N. 81
SENTENZA 5 GIUGNO 1980
Deposito in cancelleria: 11 giugno 1980.
Pubblicazione in "Gazz. Uff." n. 166 del 18 giugno 1980.
Pres. AMADEI - Rel. PALADIN
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori: Avv. LEONETTO AMADEI, Presidente - Dott. GIULIO GIONFRIDA - Prof. GUIDO ASTUTI - Dott. MICHELE ROSSANO - Prof. ANTONINO DE STEFANO - Prof. LEOPOLDO ELIA - Prof. GUGLIELMO ROEHRSSEN - Avv. ORONZO REALE - Dott. BRUNETTO BUCCIARELLI DUCCI - Avv. ALBERTO MALAGUGINI - Prof. LIVIO PALADIN - Dott. ARNALDO MACCARONE - Prof. ANTONIO LA PERGOLA - Prof. VIRGILIO ANDRIOLI, Giudici,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 37, primo comma, del codice penale militare di pace e dell'art. 8 della legge 23 marzo 1956, n. 167, nella parte in cui modifica l'art. 264 del detto codice, promosso con ordinanza emessa il 26 febbraio 1975 dal giudice istruttore del tribunale militare territoriale di Padova nel procedimento penale a carico di Carozza Vincenzo, iscritta al n. 133 del registro ordinanze 1975 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 159 del 18 giugno 1975.
Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell'udienza pubblica del 19 dicembre 1979 il Giudice relatore Livio Paladin;
udito l'avvocato dello Stato Giuseppe Angelini Rota, per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto:
1. - Con ordinanza emessa il 26 febbraio 1975, il giudice istruttore del tribunale militare territoriale di Padova ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 37, primo comma, del codice penale militare di pace (sulla definizione del reato militare), nonché dell'art. 8 della legge 23 marzo 1956, n. 167 (nella parte in cui modifica l'art. 264 del codice stesso, quanto alla connessione fra i procedimenti di competenza dell'autorità giudiziaria ordinaria e quelli di competenza dell'autorità giudiziaria militare), in riferimento all'art. 103, terzo comma, della Costituzione.
Nel corso di un procedimento in cui si profilavano, a carico di un medesimo soggetto appartenente alle forze armate, indizi di reati sia comuni sia militari (simulazione di reato e violata consegna), il giudice a quo ha rilevato che - in base al primo comma dell'art. 37 c.p.m.p. - deve oggi ritenersi reato militare "ogni violazione della legge penale militare", secondo un criterio puramente "formalistico", affidato alla più ampia discrezionalità legislativa e non integrabile con altri criteri "di ordine sostanziale"; sicché non è tale la simulazione di reato, quand'anche commessa - come nella specie - "da un militare, in luogo militare, durante un servizio militare, e a danno del servizio militare".
Per contro, si adduce nell'ordinanza di rimessione che questa Corte ha considerato - come si legge nella motivazione della sentenza n. 29 del 1958 - chiaramente espressa dall'art. 103, terzo comma, Cost. "la volontà che la giurisdizione militare in tempo di pace sia circoscritta nei limiti soggettivi e oggettivi a tal fine precisati (qualità di appartenente alle Forze Armate dei soggetti, carattere obbiettivamente militare dei reati)". Dal che risulterebbe - secondo l'ordinanza stessa - che debbano dirsi lesive del richiamato precetto costituzionale norme come quelle impugnate, con le quali il legislatore conferirebbe ai reati "il carattere di militarità" sulla base di valutazioni mancanti di un obiettivo riscontro.
2. - Il Presidente del Consiglio dei ministri, costituitosi per mezzo dell'Avvocatura dello Stato, ritiene viceversa che l'impugnativa sia infondata.
Quanto al nuovo testo dell'art. 264 c.p.m.p., nessuna motivazione specifica sarebbe stata addotta dal giudice a quo; e l'infondatezza della questione risulterebbe comunque dalla precedente sentenza n. 29 del 1958, con cui questa Corte si è già pronunciata sul punto.
