N. 80
SENTENZA 5 GIUGNO 1980
Deposito in cancelleria: 11 giugno 1980.
Pubblicazione in "Gazz. Uff." n. 166 del 18 giugno 1980.
Pres. AMADEI - Rel. ELIA
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori: Avv. LEONETTO AMADEI, Presidente - Prof. EDOARDO VOLTERRA - Prof. GUIDO ASTUTI - Dott. MICHELE ROSSANO - Prof. ANTONINO DE STEFANO - Prof. LEOPOLDO ELIA - Prof. GUGLIELMO ROEHRSSEN - Avv. ORONZO REALE - Dott. BRUNETTO BUCCIARELLI DUCCI - Avv. ALBERTO MALAGUGINI - Prof. LIVIO PALADIN - Dott. ARNALDO MACCARONE - Prof. ANTONIO LA PERGOLA - Prof. VIRGILIO ANDRIOLI, Giudici,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 4, ultimo comma, della legge 12 novembre 1976, n. 751 (Norme per la determinazione e riscossione delle imposte sui redditi dei coniugi) promosso con ordinanza emessa il 24 maggio 1978 dalla Commissione tributaria di secondo grado di Padova, sul ricorso proposto da Ambrosio Gino, iscritta al n. 473 del registro ordinanze 1978 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 10 del 10 gennaio 1979.
Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell'udienza pubblica del 18 aprile 1979 il Giudice relatore Leopoldo Elia;
udito l'avvocato dello Stato Giovanni Albisinni per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto:
Con ordinanza emessa il 24 maggio 1978 la Commissione tributaria di secondo grado di Padova sollevava questione di costituzionalità dell'art. 4, ultimo comma, della legge 12 novembre 1976, n. 751 - Norme per la determinazione e riscossione delle imposte sui redditi dei coniugi per gli anni 1974 e precedenti e altre disposizioni in materia tributaria - per contrasto con gli artt. 3, 31, 53 della Costituzione. La norma impugnata infatti escluderebbe la riliquidazione separata dell'imposta nei confronti di ciascuno dei coniugi, fra l'altro quando il rapporto tributario sia stato definito ai sensi del d.l. 5 novembre 1973, n. 660, convertito con modificazioni nella legge 19 dicembre 1973, n. 823, e dunque, prevedendo la intangibilità del rapporto così come definito in base alle norme sul cumulo, violerebbe quei medesimi valori costituzionali che appunto la normativa sul cumulo viola, secondo quanto ha ritenuto la Corte costituzionale nella sentenza 15 luglio 1976, n. 179.
L'ordinanza, regolarmente notificata e comunicata, veniva pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 10 del 10 gennaio 1979.
Interveniva il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato dall'Avvocatura dello Stato, deducendo l'infondatezza della questione. La salvezza dei rapporti esauriti non costituirebbe invero una particolarità della normativa impugnata ma un principio generale che nella fattispecie sarebbe stato puntualmente ribadito.
Nell'udienza di discussione l'Avvocatura dello Stato confermava gli argomenti svolti.
Considerato in diritto:
La questione non è fondata.
La Commissione tributaria di secondo grado di Padova denunzia l'ultimo comma dell'art. 4 della legge 12 novembre 1976, n. 751, "in quanto la preclusione legislativa" in esso disposta "introduce una ingiustificata eccezione al principio della separazione dei redditi in contrasto quindi con gli artt. 3, 31 e 53 della Costituzione, la cui violazione è stata assunta come fondamento della sentenza della Corte costituzionale 15 luglio 1976, n. 179". Come è agevole dedurre dalla legge n. 751 del 1976 la "preclusione legislativa" si concreterebbe nella impossibilità di procedere ad una separata liquidazione della imposta complementare perredditi a suo tempo definiti con la procedura del c.d. condono (d.l. 5 novembre 1973, n. 660, convertito con modificazioni nella legge 19 dicembre 1973, n. 823).
