˙ Sentenza  69/1980 (ECLI:IT:COST:1980:69)
Giudizio:  GIUDIZIO DI LEGITTIMITÀ COSTITUZIONALE IN VIA INCIDENTALE
Presidente: AMADEI - Redattore:  - Relatore: ANDRIOLI
Udienza Pubblica del 30/01/1980;    Decisione  del 29/04/1980
Deposito del 05/05/1980;    Pubblicazione in G. U.
Norme impugnate:  
Massime:  9392
Atti decisi: 

Pronuncia

N. 69

SENTENZA 29 APRILE 1980

Deposito in cancelleria: 5 maggio 1980.

Pubblicazione in "Gazz. Uff." n. 131 del 14 maggio 1980.

Pres. AMADEI - Rel. ANDRIOLI

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori: Avv. LEONETTO AMADEI, Presidente - Dott. GIULIO GIONFRIDA - Prof. EDOARDO VOLTERRA - Prof. GUIDO ASTUTI - Dott. MICHELE ROSSANO - Prof. ANTONINO DE STEFANO - Prof. LEOPOLDO ELIA - Prof. GUGLIELMO ROEHRSSEN - Avv. ORONZO REALE - Dott. BRUNETTO BUCCIARELLI DUCCI - Avv. ALBERTO MALAGUGINI - Prof. LIVIO PALADIN - Dott. ARNALDO MACCARONE - Prof. ANTONIO LA PERGOLA - Prof. VIRGILIO ANDRIOLI, Giudici,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 5 della legge 28 (recte: 26) agosto 1950, n. 860 (tutela fisica ed economica delle lavoratrici madri) e dell'art. 26 del d.P.R. 21 maggio 1953, n. 568 (regolamento per l'attuazione della legge 26 agosto 1950, n. 860) promosso con ordinanza, emessa il 13 novembre 1974 dalla Corte d'appello di Venezia nel procedimento civile vertente tra l'Istituto Nazionale per l'Assicurazione contro le Malattie - I.N.A.M. e De Pasqual Rosa, iscritta al n. 195 del registro ordinanze 1975 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 181 del 9 luglio 1975.

Visto l'atto di costituzione dell'I.N.A.M. e quello di De Pasqual Rosa;

udito nell'udienza pubblica del 30 gennaio 1980 il Giudice relatore Virgilio Andrioli.

Ritenuto in fatto:

1. - Con atto, notificato all'I.N.A.M. il 7 luglio 1969, De Pasqual Rosa Carla in Orzes di Cadola di Ponte nelle Alpi espose che, mentre era alle dipendenze della s.p.a. "Manifattura delle Alpi", aveva riscontrato su se stessa sintomi di gravidanza ed aveva quindi inoltrato all'I.N.A.M. il 5 novembre 1968 domanda al fine di ottenere il rimborso delle spese di degenza per il parto e di conseguire il trattamento economico per le lavoratrici madri; che i sanitari dell'I.N.A.M. avevano prognosticato che la De Pasqual, all'uopo visitata, avrebbe partorito il 10 marzo 1969; che la "Manifattura delle Alpi" interruppe l'attività chiudendo i cancelli dello stabilimento sotto la data del 14 ottobre 1968 e procedendo al licenziamento dei dipendenti, ma che l'azienda, a seguito di accordo sindacale concluso sotto l'egida del Prefetto di Belluno, era stata rilevata dalla ditta Loria, la quale ne aveva riassunto i dipendenti a far tempo dal 4 dicembre 1968; che la De Pasqual si fece visitare dall'ufficiale sanitario di Ponte nelle Alpi, il quale fissò come data presumibile del parto quella del 6 febbraio 1969, ma che l'evento si verificò l'8 febbraio 1969; che l'I.N.A.M., con nota del 21 marzo 1969, comunicò "di non poter ammettere l'interessata al beneficio di trattamento economico di maternità, ostandovi il contenuto dell'art. 26 del regolamento per l'attuazione della legge n. 860 del 26 agosto 1950". Nello stesso atto di citazione la De Pasqual obiettò al rifiuto dell'I.N.A.M. che, essendo stata riassunta dalla ditta Loria il 4 dicembre 1968, risultava in servizio nei tre mesi precedenti la data del 10 marzo 1969, prognosticata dall'ufficio sanitario dell'I.N.A.M. per il parto, e, in subordine, che, se si fosse tenuta presente la data effettiva dell'evento (8 febbraio 1969), non poteva essa De Pasqual riguardarsi come assente o sospesa dal lavoro nei tre mesi precedenti tale data per causa alla medesima imputabile. Sulla base di tali premesse l'attrice chiese all'adito Tribunale di Belluno condannarsi l'I.N.A.M. a corrisponderle il trattamento economico di maternità con gli interessi e le spese giudiziali.

