N. 99
SENTENZA 19 GIUGNO 1980
Deposito in cancelleria: 25 giugno 1980.
Pubblicazione in "Gazz. Uff." n. 180 del 2 luglio 1980.
Pres. AMADEI - Rel. VOLTERRA
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori: Avv. LEONETTO AMADEI, Presidente - Dott. GIULIO GIONFRIDA - Prof. EDOARDO VOLTERRA - Prof. GUIDO ASTUTI - Dott. MICHELE ROSSANO - Prof. ANTONINO DE STEFANO - Prof. LEOPOLDO ELIA - Prof. GUGLIELMO ROEHRSSEN - Avv. ORONZO REALE - Dott. BRUNETTO BUCCIARELLI DUCCI - Avv. ALBERTO MALAGUGINI - Prof. LIVIO PALADIN - Prof. ANTONIO LA PERGOLA - Prof. VIRGILIO ANDRIOLI, Giudici,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 6 della legge 20 maggio 1970, n. 300 (statuto dei lavoratori), promosso con ordinanza emessa il 26 maggio 1975 dal pretore di Milano, nel procedimento civile vertente tra Marino Agostino e la S.p.a. Alfa Romeo, iscritta al n. 487 del registro ordinanze 1975 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 313 del 26 novembre 1975.
Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell'udienza pubblica del 23 aprile 1980 il Giudice relatore Edoardo Volterra;
udito l'avvocato generale dello Stato, Renato Carafa, per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto:
1. - Pronunziando su un'istanza incidentale di provvedimento d'urgenza ex art. 700 cod. proc. civ., il pretore di Milano ordinava alla convenuta Società Alfa Romeo la reintegrazione nel posto di lavoro del ricorrente Agostino Marino e contestualmente sollevava questione di legittimità costituzionale dell'art. 6 della legge 20 maggio 1970, n. 300 (Statuto dei lavoratori), per contrasto con gli artt. 2, 3, 13 e 41, secondo comma, della Costituzione.
Risulta dall'ordinanza che il ricorrente è stato sorpreso mentre tentava di portar fuori dello stabilimento alcuni beni della Società Alfa Romeo, e che il pretore accorda il provvedimento d'urgenza fondando il fumus boni iuris sull'illegittimità costituzionale dell'art. 6 dello Statuto dei lavoratori, il quale consentirebbe l'ispezione coattiva dei lavoratori da parte del datore di lavoro. Infatti, osserva il pretore, una volta annullata la norma sospetta d'illegittimità, l'acquisizione probatoria a carico del Marino sarebbe nulla, con conseguente illegittimità del licenziamento intimato.
Nel merito della questione di legittimità costituzionale il pretore rileva che la norma denunziata, consentendo al datore di lavoro ispezioni coattive e perquisizioni, sia pure entro certi limiti e a determinate condizioni, collide con l'art. 13 della Costituzione, il quale consente restrizioni della libertà personale esclusivamente ad opera di specifici organi dello Stato. Né sarebbe ipotizzabile il ricorso all'istituto del consenso dell'avente diritto, se è vero che la norma non lo prende in esame, come non prende nemmeno in esame il consenso collettivamente prestato dalle rappresentanze dei lavoratori, quando afferma che questo può essere sostituito da un provvedimento di polizia amministrativa.
Il contrasto con gli altri articoli della Costituzione deriverebbe dalla concezione ideologica sottesa alla norma che si riallaccia a quella dell'"originarietà normativa dell'ordinamento aziendale, all'interno del quale il " maitre " si pone come titolare di un potere assoluto nei confronti dei lavoratori sudditi". Di qui il contrasto con i diritti inviolabili dell'uomo sub specie dell'habeas corpus (art. 2 Cost.), con la pari dignità sociale di tutti i cittadini (art. 3 Cost.), con il "ribaltamento dell'ottica tradizionale" operato dall'art. 41 Cost. che sancisce la prevalenza della sicurezza, della libertà e della dignità umana sul diritto di proprietà.