Si può innanzitutto osservare che l'"esaurimento" dei rapporti tributari definiti da chi ha richiesto il condono emerge già con chiarezza dal testo del primo comma dell'art. 11 del d.l. 5 novembre 1973, n. 660 (non modificato, per ciò che qui interessa, dalla legge di conversione), secondo cuigiudizi in corso alla data di entrata in vigore del decreto sono sospesi in seguito alla comunicazione della domanda del contribuente da parte del competente ufficio o all'esibizione della domanda di definizione vistata dall'ufficio finanziario a cui è stata presentata "e si estinguono per effetto dell'iscrizione a ruolo, della liquidazione o del pagamento dei tributi dovuti". È evidente, dunque, che nella fattispecie sottoposta al giudice a quo l'iscrizione a ruolo del tributo nella misura prescritta dal provvedimento di condono estingueva a fortiori il rapporto fino allora pendente, restando aperta la possibilità di modifica da parte dell'ufficio o di contestazione del contribuente solo per errore materiale o per violazione delle norme del decreto sul condono. L'equivoco della parte privata può spiegarsi con la circostanza che talvolta la formula legislativa del primo comma è stata citata sostituendo erroneamente le parole "o del pagamento" con le altre "e del pagamento", ingenerando la convinzione che solo il pagamento integrale del tributo determinato secondo condono producesse l'estinzione del rapporto: mentre è chiaro, anche secondo sistema, che la iscrizione a ruolo (per le imposte riscosse mediante ruoli) o la liquidazione erano poste in alternativa - con il risultato di equipararle negli effetti estintivi - rispetto al pagamento. Pertanto l'art. 4, ultimo comma, della legge 12 novembre 1976, n. 751, non fa che prendere atto - lodevolmente esplicitandola - di una risultanza ben presente nel sistema normativo vigente, che comporta appunto la integrale assimilazione alla decisione o sentenza passata in giudicato (o alla determinazione sintetica del reddito complessivo) della definizione del reddito stesso con le procedure del condono.
Né si può ritenere arbitrario il collegamento stabilito dal legislatore tra la domanda "irrevocabile" presentata dal contribuente per ottenere la definizione o regolarizzazione delle situazioni pendenti secondo i moduli predisposti dal provvedimento di condono e l'"esaurimento" del rapporto cui la definizione si riferisce. In realtà, quale che sia la figura giuridica dell'atto provocato dalla "positiva manifestazione conciliativa" (sent. n. 32 del 1976) richiesta da parte del contribuente (natura di transazione, secondo la relazione ministeriale; di riconoscimento del debito, esclusa peraltro dalla giurisprudenza della Cassazione; di atto unilaterale di accertamento della pubblica amministrazione con adesione del contribuente, come si è sostenuto per il concordato tributario), è certo che la domanda di condono comporta la sostituzione della vecchia disciplina per la definizione dell'accertamento con quella predisposta dal d.l. 5 novembre 1973, n. 660: così al sistema di determinazione del debito di imposta previsto dalla legge precedente subentra il sistema previsto dalla normativa sul condono. Non si può dunque, in questo caso, tener conto della sequenza: disciplina del cumulo - sentenza della Corte costituzionale - legge n. 751 del 1976, perché le norme sul cumulo hanno perduto ogni capacità di incidere sulla situazione sottoposta al giudice a quo, a seguito dell'intervento del legislatore che ha regolato il condono.
Conclusivamente, il legislatore del 1976 non ha considerato esauriti rapporti che tali non erano (sent. n. 16 del 1960 e sent. n. 88 del 1966) né ha confermato, conservandone il vigore (o addirittura facendole rivivere), norme o disposizioni dichiarate illegittime da questa Corte.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 4, ultimo comma, legge 12 novembre 1976, n. 751, sollevata in riferimento agli artt. 3, 31 e 53 Cost., con l'ordinanza della Commissione tributaria di secondo grado di Padova.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 5 giugno 1980.
F.to: LEONETTO AMADEI - EDOARDO VOLTERRA - GUIDO ASTUTI - MICHELE ROSSANO - ANTONINO DE STEFANO - LEOPOLDO ELIA - GUGLIELMO ROEHRSSEN - ORONZO REALE - BRUNETTO BUCCIARELLI DUCCI - ALBERTO MALAGUGINI - LIVIO PALADIN - ARNALDO MACCARONE - ANTONIO LA PERGOLA - VIRGILIO ANDRIOLI.
GIOVANNI VITALE - Cancelliere