˙ Sentenza  72/1980 (ECLI:IT:COST:1980:72)
Giudizio:  GIUDIZIO DI LEGITTIMITÀ COSTITUZIONALE IN VIA INCIDENTALE
Presidente: AMADEI - Redattore:  - Relatore: REALE O.
Udienza Pubblica del 19/12/1979;    Decisione  del 08/05/1980
Deposito del 20/05/1980;    Pubblicazione in G. U.
Norme impugnate:  
Massime:  9486
Atti decisi: 

Pronuncia

N. 72

SENTENZA 8 MAGGIO 1980

Deposito in cancelleria: 20 maggio 1980.

Pubblicazione in "Gazz. Uff." n. 145 del 28 maggio 1980.

Pres. AMADEI - Rel. REALE

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori: Avv. LEONETTO AMADEI, Presidente Dott. GIULIO GIONFRIDA - Prof. EDOARDO VOLTERRA - Prof. GUIDO ASTUTI - Dott. MICHELE ROSSANO - Prof. ANTONINO DE STEFANO - Prof. LEOPOLDO ELIA - Prof. GUGLIELMO ROEHRSSEN - Avv. ORONZO REALE - Dott. BRUNETTO BUCCIARELLI DUCCI - Avv. ALBERTO MALAGUGINI - Prof. LIVIO PALADIN - Dott. ARNALDO MACCARONE - Prof. ANTONIO LA PERGOLA - Prof. VIRGILIO ANDRIOLI, Giudici,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale degli artt. 186 e 189 del c.p.m.p. promossi con le seguenti ordinanze:

1) ordinanza emessa il 12 dicembre 1975 dal Tribunale militare territoriale di Padova nel procedimento penale a carico di Giampaglia Ferdinando, iscritta al n. 126 del registro ordinanze 1976 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 78 del 24 marzo 1976;

2) ordinanza emessa il 20 ottobre 1976 dal Tribunale militare territoriale di Napoli nel procedimento penale a carico di Indinnimeo Pietro ed altro, iscritta al n. 708 del registro ordinanze 1976 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 4 del 5 gennaio 1977.

Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 19 dicembre 1979 il Giudice relatore Oronzo Reale;

udito l'avvocato dello Stato Franco Chiarotti, per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto:

1. - Nel corso del procedimento penale a carico di Giampaglia Ferdinando, imputato del reato di insubordinazione con ingiuria verso superiore ufficiale pluriaggravata (artt. 47, n. 4, 189, primo comma, e 190, n. 2, del c.p.m.p.), il Tribunale militare territoriale di Padova sollevava questione incidentale di legittimità costituzionale dell'art. 189, primo comma, del codice penale militare di pace, per preteso contrasto con gli artt. 3 e 52, terzo comma, della Costituzione.

Premesso come, ad avviso dello stesso tribunale, la società militare, siccome fondata su principi di gerarchia, non è una società di uguali, si sottolinea che la diversità di trattamento "tra ufficiali e non ufficiali" deve poggiare su un "giudizio di diversità delle situazioni disciplinate dalla legge e tale giudizio di diversità non deve discostarsi dal rispetto della ragionevolezza".

Tale requisito, secondo il Collegio a quo, non sarebbe riscontrabile nella disciplina contenuta nel denunciato art. 189, primo comma, c.p.m.p., che, per il reato di insubordinazione con minaccia o ingiuria, commina la pena della reclusione militare da tre a sette anni se il fatto è commesso nei confronti di un superiore ufficiale, o da uno a cinque anni qualora il superiore non sia ufficiale.

Posto che la ratio della norma incriminatrice è quella (desumibile anche dalla collocazione sistematica dell'art. 189 nel titolo III del libro II, concernente i reati contro la disciplina militare) di tutelare l'autorità dei superiori - e conseguentemente di punire qualunque fatto idoneo a ledere il rapporto gerarchico di subordinazione - va rimarcato come le norme disciplinari non stabiliscano effetti od obblighi disciplinari diversi a seconda che il superiore sia o meno ufficiale.

Né, sempre secondo il Collegio remittente, la diversità del regime sanzionatorio testé descritto può trovare giustificazione nel grado, atteso che la norma concerne da un lato gli ufficiali, qualunque ne sia il grado, e, dall'altro, i sottufficiali ed i militari di truppa.

Ricordato come l'irrazionalità di tale trattamento differenziato fosse stata sottolineata sia in sede di Commissione per l'elaborazione dei codici militari a proposito della soppressione (poi non attuata) della differenza di trattamento a seconda che l'insubordinazione fosse rivolta a superiore ufficiale o non ufficiale, nonché nella relazione che accompagnò (nel 1932) il progetto, il Collegio a quo ritiene palese la violazione dell'art. 3 della Costituzione.