2. - L'ordinanza è stata regolarmente notificata, comunicata e pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale.
Dinanzi alla Corte costituzionale è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, e si è costituita. ma fuori termine, la S.p.a. Alfa Romeo, rappresentata e difesa dagli Avvocati Michele Giorgianni e Salvatore Trifirò.
Nel chiedere che la questione venga dichiarata infondata, l'Avvocatura rileva che l'art. 6 della legge n. 300 non consente affatto la coercizione fisica del lavoratore, ma si limita a prevedere la possibilità di visite di controllo, visite alle quali il lavoratore può sempre opporre rifiuto. Questo rifiuto può determinare soltanto a carico del lavoratore l'applicazione di sanzioni disciplinari in conformità agli accordi dei contratti collettivi di lavoro, sanzioni contro le quali il destinatario ha la possibilità di svolgere tutte le impugnative previste dal successivo art. 7. Mancando la possibilità della coazione fisica o morale, sarebbe impossibile ipotizzare qualsiasi contrasto con l'art. 13 Cost.
Aggiunge l'Avvocatura che l'art. 6 impugnato, tendendo a tutelare il patrimonio aziendale nella sua integrità, garantisce sì la proprietà privata del datore di lavoro, ma anche l'elemento indispensabile perché lo stesso diritto al lavoro possa essere effettivamente esercitato. Senza il patrimonio aziendale difatti non esiste l'impresa e senza impresa non esiste neanche la possibilità d'un concreto svolgimento del lavoro. Ispirata dunque alle finalità di cui agli artt. 4 e 35 Cost., la norma impugnata non appare nemmeno in contrasto con gli artt. 2, 3 e 41 della Costituzione.
Considerato in diritto:
Il pretore di Milano solleva questione di legittimità costituzionale dell'art. 6 della legge 20 maggio 1970, n. 300 (Statuto dei lavoratori), in riferimento agli artt. 2, 3, 13 e 41, secondo comma della Costituzione.
Secondo il giudice a quo l'art. 6 dello Statuto colliderebbe con gli artt. 2 e 13 della Costituzione in quanto le visite personali di controllo previste nell'articolo denunziato violerebbero i diritti essenziali dell'uomo e la libertà personale dell'individuo e non potrebbero essere attuate nemmeno con il consenso dell'avente diritto o con quello collettivamente prestato dalle rappresentanze dei lavoratori, ma esclusivamente ad opera di specifici organi dello Stato.
Le disposizioni dell'art. 6 costituirebbero "una norma attributiva di un potere privato dissonante con il principio costituzionale dell'inviolabilità personale. L'ideologia che essa sottintende", prosegue l'ordinanza, "è quella della originarietà normativa dell'ordinamento aziendale all'interno del quale il " maitre " si pone come titolare di un potere assoluto nei confronti dei lavoratori sudditi, considerati a stregua di irriducibili antagonisti del valore - cardine dell'ordinamento, la proprietà". Da tale ideologia discenderebbe "una sorta di presunzione di sospetto nei confronti dei lavoratori occupati nell'impresa" e "una sorta di diffidenza di classe" e pertanto una prevalenza dei diritti dei proprietari di fronte a quelli dei loro dipendenti, il che violerebbe il principio dell'uguaglianza e i limiti costituzionali dell'esercizio della proprietà.
2. - Benché sollevata a seguito di concessione di provvedimento ex art. 700 cod. proc. civ. la Corte ritiene che la questione sia ammissibile in quanto proposta nel corso e ai fini del giudizio di merito (sulla impugnazione del licenziamento), del quale il giudice a quo era già investito col procedimento principale.
3. - La questione di legittimità costituzionale non è fondata.
