˙ Sentenza  22/1980 (ECLI:IT:COST:1980:22)
Giudizio:  GIUDIZIO DI LEGITTIMITÀ COSTITUZIONALE IN VIA INCIDENTALE
Presidente: AMADEI - Redattore:  - Relatore: BUCCIARELLI DUCCI
Udienza Pubblica del 07/11/1979;    Decisione  del 22/02/1980
Deposito del 27/02/1980;    Pubblicazione in G. U.
Norme impugnate:  
Massime:  9814
Atti decisi: 

Pronuncia

N. 22

SENTENZA 22 FEBBRAIO 1980

Deposito in cancelleria: 27 febbraio 1980.

Pubblicazione in "Gazz. Uff." n. 64 del 5 marzo 1980.

Pres. AMADEI - Rel. BUCCIARELLI DUCCI

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori: Avv. LEONETTO AMADEI, Presidente - Dott. GIULIO GIONFRIDA - Prof. EDOARDO VOLTERRA - Prof. GUIDO ASTUTI - Dott. MICHELE ROSSANO - Prof. ANTONINO DE STEFANO - Prof. LEOPOLDO ELIA - Prof. GUGLIELMO ROEHRSSEN - Avv. ORONZO REALE - Dott. BRUNETTO BUCCIARELLI DUCCI - Avv. ALBERTO MALAGUGINI - Prof. LIVIO PALADIN - Dott. ARNALDO MACCARONE - Prof. ANTONIO LA PERGOLA - Prof. VIRGILIO ANDRIOLI, Giudici,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale degli artt. 58, 59 e 65 della legge 27 luglio 1978, n. 392 (disciplina delle locazioni di immobili urbani), promossi con ordinanze emesse il 16 novembre 1978 dal giudice conciliatore di Roma, il 3 novembre 1978 dal giudice conciliatore di Castellammare di Stabia, il 4 novembre 1978 dal pretore di Sampierdarena, il 6 e il 9 novembre 1978 dal giudice conciliatore di Bologna, il 20 dicembre 1978 dal giudice conciliatore di Verona, il 27 novembre 1978 dal giudice conciliatore di Genova - Sestri Ponente, il 7 dicembre 1978 dal giudice conciliatore di Modena, il 19 dicembre 1978 dal giudice conciliatore di Ferrara, il 22 gennaio 1979 dal pretore di Udine, il 12 gennaio 1979 dal giudice conciliatore di Faenza, il 10 gennaio 1979 dal giudice conciliatore di Biassono, il 24 gennaio 1979 dal pretore di Rimini, il 23 febbraio 1979 dal pretore di Catania, il 1 marzo 1979 dal giudice conciliatore di Firenze, il 5 marzo 1979 dal giudice conciliatore di Parma, il 28 febbraio 1979 dal giudice conciliatore di Como, il 25 gennaio 1979 dal giudice conciliatore di Collegno, il 10 gennaio 1979 dal giudice conciliatore di Anzola dell'Emilia, il 14 dicembre 1978 dal pretore di Genova, il 20 gennaio 1979 dal giudice conciliatore di Genova - Sestri Ponente, il 16 febbraio 1979 dal giudice conciliatore di Novara, il 23 marzo 1979 dal pretore di Ferrara, il 27 marzo 1979 dal giudice conciliatore di Mirabello, il 24 marzo 1979 dal giudice conciliatore di Mantova, il 2 febbraio 1979 dal giudice conciliatore di Mediglia, il 4 aprile 1979 dal giudice conciliatore di Legnano e dal pretore di Potenza, il 7 aprile 1979 dal giudice conciliatore di Potenza, il 23 marzo 1979 dal pretore di Parma, il 15 marzo 1979 dal giudice conciliatore di Lodi, il 5 marzo 1979 dal giudice conciliatore di Banchette, il 19 aprile 1979 dal pretore di Torino, il 5 aprile 1979 dal pretore di Cosenza, il 16 maggio 1979 dal pretore di Trento, il 14 maggio 1979 dal pretore di Parma, il 17 aprile 1979 dal giudice conciliatore di Castelgoffredo, il 2 aprile 1979 dal giudice conciliatore di Sorrento e il 12 maggio 1979 dal giudice conciliatore di Milano, iscritte ai nn. 636, 641 e 665 del registro ordinanze 1978 ed ai nn. 19, 20, 22, 39, 55, 243, 245, 261, 265, 282, 295, 307, 308, 337, 338, 342, 343, 356, 393, 394, 412, 414, 420, 421, 428, 446, 451, 460, 461, 467, 472, 476, 506, 511, 512, 513, 516 e 529 del registro ordinanze 1979 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 52, 59, 80, 87, 140, 147, 154, 161, 168, 175, 182, 189, 210, 217, 230, 237, 244 e 251 dell'anno 1979.

