N. 43
SENTENZA 2 APRILE 1980
Deposito in cancelleria: 14 aprile 1980.
Pubblicazione in " Gazz. Uff." n. 112 del 23 aprile 1980.
Pres. AMADEI - Rel. MALAGUGINI
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori: Avv. LEONETTO AMADEI, Presidente Dott. GIULIO GIONFRIDA - Prof. EDOARDO VOLTERRA - Dott. MICHELE ROSSANO - Prof. ANTONINO DE STEFANO - Prof. LEOPOLDO ELIA - Prof. GUGLIELMO ROEHRSSEN - Avv. ORONZO REALE - Dott. BRUNETTO BUCCIARELLI DUCCI - Avv. ALBERTO MALAGUGINI - Prof. LIVIO PALADIN - Dott. ARNALDO MACCARONE - Prof. ANTONIO LA PERGOLA - Prof. VIRGILIO ANDRIOLI, Giudici,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale dell'art. 1, terzo comma, della legge 4 febbraio 1977, n. 21 (norme riguardanti i contratti e gli assegni biennali di cui agli artt. 5 e 6 del d.l. 1 ottobre 1973, n. 580) e degli artt. 5 e 6 d.l. 1 ottobre 1973, n.580, convertito con modificazioni in legge 30 novembre 1973, n. 766 (misure urgenti per l'Università) promossi con le seguenti ordinanze:
1) ordinanza emessa il 24 aprile 1978 dal Pretore di Bologna nel procedimento civile vertente tra Poppi Kruta Laura ed altri e l'Università degli studi di Bologna, iscritta al n. 398 del registro ordinanze 1978 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 307 del 2 novembre 1978;
2) ordinanza emessa il 14 aprile 1978 dal Pretore di Milano nel procedimento civile vertente tra Andreoni Vincenza ed altri e l'Università degli studi e il Politecnico di Milano, iscritta al n. 411 del registro ordinanze 1978 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 313 dell'8 novembre 1978.
Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell'udienza pubblica del 24 ottobre 1979 il Giudice relatore Alberto Malagugini;
udito l'avv. dello Stato Giorgio Azzariti, per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto:
1. - Con distinti, analoghi ricorsi, numerosi "contrattisti" e "assegnisti" (ex artt. 5 e 6 del d.l. 1 ottobre 1973, n. 580, convertito nella legge 30 novembre 1973 n. 766) presso l'Università degli studi o il Politecnico di Milano hanno chiesto al Pretore di Milano, adito quale giudice del lavoro, di ordinare ex art. 700 c.p.c. agli istituti convenuti di corrispondere loro, in attesa della definizione del giudizio di merito da promuovere davanti al T.A.R. della Lombardia, un anticipo di L. 200.000 sugli arretrati nonché per il futuro le quote di aggiunta di famiglia e l'indennità integrativa speciale, cui assumevano di avere diritto sul presupposto della natura di pubblico impiego del loro rapporto con gli istituti d'istruzione superiore. In via subordinata hanno prospettato questione di costituzionalità degli artt. 700 c.p.c. e 21, ultimo comma, legge 6 dicembre 1971, n. 1034, ove si ritenessero non consentire l'emissione dei richiesti provvedimenti d'urgenza.
L'Avvocatura dello Stato, per gli istituti convenuti, ha sollevato ricorso per regolamento preventivo di giurisdizione, e chiesto conseguentemente la sospensione, ex art. 367 c.p.c., dei procedimenti frattanto riuniti.
Il Pretore, con l'ordinanza in data 14 aprile 1978, ha respinto l'istanza di sospensione, ritenendo che alla proposizione del regolamento di giurisdizione consegua la sospensione del giudizio di merito ma non quella del procedimento cautelare. Ha ritenuto inoltre l'applicabilità del procedimento ex art. 700 c.p.c. - davanti al Pretore - ai fini della tutela cautelare dei diritti soggettivi del pubblico impiegato che si assumano pregiudicati (non da un provvedimento amministrativo ma) da un mero comportamento, positivo o negativo, della Pubblica amministrazione, anche se per il giudizio di merito sia competente il giudice amministrativo.
Quanto al fumus boni iuris, ha ritenuto evidente la qualificazione di pubblico impiegato del contrattista; ed anche per l'assegnista, il cui rapporto con l'Università "sembrerebbe di tipo tutto particolare", ha ritenuto che nell'esperienza concreta le mansioni svolte "costituiscono un supporto indispensabile per il funzionamento dell'Università", nella cui struttura deputata all'erogazione dei servizi didattici gli assegnisti sono inseriti.
