N. 48
SENTENZA 2 APRILE 1980
Deposito in cancelleria: 14 aprile 1980.
Pubblicazione in "Gazz. Uff." n. 112 del 23 aprile 1980.
Pres. AMADEI - Rel. ROSSANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori: Avv. LEONETTO AMADEI, Presidente Dott. GIULIO GIONFRIDA - Prof. EDOARDO VOLTERRA - Prof. GUIDO ASTUTI - Dott. MICHELE ROSSANO - Prof. ANTONINO DE STEFANO - Prof. LEOPOLDO ELIA - Prof. GUGLIELMO ROEHRSSEN - Avv. ORONZO REALE - Dott. BRUNETTO BUCCIARELLI DUCCI - Avv. ALBERTO MALAGUGINI - Prof. LIVIO PALADIN - Dott. ARNALDO MACCARONE - Prof. ANTONIO LA PERGOLA - Prof. VIRGILIO ANDRIOLI, Giudici,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 8, comma secondo, della legge 23 maggio 1950, n. 253 (Disposizioni per le locazioni e sublocazioni di immobili urbani), promosso con ordinanza emessa il 10 marzo 1976 dal pretore di Rovereto, nel procedimento civile vertente tra Fiorini Rita e Giordani Ettore, iscritta al n. 332 del registro ordinanze 1976 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 151 del 9 giugno 1976.
Udito nella camera di consiglio dell'8 novembre 1979 il Giudice relatore Michele Rossano.
Ritenuto in fatto:
Con citazione 18 marzo 1975 Rita Fiorini - premesso che aveva rilasciato l'appartamento, di cui era conduttrice, aderendo alla richiesta del proprietario, Ettore Giordani, il quale aveva addotto l'urgente ed improrogabile necessità di cui all'art. 4 legge 23 maggio 1950, n. 253; che il Giordani, dopo il rilascio, aveva dato in locazione l'immobile ad altro conduttore - convenne il Giordani davanti al pretore di Rovereto affinché venisse condannato al ripristino del contratto di locazione e al risarcimento dei danni. Costituitosi il contraddittorio, il convenuto sostenne che la domanda non era fondata perché il rilascio dell'immobile - pur essendo stato determinato dall'invocato stato di necessità del locatore, che aveva chiesto il rilascio dell'appartamento per destinarlo ad abitazione della figlia - era avvenuto spontaneamente e non a seguito di provvedimento giurisdizionale di rilascio, come previsto dall'art. 8 legge 23 maggio 1950, n. 253.
Con ordinanza 10 marzo 1976 il pretore di Rovereto ha sollevato di ufficio, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 8, comma secondo, legge 23 maggio 1950, n. 253 "nella parte in cui subordina il diritto del conduttore al ripristino del contratto di locazione ed al risarcimento del danno all'esistenza di un provvedimento giurisdizionale di rilascio".
L'ordinanza è stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 151 del 9 giugno 1976. Nel giudizio davanti a questa Corte non si sono costituite le parti e non è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri.
Considerato in diritto:
Il pretore di Rovereto ritiene che il secondo comma dell'art. 8 legge n. 253 del 1950 - nella parte in cui subordina all'esistenza di un provvedimento giurisdizionale di rilascio i diritti del conduttore al ripristino del contratto di locazione ed al risarcimento dei danni - sia in contrasto con l'art. 3 della Costituzione in quanto determinerebbe una disparità di trattamento non giustificata tra conduttori che si troverebbero sostanzialmente nella stessa situazione: quelli che hanno rilasciato l'immobile in ottemperanza a provvedimento giurisdizionale di rilascio per urgente ed improrogabile necessità del locatore di disporre dello stesso immobile e quelli che hanno rilasciato l'immobile spontaneamente, aderendo alla richiesta del locatore, che ha addotto l'urgente ed improrogabile necessità.
Nessun rilievo avrebbe la considerazione che la pretesa del locatore sarebbe soddisfatta, nel primo caso, coattivamente, mediante pronuncia dell'autorità giudiziaria e, nel secondo caso, volontariamente, dato che in entrambe le ipotesi "l'inadempimento del locatore - che ottiene il rilascio dell'immobile con il motivo, pretestuoso, di uno stato di urgente ed improrogabile necessità e, successivamente, concede in locazione l'immobile ad altro conduttore - è causa del danno arrecato al precedente conduttore.
La questione non è fondata.
L'art 8, comma primo, legge 23 maggio 1950, n. 253, (disposizioni per le locazioni e sublocazioni di immobili urbani) prescrive che il provvedimento - che dispone il rilascio dell'immobile in conseguenza dell'esercizio, da parte del locatore, della facoltà di far cessare la proroga legale del contratto di locazione, nei casi previsti dall'art. 4, comma primo, nn. 1 e 2, e dell'art. 6, commi terzo e quarto - perde la sua efficacia se l'immobile stesso è dato in locazione ad altro conduttore o comunque il locatore non lo adibisce all'uso in relazione al quale aveva agito.
