Costituzione e che perciò deve essere rilevato dalla Corte costituzionale, ai sensi dell'art. 33, commi terzo e quarto, della legge n. 352 del 1970.
Ad integrazione del contraddittorio espressamente previsto dall'art. 33, comma terzo, della legge n. 352 del 1970, nella camera di consiglio del 14 gennaio 1981 sono stati uditi l'avv. Mauro Mellini, per il Comitato promotore, e l'avvocato dello Stato Giorgio Azzariti, per il Presidente del Consiglio dei ministri. Il primo ha criticato le deduzioni svolte nella memoria dell'Avvocatura dello Stato, osservando in particolare che non si può pervenire alla inammissibilità della richiesta referendaria di un intero atto normativo sulla base della eventuale non vigenza di una singola disposizione; e richiamate le argomentazioni contenute nella memoria del Comitato, ha insistito per l'ammissibilità. Dal suo canto, l'avvocato dello Stato Azzariti ha ribadito la estraneità del decreto legge, che proroga la vigenza dell'art. 6, al quesito; e richiamandosi alla memoria ha insistito per la inammissibilità della intera richiesta referendaria, in conseguenza della sua inscindibilità.
Considerato in diritto:
Oggetto della richiesta di referendum abrogativo, dichiarata legittima con ordinanza del 2 dicembre 1980, in applicazione dell'art. 32 della legge 25 maggio 1970, n. 352, dall'Ufficio centrale per il referendum, costituito presso la Corte di cassazione, è il d.l. 15 dicembre 1979, n. 625, convertito, con modificazioni, nella legge 6 febbraio 1980, n. 15.
Va innanzi tutto rilevato che di tale provvedimento l'art. 6 (che disciplina l'istituto del c.d. "fermo di pubblica sicurezza") recita testualmente, al suo ultimo comma: "Le disposizioni del presente articolo si applicano per la durata di un anno dall'entrata in vigore del presente decreto". Per effetto dell'art. 15, il decreto è entrato in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale (17 dicembre 1979). Non essendo scaduto l'anno, le disposizioni dell'art. 6 erano tuttora applicabili "al momento della deliberazione" dell'Ufficio centrale, che di ciò ha dato esplicito atto nella ricordata ordinanza del 2 dicembre 1980, precisando che a tale momento "non assume rilievo l'efficacia limitata nel tempo" della norma in parola. Successivamente, per effetto dell'art. 1 del d.l. 12 dicembre 1980, n. 851, la durata dell'applicazione delle disposizioni dell'art. 6 è stata prorogata di sessanta giorni a decorrere dalla scadenza del termine fissato nell'ultimo comma dell'articolo medesimo. Ne consegue che la richiesta referendaria, sulla quale deve ora pronunciarsi la Corte, comprende una norma, la cui perdurante efficacia è dovuta al combinato disposto del suo ultimo comma (sul quale l'Ufficio centrale ha già portato, come su tutte le altre disposizioni, il suo favorevole esame) e dell'art. 1 del d.l. n. 851 del 1980 (emanato successivamente alla deliberazione dello stesso Ufficio). La nuova norma ha modificato, sotto il profilo della durata, la precedente: compete, pertanto, all'Ufficio centrale - secondo quanto affermato nella sentenza di questa Corte n. 68 del 1978 - valutare se la richiesta referendaria debba estendersi alla nuova disciplina, sopravvenuta, dopo la sua ordinanza, nel corso del procedimento. In caso positivo, solo dopo la delibera in tal senso adottata dall'Ufficio centrale la Corte potrà verificare se il nuovo disposto, risultante dal concorso delle due norme, debba venir ammesso alla consultazione referendaria. Allo stato, la Corte ritiene di dover procedere alla verifica dell'ammissibilità del quesito, escludendo dall'esame e dalla conseguente pronuncia tanto il menzionato art. 6, che nella sua portata originaria non sarebbe più applicabile, quanto la norma di proroga che non è contemplata dal quesito, nei termini dichiarati legittimi dall'Ufficio centrale con l'ordinanza del 2 dicembre 1980.
