˙ Sentenza  35/1980 (ECLI:IT:COST:1980:35)
Giudizio:  GIUDIZIO DI LEGITTIMITÀ COSTITUZIONALE IN VIA INCIDENTALE
Presidente: AMADEI - Redattore:  - Relatore: ASTUTI
Udienza Pubblica del 07/11/1979;    Decisione  del 20/03/1980
Deposito del 25/03/1980;    Pubblicazione in G. U.
Norme impugnate:  
Massime:  9390
Atti decisi: 

Pronuncia

N. 35

SENTENZA 20 MARZO 1980

Deposito in cancelleria: 25 marzo 1980.

Pubblicazione in "Gazz. Uff." n. 92 del 2 aprile 1980.

Pres. AMADEI - Rel. ASTUTI

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori: Avv. LEONETTO AMADEI, Presidente - Dott. GIULIO GIONFRIDA - Prof. EDOARDO VOLTERRA - Prof. GUIDO ASTUTI - Dott. MICHELE ROSSANO - Prof. ANTONINO DE STEFANO - Prof. LEOPOLDO ELIA - Prof. GUGLIELMO ROEHRSSEN - Avv. ORONZO REALE - Dott. BRUNETTO BUCCIARELLI DUCCI - Avv. ALBERTO MALAGUGINI - Prof. LIVIO PALADIN - Dott. ARNALDO MACCARONE - Prof. ANTONIO LA PERGOLA - Prof. VIRGILIO ANDRIOLI, Giudici,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 31 della legge 17 agosto 1942, n. 1150 (legge urbanistica), promosso con ordinanza emessa il 6 dicembre 1974 dalla Corte d'appello di Palermo, nel procedimento civile vertente tra Lombardo Carmela e il Comune di Canicattì, iscritta al n. 270 del registro ordinanze 1975 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 221 del 20 agosto 1975.

Udito nell'udienza pubblica del 7 novembre 1979 il Giudice relatore Guido Astuti;

udito il sostituto avvocato generale dello Stato Giorgio Azzariti, per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto:

1. - Nel corso di un giudizio civile vertente tra Lombardo Carmela e il Comune di Canicattì, la Corte di appello di Palermo ha sollevato, di ufficio, in riferimento all'art. 42 Cost., e, di riflesso, agli artt. 24 e 113, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 31 della legge 17 agosto 1942, n. 1150 (legge urbanistica), in quanto, secondo l'interpretazione dominante, non consentirebbe l'esercizio dell'azione di risarcimento dei danni nei confronti della pubblica amministrazione che abbia illegittimamente negato, sospeso o revocato una licenza edilizia.

2. - La pretesa risarcitoria della Lombardo, in ordine alla quale il tribunale di Agrigento, ravvisando nella specie solo la lesione di un interesse legittimo e non di un diritto soggettivo, aveva dichiarato il difetto di giurisdizione dell'autorità giudiziaria ordinaria, trova origine - in una vicenda che risale al 1948 - nel ripetuto diniego di rilascio alla medesima di licenza edilizia, nonostante la dichiarazione di illegittimità dei provvedimenti di diniego da parte del Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione siciliana.

3. - Nell'ordinanza di rimessione, rilevato che il consolidato orientamento della Corte di cassazione configura la facoltà di edificare sul proprio suolo come semplice interesse legittimo, nel senso più ristretto di interesse occasionalmente protetto, come tale sfornito di tutela giurisdizionale diversa da quella attuabile attraverso l'annullamento degli atti amministrativi illegittimi, con la conseguente esclusione della possibilità che l'illegittimo diniego della licenza possa dar luogo a risarcimento del danno, si prospetta il contrasto dell'art. 31 della legge 17 agosto 1942, n. 1150, per cui chi intende eseguire nuove costruzioni edilizie deve chiedere apposita licenza, con l'art. 42 della Costituzione. La norma impugnata, infatti, configurando la licenza di costruzione come autorizzazione costitutiva e non semplicemente permissiva della facoltà di edificare, facoltà inerente al diritto di proprietà, sarebbe in contrasto con il dettato costituzionale, il quale consente bensì al legislatore di stabilire esclusioni limiti di carattere generale e imposizioni di carattere particolare, con la necessità, peraltro, che queste ultime non involgano, senza indennizzo, il sacrificio di quanto nell'attuale momento storico è riconosciuto come connaturale al diritto dominicale. Sarebbe di conseguenza illegittima una disciplina che consenta alla pubblica autorità di impedire l'esercizio di quella facoltà con provvedimenti, positivi o negativi, illegittimi, senza con ciò incorrere in responsabilità patrimoniale, con l'effetto pratico di una ablazione senza ristoro.

