N. 51
SENTENZA 2 APRILE 1980
Deposito in cancelleria: 14 aprile 1980.
Pubblicazione in "Gazz. Uff." n. 112 del 23 aprile 1980.
Pres. AMADEI - Rel. VOLTERRA
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori: Avv. LEONETTO AMADEI, Presidente - Dott. GIULIO GIONFRIDA - Prof. EDOARDO VOLTERRA - Prof. GUIDO ASTUTI - Dott. MICHELE ROSSANO - Prof. ANTONINO DE STEFANO - Prof. LEOPOLDO ELIA - Prof. GUGLIELMO ROEHRSSEN - Avv. ORONZO REALE - Dott. BRUNETTO BUCCIARELLI DUCCI - Avv. ALBERTO MALAGUGINI - Prof. LIVIO PALADIN - Dott. ARNALDO MACCARONE - Prof. ANTONIO LA PERGOLA - Prof. VIRGILIO ANDRIOLI, Giudici,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 341 del codice penale, promosso con ordinanza emessa il 15 gennaio 1975 dal Pretore di Prato, nel procedimento penale a carico di Pecchioli Marileno, iscritta al n. 121 del registro ordinanze 1975 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 145 del 4 giugno 1975.
Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell'udienza pubblica del 19 dicembre 1979 il Giudice relatore Edoardo Volterra;
udito l'avvocato dello Stato Giuseppe Angelini Rota per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto:
1. - Nel corso del procedimento penale a carico di Marileno Pecchioli, imputato del reato di oltraggio a pubblico ufficiale, il Pretore di Prato, con ordinanza emessa il 15 gennaio 1975, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 341 cod. pen. in riferimento all'art. 3 della Costituzione.
Il giudice a quo ritiene non manifestamente infondato il contrasto tra la norma denunziata ed il principio invocato, sotto due profili.
Quanto al primo, a detta del Pretore, sarebbe viziata da sofisma idoneo a vanificare il principio d'eguaglianza l'argomentazione della Corte, contenuta nella sentenza n. 109 del 1968, decisione in cui, nel respingere analoga questione, si osservava che la speciale disciplina dell'art. 341 cod. pen. è giustificata dal fatto che "la tutela penale dell'onore della persona fisica titolare del pubblico ufficio, è assorbita in quella del prestigio della pubblica amministrazione che in essa s'incarna, prestigio il quale viene colpito nel momento stesso in cui la sua autorità si fa concretamente valere, e pertanto dà luogo ad una nuova e diversa fattispecie legale". In questo modo, sempre secondo il giudice a quo, si consentirebbe al legislatore di eludere a suo arbitrio il principio di uguaglianza e di pari dignità sociale dei cittadini costruendo "fattispecie nuove e diverse" sulla base della diversa e specifica rilevanza attribuita alle diverse e specifiche condizioni o qualifiche personali o sociali dei cittadini.
Né, aggiunge, il Pretore, si può ritenere che una tutela differenziata dell'onorabilità del pubblico ufficiale e di quella del comune cittadino sia giustificata dal fatto che il prestigio della pubblica amministrazione rappresenta un valore maggiore, per esempio, del prestigio della proprietà imprenditoriale, o del culto religioso, o dell'insegnamento o della professione medica o forense che rispettivamente s'incarnano nell'imprenditore, nel ministro del culto, nel docente, nel medico, e nell'avvocato. Il prestigio della pubblica amministrazione non sarebbe fatto oggetto di nessuna tutela costituzionale e perciò nulla autorizzerebbe ad assumerlo a valore privilegiato fino al punto da consentire la deroga in suo nome al principio costituzionale di uguaglianza.
Quanto al secondo profilo, l'art. 341 sembra al Pretore in manifesto contrasto con l'art. 3, primo comma, della Costituzione, giacché esso comporta, sul piano processuale, una disparità di trattamento tra pubblici ufficiali e comuni cittadini che si risolve in una discriminazione e in un privilegio odioso a danno delle persone titolari di pubblici uffici. Queste infatti a causa della procedibilità d'ufficio del reato di oltraggio, sono private del potere di proporre (o di non proporre) e di rimettere la querela a tutela della loro personale onorabilità e perciò del personale e privato interesse da questa costituito. In tal modo i pubblici ufficiali non hanno come gli altri cittadini la facoltà di deliberare discrezionalmente a tutela della loro personale onorabilità e del loro interesse alla riservatezza, in ordine all'opportunità di provocare o invece di sottrarsi ad un processo penale.
Onde ovviare a questa ingiustificata disparità di trattamento, la Corte costituzionale dovrebbe quanto meno, con sentenza interpretativa, stabilire che, ove dal giudizio risulti che il fatto è diretto ad offendere esclusivamente e specificamente' l'onore e il decoro della persona fisica del pubblico ufficiale pur nell'esercizio ed a causa delle sue funzioni e non anche il prestigio della pubblica amministrazione, esso dovrebbe essere qualificato e punito come ingiuria anziché come oltraggio e fosse perciò perseguibile su querela della parte offesa.
2. - L'ordinanza è stata regolarmente notificata, comunicata e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale.
Dinanzi alla Corte costituzionale è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato.
