N. 73
SENTENZA 8 MAGGIO 1980
Deposito in cancelleria: 20 maggio 1980.
Pubblicazione in "Gazz. Uff." n. 145 del 28 maggio 1980.
Pres. AMADEI - Rel. PALADIN
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori: Avv. LEONETTO AMADEI, Presidente - Dott. GIULIO GIONFRIDA - Prof. GUIDO ASTUTI - Dott. MICHELE ROSSANO - Prof. ANTONINO DE STEFANO - Prof. LEOPOLDO ELIA - Prof. GUGLIELMO ROEHRSSEN - Avv. ORONZO REALE - Dott. BRUNETTO BUCCIARELLI DUCCI - Avv. ALBERTO MALAGUGINI - Prof. LIVIO PALADIN - Dott. ARNALDO MACCARONE - Prof. ANTONIO LA PERGOLA - Prof. VIRGILIO ANDRIOLI, Giudici,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale dell'art. 264 c.p.m.p., come modificato dall'art. 8 della legge 23 marzo 1956, n. 167, promossi con le seguenti ordinanze:
1) ordinanza emessa il 23 ottobre 1976 dalla Corte di cassazione - sez. Unite penali, nel conflitto di giurisdizione denunciato dal giudice istruttore del tribunale militare di Torino, nel procedimento penale a carico di Ravizza Giovanni, iscritta al n. 750 del registro ordinanze 1976 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 31 del 2 febbraio 1977;
2) ordinanza emessa il 23 ottobre 1976 dalla Corte di cassazione - sez. Unite penali, nel conflitto di giurisdizione denunciato dal pretore di Napoli, nel procedimento penale a carico di Conte Vincenzo ed altro, iscritta al n. 751 del registro ordinanze 1976 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 31 del 2 febbraio 1977;
3) ordinanza emessa il 17 giugno 1977 dalla Corte di cassazione - sez. I penale, nel conflitto di giurisdizione denunciato dal pretore di Piacenza, nel procedimento penale a carico di Maroncelli Otello ed altro, iscritta al n. 439 del registro ordinanze 1977 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 327 del 30 novembre 1977;
4) ordinanza emessa l' 8 giugno 1978 dal tribunale militare territoriale di Padova, nel procedimento penale a carico di Gardellin Bruno, iscritta al n. 509 del registro ordinanze 1978 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 17 del 17 gennaio 1979.
Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell'udienza pubblica del 19 dicembre 1979 il Giudice relatore Livio Paladin;
udito l'avvocato dello Stato Giorgio Azzariti, per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto:
1. - Con quattro ordinanze, le sezioni unite penali della Corte di cassazione, la prima sezione penale della Corte stessa, nonché il tribunale militare territoriale di Padova, hanno sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 264 del codice penale militare di pace (come modificato dall'art. 8 della legge 23 marzo 1956, n. 167), nella parte in cui non prevede la competenza dell'autorità giudiziaria ordinaria quanto al caso di concorso formale fra reato militare e reato comune; e ciò, per pretesa violazione del principio di eguaglianza.
Chiamata a pronunciarsi su una serie di conflitti di giurisdizione fra giudici penali ordinari e militari, la Corte di cassazione ha ritenuto rilevante e non manifestamente infondata la questione predetta: rilevante, poiché la soluzione di essa inciderebbe sulla "quantità di pena" suscettibile di essere inflitta nel caso concreto; non manifestamente infondata, poiché l'art. 264 c.p.m.p. non riconosce la competenza dell'autorità giudiziaria ordinaria nelle ipotesi di mero concorso formale, là dove manchi una connessione oggettiva fra reati militari e reati comuni: sicché ne risulterebbe che in caso di concorso formale l'imputato debba esser sottoposto a due distinte condanne, senza che possa essergli applicata la nuova e più favorevole disciplina stabilita dall'art. 81 cod. pen., nel testo introdotto dall'art. 8 del decreto - legge n. 99 del 1974.
Motivazioni analoghe hanno poi condotto alle medesime conclusioni anche il tribunale militare territoriale di Padova. Per il giudice a quo il contrasto con l'art. 3 Cost. consisterebbe, infatti, in ciò che "la regola dettata dal vigente art. 81 primo comma c.p. sarebbe applicabile soltanto nel caso di concorso formale fra reati comuni e di concorso formale fra reati militari e non pure nel caso di concorso formale fra reato militare e reato comune: con la conseguenza che l'imputato potrebbe subire due distinte condanne a pene detentive solo perché non è possibile un unico processo davanti al medesimo giudice".
