N. 97
SENTENZA 19 GIUGNO 1980
Deposito in cancelleria: 25 giugno 1980.
Pubblicazione in "Gazz. Uff." n. 180 del 2 luglio 1980.
Pres. AMADEI - Rel. ASTUTI
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori: Avv. LEONETTO AMADEI, Presidente - Dott. GIULIO GIONFRIDA - Prof. EDOARDO VOLTERRA - Prof. GUIDO ASTUTI - Dott. MICHELE ROSSANO - Prof. ANTONINO DE STEFANO - Prof. LEOPOLDO ELIA - Prof. GUGLIELMO ROEHRSSEN - - Dott. BRUNETTO BUCCIARELLI DUCCI - Avv. ALBERTO MALAGUGINI - Prof. LIVIO PALADIN - Dott. ARNALDO MACCARONE - Prof. ANTONIO LA PERGOLA - Prof. VIRGILIO ANDRIOLI, Giudici,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 114 della legge 10 agosto 1950, n. 648 e dell'art. 109 della legge 18 marzo 1968, n. 313 (Pensioni di guerra) promosso con ordinanza emessa il 26 gennaio 1976 dalla Corte dei conti - Sezione 1 giurisdizionale -, sul ricorso di Pompili Sebastiano, iscritta al n. 436 del registro ordinanze 1976 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 198 del 28 luglio 1976.
Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell'udienza pubblica del 16 gennaio 1980 il Giudice relatore Guido Astuti;
udito l'avvocato dello Stato Franco Chiarotti, per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto:
1. - Con atto spedito per raccomandata il 18 gennaio 1963 Sebastiano Pompili proponeva ricorso alla Corte dei conti avverso il decreto ministeriale con il quale gli veniva negato il trattamento pensionistico di guerra. Il Procuratore generale chiedeva che la Corte dichiarasse irricevibile il ricorso in quanto spedito oltre il termine perentorio di novanta giorni dalla data di notificazione del provvedimento impugnato, previsto dall'art. 114 della legge 10 agosto 1950, n. 648.
Con ordinanza 26 gennaio 1976 la Corte dei conti ha sollevato, su eccezione del ricorrente, la questione di legittimità costituzionale, per contrasto con l'art. 3 della Costituzione, delle norme che in materia di pensioni di guerra comminano la decadenza per decorso del termine di impugnativa.
Si legge nell'ordinanza che a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 8 del 1976 (che ha dichiarato l'illegittimità costituzionale delle norme che stabilivano il termine di novanta giorni per la presentazione di ricorsi in materia di pensioni ordinarie), si è venuta a creare una irragionevole disparità di trattamento tra due categorie di soggetti i quali - benché portatori di diritti pensionistici sostanzialmente diversi - si trovano in situazioni assimilabili, specie in ordine al fondamento e ai modi della loro tutela giurisdizionale: e ciò tanto più in quanto la stessa Corte costituzionale aveva motivato quella decisione con riferimento alla natura di diritto soggettivo patrimoniale della pensione, e al carattere paritetico e non autoritativo del provvedimento amministrativo che statuisce sul diritto medesimo: caratteri dei quali partecipano, rispettivamente, anche il diritto alla pensione di guerra e il relativo provvedimento amministrativo.
Esprime, infine, la Corte le proprie preoccupazioni sulle prevedibili conseguenze che l'incostituzionalità delle norme denunciate verrebbe a produrre nel settore già tanto gravato del contenzioso pensionistico di guerra, e richiama in particolare la disposizione contenuta nell'art. 112, comma primo, della legge n. 313 del 1968 che attribuisce all'Amministrazione la facoltà di modificare o di revocare i propri decreti in materia prima che sia decorso il termine per impugnarli, osservando che, se la funzione di tale termine è anche quella di garantire l'interessato da una illimitata disponibilità dello jus poenitendi da parte dell'Amministrazione, tale garanzia verrebbe meno con la soppressione del termine in parola, ed ogni diritto in materia pensionistica di guerra potrebbe permanentemente restare esposto alla indicata eventualità.
2. - Nel giudizio innanzi a questa Corte è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, il quale ha concluso per l'infondatezza della questione proposta, in quanto non ricorrerebbe nessuno dei due motivi che hanno indotto questa Corte alla pronuncia di illegittimità di cui alla citata sentenza n. 8 del 1976: non quello relativo alla identità di natura del provvedimento di pensione di guerra e del provvedimento di pensione dei pubblici dipendenti, poiché la componente di pariteticità, così evidente in quest'ultimo, sarebbe di gran lunga più sfumata nel primo; né quello della irrazionale difformità di tutela dei diritti patrimoniali, secondo che essi nascessero in dipendenza di rapporto di impiego o prescindendo da tale rapporto: assumendo che nella fattispecie tale differenza non si pone, e la razionalità della distinzione tra l'eliminazione del termine di decadenza e la conservazione dello stesso termine - nel presente caso - sarebbe pertanto pienamente sostenibile.
