N. 47
SENTENZA 2 APRILE 1980
Deposito in cancelleria: 14 aprile 1980.
Pubblicazione in "Gazz. Uff." n. 112 del 23 aprile 1980.
Pres. AMADEI - Rel. MACCARONE
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori: Avv. LEONETTO AMADEI, Presidente - Dott. GIULIO GIONFRIDA - Prof. EDOARDO VOLTERRA - Prof. GUIDO ASTUTI - Dott. MICHELE ROSSANO - Prof. ANTONINO DE STEFANO - Prof. LEOPOLDO ELIA - Prof. GUGLIELMO ROEHRSSEN - Avv. ORONZO REALE - Dott. BRUNETTO BUCCIARELLI DUCCI - Avv. ALBERTO MALAGUGINI - Prof. LIVIO PALADIN - Dott. ARNALDO MACCARONE - Prof. ANTONIO LA PERGOLA - Prof. VIRGILIO ANDRIOLI, Giudici,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 10, n. 1, della legge 23 maggio 1950, n. 253 (proroga delle locazioni di immobili urbani) promosso con ordinanza emessa l'11 maggio 1977 dal Pretore di Ancona, nel procedimento civile vertente tra Ancidei Pio ed altri, e Alessandrelli Giancarlo, iscritta al n. 341 del registro ordinanze 1977 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 258 del 21 settembre 1977.
Visti l'atto di costituzione di Ancidei Pio ed altri e l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell'udienza pubblica del 7 novembre 1979 il Giudice relatore Arnaldo Maccarone;
udito l'avvocato dello Stato Renato Carafa, per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto:
Nel corso del procedimento civile promosso da Ancidei Pio, Ancidei Arturo e Ancidei Alberto contro Alessandrelli Giancarlo per sentir dichiarare - ai sensi dell'art. 10, n. 1, della legge 23 maggio 1950, n. 253 - la cessazione della proroga legale del contratto di locazione di un appartamento per uso abitativo in quanto l'immobile era compreso in un edificio gravemente danneggiato, la cui riparazione richiedeva lo sgombero di tutti gli inquilini, il Pretore di Ancona ha sollevato - in riferimento all'art. 3 Cost. - questione di legittimità costituzionale del citato art. 10, n. 1, della legge n. 253 del 1950 "nella parte in cui consente al locatore di far cessare la proroga legale del contratto di locazione anche nelle ipotesi diverse dalla distruzione totale o parziale dell'edificio nel quale è compresa l'unità immobiliare locata".
Il giudice a quo osserva che, a parte i casi di vera e propria distruzione totale o parziale dell'edificio, in cui viene meno l'oggetto del contratto e si giustifica quindi la cessazione della proroga, in tutte le altre ipotesi comprese nell'ambito di applicazione dell'art. 10, n. 1, legge n. 253/50, concernenti le riparazioni rilevanti ed urgenti dell'immobile, la cessazione del rapporto locativo conseguirebbe, per volontà del locatore, alla mera necessità delle riparazioni stesse e alla incompatibilità della presenza del conduttore nell'immobile.
Invece, ai sensi degli artt. 1575, 1576 e 1577 c.c., che regolerebbero situazioni di fatto obbiettivamente identiche a quelle oggetto della norma impugnata, si conserva la validità del rapporto locativo, che rimane soltanto sospeso durante il tempo occorrente per l'effettuazione delle riparazioni (articoli 1583 e 1584 c.c.), salva diversa volontà del conduttore.
Pertanto, secondo il Pretore, al conduttore in regime libero sarebbe assicurato, in caso di impossibilità temporanea della prestazione, il mantenimento del contratto di locazione, ed al conduttore in regime di proroga legale che, per definizione, è invece meritevole di maggiore tutela, verrebbe riservato "un trattamento deteriore, dovendo rinunciare all'ulteriore efficacia di un rapporto che ben potrebbe proseguire una volta riattato l'immobile".