Da ciò conseguirebbe che a contrattisti ed assegnisti, quali pubblici dipendenti, dovrebbe spettare, fin dall'origine del rapporto, sia l'aggiunta di famiglia che l'indennità integrativa speciale, in virtù dell'art. 4, quarto comma, della legge 21 novembre 1975, n. 722 e dell'art. 16 legge 27 maggio 1959, n. 324, cui gli istituti convenuti hanno dato attuazione con una delibera di portata generale. Senonché - osserva il Pretore - l'art. 1, terzo comma, della legge 4 febbraio 1977, n. 21, esclude esplicitamente, con evidente valore interpretativo anche degli artt. 5 e 6 del d.l. n. 580/1973, la corresponsione dei suddetti emolumenti a contrattisti e assegnisti.
In proposito la difesa degli attori ha sollevato questione di legittimità costituzionale, per contrasto delle norme sopraindicate con gli artt. 2, 3, 31, primo comma, 35, secondo comma, 36, primo comma, Cost., e insistito per l'emanazione del richiesto provvedimento cautelare, ravvisando nella stessa dichiarazione di non manifesta infondatezza della questione di costituzionalità a riferita alla norma escludente il diritto azionato", una valutazione di sussistenza del fumus boni iuris.
Il Pretore disattende questa tesi, osservando che "il principio vigente nell'ordinamento italiano (artt. 134 e 137 Cost., art. 1 legge costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1, e art. 23 legge 11 marzo 1953, n. 87), secondo cui i normali organi giurisdizionali non possono esercitare il sindacato di legittimità costituzionale delle leggi e degli atti aventi forza di legge, ma devono limitarsi a sottoporre la questione di legittimità costituzionale, se ritenuta non manifestamente infondata e rilevante, alla Corte costituzionale e quindi sospendere il giudizio in attesa della decisione della Corte, non subisce deroga con riferimento ai procedimenti cautelari".
Quanto alla prospettata questione di legittimità costituzionale, il Pretore ne assume la piena rilevanza nel giudizio in corso, posto che l'altro presupposto del provvedimento cautelare - il periculum in mora - "deriva direttamente dalla natura retributiva degli emolumenti richiesti, specialmente destinati al soddisfacimento delle esigenze personali e familiari del lavoratore, non suscettibili di reintegrazione per equivalente, tanto più in quanto esposti, con il trascorrere del tempo, alla pesante svalutazione monetaria in corso".
Nel merito, per il giudice a quo "un primo profilo di incostituzionalità è rinvenibile nel contrasto di tali norme con l'art. 3, primo comma, della Costituzione.
Non appare infatti in alcun modo ragionevole la discriminazione operata nei confronti di quest'unica categoria di lavoratori pubblici, a fronte di una disciplina ormai generalizzata in tutti i settori del lavoro, ed in cui sono comprese figure analoghe a quelle dei contrattisti e di assegnisti, il cui rapporto cioè presenta una commistione di elementi tipici del lavoro subordinato con finalità di studio e formazione professionale (l'apprendistato e il rapporto di lavoro degli assistenti universitari ordinari). Tale disparità di trattamento appare poi particolarmente iniqua - anche con riferimento al basso livello della retribuzione "base", così come stabilito dalle due leggi in parola - se si tiene conto del regime di incompatibilità tra vigenza del contratto e ogni rapporto di lavoro retribuito svolto con continuità (art. 5, secondo comma, d.l. n. 580/1973) nonché del divieto per gli assegnisti di cumulare il trattamento economico conproventi derivanti da attività professionale o rapporto di lavoro svolti in modo continuativo (art. 6, nono comma, del d.l.).
Ulteriore profilo di illegittimità è poi rilevabile in riferimento all'art. 36, primo comma, della Costituzione, imponendo le norme censurate, per la categoria dei lavoratori in esame, un'amputazione di quegli elementi dinamici della retribuzione che servono a mantenere quest'ultima, sia pur parzialmente, adeguata ai mutamenti nel tempo intervenuti nel costo della vita ed al carico familiare del lavoratore, consentendole quindi l'esplicazione della funzione ad essa propria, di assicurare al lavoratore ed alla di lui famiglia un'esistenza libera e dignitosa".