In subordine, l'attrice sollevò, nel corso del giudizio, questione di legittimità dell'art. 5 della legge 26 agosto 1950, n. 860, e dell'art. 26 del regolamento, emanato per l'attuazione della medesima con d.P.R. 21 maggio 1953, n. 568, per contrasto con l'art. 38 della Costituzione.

Si costituì l'I.N.A.M. obiettando che alla data di tre mesi prima della previsione del parto, cioè al 6 novembre 1968, l'attrice non era in servizio per essere stata licenziata dalla "Manifattura delle Alpi" il 14 ottobre 1968 e riassunta dalla ditta Loria sol a far tempo dal 4 dicembre 1968, e negando rilevanza a ciò che il licenziamento fosse stato intimato non per colpa della De Pasqual.

2. - Con sentenza 19 maggio - 30 luglio 1973 non notificata, il Tribunale, invece, ritenne che "nel momento dell'inizio del periodo trimestrale, antecedente la data del parto, l'attrice figurava come dipendente della "Manifattura delle Alpi" per un triplice ordine di fatti: primo perché nessun atto era ad essa addebitabile a suo danno, e dal quale si potesse desumere come conseguenza la "sospensione o l'assenza senza retribuzione"; secondo, perché l'attrice non era stata ancora liquidata a tutti i fini contabili e legali, come chiaramente statuito dall'art. 2 dell'accordo 17 novembre 1968; ed infine anche perché non vi era stata ancora soluzione di continuità tra l'occupazione della ditta cedente "Manifattura delle Alpi" e la ditta cessionaria Loria essendo stato previsto all'uopo un "passaggio diretto di azienda". Né si deve dimenticare" proseguì il Tribunale "che nella vertenza de qua il parto, diagnosticato per il 6 febbraio 1969 dal dr. Venier medico di Ponte nelle Alpi, si ebbe a verificare l'8 febbraio 1969 quando cioè ancora, come sopra specificato, non erano state esaurite le procedure richieste e previste dagli artt. 2 e 3 e di cui la nota a verbale a chiarimento dei precitati articoli dell'accordo interconfederale del 18 aprile 1966".

Tale motivazione, di cui si sono riprodotte le proposizioni terminali, consentì al Tribunale di accogliere la domanda senza prendere in esame la questione di legittimità costituzionale, in subordine sollevata dalla De Pasqual.

3. - Con ordinanza 13 novembre 1974 - 12 febbraio 1975, regolarmente comunicata e notificata e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 181 del 9 luglio 1975 (n. 195 reg. ord. 1975), la Corte d'appello di Venezia, avanti la quale l'I.N.A.M. aveva impugnato la sentenza di prime cure con atto notificato il 4 dicembre 1973, ha ritenuto non manifestamente infondata la questione, riproposta in subordine nella comparsa di costituzione della De Pasqual, di legittimità, in riferimento agli artt. 3 e 38, comma secondo, Cost., dell'art. 26 d.P.R. 21 maggio 1953, n. 568 di esecuzione della legge 26 agosto 1950, n. 860, per i primi due commi del quale "L'indennità giornaliera di cui all'art. 17, primo comma, della legge 26 agosto 1950, n. 860, e l'indennità una tantum di cui all'art. 22 della predetta legge, sono corrisposte alle lavoratrici gestanti e puerpere, aventi comunque diritto in caso di malattia al relativo trattamento economico, rispettivamente dall'I.N.A.M. o dagli altri enti cui è affidata l'assicurazione obbligatoria di malattia, qualora all'inizio del periodo di assenza obbligatoria dal lavoro stabilito dagli artt. 5 e 6 della legge medesima, e salvo, per le lavoratrici dell'agricoltura, quanto previsto dall'art. 31 del presente regolamento, risulti in atto il rapporto di lavoro con la corresponsione del relativo salario. Le lavoratrici gestanti che si trovino sospese od assenti dal lavoro senza retribuzione all'inizio del periodo di assenza obbligatoria dal lavoro, sono ammesse al godimento dell'indennità giornaliera purché fra l'inizio della sospensione o dell'assenza e quello di detto periodo non siano decorsi più di sessanta giorni; qualora l'assenza sia dovuta a malattia o ad infortunio sul lavoro l'indennità giornaliera spetta alla lavoratrice gestante qualunque sia la durata dell'assenza stessa".