Va anzitutto rilevato che la concezione ideologica sulla quale il giudice a quo crede di impostare la sua interpretazione dell'art. 6 non risponde allo spirito dello Statuto dei lavoratori e allo scopo che il legislatore ha inteso con esso perseguire. A base dell'ordinanza vi è l'aprioristica persuasione che la norma denunziata configuri il rapporto di lavoro come un inevitabile e irriducibile contrasto fra datori di lavoro e lavoratori, in guisa che lo svolgimento dell'attività produttiva debba attuarsi in un incessante conflitto fra opposti interessi degli uni e degli altri. Ciò porta ad una errata ed anacronistica nozione dell'impresa che contrasta con l'attuale realtà economica e giuridica.
L'articolo denunziato s'inquadra invece nel complesso delle norme che regolano i rapporti fra datori di lavoro e lavoratori nell'esercizio dell'attività lavorativa e della produzione economica. Esso non è diretto a limitare la libertà, la dignità e l'onorabilità individuale del lavoratore nell'organizzazione aziendale, ma concorre a disciplinare l'attività collettiva dei facenti parte di tale organizzazione. Presupposto necessario di questa è la regolamentazione del complesso aziendale, il quale, come quello di qualsivoglia gruppo umano avente uno scopo economico comune, non può attuarsi senza i necessari controlli.
4. L'art. 6 prende dunque atto di una realtà necessaria e la regolamenta determinando i fini ai quali devono essere dirette le visite personali di controllo, cioè la tutela del patrimonio aziendale in relazione alla qualità degli strumenti di lavoro o delle materie prime o dei prodotti, precisando che esse devono svolgersi all'uscita dei luoghi di lavoro, con il rispetto della dignità e della riservatezza del lavoratore e con l'applicazione di sistemi di selezione automatica riferiti alla collettività o a gruppi di lavoratori.
5. - Ciò premesso, la norma denunziata non contrasta con l'art. 13 della Costituzione e non lede l'autonomia dell'individuo e la disponibilità della propria persona.
Le modalità indicate per l'esercizio del controllo sono dirette a dare un carattere impersonale alle visite, salvaguardando la tranquillità e la serenità dell'ambiente lavorativo e proteggendo sia i beni del patrimonio aziendale sia, nei luoghi di lavoro, quelli personali dei singoli lavoratori.
Si tratta in ogni caso di controlli che non sono né possono essere coattivamente imposti, ma che devono svolgersi col consenso dell'interessato, soggetto, in caso di ingiustificato rifiuto soltanto a responsabilità disciplinare.
Come questa Corte ha già ritenuto con la sentenza n. 23 del 1975 in tema anch'essa di Statuto dei lavoratori, l'art. 13 della Costituzione disciplina potestà coattive dirette a limitare l'autonomia e la disponibilità della persona, ma non riguarda oneri volontariamente assunti che non comportano alcuna degradazione giuridica e che non ledono in alcun modo la dignità del soggetto.
6. - Gli stessi argomenti fatti valere per l'art. 13 mostrano infine come sia del pari insussistente la pretesa violazione degli artt. 2, 3 e 41, secondo comma, della Costituzione.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 6 della legge 20 maggio 1970, n. 300 (Statuto dei lavoratori) sollevata dal pretore di Milano con l'ordinanza in epigrafe in riferimento agli artt. 2, 3, 13, 41, secondo comma, della Costituzione.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 19 giugno 1980.
F.to: LEONETTO AMADEI - GIULIO GIONFRIDA - EDOARDO VOLTERRA - GUIDO ASTUTI - MICHELE ROSSANO - ANTONINO DE STEFANO - LEOPOLDO ELIA - GUGLIELMO ROEHRSSEN - ORONZO REALE - BRUNETTO BUCCIARELLI DUCCI - ALBERTO MALAGUGINI - LIVIO PALADIN - ANTONIO LA PERGOLA - VIRGILIO ANDRIOLI.
GIOVANNI VITALE - Cancelliere