Quanto poi all'art. 37, primo comma, c.p.m.p., esso non potrebbe considerarsi in contrasto con l'art. 103 Cost., dal momento che ne integrerebbe il contenuto normativo, definendo appunto la nozione di "reato militare", che il testo costituzionale si limiterebbe invece a presupporre. Inoltre, tale nozione corrisponderebbe esattamente al criterio obiettivo di individuazione, indicato dalla ricordata decisione della Corte.
Considerato in diritto:
L'ordinanza di rimessione isola dal suo contesto, deformandone il significato, quel passo della sentenza 8 aprile 1958, n. 29, in cui questa Corte ha affermato che la giurisdizione militare in tempo di pace va circoscritta "nei limiti soggettivi e oggettivi" precisati dal terzo comma dell'art. 103 Cost.: considerando non solo la "qualità di appartenente alle Forze Armate dei soggetti", ma anche il "carattere obbiettivamente militare dei reati". Di qui, precisamente, il giudice a quo fa derivare la pretesa illegittimità dell'art. 37, primo comma, del codice penale militare di pace e dell'art. 8 della legge 23 marzo 1956, n. 167 (sostitutivo dell'art. 264 c.p.m.p.): giacché le norme impugnate definirebbero i reati militari alla stregua di un "criterio formalistico", non integrabile con altri criteri "di ordine sostanziale", tali da estendere la giurisdizione dei tribunali militari ai casi in cui si tratti di reati non previsti dalla legge penale militare, pur essendo imputabili a soggetti militari e commessi in danno del servizio militare.
Così ragionando, tuttavia, il giudice a quo trascura che la ricordata decisione della Corte concludeva nel senso dell'infondatezza della questione di legittimità costituzionale concernente l'art. 264 c.p.m.p. (nel nuovo testo introdotto dalla legge n. 167 del 1956), in riferimento al terzo comma dell'art. 103 Cost.; e da tale norma non traeva affatto la garanzia della giurisdizione militare, nella sua configurazione precostituzionale, ma invece desumeva i limiti massimi entro i quali può legittimamente svolgersi la giurisdizione stessa, come risulta dall'avverbio "soltanto" sul quale s'impernia la frase relativa ai tribunali militari operanti in tempo di pace. La permanente validità che la Corte attribuisce a questi assunti basta, pertanto, a far considerare infondata l'impugnativa dell'art. 264 c.p.m.p., riproposta dal giudice istruttore del tribunale militare territoriale di Padova. E parallelamente ne deriva l'infondatezza dell'analoga questione pertinente al primo comma dell'art. 37 c.p.m.p.
Del resto, la definizione contenuta nell'art. 37 dev'essere a sua volta valutata nel sistema in cui si colloca: in vista del quale si può riscontrare che il legislatore non ha certo configurato ad arbitrio i reati militari - come sembra credere il giudice a quo - bensì ha tenuto conto del fatto che nei loro "elementi materiali costitutivi" essi non sono previsti dalla legge penale comune o comunque offendono, accanto ad interessi tutelati dalla legge stessa, interessi aventi natura militare. Ed anche a ritenere che, in singoli casi, tali criteri obiettivi siano stati disapplicati dalla legge penale militare, le eventuali censure di legittimità costituzionale - mosse in riferimento all'art. 103, terzo comma - non potrebbero mai ripercuotersi sull'intera nozione del reato militare, fissata in via generale dall'art. 37, primo comma.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 37, primo comma, e 264 del codice penale militare di pace, sollevata dal giudice istruttore del tribunale militare territoriale di Padova, in riferimento all'art. 103, terzo comma, della Costituzione.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 5 giugno 1980.
F.to: LEONETTO AMADEI - GIULIO GIONFRIDA - GUIDO ASTUTI - MICHELE ROSSANO - ANTONINO DE STEFANO - LEOPOLDO ELIA - GUGLIELMO ROEHRSSEN - ORONZO REALE - BRUNETTO BUCCIARELLI DUCCI - ALBERTO MALAGUGINI - LIVIO PALADIN - ARNALDO MACCARONE - ANTONIO LA PERGOLA - VIRGILIO ANDRIOLI.
GIOVANNI VITALE - Cancelliere