Peraltro, tale differenziazione confliggerebbe, secondo lo stesso tribunale militare di Padova, anche con il terzo comma dell'art. 52 della Costituzione, atteso che la diversità potrebbe lasciar ritenere che agli ufficiali sia stata riservata una posizione di privilegio, non compatibile con lo "spirito democratico" cui devono essere informate le Forze Armate.

2. - Nel corso del procedimento penale a carico di Indinnimeo Pietro e Maisto Giovanni, imputati del reato di disobbedienza (art. 178 c.p.m.p.) e, il solo Malsto, del reato di insubordinazione continuata con ingiuria, minaccia e violenza contro superiori ufficiali (artt. 81 c.p., 189, primo comma, e 186, ultimo comma, c.p.m.p.), il Tribunale militare territoriale di Napoli sollevava questioni di legittimità costituzionale degli artt. 186 e 189 del codice penale militare di pace, per preteso contrasto con gli artt. 3 e 52, comma terzo, della Costituzione, nella parte in cui "viene stabilita una diversa pena a seconda che il fatto di insubordinazione sia commesso nei confronti di un superiore ufficiale o non ufficiale".

Nel punire il reato di violenza contro un superiore, l'articolo 186 citato prevede una pena non inferiore a cinque anni di reclusione militare se il superiore è ufficiale, ovvero da tre a dodici anni se il superiore non è ufficiale.

A sostegno del dubbio di costituzionalità, il Collegio svolge considerazioni analoghe a quelle di cui si è detto a proposito della ordinanza del Tribunale militare territoriale di Padova.

3. - In entrambi i giudizi ha spiegato intervento il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato dall'Avvocato generale dello Stato, ed ha chiesto che le proposte questioni vengano dichiarate non fondate.

A sostegno di tale richiesta si sottolinea negli atti di intervento - distinti ma di contenuto sostanzialmente coincidente - che se è esatto il rilievo secondo cui il reato in parola è volto contro la disciplina militare, ciò non comporta che il "bene oggetto della tutela penale sia sempre in pari misura offeso", sia che il fatto venga commesso contro un superiore ufficiale sia che venga commesso contro un superiore non ufficiale.

La diversità di trattamento denunciata non sarebbe infatti irrazionale, siccome giustificata dal "diverso danno derivante al servizio ed alla disciplina in rapporto alla diversità delle funzioni e della responsabilità dei soggetti nei confronti dei quali la condotta illecita viene posta in essere".

Né, sempre ad avviso dell'Avvocatura dello Stato, sarebbe da condividere la censura formulata dai giudici a quibus con riferimento al terzo comma dell'art. 52 Cost., atteso che la ricordata differenza di trattamento non potrebbe essere considerata contraria allo spirito democratico della Repubblica, "non escludendo l'ordinamento democratico delle Forze Armate il riconoscimento agli ufficiali di una speciale posizione gerarchica nei rapporti con i militari subordinati".

Considerato in diritto:

1. - Le due ordinanze di cui in epigrafe, pur denunziando l'una, quella del Tribunale militare di Padova, l'incostituzionalità del solo art. 189, primo comma, c.p.m.p., l'altra, quella del Tribunale militare di Napoli, l'incostituzionalità degli artt. 186 e 189 del detto codice, sollevano con riferimento agli stessi parametri costituzionali un'eguale questione; sicché i giudizi possono essere riuniti e decisi con unica sentenza.

2. - I due tribunali a quibus ritengono che la differenza del trattamento penalistico, stabilito negli artt. 186 e 189 c.p.m.p., dei reati di insubordinazione con violenza o con minaccia e ingiuria, secondo che essa avvenga nei confronti del superiore ufficiale o non ufficiale, sia sospetta di violazione degli artt. 3 e 52, terzo comma, della Costituzione. Si tratta, affermano i due tribunali, di norme che, avendo la funzione di proteggere la disciplina militare, sono destinate a tutelare l'autorità dei superiori indipendentemente dal loro grado, e quindi non tollerano, senza violazione del principio di eguaglianza e dello spirito democratico al quale deve informarsi l'ordinamento delle Forze Armate, diversità di sanzione edittale in ragione della qualità del superiore offeso.

L'Avvocatura dello Stato riconosce che il bene oggetto della tutela penale è la disciplina militare, ma nega che tale bene sia necessariamente offeso "in pari misura" quando l'insubordinazione avvenga verso un superiore ufficiale o un superiore non ufficiale: sicché deve escludersi la irrazionalità della diversa previsione e sanzione stabilita nelle denunziate norme del c.p.m.p., come pure l'offesa all'ordinamento democratico delle FF.AA., offesa che consisterebbe nell'attribuzione agli ufficiali di una "speciale posizione gerarchica nei rapporti con i militari subordinati".