Nel chiedere che la questione venga dichiarata manifestamente infondata, l'avvocatura osserva che il Pretore di Prato contesta la esattezza delle affermazioni contenute nella sentenza n. 109 del 1968 e che la sua critica è in sostanza rivolta al legislatore ordinario, il quale accorda una tutela differenziata al prestigio della pubblica amministrazione rispetto a quello dei privati cittadini, anche se imprenditori, ministri di culto, docenti, medici o avvocati. Si tratterebbe, peraltro, di una critica del tutto infondata perché la tutela differenziata della pubblica amministrazione corrisponde ad una necessità insopprimibile dello Stato democratico, mentre l'attuazione di tale tutela attraverso la particolare sanzione del reato di oltraggio si adegua esattamente al principio costituzionale secondo cui "i pubblici impiegati sono al servizio esclusivo della Nazione" (art. 98, primo comma).
Il criterio che ispira l'art. 341 del codice penale sarebbe lo stesso per cui, dato il prevalente rilievo costituzionale della Magistratura, l'oltraggio al magistrato in udienza corrisponde da una fattispecie più grave di reato, sanzionata dall'art. 343 cod. pen. e per cui, essendo il Presidente della Repubblica il rappresentante dell'unità nazionale (art. 67 Cost.), l'offesa al suo onore e prestigio costituisce reato ancor più grave, quello sanzionato dall'art. 278 stesso codice, considerato come delitto contro la personalità dello Stato.
È quindi evidente che in tali diverse ipotesi l'offesa alla persona, seppure costituisce l'elemento materiale costante dei diversi reati, non può giustificare una disciplina uniforme dell'oltraggio al Presidente della Repubblica, o al magistrato in udienza pubblica o al pubblico ufficiale e dell'ingiuria a privati, onde non può neanche determinare una ingiusta disparità di trattamento fra le diverse persone offese da tali reati.
L'avvocatura ricorda che tutto ciò è già stato ribadito da questa Corte con le sentenze 28 novembre 1972, n. 165 e 26 giugno 1974, n. 192, nonché con ulteriori ordinanze dichiarative della manifesta infondatezza della stessa questione.
Infine, secondo l'avvocatura, le stesse considerazioni valgono ad escludere la violazione del principio di uguaglianza anche sotto il secondo profilo prospettato dall'ordinanza di rimessione, in ordine al quale rileva comunque che la perseguibilità d'ufficio del reato di oltraggio non diminuisce, ma rafforza la tutela del pubblico ufficiale, quale incarnazione della Pubblica Amministrazione alla quale appartiene.
Considerato in diritto:
1. - Pur mostrandosi a conoscenza delle numerose decisioni con cui questa Corte ha respinto la questione di legittimità costituzionale dell'art. 341 del codice penale promossa in relazione all'art. 3 della Costituzione, il Pretore di Prato ha ritenuto non manifestamente infondato il dubbio di incompatibilità della norma in esame con il principio di eguaglianza sotto un duplice profilo. Da un lato la tutela differenziata dell'onore e del prestigio del pubblico ufficiale non corrisponderebbe a un valore privilegiato dalla Costituzione, dall'altro la procedibilità d'ufficio in ordine al reato di oltraggio priverebbe il pubblico ufficiale del potere di proporre (o di non proporre) e di rimettere la querela a tutela della sua personale onorabilità, con disparità di trattamento rispetto a tutti gli altri cittadini.
2. - La questione non è fondata.
Come già avvertito nella sentenza n. 109 del 1968, l'articolo 341 del codice penale appresta una tutela che trascende la persona fisica del titolare dell'ufficio, per risolversi nella protezione del prestigio della pubblica amministrazione impersonata da quel titolare. Nonostante la contraria opinione del giudice a quo il perseguimento di un simile valore da parte del legislatore ordinario (alla cui insindacabile discrezionalità, ove non trasmodi in arbitrio, vanno rimesse le modalità attuative concrete), corrisponde alla finalità del buon andamento amministrativo prevista dall'art. 97 della Costituzione. Finalità che non si riferisce esclusivamente alla fase organizzativa iniziale della pubblica amministrazione, ma ne investe il complesso funzionamento (cfr. sentenza n. 22 del 1966). Di qui una duplice conseguenza: da un lato ragionevolmente nella norma sull'oltraggio viene previsto un trattamento penale più grave di quello riservato all'ingiuria e dall'altro se il pubblico ufficiale, privato del potere di querela, si trova in situazione di disparità rispetto ai comuni cittadini, tale disparità è giustificata dalla protezione di un interesse che supera quello della persona fisica e che trova fondamento nella Carta costituzionale.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 341 del codice penale promossa con l'ordinanza in epigrafe, in riferimento all'art. 3 della Costituzione.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 2 aprile 1980.
F.to: LEONETTO AMADEI - GIULIO GIONFRIDA - EDOARDO VOLTERRA - GUIDO ASTUTI - MICHELE ROSSANO - ANTONINO DE STEFANO - LEOPOLDO ELIA - GUGLIELMO ROEHRSSEN - ORONZO REALE - BRUNETTO BUCCIARELLI DUCCI - ALBERTO MALAGUGINI - LIVIO PALADIN - ARNALDO MACCARONE - ANTONIO LA PERGOLA - VIRGILIO ANDRIOLI.
GIOVANNI VITALE - Cancelliere