2. - In tutti i giudizi promossi dalla Corte di cassazione (ma non nel caso interessante il tribunale militare territoriale di Padova), si è costituito il Presidente del Consiglio dei ministri, affinché questa Corte adotti altrettante decisioni di rigetto.
In primo luogo, negli atti di intervento si assume che l'art. 264 c.p.m.p. rappresenti una "norma meramente processuale", che si limiterebbe ad integrare le regole generali sulla competenza nel caso di procedimenti connessi, parte spettanti all'autorità giudiziaria ordinaria, parte ai tribunali militari; sicché non potrebbe direttamente derivarne alcuna "disparità di trattamento sostanziale" nella determinazione della pena, sia pure con particolare riguardo alla previsione dell'art. 81 cod.pen. Del resto, l'unità del processo per più fatti attribuiti allo stesso soggetto non costituirebbe una "regola essenziale" del nostro ordinamento, essendo già in più casi derogata (per esempio, dagli artt. 49 e 444 cod.proc.pen., come pure per le "regiudicande che si trovino in un diverso grado o diverso stato processuale").
In secondo luogo, l'Avvocatura dello Stato precisa che la disciplina dettata dall'art. 264 c.p.m.p. troverebbe comunque la sua giustificazione "nella necessità di dare attuazione ai principi relativi al riparto della giurisdizione tra giudice ordinario e giudice militare", secondo il comma finale dell'art. 103 della Costituzione.
In terzo luogo, l'Avvocatura aggiunge che non si potrebbe escludere l'applicabilità della regola generale dell'art. 81 cod. pen., quanto alla stessa determinazione della pena nel caso di concorso formale tra reati militari e comuni, dal momento che l'art. 264 c.p.m.p. non apporta sul punto alcuna deroga. Anche l'accertamento di tali reati attraverso distinti procedimenti non sarebbe d'ostacolo all'applicazione della regola stessa, che potrebbe verificarsi - secondo la giurisprudenza elaborata appunto dalla Corte di cassazione - sia con unica sentenza sia con sentenze successive, alla sola condizione che la prima condanna abbia ad oggetto un reato più grave di quelli da giudicare.
Considerato in diritto:
1. - Tanto le tre ordinanze emesse dalla Corte di cassazione quanto l'unica ordinanza del tribunale militare territoriale di Padova, hanno riguardo a casi di concorso formale fra reati militari e reati comuni: in ordine ai quali non opera la connessione oggettiva prevista dall'art. 264 del codice penale militare di pace, sicché le due specie di procedimenti non ricadono tutte nella competenza dell'autorità giudiziaria ordinaria, ma vanno suddivise fra i giudici ordinari e quelli militari. Rendendo impossibile il simultaneus processus, ciò discriminerebbe gli imputati - in contrasto con il principio costituzionale di eguaglianza - rispetto a coloro che invece sono in grado di beneficiare della regola dettata dal primo comma dell'attuale art. 81 cod.pen.
Ne deriva un'unica questione di legittimità costituzionale, concernente l'art. 264 c.p.m.p. nella parte in cui esclude il caso del concorso formale fra reati militari e reati comuni dalle ipotesi di connessione e di conseguente competenza dell'autorità giudiziaria ordinaria. Pertanto, i quattro giudizi vanno riuniti e congiuntamente decisi.
2. - L'impugnativa non può essere accolta.
Già con la sentenza 28 luglio 1976, n. 196, la Corte ha dichiarato infondata l'analoga questione di legittimità costituzionale dello stesso art. 264 c.p.m.p., in riferimento al primo comma dell'art. 3 Cost., sollevata dal tribunale di Trani: argomentando "che la situazione in cui viene a trovarsi il militare che, in concorso formale, compie reati militari e reati non militari è peculiare a lui solo"; aggiungendo - sia pure con riguardo ad un'altra ordinanza di rimessione - che le disposizioni dell'art. 264 hanno coordinato la norma costituzionale dell'art. 103 ultimo comma con i principi generali del processo penale; e concludendo che il legislatore ha così "fatto uso della sua discrezionalità in modo ... tale da non meritare censure".