3. - Appare opportuno premettere che gli artt. 186 e 189 c.p.m.p., relativi rispettivamente alla "insubordinazione con violenza" e alla "insubordinazione con minaccia o ingiuria", appartengono al Capo terzo del Titolo terzo ("Dei reati contro la disciplina militare") del secondo libro del c.p.m.p., e che il Capo primo dello stesso Titolo tratta della "disobbedienza". ora, mentre la disobbedienza è punita (art. 173) quando essa si riferisce all'ordine di "un superiore", la insubordinazione in entrambe le ipotesi degli artt. 186 e 189 è punita in modo diverso se si verifica nei confronti di un superiore ufficiale o non ufficiale.

Tale diversità di trattamento, esistente nel codice penale militare del 1869 (artt. 125 e 130), fu riprodotta nel codice penale militare del 20 febbraio 1941, conseguente alla legge delega 25 novembre 1926, n. 2153, dopo vivace e qualificata avversione della Commissione per l'elaborazione dei codici militari, puntualizzata nella relazione del 1932, n. 127 ("Questo sistema non ha una base razionale; agli effetti della disciplina gli appartenenti alla milizia vanno separati in due categorie: inferiori e superiori... Questo dovere di sottomissione, base fondamentale della disciplina degli eserciti, è eguale per tutti, e pertanto eguali devono essere gli effetti delle infrazioni, altrimenti si snatura l'essenza stessa di questo dovere basilare, che nella sua assoluta preminenza non è graduabile"), e dopo essere stata respinta nel progetto definitivo del 1938, che agli artt. 188 e 191, relativi all'"insubordinazione per violenza" e all'"insubordinazione per minaccia e ingiuria", unificava il reato e la sanzione quale che fosse il grado del "superiore" offeso.

Ed è noto che in tutti i numerosi progetti di legge di iniziativa governativa e parlamentare concernenti la riforma del codice penale militare, e tuttora pendenti in Parlamento, viene eliminata la distinzione tra insubordinazione verso superiore ufficiale e insubordinazione verso superiore non ufficiale, giudicandola come una residua discriminazione di casta senza giustificazione, data la nozione unitaria del "superiore".

Del pari è noto che nella vigente normativa di Stati europei i cui ordinamenti militari non differiscono sostanzialmente da quello italiano (come Francia, Belgio, Germania occidentale, Svizzera) non è accolta nessuna differenza di trattamento, quanto ai reati di insubordinazione, secondo il grado (ufficiale o non ufficiale) del superiore che subisce l'offesa.

4. - Tutte queste considerazioni, tuttavia, possono certamente avere grande influenza nel determinare, nel senso indicato dalle varie proposte sopra ricordate, la scelta del legislatore. Ma, a giudizio della Corte, si tratta, appunto, di scelta spettante al legislatore, come la Corte ebbe già ad affermare nella sentenza n. 26 del 1979, occupandosi della "sfasatura" derivante dalla dichiarata illegittimità costituzionale della prima parte del secondo comma dell'art. 186 c.p.m.p.

Allontanarsi da tale avviso non si potrebbe senza ritenere irragionevole e priva di ogni motivazione, anche tradizionale, la differente considerazione, quanto alla gravità della insubordinazione, del superiore ufficiale o non ufficiale, o ritenere che quella differenza ripugni totalmente allo spirito democratico al quale deve informarsi l'ordinamento militare della Repubblica.

Conclusione alla quale la Corte non ritiene che si potrebbe pervenire senza forzare la portata degli invocati artt. 3 e 52 della Costituzione, quale determinata dalla propria giurisprudenza.

La giurisprudenza di questa Corte, infatti, si è, a proposito dei detti parametri costituzionali, consolidata nel senso che la discrezionalità del legislatore non possa essere censurata se non nei casi in cui la stessa travalichi nella irragionevolezza. Nella specie, poi, pur non potendosi disconoscere che il regime sospettato di illegittimità costituzionale sia per più aspetti opinabile, devesi ammettere che la scelta operata per rispettare una radicata tradizione gerarchica, risponde ad uno scopo pur sempre operante nell'ambito della discrezionalità.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 186 e 189, primo comma, c.p.m.p., come in epigrafe sollevate dal Tribunale militare territoriale di Padova e dal Tribunale militare territoriale di Napoli con riferimento agli artt. 3 e 52, terzo comma, della Costituzione.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l'8 maggio 1980.

F.to: LEONETTO AMADEI - GIULIO GIONFRIDA - GUIDO ASTUTI - MICHELE ROSSANO - ANTONINO DE STEFANO - LEOPOLDO ELIA - GUGLIELMO ROEHRSSEN - ORONZO REALE - BRUNETTO BUCCIARELLI DUCCI - ALBERTO MALAGUGINI - LIVIO PALADIN - ARNALDO MACCARONE - ANTONIO LA PERGOLA - VIRGILIO ANDRIOLI.

GIOVANNI VITALE - Cancelliere