˙ Sentenza  79/1980 (ECLI:IT:COST:1980:79)
Giudizio:  GIUDIZIO DI LEGITTIMITÀ COSTITUZIONALE IN VIA INCIDENTALE
Presidente: AMADEI - Redattore:  - Relatore: ELIA
Udienza Pubblica del 18/04/1979;    Decisione  del 05/06/1980
Deposito del 11/06/1980;    Pubblicazione in G. U.
Norme impugnate:  
Massime:  9746
Atti decisi: 

Pronuncia

N. 79

SENTENZA 5 GIUGNO 1980

Deposito in cancelleria: 11 giugno 1980.

Pubblicazione in "Gazz. Uff." n. 166 del 18 giugno 1980.

Pres. AMADEI - Rel. ELIA

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori: Avv. LEONETTO AMADEI, Presidente - Prof. EDOARDO VOLTERRA - Prof. GUIDO ASTUTI - Dott. MICHELE ROSSANO - Prof. ANTONINO DE STEFANO - Prof. LEOPOLDO ELIA - Prof. GUGLIELMO ROEHRSSEN - Avv. ORONZO REALE - Dott. BRUNETTO BUCCIARELLI DUCCI - Avv. ALBERTO MALAGUGINI - Prof. LIVIO PALADIN - Dott. ARNALDO MACCARONE - Prof. ANTONIO LA PERGOLA - Prof. VIRGILIO ANDRIOLI, Giudici,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 1 del d.P.R. 22 dicembre 1973, n. 834 (concessione di amnistia in materia di reati finanziari) promosso con ordinanza emessa il 20 aprile 1978 dalla Corte d'appello di Roma, nel procedimento penale a carico di Lolli Giuliana, iscritta al n. 341 del registro ordinanze 1978 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 278 del 4 ottobre 1978.

Visti l'atto di costituzione di Lolli Giuliana e l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 18 aprile 1979 il Giudice relatore Leopoldo Elia;

uditi l'avv. Vincenzo Greco, per Lolli Giuliana e l'avvocato dello Stato Giorgio Azzariti, per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto:

1. - La Corte d'appello di Roma, con ordinanza emessa il 20 aprile 1978, sollevava questione di costituzionalità dell'art. 1 del d.P.R. 22 dicembre 1973, n. 834 - Concessione di amnistia in materia di reati finanziari - per contrasto con l'art. 3 della Costituzione. Sarebbe infatti irragionevole e violerebbe il principio di eguaglianza escludere l'applicabilità dell'amnistia ai cittadini i cui redditi risultano definitivamente accertati o comunque la cui posizione fiscale è stata definita con procedura diversa da quella per il condono. Nel caso di specie appunto Lolli Giuliana, imputata della contravvenzione p. e p. dall'art. 17, quarto comma, del t.u. d.P.R. 29 gennaio 1958, n. 645, per aver omesso di presentare la dichiarazione dei redditi conseguiti durante il 1967 dalla s.r.l. Sefir di cui era amministratore unico, non poteva beneficiare, per il motivo indicato, del generale provvedimento di clemenza.

L'ordinanza, regolarmente notificata e comunicata, veniva pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 278 del 4 ottobre 1978.

2. - Interveniva il Presidente del Consiglio dei ministri, attraverso l'Avvocatura dello Stato, chiedendo sentenza di rigetto. Identica questione sarebbe stata già dichiarata infondata con sentenza n. 32 del 1976 della Corte costituzionale. I motivi addotti a sostegno di quella decisione dovrebbero ora condurre ad analoga pronunzia.

Si costituiva Lolli Giuliana, imputata nel processo a quo, rilevando l'incompletezza e la non perfetta aderenza alla fattispecie della ordinanza introduttiva del giudizio. Il rapporto tributario della Lolli, infatti, non era definito alla data di entrata in vigore del decreto - legge sul condono ma era invece contestato. La Lolli, tuttavia, non ha ritenuto di dover beneficiare delle agevolazioni concesse dal detto decreto ma ha in seguito posto termine alla controversia addivenendo ad un concordato assai più vantaggioso per gli interessi della società rappresentata. Per questo motivo, ai sensi dell'art. 1 del d.P.R. impugnato, si contesta possa beneficiare dell'amnistia; ma apparirebbe palesemente contrario al principio di eguaglianza riservare un trattamento penale più sfavorevole a chi ha legittimamente e con esito positivo esercitato un diritto. La questione in esame sarebbe dunque diversa da quella già decisa dalla Corte con la sentenza n. 32 del 1976 e con le ordinanze n. 240 del 1976 e n. 157 del 1977.

Con successiva memoria la medesima Lolli sviluppava ulteriormente le tesi accennate, ponendo in rilievo il conflitto di doveri in cui la medesima era venuta a trovarsi, costituendo suo preciso obbligo curare nel modo migliore gli interessi della società rappresentata e dunque dovendosi astenere dal definire la pendenza con la procedura del condono, se non voleva commettere un illecito civile ed anche penale, ai sensi dell'art. 2631 cod. civ. (conflitto d'interessi) ed eventualmente il reato di bancarotta, nell'ipotesi di fallimento, non improbabile ove le pretese del fisco non fossero state ricondotte a misura più equa.

