˙ Sentenza  74/1980 (ECLI:IT:COST:1980:74)
Giudizio:  GIUDIZIO DI LEGITTIMITÀ COSTITUZIONALE IN VIA INCIDENTALE
Presidente: AMADEI - Redattore:  - Relatore: PALADIN
Udienza Pubblica del 19/12/1979;    Decisione  del 08/05/1980
Deposito del 20/05/1980;    Pubblicazione in G. U.
Norme impugnate:  
Massime:  9489 9490 9491
Atti decisi: 

Pronuncia

N. 74

SENTENZA 8 MAGGIO 1980

Deposito in cancelleria: 20 maggio 1980.

Pubblicazione in "Gazz. Uff." n. 145 del 28 maggio 1980.

Pres. AMADEI - Rel. PALADIN

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori: Avv. LEONETTO AMADEI, Presidente - Dott. GIULIO GIONFRIDA - Prof. GUIDO ASTUTI - Dott. MICHELE ROSSANO - Prof. ANTONINO DE STEFANO - Prof. LEOPOLDO ELIA - Prof. GUGLIELMO ROEHRSSEN - Avv. ORONZO REALE - Dott. BRUNETTO BUCCIARELLI DUCCI - Avv. ALBERTO MALAGUGINI - Prof. LIVIO PALADIN - Dott. ARNALDO MACCARONE - Prof. ANTONIO LA PERGOLA - Prof. VIRGILIO ANDRIOLI, Giudici,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale degli artt. 2, comma terzo, 163 e 164 cod.pen., in relazione al d.l. 11 aprile 1974, n. 99, e dell'art. 628 cod.proc.pen., promossi con le seguenti ordinanze:

1) ordinanza emessa il 14 giugno 1975 dal Pretore di Alatri nel procedimento per incidente di esecuzione proposto da Nobili Federico, iscritta al n. 467 del registro ordinanze 1975 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 313 del 26 novembre 1975;

2) ordinanza emessa il 21 maggio 1976 dal Pretore di Pescara nel procedimento per incidente di esecuzione proposto da D'Alessandro Gino, iscritta al n. 587 del registro ordinanze 1976 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 281 del 20 ottobre 1976;

3) ordinanza emessa il 27 gennaio 1976 dal Pretore di Bologna nel procedimento per incidente di esecuzione proposto da Fini Francesco, iscritta al n. 591 del registro ordinanze 1976 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 294 del 3 novembre 1976;

4) ordinanza emessa il 26 novembre 1976 dal Pretore di Sessa Aurunca nel procedimento per incidente di esecuzione proposto da Fusco Adelmo, iscritta al n. 17 del registro ordinanze 1977 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 59 del 2 marzo 1977;

5) ordinanza emessa il 4 marzo 1977 dalla Corte di appello di Napoli nel procedimento per incidente di esecuzione proposto da Crinelli Roberto, iscritta al n. 317 del registro ordinanze 1977 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 237 del 31 agosto 1977.

Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 19 dicembre 1979 il Giudice relatore Livio Paladin;

udito l'avvocato dello Stato Giorgio Azzariti, per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto:

1. - Con ordinanza emessa il 14 giugno 1975, in sede di incidente di esecuzione proposto da Federico Nobili per vedersi concedere la sospensione condizionale della pena, il Pretore di Alatri ha sollevato - su eccezione di parte - questione di legittimità degli artt. 2 terzo comma, 163 e 164 del codice penale, in riferimento all'art. 3 della Costituzione.

Il Pretore rileva che l'attuale disciplina della sospensione condizionale della pena, dettata dal decreto - legge 11 aprile 1974, n. 99 (e dalla relativa legge di conversione 7 giugno 174, n. 220), contiene certamente disposizioni più favorevoli al reo, in quanto prevede - nel nuovo testo dell'art. 164 ultimo comma - la possibilità di reiterare tale beneficio, purché "la pena da infliggere cumulata con quella irrogata con la precedente condanna anche per delitto, non superi i limiti stabiliti dall'art. 163". Questa disciplina più favorevole, incontrando nell'ordinamento vigente (art. 2 terzo comma cod.pen.) il limite dell'intangibilità del giudicato, comporterebbe per altro - secondo il giudice a quo - una innegabile disparità di trattamento fra imputati ancora giudicabili al tempo dell'entrata in vigore della disciplina stessa e soggetti condannati con sentenza irrevocabile; sicché la concessione del beneficio finirebbe per dipendere dall'accidentale circostanza che il procedimento penale sia stato definito o meno.