Il comma secondo dello stesso art. 8 attribuisce al conduttore, nei casi previsti dal comma precedente, il diritto al ripristino del contratto di locazione ed al risarcimento dei danni.
Secondo tale normativa presupposti dei diritti del conduttore al ripristino del contratto di locazione ed al risarcimento dei danni sono: un provvedimento giudiziale di rilascio dell'immobile per urgente ed improrogabile necessità del locatore e la successiva destinazione dell'immobile ad uso diverso da quello per cui il locatore aveva agito in giudizio ed ottenuto il provvedimento di rilascio. Deve, quindi, essere sorto contrasto, in sede giudiziaria, tra locatore e conduttore circa la sussistenza della causa di cessazione della proroga legale, costituita dalla urgente ed improrogabile necessità del locatore di disporre dell'immobile. Nel corso della causa il locatore deve avere fornito le prove della dedotta necessità, come espressamente prescrive l'art. 4, n. 1, stessa legge n. 253 del 1950, che attribuisce al locatore la facoltà di far cessare la proroga "quando dimostra la urgente ed improrogabile necessità, verificatasi successivamente alla costituzione del rapporto locatizio, di destinare l'immobile stesso, a qualunque uso adibito, ad abitazione propria o dei propri figli o dei propri genitori...". Il convenuto, citato in giudizio, ha potuto addurre prove contrarie alla pretesa dell'attore; le prove proposte dalle parti sono state valutate dal giudice, che, ritenute fondate le ragioni addotte dall'attore, ha emanato il provvedimento di rilascio.
Nel caso di specie, invece, la situazione è del tutto diversa. Tra le parti non vi è stato alcun contrasto giudiziario perché il conduttore ha rilasciato l'immobile spontaneamente, dopo la comunicazione della disdetta da parte del locatore, che aveva affermato di dovere destinare l'immobile ad abitazione della figlia prossima a contrarre matrimonio. IL conduttore ha così effettuato una scelta: nel timore di restare soccombente e, quindi, pagare le spese del giudizio, che il locatore avrebbe potuto promuovere, ha preferito evitare la lite.
Indubbiamente in entrambi i casi, quello previsto dalla legge e quello che ricorre nella specie, il risultato è lo stesso: il rilascio dell'appartamento. Occorre, però, avere riguardo non al risultato, ma al mezzo con il quale è stata ottenuta la disponibilità dell'immobile. Il rilascio è, nel primo caso, esecuzione di provvedimento giudiziale, che implica la cessazione del contratto, il che si diversifica dal mutuo recesso. Nel secondo caso il rilascio è effetto di atto volontario della parte che può avvalersi dei rimedi previsti dalle norme ordinarie su i negozi giuridici.
È evidente la ratio dell'art. 8 legge n. 253 del 1950: il legislatore vuole evitare che l'immobile sia sottratto alla proroga legale delle locazioni in mancanza di una delle specifiche cause di cessazione di tale proroga previste dalla speciale legislazione vincolistica. Tale norma ha la primaria funzione preventiva di dissuadere il locatore dal promuovere una causa, adducendo prove di uno stato di necessità in realtà non sussistente. A questa funzione si aggiunge quella repressiva, con la previsione del ripristino del contratto e del risarcimento dei danni, qualora il locatore - iniziata la causa ed ottenuto il rilascio dell'immobile - non abbia dato allo stesso immobile la destinazione per la quale aveva agito in giudizio.
Questo sistema è completato dall'art. 9 medesima legge n. 253 del 1950, il quale prevede la pena della reclusione da tre mesi ad un anno o la multa da lire 50.000 a lire 500.000 se il locatore - nei confronti del quale, con sentenza passata in giudicato, sia pronunciata l'inefficacia del provvedimento di rilascio - abbia ottenuto tale provvedimento valendosi di dichiarazioni mendaci o di documenti attestanti fatti non veri o con altri artifizi o raggiri, relativamente alla necessità ed alla giustificata esigenza di disporre dell'immobile.
E, poiché sulla base di queste considerazioni è da escludere la identità delle due situazioni, ravvisata dal pretore di Rovereto, non sussiste la violazione del principio di eguaglianza.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 8, comma secondo, legge 23 maggio 1950, n. 253 (disposizioni per le locazioni e sublocazioni di immobili urbani), proposta dal pretore di Rovereto, con ordinanza 10 marzo 1976, in riferimento all'art. 3 della Costituzione.
Così deciso in Roma, in camera di consiglio, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 2 aprile 1980.
F.to: LEONETTO AMADEI - GIULIO GIONFRIDA - EDOARDO VOLTERRA - GUIDO ASTUTI - MICHELE ROSSANO - ANTONINO DE STEFANO - LEOPOLDO ELIA - GUGLIELMO ROEHRSSEN - ORONZO REALE - BRUNETTO BUCCIARELLI DUCCI - ALBERTO MALAGUGINI - LIVIO PALADIN - ARNALDO MACCARONE - ANTONIO LA PERGOLA - VIRGILIO ANDRIOLI.
GIOVANNI VITALE - Cancelliere