Viene prospettato, infine, il pericolo che la mancata soluzione del problema, anche economico, del personale universitario provochi "irreparabili danni alle già fatiscenti strutture universitarie del paese", favorendone una conformazione in senso classista per la non competitività di retribuzioni come quelle previste per assegnisti e contrattisti, non accettabili se non da chi possieda altre fonti di sostentamento familiare e personale. Donde un ipotizzabile contrasto con gli artt. 3, 4, 9, primo comma, e 33, primo comma, della Costituzione.
2. - Con ricorso depositato il 15 marzo 1978, Poppi Kruta Laura, contrattista presso l'Università di Bologna, ed altri 508 suoi colleghi, parte contrattisti e parte assegnisti, hanno chiesto al Pretore di Bologna un provvedimento d'urgenza ai sensi dell'art. 700 c.p.c., con il quale, riconosciuta preventivamente l'esistenza di un rapporto di impiego pubblico tra essi ricorrenti e l'Università di Bologna, ed affermato l'obbligo di questa ultima di corrispondere loro la aggiunta di famiglia (od assegni familiari) e l'indennità integrativa speciale (od indennità di contingenza)' si condannasse l'Università: a) alla corresponsione mensile, in favore dei ricorrenti tuttora in servizio, dei predetti emolumenti secondo il parametro 243 a decorrere dalla data del provvedimento in favore di ciascun ricorrente fino alla data della sentenza definitiva; b) al versamento a ciascuno della somma di L. 200.000 (o quella diversa ritenuta di giustizia) a titolo di anticipo sull'ammontare complessivo dei ratei scaduti, spettanti, per i titoli sopra indicati, dall'inizio del contratto od assegno e sino alla data del provvedimento.
Il Pretore di Bologna con ordinanza in data 24 aprile 1978, ha ritenuto la propria giurisdizione in ordine all'emissione del richiesto provvedimento d'urgenza, ancorché per il giudizio di merito sia competente il giudice amministrativo. Nel merito ha qualificato come di pubblico impiego il rapporto intercorrente fra l'Università ed i contrattisti e assegnisti, traendo argomento anche dalle mansioni effettivamente svolte da costoro nonché, a contrario, dall'esplicita esclusione, con la legge 4 febbraio 1977, n. 21, di diritti (all'indennità integrativa speciale ed all'aggiunta di famiglia) propri dei pubblici impiegati.
Tale esclusione, che non consente l'accoglimento del ricorso per il periodo successivo all'entrata in vigore della legge citata, sarebbe secondo il Pretore in contrasto con gli artt. 3 e 36 della Costituzione.
"Non sussistono - argomenta il giudice a quo - obiettivi elementi idonei a giustificare razionalmente la differenza sussistente tra il trattamento economico previsto per gli assegnisti e contrattisti e il trattamento, più favorevole, previsto per gli altri dipendenti dell'Università, pur essi dipendenti dello Stato.
C'è innanzitutto coincidenza, ampiamente dimostrata, tra la funzione e le mansioni degli uni e quella degli altri.
Inoltre, per molti anni e fino alle soglie della normativa denunziata la legislazione dello Stato ha seguito una linea di tendenza alla equiparazione, sotto il profilo economico, di tutti gli impiegati dello Stato.
Ora tale equiparazione, stante la sua uniforme ripetizione nel tempo, si è tradotta in un giudizio di valore espresso in termini di equivalenza che è venuto a limitare la discrezionalità tipica del legislatore nelle sue scelte. L'aver superato il giudizio di valore precedente con scelte limitate e non accompagnate da una revisione dei presupposti, è irrazionale e non giustificato alla stregua del nostro ordinamento costituzionale".
Quanto al contrasto con il diritto ad una giusta retribuzione, garantito dall'art. 36 Cost., esso sarebbe dato nel caso in esame dalla "amputazione dei due elementi più dinamici di adeguamento della retribuzione, sia pure in via generale ed astratta, ai bisogni della famiglia del prestatore di lavoro e del lavoratore stesso".
3. - Nel giudizio avanti la Corte costituzionale è intervenuta l'Avvocatura generale dello Stato, sostenendo in via principale l'inammissibilità delle questioni "per il modo in cui sono state proposte" (impugnativa di alcune soltanto fra le disposizioni del complesso normativo, concernente la spesa globale prevista per contrattisti e assegnisti; di modo che le "maggiori spese" derivanti dalla pronuncia richiesta alla Corte risulterebbero prive di copertura, in violazione dell'articolo 81 Cost.).