Ma tutte le volte che si abbia - come nel caso in esame - una profonda modificazione del diritto penale preesistente, se l'intangibilità del giudicato valesse a precludere l'applicazione della nuova e più mite normativa, ne verrebbe offeso "il senso di giustizia che anima l'intero ordinamento giuridico e la collettività"; tanto più che, in tal campo, numerose eccezioni sarebbero previste dalle norme vigenti, a partire dagli artt. 2 secondo comma ed 80 cod.pen., fino agli artt. 582 e 594 cod.proc.pen.

Dal preteso contrasto fra l'art. 2 terzo comma cod.pen. e l'art. 3 Cost., l'ordinanza di rimessione fa poi conseguire analoga questione di legittimità del combinato disposto degli artt. 163 e 164 cod.pen., "nella parte in cui inibiscono al giudice dell'esecuzione gli stessi poteri conferiti al giudice della cognizione", quanto alla sospensione condizionale della pena.

2. - Nel corso di un procedimento consimile a quello pendente dinanzi al Pretore di Alatri, anche il Pretore di Pescara ha sollevato questione di legittimità costituzionale, impugnando però - con ordinanza emessa il 21 maggio 1976 - gli artt. 164 cod.pen. e 628 cod.proc.pen., in riferimento agli artt. 3 e 24 Cost.

Il giudice a quo premette che nel caso in esame il beneficio della sospensione condizionale non era stato concesso dal giudice della cognizione, poiché all'atto del giudizio di appello questa Corte non aveva ancora deciso la questione di legittimità dell'art. 2 della legge n. 220 del 1974, nella parte in cui escludeva dal beneficio stesso chi avesse già riportato una precedente condanna a pena detentiva per delitto non sospesa. Ciò posto, il Pretore si chiede se non debba spettare anche al giudice dell'esecuzione l'accertamento dell'esistenza e dell'applicabilità di una causa estintiva del reato (quale sarebbe la sospensione condizionale), non applicata dal giudice della cognizione in quanto "il relativo diritto non esisteva all'epoca ed è sopravvenuto solo quando è sorto il rapporto di esecuzione": nel qual caso non varrebbe l'obiezione che il giudice dell'esecuzione non può sostituirsi al giudice della cognizione, nel valutare la "presunzione di ravvedimento" del reo.

In effetti, dal combinato disposto dell'art. 164 cod.pen. e dell'art. 628 cod.proc.pen. deriverebbe un'arbitraria disparità di trattamento, in sede di incidente di esecuzione, fra chi può sentirsi applicare una qualunque altra causa di estinzione del reato e chi si vede negare la sospensione condizionale, pur nelle ipotesi di jus superveniens. Una volta che il legislatore del 1974 ha disposto che il predetto beneficio può essere concesso più di una volta, facendo venir meno anche "la drastica necessità della presunzione di ravvedimento", non s'intende perché - conclude il Pretore di Pescara - per il giudice dell'esecuzione "solo questa causa di estinzione del reato debba essere ostracizzata".

3. - Con argomentazioni orientate nel medesimo senso di quelle svolte dal Pretore di Alatri, si sono inoltre rivolti a questa Corte i Pretori di Bologna e di Sessa Aurunca, mediante ordinanze rispettivamente emesse il 27 gennaio ed il 26 novembre 1976: impugnando però, nell'un caso, l'art. 2 terzo comma cod.pen., per asserito contrasto con gli artt. 3 primo comma e 24 secondo comma Cost.; nell'altro caso, gli artt. 2 terzo comma, 163 e 164 cod.pen., ma in riferimento al solo principio costituzionale di eguaglianza.

4. - Finalmente, sempre nel corso di un procedimento incidentale di esecuzione, la questione di legittimità dell'articolo 2 terzo comma cod.pen. è stata riproposta dalla Corte d'appello di Napoli - con ordinanza del 4 marzo 1977 - per pretesa violazione sia dell'art. 3 sia degli artt. 13 e 27 Cost.: ma senza alcuna motivazione specifica, per ciò che riguarda gli ultimi due parametri; mentre, in relazione al principio di eguaglianza, la Corte si limita a rilevare la sperequazione esistente fra quanti beneficiano dell'applicazione di leggi più favorevoli, ai sensi del secondo comma dell'art. 2 cod. pen., e quanti si vedono opposto il terzo comma dell'articolo stesso.

5. - In tutti questi giudizi, fatta eccezione per quello promosso dalla corte d'appello di Napoli, si è costituito il Presidente del Consiglio dei ministri, per sostenere l'infondatezza delle questioni sollevate.