4. - Per le stesse considerazioni la normativa impugnata si porrebbe in contrasto, di riflesso, anche con gli artt. 24 e 113 Cost., in cui è sancita in generale e nei confronti della pubblica amministrazione, l'inviolabilità del diritto di difesa per la tutela dei propri diritti.

5. - È intervenuto in giudizio, a mezzo dell'Avvocatura generale dello Stato, il Presidente del Consiglio dei ministri, deducendo la infondatezza della questione proposta.

Si rileva innanzitutto che l'attività edificatoria, essendo regolata da norme di azione dettate a protezione di interessi pubblici, sarebbe oggetto di valutazione discrezionale della pubblica amministrazione relativamente, tra l'altro, al rilascio della licenza edilizia. Una tale disciplina non si porrebbe in contrasto con l'art. 42 Cost., rinviando questo, per la determinazione del contenuto e dei modi di godimento della proprietà, alla legge ordinaria. Né la norma costituzionale impedirebbe al legislatore ordinario anche una riduzione del contenuto del diritto di proprietà, a parte la considerazione che la disposizione impugnata è anteriore alla Costituzione.

In ogni caso, poi, il precetto costituzionale non imporrebbe l'obbligo di indennizzo quando, come nel caso di specie, siano poste restrizioni al diritto di proprietà al fine di assicurarne la funzione sociale. La norma denunziata, prescrivendo la licenza amministrativa per l'esercizio dell'attività edilizia, non svuoterebbe del tutto il contenuto del diritto di proprietà né conterrebbe limiti di effetto ablativo, preoccupandosi solo che l'esercizio dell'attività edificatoria non si svolga in modo antisociale.

Non vi sarebbe, poi, lesione degli artt. 24 e 113 Cost., essendo ammessi, nella specie, tutti i rimedi giurisdizionali previsti, in generale, contro gli atti amministrativi lesivi di interessi legittimi.

Considerato in diritto:

1. - L'ordinanza di rimessione solleva, in riferimento all'art. 42, e di riflesso agli artt. 24 e 113 della Costituzione, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 31 della legge urbanistica 17 agosto 1942, n. 1150, "in tanto in quanto, secondo l'interpretazione dominante, esso non consente l'esercizio dell'azione di risarcimento nei confronti della pubblica amministrazione che abbia illegittimamente negato, sospeso o revocato una licenza edilizia, quando attraverso atti positivi o negativi si sia con ciò attuata una compressione del diritto di proprietà sul terreno da edificare, tale da produrre uno svuotamento di rilevante entità ed incisività del suo contenuto".

Nel giudizio a quo la proprietaria di un suolo edificatorio sito in comune di Canicattì, le cui reiterate domande di licenza edilizia erano state durante oltre quindici anni respinte con provvedimenti due volte annullati dal Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione siciliana, e disattese anche dopo un giudizio di ottemperanza e la inutile nomina di un commissario ad acta, aveva convenuto davanti al tribunale di Agrigento la civica amministrazione e i sindaci succedutisi nel governo del comune, chiedendone la condanna al risarcimento dei danni: ma il tribunale, ravvisando nella fattispecie una lesione di interessi legittimi e non di diritti soggettivi, aveva dichiarato il difetto di giurisdizione dell'autorità giudiziaria ordinaria a conoscere della proposta domanda.

La Corte di appello di Palermo, ritenuto che la decisione della causa, in ordine ai diversi profili della pretesa risarcitoria, si poneva "in diretta dipendenza della configurabilità di una responsabilità della pubblica amministrazione per l'illegittimo diniego della licenza edilizia", osservava che nella consolidata giurisprudenza della Corte di cassazione la facoltà di edificare, pur inerendo al diritto di proprietà di cui costituisce peculiare e concreta manifestazione, si atteggia nei confronti della pubblica amministrazione, - alla quale spetta, in forza di norme di azione, il potere discrezionale di concedere la licenza all'uopo necessaria - , non come diritto soggettivo ma come semplice interesse legittimo: e che conseguentemente l'illegittimo diniego di licenza edilizia, pur quando il giudice amministrativo abbia dichiarato l'obbligo dell'amministrazione di rilasciare la licenza stessa, non può tuttavia dar luogo ad azione civile di risarcimento dei danni subiti dal proprietario.