Nel merito, sostiene l'infondatezza delle questioni prospettate, contestandosi la stessa premessa secondo cui "contrattisti" e "assegnisti" sarebbero parte di un rapporto di pubblico impiego con l'Università. L'esatta definizione giuridica di tale rapporto non appare del resto decisiva, posto che l'infondatezza delle questioni di legittimità costituzionale "ben può desumersi dalla considerazione dei soggetti e dell'oggetto di quel rapporto che, quale ne sia l'esatta definizione giuridica, presenta caratteristiche tali da differenziarlo dal tipico rapporto di pubblico impiego e da giustificare, in relazione alle norme costituzionali di raffronto invocate nelle ordinanze di rinvio, la norma impugnata che non attribuisce a contrattisti ed assegnisti l'indennità integrativa speciale e la quota di aggiunta di famiglia".
Trattandosi infatti di indennità istituite "al fine di integrare stipendi e retribuzioni stabilite in via generale per gli impiegati dello Stato, non avrebbe senso attribuire meccanicamente ed automaticamente quelle stesse indennità ad altre persone, si tratti pure di impiegati pubblici, che non usufruiscono di quelle retribuzioni, ma di retribuzioni del tutto diverse, determinate in base a criteri che non hanno alcun rapporto con coefficienti e parametri in base ai quali si determinano le retribuzioni degli impiegati statali citati artt. 14 d.l. n. 722 del 1945; 16 legge n. 324 del 1959 e 9 legge n. 364 del 1975 non pongono agli enti pubblici alcun obbligo, ma concedono una autorizzazione a corrispondere ai propri dipendenti quote di aggiunta di famiglia ed indennità integrativa: la legge, quindi, esclude una automatica estensione di quei benefici, ma autorizza una loro applicazione previa specifica deliberazione, da adottare dai singoli enti nella loro autonomia in base ad una valutazione della compatibilità con le esigenze di bilancio e della comparabilità al fine che qui interessa, delle retribuzioni corrisposte dall'Ente con quelle corrisposte dallo Stato.
Manca allora lo stesso presupposto logico per la corresponsione ai titolari dei contratti e degli assegni, il cui importo è stabilito forfettariamente dalla legge indipendentemente da ogni considerazione di coefficienti e parametri per determinare le retribuzioni in genere dei dipendenti statali, di indennità ed aggiunte istituite e proporzionate al fine di integrare queste retribuzioni. Né, data la strutturazione radicalmente diversa dell'importo di quei contratti ed assegni e di queste retribuzioni può operarsi alcun confronto, utile al fine di verificare l'osservanza del principio di eguaglianza, tra il trattamento di contrattisti ed assegnisti e quello dei dipendenti statali in genere, operato esclusivamente in relazione alla mancata corresponsione ai primi di alcune indennità accessorie o integrative della retribuzione, che vengono invece corrisposte ai dipendenti statali".
Del pari da escludere sarebbe la denunciata violazione dell'art. 36 Cost., la cui attuazione non necessariamente richiede di adottare in ogni caso quei "determinati meccanismi di adeguamento automatico" di cui è questione. Ciò tanto più "quando la mancata predisposizione di strumenti automatici di adeguamento trovi la sua precisa giustificazione logica nella limitata durata del rapporto, quadriennale per i contrattisti, biennale per gli assegnisti; laddove è evidente che la vera funzione di quei meccanismi automatici di adeguamento si manifesta in pieno nei rapporti a tempo indeterminato o, quanto meno, di lunga durata".
Quanto infine alle altre questioni prospettate dal Pretore di Milano, in relazione agli artt. 3, 4, 9 e 33 Cost. esse investono "l'intera strutturazione retributiva, quale è disciplinata dai primi due commi dell'art. 1 legge n. 21 del 1977, se non la stessa istituzione del contrattista e dell'assegnista". Da ciò il dubbio sulla loro ammissibilità, "in questo giudizio di impugnazione del solo terzo comma". In ogni caso, nel valutare la congruità del trattamento complessivo di contrattisti e assegnisti, "non può non tenersi conto degli elementi sopra illustrati che certamente distinguono il rapporto tra Università e contrattisti ed assegnisti da un comune rapporto di lavoro: l'impegno limitato nel tempo che, a parte l'istituzione di altro rapporto di lavoro retribuito e continuativo espressamente esclusa dalla legge, non esclude lo svolgimento di altra attività lavorativa; il fatto che l'attività dei contrattisti e degli assegnisti, che costituisce l'oggetto del loro rapporto con l'Università, viene svolta anche - se non prevalentemente - nel loro interesse al fine di perfezionare la loro formazione scientifica e didattica".