Negli atti di intervento si osserva - rifacendosi anche ai lavori preparatori - che solo il principio stabilito nel primo comma dell'art. 2 cod.pen., relativo all'irretroattività delle leggi penali incriminatrici, sarebbe stato costituzionalizzato dall'art. 27 secondo comma (rectius: dall'art. 25 secondo comma Cost.). Ciò comporta - secondo l'Avvocatura dello Stato - che l'efficacia nel tempo della legge più favorevole al reo possa esser stabilita dal legislatore ordinario senza vincoli di grado costituzionale: come anche questa Corte avrebbe del resto confermato, nella sentenza n. 164 del 1974. L'aver posto il giudicato come limite alla retroattività della legge più favorevole non determinerebbe, comunque, alcuna ingiustificata disparità di trattamento: sia perché l'intangibilità del giudicato stesso costituirebbe "una esigenza sempre sentita da un ordinamento civile"; sia perché tale esigenza avrebbe assunto rilievo costituzionale, in forza di quel capoverso dell'art. 27 che fa "un diverso trattamento all'imputato secondo che sia o meno intervenuta sentenza di condanna definitiva"; sia, ancora, perché rappresenterebbe una regola il fatto che la nuova legge non incida sui rapporti esauriti.

Da ciò discenderebbe anche l'infondatezza dell'impugnativa riguardante gli artt. 163 e 164 cod.pen.; tanto più che la riserva al giudice della cognizione del potere di concedere la sospensione condizionale deriverebbe "dalla natura del giudizio prognostico circa il futuro comportamento dell'imputato, che costituisce il presupposto per la concessione del beneficio".

A queste considerazioni di ordine generale l'Avvocatura dello Stato aggiunge, con particolare riguardo all'ordinanza del Pretore di Pescara, che ove le modifiche apportate dalla legge n. 220 del 1974 all'istituto della sospensione condizionale fossero così profonde come sostiene il giudice a quo, allora il problema dovrebbe esser risolto dallo stesso Pretore in via interpretativa. Diversamente, bisognerebbe concludere che la censurata disparità di trattamento sia tuttora giustificata. E una decisione di rigetto si imporrebbe anche in riferimento all'invocato diritto di difesa: che non sarebbe minimamente violato, per il solo fatto che la domanda difensiva non possa "travolgere l'efficacia della cosa giudicata".

Quanto infine all'ordinanza del Pretore di Bologna, accanto alla richiesta che la Corte ne dichiari infondata l'impugnazione, l'Avvocatura dello Stato pone in dubbio la stessa ammissibilità della questione proposta: dal momento che non gioverebbe impugnare il solo art. 2 terzo comma cod.pen., ai fini della concessione del beneficio della sospensione condizionale nella sede di un giudizio sopra un incidente di esecuzione, fermo restando l'ostacolo rappresentato dall'art. 163 cod.pen. - e non considerato dal giudice a quo - per cui la facoltà di concedere la sospensione viene comunque riservata al giudice della cognizione penale, ad esclusione del giudice dell'esecuzione.

Considerato in diritto:

1. - Tutte le questioni di legittimità costituzionale descritte in narrativa sono state sollevate per mezzo di ordinanze emesse nel corso di giudizi relativi ad incidenti di esecuzione, proposti da soggetti irrevocabilmente condannati prima della pubblicazione del decreto - legge n. 99 del 1974 e della relativa legge di conversione n. 220 del 1974 (ovvero della sentenza n. 95 del 1976, con cui questa Corte ha dichiarato la parziale illegittimità del nuovo testo dell'art. 164 ultimo comma cod. pen.): quali, tuttavia, richiedono la concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena, secondo il novellato art. 164 cod.pen., o il ridimensionamento della pena stessa (o, quanto meno, la valutazione del merito delle loro istanze da parte del giudice dell'esecuzione).

Pertanto, i cinque giudizi possono essere riuniti e decisi con unica sentenza.

2. - Su questa base comune si innestano, però, impugnative in parte diverse, sia per le norme di cui si contesta la legittimità, sia per i parametri costituzionali invocati.I Pretori di Alatri e di Sessa Aurunca (ord. n. 467/1975 e 17/1977) ritengono infatti lesivi del principio di eguaglianza tanto l'articolo 2 terzo comma, nella parte concernente l'intangibilità del giudizio penale, quanto gli artt. 163 e 164 cod.pen., là dove essi riservano al giudice della cognizione il potere di concedere la sospensione condizionale della pena. A sua volta, il Pretore di Pescara (ord. n. 587/1976) censura il solo articolo 164 cod.pen., sia pure in collegamento con l'art. 628 cod.proc.pen., per pretesa violazione degli artt. 3 e 24 Cost. Per converso, il Pretore di Bologna e la Corte d'appello di Napoli (ord. n. 591/1976 e 317/1977) pongono in dubbio unicamente la legittimità dell'art. 2 terzo comma cod.pen.: l'uno adducendo la violazione degli artt. 3 primo comma e 24 secondo comma; l'altra richiamando gli artt. 3,13 e 27 Cost.

