˙ Sentenza  34/1980 (ECLI:IT:COST:1980:34)
Giudizio:  GIUDIZIO DI LEGITTIMITÀ COSTITUZIONALE IN VIA INCIDENTALE
Presidente: AMADEI - Redattore:  - Relatore: GIONFRIDA
Udienza Pubblica del 07/11/1979;    Decisione  del 20/03/1980
Deposito del 25/03/1980;    Pubblicazione in G. U.
Norme impugnate:  
Massime:  9843
Atti decisi: 

Pronuncia

N. 34

SENTENZA 20 MARZO 1980

Deposito in cancelleria: 25 marzo 1980.

Pubblicazione in "Gazz. Uff." n. 92 del 2 aprile 1980.

Pres. AMADEI - Rel. GIONFRIDA

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori: Avv. LEONETTO AMADEI, Presidente - Dott. GIULIO GIONFRIDA - Prof. EDOARDO VOLTERRA - Prof. GUIDO ASTUTI - Dott. MICHELE ROSSANO - Prof. ANTONINO DE STEFANO - Prof. LEOPOLDO ELIA - Prof. GUGLIELMO ROEHRSSEN - Avv. ORONZO REALE - Dott. BRUNETTO BUCCIARELLI DUCCI - Avv. ALBERTO MALAGUGINI - Prof. LIVIO PALADIN - Dott. ARNALDO MACCARONE - Prof. ANTONIO LA PERGOLA - Prof. VIRGILIO ANDRIOLI, Giudici,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 4, comma sesto, della legge 26 novembre 1969, n. 833, promosso con ordinanza emessa l'8 novembre 1977 dal Pretore di Milano nel procedimento civile vertente tra la Soc. p.a. Ceresio Prealpina Fondiaria e Montagnoli Lino, iscritta al n. 97 del registro ordinanze 1978 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 115 del 26 aprile 1978.

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 7 novembre 1979 il Giudice relatore Giulio Gionfrida;

udito il sostituto avvocato generale dello Stato Renato Carafa, per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto:

1. - In un procedimento per convalida di sfratto per morosità vertente tra la S.p.A. Ceresio Prealpina Fondiaria, che si avvaleva anche della clausola risolutiva espressa prevista dal contratto di locazione, ed il conduttore Lino Montagnoli, il quale aveva proceduto a pagare, dopo l'atto di citazione, i canoni arretrati e poi chiesto termine di grazia ai sensi dell'art. 4, comma sesto, della legge 26 novembre 1969, n. 833, l'adito pretore di Milano, con ordinanza dell'8 novembre 1977, ha sollevato di ufficio, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, questione di legittimità della norma predetta "nella parte in cui non garantisce al conduttore moroso di un immobile adibito ad uso di abitazione, il quale abbia sanato integralmente la morosità prima dell'emissione del provvedimento di rilascio di cui è menzione nel citato articolo, un trattamento, ai fini della risoluzione del rapporto ex articolo 1456 c.c., pari a quello riservato al conduttore che, nel momento di emissione del suddetto provvedimento, versi ancora in morosità".

La denunziata disparità di trattamento, ad avviso del pretore, non potrebbe infatti in questo caso escludersi in base alla considerazione, svolta dalla Corte nella precedente sentenza n. 150 del 1973 (relativa allo stesso art. 4 legge 833/1969) secondo cui il comportamento del conduttore moroso, che paghi il dovuto prima dell'emissione del provvedimento di rilascio, rileverebbe comunque ai fini della valutazione dell'importanza dell'inadempimento ex art. 1455 codice civile. Dacché, per contro, in presenza (come nella fattispecie) di clausola risolutiva espressa, il contratto si risolve di diritto ai sensi del successivo art. 1456 codice civile ove la parte interessata dichiari di avvalersi della clausola; senza possibilità, quindi, per il giudice di valutare il comportamento successivo del debitore.

2. - Nel giudizio innanzi alla Corte è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri.

Il quale ha preliminarmente eccepito il difetto di rilevanza della questione, sul presupposto che l'ipotesi prospettata nell'ordinanza di rinvio - di integrale pagamento di tutti i canoni scaduti prima del momento in cui dovrebbe emettersi il provvedimento di rilascio - non trovi concreto riscontro nel giudizio a quo, in cui il conduttore avrebbe invece corrisposto soltanto i canoni indicati nell'atto di citazione e chiesto termine per pagare quelli successivamente maturatisi.

Nel merito, ha sostenuto comunque l'infondatezza della questione sollevata, con argomentazioni sostanzialmente desunte dalla già citata sentenza della Corte n. 150 del 1973.