Va poi respinta la tesi dell'Avvocatura dello Stato, secondo la quale la "transitorietà" dell'art. 6 (su cui per quanto innanzi detto la Corte non porta il suo esame) condurrebbe, non alla esclusione dal presente giudizio del solo articolo, ma alla inammissibilità dell'intera richiesta, in ragione della asserita sua inscindibilità. La esclusione di alcune disposizioni non impedisce invero che le altre, rimaste oggetto dell'unica richiesta referendaria (che, pertanto, in tale ipotesi non si scinde in più richieste), vengano unitariamente assoggettate alla consultazione popolare, a meno che, proprio per effetto dell'esclusione, non resti in concreto vulnerata la necessaria omogeneità del quesito. In tale senso, del resto, si è già proceduto in ordine alla richiesta di referendum per l'abrogazione della legge 22 maggio 1975, n. 152, che fu in un primo tempo, con la sentenza n. 16 del 1978, dichiarata ammissibile "ad eccezione dell'art. 5 (sostituito dall'art. 2 della legge 8 agosto 1977, n. 533)"; ed in un secondo tempo, a seguito di nuova ordinanza dell'Ufficio centrale, dichiarata, con sentenza n. 70 del 1978, ammissibile "anche in ordine all'art. 5 della legge stessa, come modificato dall'art. 2 della legge 8 agosto 1977, n. 533".
Le altre disposizioni del d.l. n. 625 del 1979, come modificato dalla legge di conversione n. 15 del 1980, appaiono informate, pur nella varietà dei loro contenuti, ad un principio comune, che conferisce alla materia disciplinata un connotato di sostanziale unitarietà. Come si desume, infatti, dallo stesso suo titolo, l'atto legislativo investito concerne "misure urgenti per la tutela dell'ordine democratico e della sicurezza pubblica": esso, pertanto, si colloca storicamente in una fase di emergenza, che ha determinato il legislatore ad apportare modifiche all'intero sistema di prevenzione e repressione nell'ambito penale, in funzione preminente, appunto, della lotta al terrorismo ed alla delinquenza comune: "Si tratta di difendere concretamente i valori di libertà, di sicurezza e di giustizia che la Costituzione afferma", leggesi nella relazione che accompagna il disegno di legge per la conversione del decreto in parola; e le adottate misure "ambiscono a realizzare un sistema ben coordinato di norme, senza smagliature, inteso ad elevare la capacità di risposta dell'ordinamento alla provocazione ed alla distruttività della delinquenza e della eversione". Di tale contesto si propone l'abrogazione con un quesito che - pur con la esclusione, allo stato, dell'art. 6 - alla Corte appare omogeneo ed univoco, alla luce dei principi in proposito affermati nella sentenza n. 16 del 1978. Con la quale - va poi ricordato - fu egualmente dichiarata ammissibile la richiesta di referendum per l'abrogazione della legge 22 maggio 1975, n. 152 (disposizioni a tutela dell'ordine pubblico), nel riflesso che, malgrado la incontestabile varietà di contenuti normativi, doveva riconoscersi che l'iniziativa aveva per oggetto "un particolare complesso di misure legislative eccezionali", adottate "nel comune intento di fronteggiare la presente situazione di crisi dell'ordine pubblico, con particolare riguardo alla criminalità politica e para - politica"; e che sotto tale aspetto il titolo della legge enunciava già nei suoi tratti essenziali la questione sulla quale il corpo elettorale era chiamato a decidere.
Né si riscontra alcun'altra ragione di inammissibilità. E pertanto la richiesta di referendum va dichiarata ammissibile, ad eccezione della norma sopra indicata.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara ammissibile la richiesta di referendum popolare per l'abrogazione del d.l. 15 dicembre 1979, n. 625, recante "Misure urgenti per la tutela dell'ordine democratico e della sicurezza pubblica" (convertito con modificazioni nella legge 6 febbraio 1980, n. 15), ad eccezione dell'art. 6; richiesta dichiarata legittima con ordinanza del 2 dicembre 1980 dell'Ufficio centrale per il referendum, costituito presso la Corte di cassazione.
Così deciso in Roma, in camera di consiglio, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 9 febbraio 1981.
F.to: LEONETTO AMADEI - GIULIO GIONFRIDA - EDOARDO VOLTERRA - MICHELE ROSSANO - ANTONINO DE STEFANO - LEOPOLDO ELIA - GUGLIELMO ROEHRSSEN - ORONZO REALE - ALBERTO MALAGUGINI - LIVIO PALADIN - ARNALDO MACCARONE - ANTONIO LA PERGOLA - VIRGILIO ANDRIOLI - GIUSEPPE FERRARI.
GIOVANNI VITALE - Cancelliere