Svolge infine l'Avvocatura rilievo analogo a quello, già esposto, della Corte dei conti, circa l'influenza di una eventuale dichiarazione di incostituzionalità sull'istituto del riesame amministrativo previsto dall'art. 112 della legge n. 313 del 1968.
Considerato in diritto:
1. - La Corte dei conti, sezione prima giurisdizionale pensioni di guerra, solleva, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, la questione di legittimità costituzionale degli articoli 114 legge 10 agosto 1950, n. 648, e 109 legge 18 marzo 1968, n. 313 (ora art. 116 t.u. delle norme in materia di pensioni di guerra approvato con d.P.R. 23 dicembre 1978, n. 915), nella parte in cui prescrivono un termine perentorio di novanta giorni dalla data di notificazione o di consegna del provvedimento del ministro del tesoro, per la proposizione dei ricorsi da parte degli aventi diritto a pensione di guerra. L'ordinanza di rimessione si richiama alla sentenza 15 gennaio 1976, n. 8 di questa Corte, con la quale venne dichiarata la illegittimità delle disposizioni che prevedevano il medesimo termine di decadenza di novanta giorni per la proposizione dei ricorsi in materia di pensioni civili degli impiegati dello Stato e di altri enti pubblici; e, osserva che "pur nelle sostanziali differenze che caratterizzano gli istituti della normale pensione di quiescenza e della pensione di guerra, specie per quanto attiene ai rispettivi fondamenti, remunerativo e risarcitorio", le motivazioni adottate da questa Corte nella ricordata sentenza, applicabili anche nei confronti del diritto a pensione di guerra e del relativo provvedimento amministrativo, giustificano il dubbio circa "una irragionevole disparità di trattamento tra due categorie di soggetti, bensì portatori di diritti diversi, ma tali da presentare, specie in ordine al fondamento e ai modi della loro tutela giurisdizionale, situazioni assimilabili". Ciò non senza prospettare tuttavia qualche ragione di perplessità, sia in relazione al prevedibile ulteriore aggravamento del contenzioso pensionistico di guerra, sia anche in relazione alla garanzia di certezza giuridica offerta ai soggetti interessati dalla disposizione dell'art. 112, primo comma, della legge 18 marzo 1968, n. 313, per cui i decreti concessivi o negativi del trattamento pensionistico di guerra possono essere modificati o revocati, anche di ufficio, prima della scadenza del termine di novanta giorni per il ricorso alla Corte dei conti, cosicché resterebbe preclusa una illimitata disponibilità temporale dello jus poenitendi da parte dell'Amministrazione.
2. - La questione è fondata. Questa Corte ha già avuto più volte l'occasione di porre a raffronto le diverse discipline normative che caratterizzano l'ordinamento delle pensioni ordinarie e rispettivamente delle pensioni, assegni o indennità di guerra, ed ha ripetutamente riconosciuto la particolare natura delle seconde, in relazione al carattere risarcitorio e allo speciale fondamento giuridico costituito dalla causa di guerra, che giustifica un regime sostanziale differenziato rispetto a quello proprio delle pensioni ordinarie, dirette ad assicurare un trattamento di quiescenza, di contenuto remunerativo, al termine d'un rapporto di impiego o di servizio (si v. da ultimo la sentenza n. 55/1980). Ma al tempo stesso questa Corte ha ritenuto che se il diverso fondamento e regime sostanziale può determinare talune differenze anche in ordine alla normativa processuale, tuttavia il distinto titolo giuridico della pretesa non può avere rilevanza di fronte alle pari esigenze di tutela che richiedono, per gli aventi diritto a pensioni ordinarie o di guerra, una medesima disciplina dei rimedi avverso i provvedimenti resi in sede amministrativa, specie per quanto riguarda le modalità di proposizione dei relativi ricorsi, davanti allo stesso organo giurisdizionale (sentenze nn. 170/1971; 38/1972; 41/1973; 85/1975; 131/1975).
Per quanto concerne, in particolare, il termine perentorio di novanta giorni per la proposizione dei ricorsi in materia di pensioni ordinarie, con la sentenza n. 8/1976 ne è stata dichiarata la illegittimità sulla base di un duplice ordine di motivi, sia perché oggetto del giudizio è un diritto soggettivo di natura patrimoniale, sia perché il provvedimento amministrativo che lo riconosce o esclude è atto di carattere così detto paritetico e non autoritativo, e conseguentemente il controllo giurisdizionale attribuito alla competenza della Corte dei conti non è limitato all'esame della legittimità del provvedimento stesso, ma si estende al contenuto del rapporto controverso, essendo sostanzialmente volto all'accertamento del diritto a pensione. Sono gli stessi argomenti per cui la giurisprudenza del Consiglio di Stato già aveva escluso che per i ricorsi relativi a diritti patrimoniali, devoluti alla sua giurisdizione esclusiva, potesse valere il termine di decadenza di sessanta giorni stabilito in via generale dall'art. 36 del t.u. approvato con r.d. 26 giugno 1924, n. 1054.