Considerato in diritto:

1. - Stabilisce l'art. 4, comma sesto, della legge 26 novembre 1969, n. 833 che "nel provvedimento che dispone il rilascio per morosità di un immobile destinato ad uso di abitazione può essere concesso al conduttore un termine non inferiore a venti e non superiore a sessanta giorni per il pagamento delle pigioni scadute" e che "il provvedimento perde la sua efficacia qualora il conduttore paghi le somme dovute entro il termine precedentemente fissato". La norma - come in narrativa detto - viene denunziata in riferimento all'art. 3 della Costituzione, dubitandosi che "ai fini della risoluzione del rapporto ex art. 1456 codice civile", essa dia luogo ad una ingiustificata ed irrazionale disparità di trattamento in danno del conduttore che abbia sanato integralmente la morosità in corso di causa. Poiché questi, non ostante appaia per tale suo comportamento meritevole di maggior favore, si troverebbe a non poter fruire del termine c.d. di grazia, di cui può invece beneficiare il conduttore tuttora moroso al momento della emissione del provvedimento di rilascio, anche se al contratto sia stata apposta clausola risolutiva espressa. 2. - Eccepisce preliminarmente l'Avvocatura dello Stato l'inammissibilità di detta questione, per difetto di rilevanza, argomentando che l'ipotesi (di integrale pagamento dei canoni scaduti prima del momento in cui dovrebbe emettersi il provvedimento di rilascio), rispetto a cui il giudice a quo formula il quesito di legittimità, non troverebbe riscontro nella fattispecie concreta. In cui il conduttore avrebbe invece pagato soltanto i canoni indicati nell'atto di citazione; per modo che non vi sarebbe ostacolo alla concessione del termine di grazia, con riguardo al pagamento dei canoni successivamente maturatisi.

L'eccezione non ha fondamento, giacché, contrariamente all'assunto dell'Avvocatura, risulta documentato nel fascicolo processuale - ed anche il pretore ne dà atto nella premessa in fatto dell'ordinanza di rinvio - che il convenuto aveva in effetti pagato tutte le somme dovute per contratto sino alla udienza di precisazione delle conclusioni.

3. - Nel merito, la questione è fondata.

Con la precedente sentenza n. 150 del 1973, che il giudice a quo non ha mancato di ricordare, questa Corte, chiamata una prima volta a pronunziarsi sulla legittimità dell'art. 4, comma sesto, della legge 833 citata, ha invero escluso il già allora dedotto contrasto con l'art. 3 della Costituzione, sostanzialmente in base al rilievo che il comportamento del conduttore che spontaneamente paghi nel corso del giudizio le pigioni scadute - pur non rilevando ai fini della concessione del termine di grazia (effettivamente prevista con riguardo alla sola ipotesi di morosità persistente) - resta comunque valutabile nel sistema emergente dall'art. 1453 e seguenti del codice civile, al fine della (eventuale) esclusione dell'importanza dell'inadempimento, cui è subordinata la risoluzione del contratto (art. 1455 cod. civ.).

Ma, rispetto alla situazione esaminata nella decisione citata, la fattispecie odierna riveste una connotazione del tutto peculiare, che dipende dalla presenza in contratto della clausola risolutiva espressa.

Il meccanismo di detta clausola (pacificamente applicabile alle locazioni anche in regime di proroga), comporta, infatti, che ove la parte interessata dichiari di avvalersene, il contratto per ciò solo si risolve di diritto (art. 1456 cod. civ.). Con la conseguenza che non può quindi il giudice, che la risoluzione è chiamato a dichiarare, prendere in alcuna considerazione l'eventuale scarsa importanza dell'inadempimento e, in tale contesto, il pagamento pur integrale dei canoni scaduti effettuato in corso di causa dal conduttore.

Per contro, nella stessa ipotesi di locazione con clausola risolutiva espressa, in quanto per costante giurisprudenza l'apposizione della detta clausola non è di ostacolo alla concessione del termine di grazia ex art. 4 legge 833/1969, accade che l'inquilino rimasto moroso può essere ammesso a purgare la mora, con conseguente perdita di efficacia della sentenza.

Deve concludersi allora che effettivamente - così come dal pretore rilevato - si verifica, nel caso particolare del contratto di locazione con apposta clausola risolutiva espressa, una immotivata ed irragionevole disparità di disciplina, per cui quelle stesse ragioni (quali le precarie condizioni economiche del conduttore insorte dopo la stipulazione del contratto), che possono in ipotesi, secondo l'apprezzamento del giudice, giovare al conduttore moroso per essere rimesso in termine a sanare la mora, non valgono invece ad evitargli la risoluzione della locazione ove egli già in corso di causa abbia spontaneamente pagato i canoni scaduti.

Nei limiti e nei termini indicati va, quindi, dichiarata l'illegittimità costituzionale della norma impugnata.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara illegittimo l'art. 4, comma sesto, della legge 26 novembre 1969, n. 833 (Norme relative alle locazioni degli immobili urbani) in quanto, ricorrendo l'ipotesi di clausola risolutiva espressa, non consente al giudice di tener conto, ai fini del diniego del rilascio dell'immobile locato, e con gli stessi poteri di valutazione esercitabili per la concessione del termine di grazia, del pagamento integrale delle pigioni scadute effettuato dal conduttore nel corso del giudizio.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 20 marzo 1980.

F.to: LEONETTO AMADEI - GIULIO GIONFRIDA - EDOARDO VOLTERRA - GUIDO ASTUTI - MICHELE ROSSANO - ANTONINO DE STEFANO - LEOPOLDO ELIA - GUGLIELMO ROEHRSSEN - ORONZO REALE - BRUNETTO BUCCIARELLI DUCCI - ALBERTO MALAGUGINI - LIVIO PALADIN - ARNALDO MACCARONE - ANTONIO LA PERGOLA - VIRGILIO ANDRIOLI.

GIOVANNI VITALE - Cancelliere