Considerato in diritto:
1. - I giudici a quibus dubitano entrambi della legittimità costituzionale - per contrasto con gli artt. 3, primo comma, e 36, primo comma, Cost. - dell'art. 1, terzo comma, della legge 4 febbraio 1977, n. 21, nella parte in cui esclude che ai laureati titolari di contratti quadriennali stipulati con le Università statali o di assegni biennali di formazione scientifica e didattica spettino le quote di aggiunta di famiglia e l'indennità integrativa speciale di cui alla legge 27 maggio 1959 n. 324.
A giudizio del solo Pretore di Milano, la norma denunziata contrasterebbe, altresì, con gli artt. 4, 9, primo comma, e 33, primo comma, Cost., ed il dubbio di costituzionalità, con riferimento a tutti i parametri richiamati, investirebbe anche gli artt. 5 e 6 del decreto legge 1 ottobre 1973, n. 580, convertito, con modificazioni, in legge 30 novembre 1973, n. 766, rispetto ai quali l'art. 1 della legge n. 21 del 1977 avrebbe valore interpretativo.
2. - Le due cause, discusse congiuntamente alla pubblica udienza del 24 ottobre 1979, possono essere riunite e decise con unica sentenza, stante la sostanziale identità del loro oggetto.
3. - Preliminarmente occorre verificare se sia ammissibile la questione di legittimità costituzionale che il Pretore di Milano, adito quale giudice del lavoro ex art. 700 c.p.c., ha sollevato dopo che gli enti universitari convenuti avevano proposto ricorso per regolamento preventivo di giurisdizione.
Sul punto, la Corte ritiene di doversi attenere alle proprie precedenti decisioni, con le quali ha giudicato inammissibile la questione di legittimità costituzionale sollevata dal giudice dopo che, per effetto della proposizione del regolamento preventivo di giurisdizione, egli è stato privato "di ogni competenza a conoscere e a disporre della o sulla questione giurisdizionale" (sentenze: n. 221 del 1972; n. 135 del 1975; n. 118 e n. 186 del 1976; n. 43 del 1977).
La questione sollevata dal Pretore di Milano con l'ordinanza 14 aprile 1978, deve, pertanto, essere dichiarata inammissibile, non essendo quel giudice più legittimato a compiere atti del procedimento dopo che era stato proposto regolamento preventivo di giurisdizione, e non essendo la dedotta questione di costituzionalità riferibile a norma da applicare per il compimento di alcuno degli "atti urgenti" di cui all'art. 48 c.p.c.
4. - Questione di legittimità costituzionale sostanzialmente identica, ancorché limitata all'art. 1, terzo comma, della legge 4 febbraio 1977, n. 21 e in riferimento ai soli artt. 3, primo comma, e 36, primo comma, Cost., viene sollevata, con ordinanza 24 aprile 1978, dal Pretore di Bologna, anch'egli adito quale giudice del lavoro con ricorsi ex art. 700 del codice di procedura civile.
Tale questione - che ha, ormai, effetti circoscritti posto che, con il d.l. n. 817 del 1978 convertito in legge 19 febbraio 1979, n. 54, sono state attribuite ai contrattisti ed assegnisti universitari, con decorrenza dal 1 gennaio 1979, le indennità delle quali si discute - non è fondata.
L'assunto del giudice a quo, a detta del quale, ritenuti di pubblico impiego i rapporti con le Università sia dei contrattisti che degli assegnisti, violerebbe il principio di uguaglianza la previsione del trattamento economico ad essi riservato, in quanto diverso e meno favorevole di quello garantito agli altri dipendenti dell'Università, non può essere condiviso.