(A sua volta, l'art. 17, comma primo, della legge n. 860/1950 dispone che "le lavoratrici delle imprese industriali, commerciali, del credito e delle assicurazioni private, nonché le impiegate delle aziende agricole hanno diritto ad una indennità giornaliera pari all'80 per cento della retribuzione per tutto il periodo di assenza obbligatoria dal lavoro stabilita dagli artt. 5 e 6 della presente legge. Tale indennità è comprensiva di ogni altra indennità spettante per malattia.")

Assume il giudice a quo che l'or menzionato art. 26, se dispone che l'I.N.A.M. è obbligato a corrispondere il trattamento di maternità "qualora all'inizio del periodo di assenza obbligatoria dal lavoro, stabilito dagli artt. 5 e 6 della legge... risulti in atto il rapporto di lavoro con la corresponsione del relativo salario", non prevede analogo trattamento per l'ipotesi in cui il datore di lavoro "ritenga, per propri motivi, di chiudere i battenti della fabbrica e licenziare il personale dipendente", e ne inferisce la violazione vuoi del principio d'uguaglianza, sancito dall'art. 3, vuoi dell'art. 38, comma secondo, per il quale "i lavoratori hanno diritto che siano preveduti ed assicurati mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in caso d'infortunio, malattia, invalidità e vecchiaia, disoccupazione involontaria".

Queste ragioni hanno indotto la Corte di Venezia anche a dubitare della legittimità dell'art. 5 della legge 26 agosto 1950, n. 860, il quale fa divieto di adibire al lavoro donne addette all'industria a) durante i tre mesi precedenti la data presunta del parto indicato nel certificato di gravidanza, b) ove il parto avvenga oltre quella data, per tutto il periodo successivo che precede il parto, e c) durante otto settimane dono il parto, e dell'art. 26 d.P.R. 21 maggio 1953, n. 568, in riferimento agli artt. 3 e 38, comma secondo, della Costituzione.

4. - Avanti la Corte si sono costituiti l'I.N.A.M., rappresentato e assistito, giusta procura in calce, dagli avvocati Salvatore Di Pasquale e Giorgio Foà, mediante deduzioni, depositate il 23 luglio 1975, in cui si nega la violazione dell'art. 3 sul riflesso che diverse sarebbero le due posizioni delle lavoratrici, che la Corte di Venezia intenderebbe assoggettate a identità di trattamento, e dell'art. 38, comma secondo, per l'insussistenza, nel caso che ha dato origine alla questione di costituzionalità, di un rapporto in atto al tempo del periodo di gravidanza, a sua volta presupposto del rapporto assicurativo, e la De Pasqual, rappresentata e assistita, giusta procura speciale con firma autenticata il 19 settembre 1975 per notaio Molinari Raimondi di Belluno (n. 22.867 rep. 19 settembre 1975), dagli avvocati Pasquale Nappi e Agostino Perale, mediante deduzioni, sottoscritte dal solo avv. Nappi e depositate il 4 agosto 1976, in cui si fa richiamo alle argomentazioni svolte dalla Corte di Venezia chiedendo la declaratoria d'incostituzionalità delle disposizioni impugnate.

La Presidenza del Consiglio dei ministri non ha spiegato intervento.

Nella memoria illustrativa, depositata il 14 gennaio 1980, l'I.N.A.M. richiama giurisprudenza della Corte sull'art. 3 Cost., e, a proposito dell'art. 38, comma secondo, la sentenza 4 febbraio 1967, n. 7.

Con memoria depositata il 10 gennaio 1980, la De Pasqual ripete trattarsi di ingiustificata diversità di trattamento tra lavoratore licenziato e lavoratore occupato, soggiungendo che, essendo il licenziamento nella specie illegittimo, l'I.N.A.M. potrebbe agire in rivalsa, a sensi dell'art. 1916 c.c., nei confronti del datore di lavoro, in quanto "responsabile" del licenziamento.