Pertanto, "precluse così le già tentate vie di una interpretazione dell'art. 2043 cod. civ. che includa nel concetto di danno ingiusto, cui la norma fa riferimento, anche le lesioni di interessi legittimi, o della valorizzazione del rapporto tra interessi legittimi e sottostanti situazioni soggettive tutelate in via diretta e generale", l'ordinanza di rimessione osservava che la proprietà è un diritto garantito dalla Costituzione, i cui contenuti essenziali debbono trovare nella disciplina legislativa piena tutela anche contro le lesioni che comunque possano derivargli dall'esercizio illegittimo delle pubbliche potestà. Svolgeva quindi diffuse considerazioni, - con riferimenti alla giurisprudenza di questa Corte e della Corte di cassazione - , sulla inerenza della facoltà di edificare alla proprietà fondiaria urbana, anche nella più recente legislazione urbanistica, e concludeva che i divieti opposti dalle autorità amministrative alla edificazione mediante provvedimenti, positivi o negativi, illegittimi, senza tuttavia incorrere in responsabilità patrimoniale, comporterebbero "un effetto di ablazione senza ristoro" della proprietà privata, con violazione non solo della garanzia sancita dall'art. 42, secondo e terzo comma, della Costituzione, ma anche del disposto degli artt. 24 e 113, "in cui è sancita, in generale e nei confronti della pubblica amministrazione, l'inviolabilità del diritto alla difesa per la tutela dei propri diritti".

2. - Sono ben comprensibili le considerazioni che hanno condotto la Corte di merito, di fronte al deplorevole comportamento tenuto da una amministrazione comunale, responsabile di una serie di atti illegittimi reiterati in spregio alle decisioni del giudice amministrativo, con grave pregiudizio d'un privato proprietario, a sollevare l'arduo problema, tanto discusso in dottrina come nella giurisprudenza, della responsabilità civile delle pubbliche amministrazioni per il risarcimento dei danni derivati ai soggetti privati dalla emanazione di atti o provvedimenti amministrativi illegittimi, lesivi di situazioni di interesse legittimo. Problema di indubbia gravità, e di particolare attualità in relazione alle restrizioni connesse alla moderna disciplina urbanistico - edilizia, che, anche a giudizio di questa Corte, si impone ormai all'attenzione del legislatore. Ma trattasi di un problema complesso, che richiede prudenti soluzioni normative, non solo nella disciplina sostanziale ma anche nel regolamento delle competenze giurisdizionali: problema di ordine generale, che non può ovviamente essere risolto da questa Corte in un giudizio sulla legittimità costituzionale dell'art. 31 della legge urbanistica, in relazione alla ipotesi di illegittimo diniego di licenza edilizia.

La disposizione dell'art. 31, primo comma (rimasta sostanzialmente intatta dopo le integrazioni introdotte dall'art. 10 della legge 6 agosto 1967, n. 765, e modificata dall'art. 21 della legge 28 gennaio 1977, n. 10, con la sostituzione dell'espressione "concessione" alle parole "licenza edilizia"), in quanto richiede per l'esercizio della facoltà di edificare, un provvedimento dell'autorità comunale, appare perfettamente legittima, e non rileva, di per sé, in ordine al problema della risarcibilità dei danni eventualmente derivati da un illegittimo provvedimento di diniego, essendo evidente, secondo la pacifica interpretazione della Corte di cassazione, che essa non mira a tutelare direttamente il privato in un interesse che consideri suo particolare imponendo un correlativo obbligo generale a carico di ogni altro soggetto, ma configura un precetto rivolto in via diretta a regolare la materia edilizia nell'aspetto e nelle implicazioni di portata pubblicistica, precetto che solo indirettamente il privato può invocare dinanzi agli organi della giustizia amministrativa.

È dunque evidente che il giudice a quo non è chiamato, per decidere la controversia di merito, a fare applicazione del disposto dell'art. 31 della legge urbanistica, il quale non rappresenta comunque la sedes materiae idonea a dar luogo ad una pronuncia di questa Corte sulla questione di costituzionalità prospettata, nei termini sopra riferiti, dall'ordinanza di rimessione; questione che pertanto risulta, allo stato, inammissibile per difetto di rilevanza.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell'art. 31 della legge urbanistica 17 agosto 1942, n.1150, sollevata con l'ordinanza di cui in epigrafe in riferimento agli artt. 42, 24 e 113 della Costituzione.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 20 marzo 1980.

F.to: LEONETTO AMADEI - GIULIO GIONFRIDA - EDOARDO VOLTERRA - GUIDO ASTUTI - MICHELE ROSSANO - ANTONINO DE STEFANO - LEOPOLDO ELIA - GUGLIELMO ROEHRSSEN - ORONZO REALE - BRUNETTO BUCCIARELLI DUCCI - ALBERTO MALAGUGINI - LIVIO PALADIN - ARNALDO MACCARONE - ANTONIO LA PERGOLA - VIRGILIO ANDRIOLI.

GIOVANNI VITALE - Cancelliere