Senonché l'ultima serie di questioni, così prospettate, non appare ammissibile. Come ha giustamente sostenuto l'Avvocatura dello Stato, quanto all'ordinanza emessa dal Pretore di Bologna, è vano che il giudice dell'esecuzione, per poter concedere la sospensione condizionale (ovvero il ridimensionamento della pena, ipotizzato dalla Corte d'appello di Napoli, in base all'ultima parte dell'art. 9 del d.l. n. 99 del 1974), impugni la norma generale, per cui nei giudizi penali si applica la legge "le cui disposizioni sono più favorevoli al reo, salvo che sia stata pronunciata sentenza irrevocabile". Quand'anche una tale impugnativa fosse accolta dalla Corte, né il Pretore di Bologna né la Corte d'appello di Napoli potrebbero prendere in esame le istanze degli interessati: poiché, in ogni caso, osterebbero le norme che riservano la concessione dei relativi benefici (come appunto dispongono gli artt. 163 e 164 cod.pen., circa la sospensione condizionale della pena) al giudice della cognizione anziché al giudice dell'esecuzione.

Per ciò stesso, risultano invece ammissibili le congiunte impugnazioni degli artt. 2, 163 e 164 cod.pen., promosse dai Pretori di Alatri e di Sessa Aurunca. Ed è rilevante, ai fini del giudizio a quo, anche la questione sollevata dal Pretore di Pescara: sia perché l'ordinanza di rimessione, pur impugnando l'art. 164 (congiuntamente all'art. 628 cod.proc.pen.) ma non l'art. 163 né l'art. 2 terzo comma cod.pen., chiede esplicitamente che si conferisca al giudice dell'esecuzione il potere di supplire al giudice della cognizione, in presenza di cause estintive del reato che siano sopravvenute dopo il passaggio in giudicato della relativa sentenza di condanna; sia perché l'art. 164 ultimo comma detta precisamente la norma che si tratterebbe di rendere applicabile al caso in esame, attraverso una sentenza di accoglimento additivo, pronunciata da questa Corte.

3. - In sostanza, i pretori di Alatri, di Sessa Aurunca e di Pescara vorrebbero che fosse dichiarata l'illegittimità costituzionale dell'art. 164 (nonché dei connessi disposti degli articoli 163 e 2 terzo comma cod.pen.), in quanto il vigente ordinamento non prevede che la sospensione condizionale della pena possa essere ordinata anche dal giudice dell'esecuzione, limitatamente ai benefici suscettibili di essere concessi in occasione di una nuova condanna, secondo la disciplina introdotta dall'art. 12 del d.l. n. 99 e dalla relativa legge di conversione n. 220 del 1974, qualora il giudice della cognizione non sia stato in grado di ordinare la sospensione stessa, avendo deciso irrevocabilmente prima dell'entrata in vigore del testo così novellato (o prima del parziale annullamento dell'art. 164 ultimo comma, dovuto alla citata sentenza n. 95 del 1976).

Ma, in tutti i suoi aspetti, la questione deve ritenersi non fondata.

Relativamente alla previsione generale dell'art. 2 terzo comma cod.pen., basta ricordare che in base a precedenti decisioni della Corte (quali sono le sent. n. 164 del 1974 e n. 6 del 1978) l'applicazione delle disposizioni penali più favorevoli al reo può subire limitazioni o deroghe, sancite non senza una qualche razionale giustificazione da parte del legislatore ordinario. ora, non sembra contestabile che una pertinente ragione giustificativa consista appunto nell'esigenza di salvaguardare la certezza dei rapporti ormai esauriti, perseguita statuendo l'intangibilità delle sentenze divenute irrevocabili. La stessa circostanza che la regola dell'intangibilità del giudicato incontri a sua volta una serie di deroghe, variamente richiamate nelle ordinanze di rimessione (per esempio, in tema di concorso formale e di reato continuato ex art. 81 cod.pen., oppure in tema di esecuzione di pene concorrenti o di declaratoria dell'amnistia e dell'indulto ex artt. 582 e 594 cod. proc.pen.), non consente certo di desumerne una regola di segno opposto; salvo che nel ben diverso caso dell'abrogazione della legge incriminatrice, di cui al capoverso dell'art.2. In effetti, i giudici a quibus riconoscono esplicitamente che si tratta di "eccezioni" cui tendono ad aggiungere - in nome del principio di eguaglianza - un'eccezione ulteriore, tale - da consentire un più largo ricorso alla sospensione condizionale della pena, senza però far cadere la norma di principio stabilita nell'ultima parte dell'art. 2 terzo comma.