Alla udienza pubblica del 30 gennaio 1980 il Giudice Andrioli ha svolto la relazione.

Considerato in diritto:

1. - Va preliminarmente dichiarata l'irritualità della costituzione della De Pasqual perché avvenuta fuori termine.

2. - La Corte d'appello di Venezia ha dei quattro ordini di argomentazioni, che avevano indotto il Tribunale di Belluno ad accogliere la domanda della De Pasqual, disatteso soltanto il primo ponendo per l'appunto a base delle prospettate questioni di costituzionalità la contrapposizione tra la fattispecie, delineata nell'art. 26 d.P.R. n. 568/1953, e la estraneità del volere della De Pasqual al licenziamento intimato per cessazione di attività imprenditoriale, di cui, in una con tutti i dipendenti della "Manifattura delle Alpi", era stata fatta segno, e con ciò ha - sia pure immotivatamente - escluso che la condizione della De Pasqual (e degli altri dipendenti licenziati) giustificasse, indipendentemente dal rilievo (e poi dalla constatazione del buon fondamento) della questione di costituzionalità delle disposizioni impugnate, la conferma della sentenza di accoglimento della domanda, resa dal giudice di prime cure. Neppure una parola, invece, ha la Corte di Venezia speso sui tre altri ordini di argomentazioni del Tribunale e, segnatamente, sul terzo e sul quarto e, pertanto, non ha offerto consistente dimostrazione dell'apprezzamento di rilevanza.

Ciò che più conta: la Corte di Venezia non si è posta il dubbio sulla natura giuridica del d.P.R. n. 568/1953, solo sciogliendo il quale nel senso che si tratti di legge delegata si sarebbe giustificata la rimessione della questione di costituzionalità all'esame di questa Corte.

Lo scioglimento del dubbio non può non essere negativo perché a) l'art. 35 della legge n. 860/1950, entrata in vigore il 3 gennaio 1951, prevede che "con regolamento, che sarà approvato con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Ministro per il lavoro e la previdenza sociale, sentito il Consiglio di Stato, saranno emanate le norme occorrenti per l'applicazione della presente legge, entro due mesi dalla data di pubblicazione della legge stessa", ma non determina principi e criteri direttivi (tutto si riduce a fissare nel secondo comma il limite di lire 30.000 per l'ammenda da comminarsi per le contravvenzioni alle norme del regolamento), si limita ad indicare il termine di due mesi dalla data di pubblicazione della legge stessa, peraltro non osservato, ed esige il parere del Consiglio di Stato richiesto per i regolamenti e non per le leggi delegate, b) il d.P.R. n. 568/1953, a parte la qualifica di regolamento, dà atto della acquisizione del parere del Consiglio di Stato e richiama, sempre nel preambolo, non gli artt. 76 e 77, comma primo, Cost. ma l'art. 87, comma quinto, che prevede la emanazione, da parte del Presidente della Repubblica, di decreti aventi valore di legge e di regolamenti.

Gli indici a favore della qualifica di regolamento sovrastano i dati, da cui potrebbe trar vigore la qualifica di legge delegata che intendesse riconoscersi al d.P.R. in esame (sull'argomento, in generale, ord. n. 49/1962, sent. n. 56/1975, ord. n. 20/1979).

L'inammissibilità avanti a questa Corte della questione di legittimità dell'art. 26 preclude anche l'esame della questione di costituzionalità dell'art. 5 della legge n. 860/1950, coinvolto nel presente incidente sol per essere citato nell'art. 26.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara inammissibile la questione di legittimità dell'art. 26 d.P.R. 21 maggio 1953, n. 568, e, quindi, dell'art. 5 della legge 26 agosto 1950, n. 860, sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 38, comma secondo, Cost., dalla Corte d'appello di Venezia con l'ordinanza in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 29 aprile 1980.

F.to: LEONETTO AMADEI - GIULIO GIONFRIDA - EDOARDO VOLTERRA - GUIDO ASTUTI - MICHELE ROSSANO - ANTONINO DE STEFANO - LEOPOLDO ELIA - GUGLIELMO ROEHRSSEN - ORONZO REALE - BRUNETTO BUCCIARELLI DUCCI - ALBERTO MALAGUGINI - LIVIO PALADIN - ARNALDO MACCARONE - ANTONIO LA PERGOLA - VIRGILIO ANDRIOLI.

GIOVANNI VITALE - Cancelliere