L'indubbia sospensione, in regime vincolistico, degli obblighi di manutenzione e riparazioni posti dal codice civile a carico del locatore, sul quale poi, nonostante il presumibile rilevante impegno economico connesso ai lavori di ripristino, continuerebbe a gravare il peso di un contratto bloccato nella durata e nella misura del canone, non varrebbe a dare ragione della denunziata differenziazione giacché sarebbe lo stesso locatore a prendere l'iniziativa della esecuzione delle riparazioni, mentre - d'altra parte - l'equilibrio delle rispettive prestazioni potrebbe essere assicurato dall'art. 18 legge numero 253/50 che consente, in tal caso, l'aumento del canone in misura tale da assicurargli l'interesse legale sul capitale impiegato. Mancherebbe quindi una valida giustificazione della denunziata disparità di trattamento, e, secondo il giudice a quo la norma impugnata contrasterebbe così con l'art. 3, primo comma, della Costituzione.
L'ordinanza, dopo le notificazioni e le comunicazioni di rito, è stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 258 del 21 settembre 1977.
Nel giudizio è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, con atto in data 3 ottobre 1977.
L'Avvocatura afferma che la situazione del proprietario in regime di proroga legale e quella del proprietario in regime di libera contrattazione sarebbero sostanzialmente diverse, risolvendosi la prima in una notevole restrizione dei diritti normalmente spettanti al secondo. Giustamente quindi il legislatore avrebbe adottato una diversità di disciplina quanto alla sorte del rapporto contrattuale avente ad oggetto un immobile compreso in un edificio danneggiato, attribuendo al proprietario - locatore in regime di proroga legale la facoltà di farla cessare, e garantendo invece al conduttore in regime di libera contrattazione la continuazione del rapporto locativo, salva la sua diversa volontà.
L'Avvocatura conclude quindi chiedendo che la questione sia dichiarata infondata.
Anche la difesa dei signori Ancidei Pio, Ancidei Arturo e Ancidei Alberto (costituitisi innanzi a questa Corte con atto depositato il 25 giugno 1977) pone in evidenza la peculiarità delle situazioni considerate nella norma impugnata e afferma che ogni indagine sulla corrispondenza della diversità del regolamento alla diversità delle situazioni implicherebbe valutazioni circa l'uso del potere discrezionale del Parlamento, che sfuggirebbero, come tali, al controllo di legittimità delle leggi affidato alla Corte costituzionale.
Considerato in diritto:
L'art. 10, n. 1, della legge 23 maggio 1950, n. 253, dispone che il locatore di immobile urbano può far cessare la proroga legale del contratto di locazione quando l'immobile sia compreso in un edificio gravemente danneggiato che debba essere ricostruito o del quale debba d'urgenza essere assicurata la stabilità, e la permanenza del conduttore impedisca di compiere gli indispensabili lavori.
A norma degli artt. 1575, n. 2, 1576, 1577, 1583 e 1584 c.c. il locatore di immobile urbano, in regime di libertà contrattuale, è obbligato a provvedere all'esecuzione delle "riparazioni necessarie per mantenere l'immobile stesso in stato di servire all'uso convenuto" con la sola sospensione del rapporto locativo durante il tempo necessario per l'effettuazione delle riparazioni suddette, alle condizioni e nei termini previsti in particolare dall'art. 1584 c.c.
Sostanzialmente, quindi, nel caso di locazioni di immobili urbani soggetti a proroga, la necessità di eseguire i lavori sopra specificati determina la facoltà del locatore di ottenere la cessazione del rapporto di locazione, ancorché vincolato, mentre nel caso in cui si rendano necessari i lavori previsti dalle citate norme del codice civile, che indubbiamente comprendono interventi della stessa specie indicata dalla norma impugnata, il contratto liberamente stipulato seguita ad avere vigore, sia pure con i temperamenti previsti nei casi particolari indicati dall'art. 1584 c.c. per quanto riguarda la temporanea riduzione dell'ammontare del corrispettivo e la facoltà eccezionale di recesso del conduttore nel caso di assoluta inabitabilità dell'immobile connessa all'esecuzione dei lavori.