Per sostenere la violazione dell'art. 3 Cost., non giova nemmeno lamentare - con particolare riguardo agli artt. 163 e 164 cod.pen. - gli inconvenienti della mancata sospensione condizionale, in ragione del tempo in cui venne inflitta la pena. L'irrevocabilità delle sentenze di condanna, che preclude la concessione del beneficio ad opera del giudice dell'esecuzione, risponde infatti alla ratio del beneficio stesso: tuttora fondato sulla premessa, da verificare puntualmente nel processo di cognizione, "che il colpevole si asterrà dal commettere ulteriori reati" (secondo l'espresso disposto dell'art. 164 primo comma). Malgrado la riforma del 1974, non è sostenibile - come invece accenna l'ordinanza del Pretore di Pescara - che il giudizio sulla presunzione di ravvedimento, nell'ipotesi d'una seconda condanna e d'una eventuale reiterazione del beneficio, rimarrebbe affidato al "mero arbitrio" del giudice. Al contrario, la giurisprudenza della Corte di cassazione è costante nell'assumere che, quanto alla prognosi circa il comportamento futuro del giudicabile, la nuova disciplina della sospensione condizionale comporti pur sempre una specifica valutazione, quand'anche si tratti di applicare l'ultima parte dell'art. 164. Né mancano dati e criteri concretamente utilizzabili allo scopo: dalla gravità del reato alla personalità del reo (considerati secondo l'art. 133 cod.pen.), fino alla stessa condotta processuale dell'interessato.

Trasferire simili valutazioni dalla fase della cognizione alla fase dell'esecuzione significherebbe snaturare il beneficio previsto dagli artt. 163 e 164 cod.pen., traducendo il giudizio prognostico sulla presunzione di ravvedimento in un giudizio diagnostico non dissimile da quello che precede l'affidamento in prova al servizio sociale. E non s'intenderebbe, allora, per quali motivi il giudice dell'esecuzione dovrebbe surrogare il giudice della cognizione quanto ai soli reati giudicati precedentemente alla riforma del 1974, anziché intervenire in tutti i casi nei quali il condannato gli proponga un'istanza di sospensione condizionale della pena.

4. - Le ragioni svolte per escludere che siano lesivi del principio di eguaglianza gli artt. 2 terzo comma, 163 e 164 cod.pen., valgono pure nei confronti del "combinato disposto" degli artt. 164 cod.pen. e 628 cod.proc.pen., cui si rivolge l'impugnativa del Pretore di Pescara. Inerisce infatti alla natura degli incidenti di esecuzione, che essi non riguardino questioni definitivamente coperte dall'accertamento del giudice della cognizione.

D'altra parte, non sussiste neppure la pretesa violazione dell'art. 24 Cost., dedotta anch'essa dal solo Pretore di Pescara: poiché i diritti di azione e di difesa non implicano certo che il condannato possa contestare in ogni tempo la sentenza di condanna penale, pur quando l'intangibilità del giudicato sia stata ragionevolmente e coerentemente mantenuta ferma dal legislatore.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

1) dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'art. 2 terzo comma cod.pen., sollevata dal Pretore di Bologna, in riferimento agli artt. 3 primo comma e 24 secondo comma Cost., e dalla Corte d'appello di Napoli, in riferimento agli artt. 3, 13 e 27 Cost., con le ordinanze indicate in epigrafe;

2) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 2 terzo comma, 163 e 164 cod.pen., 628 cod.proc.pen., sollevata dai Pretori di Alatri, di Pescara e di Sessa Aurunca, in riferimento agli artt. 3 e 24 Cost., con le ordinanze indicate in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l'8 maggio 1980.

F.to: LEONETTO AMADEI - GIULIO GIONFRIDA - GUIDO ASTUTI - MICHELE ROSSANO - ANTONINO DE STEFANO - LEOPOLDO ELIA - GUGLIELMO ROEHRSSEN - ORONZO REALE - BRUNETTO BUCCIARELLI DUCCI - ALBERTO MALAGUGINI - LIVIO PALADIN - ARNALDO MACCARONE - ANTONIO LA PERGOLA - VIRGILIO ANDRIOLI.

GIOVANNI VITALE - Cancelliere