Infatti, quand'anche la premessa dalla quale muove il Pretore di Bologna fosse assolutamente indiscutibile ed i rapporti in esame fossero da qualificarsi entrambi di pubblico impiego - in contrasto con l'orientamento del Consiglio di Stato (Sezione prima, parere n. 515/75 del 30 aprile 1976) che per gli assegnisti ha escluso financo l'esistenza di un rapporto di lavoro subordinato con le Università - , non potrebbe da ciò solo dedursi l'obbligo del legislatore di equiparare rigidamente, in ogni sua componente e con i medesimi meccanismi, il trattamento retributivo dei contrattisti ed assegnisti a quello degli altri dipendenti - nella specie, docenti - dell'Università, quasi che non fossero legittimamente ipotizzabili nell'ambito del pubblico impiego trattamenti retributivi differenziati in ragione delle peculiari caratteristiche dei rapporti ai quali ineriscono.
Vero è che il trattamento retributivo del quale si discute si diversifica da quelli spettanti al restante personale universitario non soltanto per la mancata previsione, qui censurata, di talune indennità (l'assegno integrativo e l'aggiunta di famiglia), ma anche perché diversa è la determinazione della stessa retribuzione base.
Il trattamento complessivo così differenziato si giustifica con il rilievo che si tratta di rapporti limitati nel tempo e caratterizzati, per quanto concerne i contrattisti, dalla compresenza di esigenze di formazione scientifica del contrattista stesso e di doveri di prestazioni nell'interesse dell'Università, con un impegno, per quest'ultimo aspetto, limitato a metà della giornata, per tre giorni settimanali e consistente in attività di assistenza agli studenti, di controllo del loro profitto e di esercitazioni senza peraltro sostituire i docenti nello svolgimento dei corsi e nella valutazione degli studenti (art. 5 d.l. 1 ottobre 1973, n. 580, convertito in legge 30 novembre 1973, n. 766). Si tratta, all'evidenza, di un rapporto con caratteristiche peculiari non riscontrabili nei rapporti dell'Università con gli altri suoi dipendenti e tali da escludere quella sostanziale eguaglianza di situazioni dalla quale soltanto può dedursi la irrazionalità e quindi l'illegittimità di trattamenti differenziati.
Relativamente agli assegnisti è, poi, agevole osservare che secondo il modello legislativo (restando estranea al presente giudizio la valutazione della sua applicazione pratica eventualmente difforme) la concessione dell'assegno è finalizzata esclusivamente alla formazione scientifica e didattica dei giovani laureati senz'obbligo di prestazioni lavorative nell'interesse dell'Università stessa.
È da escludere, pertanto, che differenziazioni parziali nascenti in un sistema normativo complessivo - non soltanto retributivo - fortemente differenziato possano, di per sé, ritenersi contrarie al principio di uguaglianza.
Neppure sussiste violazione dell'art. 36, primo comma, Cost. Basterà - ferma la distinzione sopra fissata - ricordare che l'esigenza di una retribuzione "sufficiente" non comporta certamente l'obbligo di meccanismi di adeguamento particolari, tanto meno per figure di lavoratori "transitori" come i contrattisti. La stessa durata temporale del contratto e la possibilità - concretamente verificata con la legge n. 21 del 1977 - di maggiorazioni dell'originario importo dei contratti (nonché degli assegni) sta a dimostrare che il legislatore ben può adeguare la retribuzione alle variazioni nel costo della vita con interventi adottati di volta in volta senza essere vincolato all'adozione di meccanismi automatici.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale degli artt. 5 e 6 del decreto legge 1 ottobre 1973, n. 580, convertito con modificazioni, in legge 30 novembre 1973, n. 766, e dell'art. 1, comma terzo, della legge 4 febbraio 1977, n. 21, per contrasto con gli artt. 3, 4, 9, primo comma, 33, primo comma e 36, primo comma, Cost., sollevata dal Pretore di Milano con ordinanza 14 aprile 1978;
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. l, terzo comma, della legge 4 febbraio 1977, n. 21, in riferimento agli artt. 3 e 36, primo comma, Cost., sollevata dal Pretore di Bologna con ordinanza 24 aprile 1978.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 2 aprile 1980.
F.to: LEONETTO AMADEI - GIULIO GIONFRIDA - EDOARDO VOLTERRA - MICHELE ROSSANO - ANTONINO DE STEFANO - LEOPOLDO ELIA - GUGLIELMO ROEHRSSEN - ORONZO REALE - BRUNETTO BUCCIARELLI DUCCI - ALBERTO MALAGUGINI - LIVIO PALADIN - ARNALDO MACCARONE - ANTONIO LA PERGOLA - VIRGILIO ANDRIOLI.
GIOVANNI VITALE - Cancelliere