A questa stregua dev'essere risolto anche il caso in esame, sebbene l'impugnativa non sia ora prospettata in termini del tutto identici a quelli su cui si formò la precedente pronuncia della Corte. Fermo rimane, comunque, che l'art. 264 primo comma ha inteso attuare la parte finale dell'art. 103 Cost. ("I tribunali militari ... in tempo di pace hanno giurisdizione soltanto per i reati militari commessi da appartenenti alle Forze armate "): statuendo la competenza dell'autorità giudiziaria ordinaria anziché di quella militare (come già disponeva, per tutte le ipotesi di connessione tra procedimenti relativi a reati militari e comuni, il terzo comma dell'art. 49 cod.proc.pen.), quanto ai giudizi riguardanti delitti commessi "da più persone", le une soggette alla legge penale comune, le altre alla legge penale militare. Per contro, la norma si regge sul criterio di escludere la connessione, là dove si tratti dei soli soggetti attivi di reati militari: come appunto si verifica per la connessione soggettiva prevista dall'art. 45 n. 3 cod. proc.pen. ("se una persona è imputata di più reati"), ivi compreso "chi con una sola azione od omissione viola diverse disposizioni di legge ovvero commette più violazioni della medesima disposizione di legge", secondo la definizione del concorso formale contenuta nel vigente testo dell'art. 81 primo comma cod.pen. Non a caso, la stessa connessione soggettiva cessa di operare agli effetti dell'art. 264 c.p.m.p., qualora si tratti di reati commessi gli uni "in occasione" di altri.
Tali scelte legislative, che pur formarono oggetto di discussioni nel corso dei lavori preparatori della legge 23 marzo 1956, n. 167, non appaiono in contrasto con il principio costituzionale di eguaglianza. Non diversamente che in tutte le altre ipotesi di connessione di procedimenti, anche l'art. 8 della legge n. 167, dettando il nuovo testo dell'art. 264 c.p.m.p., ha dovuto contemperare esigenze diverse ed opposte, ma entrambe presenti nell'ordinamento giuridico: assicurando, da un lato, la congiunta cognizione dei casi per i quali risultava impossibile o comunque inopportuno mantenere separati i procedimenti; ma anche garantendo, d'altro lato, la competenza del giudice normalmente ritenuto più idoneo a risolvere determinate specie di controversie.
Ora, in vista di un tale bilanciamento si giustifica che l'art. 264 c.p.m.p. non consideri alcune fra le ipotesi previste nell'art. 45 cod.proc.pen., per cui la connessione si presenta meno stringente o di grado meno elevato: qual è, senza dubbio, la connessione soggettiva disposta dall'art. 45 n. 3. Né la conclusione muta nell'ipotesi del concorso formale, sebbene l'interferenza fra i relativi procedimenti sia maggiore che negli altri casi di persone imputate di più reati. Entro i limiti della ragionevolezza, appartiene infatti alla discrezionalità legislativa stabilire e circoscrivere l'ambito di operatività del simultaneus processus, senza che il diritto processuale debba fare applicazione - a pena d'illegittimità costituzionale - di alcun criterio rigidamente prefissato; e per averne una recente conferma basti ricordare, al di là degli esempi citati dall'Avvocatura dello Stato, l'art. 48 bis cod.proc.pen. (in tema di rilevanza della connessione), aggiunto dall'art. 2 della legge 8 agosto 1977, n. 534.
Del resto, giova notare come la riunione dei procedimenti, relativi a reati comuni e militari che si assumano commessi da una stessa persona in concorso formale, non rappresenti la strada obbligata per raggiungere lo scopo cui mirano i giudici a quibus, cioè per consentire che si applichi l'art. 81 cod.pen. La costante giurisprudenza della Corte di cassazione è orientata nel senso che tale applicazione sia comunque possibile, purché i reati successivamente giudicati risultino meno gravi di quelli per i quali sia stata già inflitta una condanna. E parallelamente, quand'anche non sia dato ricorrere senz'altro al cosidetto giudizio suppletivo, può soccorrere il rimedio del rinvio del dibattimento a tempo indeterminato, ordinato dal giudice secondo l'art. 432 cod.proc.pen., al fine di attendere il passaggio in giudicato della sentenza destinata ad infliggere la pena - base per la violazione più grave fra quelle commesse in concorso formale.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 264 del codice penale militare di pace, sollevata in riferimento all'art. 3 Cost. dalle sezioni unite penali della Corte di cassazione, dalla prima sezione penale della Corte stessa e dal tribunale militare territoriale di Padova, con le ordinanze indicate in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l'8 maggio 1980.
F.to: LEONETTO AMADEI - GIULIO GIONFRIDA - GUIDO ASTUTI - MICHELE ROSSANO - ANTONINO DE STEFANO - LEOPOLDO ELIA - GUGLIELMO ROEHRSSEN - ORONZO REALE - BRUNETTO BUCCIARELLI DUCCI - ALBERTO MALAGUGINI - LIVIO PALADIN - ARNALDO MACCARONE - ANTONIO LA PERGOLA - VIRGILIO ANDRIOLI.
GIOVANNI VITALE - Cancelliere