Questa situazione, secondo il giudice a quo, concreterebbe una discriminazione a danno dei conduttori in regime vincolistico, poiché li priverebbe del beneficio della proroga legale per il verificarsi di circostanze che, invece, in regime di libertà contrattuale non vengono reputate idonee a provocare lo scioglimento del rapporto.
Tali considerazioni, come è evidente, presuppongono una omogeneità fra le situazioni raffrontate che, invece, deve essere esclusa.
Se infatti è vero che, nei casi sopra descritti, la situazione di fatto appare omogenea nel caso che, nell'ipotesi prevista dalla legge speciale impugnata, trattasi dell'esecuzione di lavori indubbiamente raffrontabili con quelli indicati dalle citate norme del codice civile, è anche vero che la situazione giuridica nella quale gli interventi in esame si inseriscono è sostanzialmente diversa.
Mentre nelle locazioni in regime pattizio, tra le obbligazioni principali del locatore vi è quella di mantenere i locali nello stato di servire all'uso convenuto, è opinione concorde della dottrina e della giurisprudenza che, in regime vincolistico, il locatore non è invece tenuto in linea di massima, e salvo la osservanza dell'art. 2053 c.c., ad eseguire direttamente le opere di manutenzione, che possono essere effettuate dal conduttore salvo rivalsa sul canone dovuto. E ciò in quanto il legislatore ha voluto alleggerire l'onere che il locatore subisce per effetto del vincolo, il quale comporta una limitazione notevole del diritto di proprietà dell'immobile.
Il rapporto fra locatore e conduttore, per quanto riguarda il ripristino dell'immobile, è, pertanto, diverso nelle due situazioni comparate.
E tale differenza giustifica la scelta operata dal legislatore del 1950, tanto più che nell'ipotesi considerata non si tratta della riparazione del solo alloggio locato ma della ricostruzione o del consolidamento dell'intero edificio, gravemente danneggiato, nel quale l'alloggio stesso è compreso; razionalmente dunque si è ritenuto che l'utilità sociale derivante dall'esecuzione delle opere anzidette prevalesse sull'interesse alla conservazione della proroga legale.
Né d'altra parte può condividersi la considerazione espressa nell'ordinanza di rinvio, secondo la quale la volontarietà della esecuzione dei lavori da parte del locatore toglierebbe ogni giustificazione alla censurata diversità di disciplina. Invero, come si è detto, la normativa in esame risponde ad una valutazione obbiettiva degli interessi contrapposti, in relazione alla quale l'elemento soggettivo cui si richiama l'ordinanza non può ovviamente assumere nessun sensibile rilievo; va, d'altra parte, considerato che l'iniziativa del locatore è determinata dalla urgenza di assicurare la stabilità dell'immobile.
Come è noto, seconda la costante giurisprudenza di questa Corte, la valutazione della diversità delle situazioni in cui si trovano i soggetti dei rapporti da disciplinare non può non essere riservata al potere discrezionale del legislatore, salvo l'osservanza dei limiti stabiliti dal primo comma dell'art. 3 Cost. e sempreché la scelta corrisponda a criteri di razionalità.
Poiché, come si è detto, tali limiti e condizioni risultano pienamente osservati nella specie, deve escludersi che la disciplina impugnata contrasti con l'invocato precetto costituzionale.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 10, n. l, della legge 23 maggio 1950, n. 253, recante disposizioni per le locazioni e sublocazioni degli immobili urbani, sollevata, in riferimento all'art. 3 Cost., con l'ordinanza indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 2 aprile 1980.
F.to: LEONETTO AMADEI - GIULIO GIONFRIDA - EDOARDO VOLTERRA - GUIDO ASTUTI - MICHELE ROSSANO - ANTONINO DE STEFANO - LEOPOLDO ELIA - GUGLIELMO ROEHRSSEN - ORONZO REALE - BRUNETTO BUCCIARELLI DUCCI - ALBERTO MALAGUGINI - LIVIO PALADIN - ARNALDO MACCARONE - ANTONIO LA PERGOLA - VIRGILIO ANDRIOLI.
GIOVANNI VITALE - Cancelliere