Nel corso dell'udienza di discussione le parti ribadivano i punti di vista illustrati.

Considerato in diritto:

La questione non è fondata.

Nei termini assai ampi e generici in cui essa è proposta dall'ordinanza della Corte d'appello di Roma non può negarsi, come rileva esattamente l'Avvocatura dello Stato, che la questione venga a coincidere con quella già risolta dalla sentenza di questa Corte n. 32 del 1976.

Ciò è del tutto evidente se ci si attiene alla motivazione dell'ordinanza, nella quale la normativa sull'amnistia contenuta nell'art. 1 del d.P.R. 22 dicembre 1973, n. 834, viene censurata in quanto esclude dalle sue previsioni i contribuenti, i cui redditi risultino "definitivamente accertati" dall'amministrazione finanziaria; sembra, in effetti, che ci si trovi di fronte a situazioni simili a quelle che erano all'origine della pronuncia n. 32 del 1976, cioè a situazioni definite in base al regime ordinario, prima che si potesse usufruire di quello previsto nel d.l. 5 novembre 1973, n. 660 (convertito con modificazioni nella legge 19 dicembre 1973, n. 823).

Ma la conclusione non cambia, anche se si pone l'accento sul dispositivo dell'ordinanza della Corte d'appello, che solleva la questione di costituzionalità dell'art. 1 del d.P.R. n. 834 del 1973, "nella parte in cui consente che possono fruire dell'amnistia solo coloro le cui posizioni fiscali siano definite secondo le disposizioni del d.l. n. 660 del 1973, escludendo in tal modo dall'amnistia i cittadini i cui redditi siano stati definiti in modo diverso".

Le ragioni addotte dalla Corte nella sentenza n. 32 del 1976 per respingere ogni censura di violazione dell'art. 3 Cost. (le differenze di trattamento tra contribuenti non apparendo razionalmente ingiustificate, se riferite alle peculiari finalità perseguite dal legislatore) sono invero egualmente valide, ove si specifichi - come si sottolinea nella memoria di costituzione della parte privata - che la situazione del contribuente era nella fattispecie ancora da definire e che il relativo accertamento del reddito fu concordato il 2 dicembre 1974 con l'Ufficio delle Imposte. In realtà, tale situazione era stata già esaminata nella sentenza n. 32 del 1976, allorché, al n. 5 del considerato in diritto, si era affermato in modo assolutamente chiaro che la norma penale "continua a vigere anche nei confronti di quegli altri contribuenti che preferiscano non avvalersi della possibilità loro offerta di fruire del condono tributario"; a nulla rileva infatti la distinzione tra prima e dopo l'emissione del decreto - legge contenente norme per agevolare la definizione delle pendenze in materia tributaria, se il contribuente non ha utilizzato il regime straordinario di definizione o regolarizzazione delle pendenze e situazioni che lo riguardano; e meno ancora, se possibile, rilevano i motivi, di maggiore o minor convenienza, che abbiano indotto il contribuente ad astenersi, mediante la presentazione di domanda irrevocabile, dalla richiesta manifestazione di volontà conciliativa.

Anche a voler considerare, infine, il profilo del tutto nuovo contenuto nella memoria finale della parte privata (che conclude per una pronuncia di contenuto diverso rispetto a quelle prospettate nell'ordinanza della Corte d'appello e nella stessa memoria di costituzione), non può ammettersi una "impossibilità giuridica" del contribuente, nella sua qualità di amministratore di società, a presentare la domanda del c. d. condono: in nessun caso, infatti, un comportamento espressamente consentito da lex posterior potrebbe dar luogo a situazioni di impossibilità giuridica, e tanto meno di illecito, per un danno sociale che è suscettibile di valutazione (rispetto alla definizione del reddito mediante condono) solo in quanto si sia in precedenza rinunziato ad avvalersi del condono stesso. Del resto, a prescindere dalle peculiarità della particolare vicenda tributaria che ha dato origine a questa sentenza (e che non presentano interesse in questa sede), è da sottolineare che, come emerge dalla presente fattispecie, non sempre il regime ordinario di definizione conduce a risultati economicamente più sfavorevoli al contribuente rispetto a quelli conseguibili mediante il condono.

Tale considerazione, in aggiunta alle altre fondamentali formulate nella citata sentenza n. 32 del 1976, vale a confermare il fondamento razionale dei limiti di applicazione previsti per questo provvedimento di amnistia.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 1 del d.P.R. 22 dicembre 1973, n. 834, concessivo dell'amnistia in materia di reati finanziari, sollevata, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, con l'ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 5 giugno 1980.

F.to: LEONETTO AMADEI - EDOARDO VOLTERRA - GUIDO ASTUTI - MICHELE ROSSANO - ANTONINO DE STEFANO - LEOPOLDO ELIA - GUGLIELMO ROEHRSSEN - ORONZO REALE - BRUNETTO BUCCIARELLI DUCCI - ALBERTO MALAGUGINI - LIVIO PALADIN - ARNALDO MACCARONE - ANTONIO LA PERGOLA - VIRGILIO ANDRIOLI.

GIOVANNI VITALE - Cancelliere