Ora, appare evidente come i motivi dianzi ricordati non possano non essere estesi anche nei confronti delle controversie in materia di pensioni, assegni o indennità di guerra, data la incontestabile natura di diritto soggettivo patrimoniale riconosciuta alle relative pretese di prestazioni pensionistiche, e il carattere paritetico e non autoritativo dei connessi provvedimenti amministrativi. Non sfugge la differenza delle vigenti normative, per cui il diritto al trattamento di quiescenza, diretto o di riversibilità, non si perde, di regola, per prescrizione (art. 5 t.u. approvato con d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092), mentre il diritto a chiedere la liquidazione della pensione, assegno o indennità di guerra, nei casi in cui il procedimento non si inizia di ufficio ma solo a domanda, "si prescrive" per i militari, dopo trascorsi cinque anni dall'effettiva cessazione del servizio di guerra comunque avvenuta, e, per i civili, trascorsi cinque anni dal verificarsi degli eventi considerati dalla legge come fatti di guerra (art. 99 t.u. approvato con d.P.R. 23 dicembre 1978, n. 915).
Ma - senza indagare qui sulla natura di detto termine questa differenza di disciplina, connessa all'esigenza di un tempestivo accertamento della dipendenza della morte o invalidità da causa di servizio o fatto di guerra ad opera delle competenti autorità amministrative e sanitarie, non ha tuttavia rilievo in ordine alla qualificazione del diritto e al fondamento della sua tutela giurisdizionale; e pertanto si impone il riconoscimento della illegittimità delle disposizioni denunciate, che appaiono prive ormai di giustificazione sul piano della razionalità, e quindi integrano una disparità di trattamento che deve essere eliminata in ossequio al principio sancito dall'art. 3 della Costituzione.
Alla conseguente declaratoria di incostituzionalità non possono fare ostacolo né la preoccupazione relativa alle possibili conseguenze per l'aggravamento ulteriore dei ruoli del contenzioso pensionistico di guerra, né le considerazioni dell'ordinanza di rimessione circa gli effetti della eliminazione del termine di decadenza in relazione al disposto dell'art. 112 della legge n. 313 del 1968, perché il regime delle modificazioni e revisioni d'ufficio o a domanda dei provvedimenti concessivi o negativi del trattamento pensionistico di guerra, ai fini della liquidazione del trattamento stesso o di trattamento più favorevole, e salvi comunque i diritti riconosciuti, è stato modificato con le disposizioni dell'art. 78 e seguenti del vigente t.u. del 1978, disciplinando i casi di revoca e modificazione dei provvedimenti senza limite di tempo, e la speciale procedura per la perdita, sospensione o riduzione delle pensioni o degli assegni (artt. 81 sg., 112 sg.).
3. - In conseguenza della pronuncia di incostituzionalità delle norme denunciate, va dichiarata di ufficio, ai sensi dell'art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87, la illegittimità dell'identica disposizione contenuta nell'art. 86, primo comma, del r.d. 12 luglio 1934, n. 1214, t.u. delle leggi sulla Corte dei conti, e nell'art. 116 del t.u. approvato con d.P.R 23 dicembre 1978, n. 915, oggi vigente.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara la illegittimità costituzionale degli artt. 114 della legge 10 agosto 1950, n. 648, e 109 della legge 18 marzo 1968, n. 313, nella parte in cui prescrivono, per la proposizione dei ricorsi in materia di pensioni, assegni o indennità di guerra, da parte degli aventi diritto, il termine perentorio di novanta giorni dalla data di notificazione o consegna del provvedimento impugnato;
dichiara altresì d'ufficio, ai sensi dell'art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87, e negli stessi limiti, la illegittimità costituzionale dell'art. 86, primo comma, del r.d. 12 luglio 1934, n. 1214, t.u. delle leggi sulla Corte dei conti, e dell'articolo 116 del t.u. approvato con d.P.R. 23 dicembre 1978, n. 915.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 19 giugno 1980.
F.to: LEONETTO AMADEI - GIULIO GIONFRIDA - EDOARDO VOLTERRA - GUIDO ASTUTI - MICHELE ROSSANO - ANTONINO DE STEFANO - LEOPOLDO ELIA - GUGLIELMO ROEHRSSEN - BRUNETTO BUCCIARELLI DUCCI - ALBERTO MALAGUGINI - LIVIO PALADIN - ARNALDO MACCARONE - ANTONIO LA PERGOLA - VIRGILIO ANDRIOLI.
GIOVANNI VITALE - Cancelliere