Visto l'atto di costituzione di Tommasino Antonio nonché gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 7 novembre 1979 il Giudice relatore Brunetto Bucciarelli Ducci;

uditi l'avvocato Guido Parlato, per Antonio Tommasino e il sostituto avvocato generale dello Stato Renato Carafa, per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto:

1. - Con 41 ordinanze emesse da varie autorità giudiziarie, iscritte al registro generale rispettivamente ai nn. 636, 641, 665/78; 19, 20, 22, 39, 55, 243, 245, 261, 265, 282, 295, 307, 308, 337, 338, 342, 343, 356, 393, 394, 412, 414, 420, 421, 428, 446, 451, 460, 461, 467, 472, 476, 506, 511, 512, 513,516 e 529/79 e dettagliatamente descritte in epigrafe, è sollevata, in riferimento all'art. 3 Cost., questione incidentale di legittimità costituzionale della norma, ricavabile dal combinato disposto degli artt. 59, n. 1, 58 e 65 della legge 27 luglio 1978, n. 392, secondo cui è previsto il diritto di recesso per necessità del locatore dai contratti in corso il 30 luglio 1978, soltanto se soggetti a proroga, nei confronti, quindi, dei conduttori aventi un reddito inferiore agli 8 milioni annui, mentre esso è escluso nei riguardi dei conduttori che godono di un reddito più elevato.

Tutti i giudici a quibus sono convinti dell'impossibilità d'interpretare la norma impugnata come estensiva del diritto di recesso ai contratti non soggetti a proroga.

Nelle ordinanze di rimessione si osserva che la censurata discriminazione viola il principio di eguaglianza e di ragionevolezza sotto i seguenti principali profili: a) per l'ingiustificata disparità di trattamento tra conduttori, nell'ambito dei quali vengono privilegiati, in sostanza, quelli il cui reddito è più elevato (superiore agli 8 milioni annui), laddove il regime di proroga legale è stato in ogni tempo finalizzato alla tutela del contraente più debole, e tale sistema vincolistico è stato riconosciuto legittimo dalla Corte - sempre sul presupposto della sua straordinarietà e temporaneità e quindi della sua ulteriore improrogabilità - proprio perché diretto alla tutela sociale di quelli, tra i conduttori, che si trovavano in condizioni economiche più disagiate; b) per la discriminazione grave tra i locatori che - se in stato di necessità - dovrebbero trovarsi tutti nella medesima posizione rispetto al diritto di recesso; l'irrazionalità della norma impugnata, risulta dal sacrificio, in modo gravemente differenziato, dei diritti del locatore in relazione a circostanze non idonee a giustificarlo, prorogando indiscriminatamente tutti i contratti in corso e solo in parte equilibrando i rapporti tra locatori e conduttori, giacché mentre il diritto di recesso è sempre ammesso dai contratti per gli immobili destinati ad uso non abitativo, per quelli adibiti ad abitazione è riconosciuto, paradossalmente, solo se l'inquilino ha un reddito basso.

Talune ordinanze osservano che l'esigenza, giustamente fatta valere dal legislatore con la creazione di una "disciplina transitoria" realizzatasi attraverso una ulteriore proroga quadriennale a scaglioni di tutti i contratti in corso (artt. 58 e 65 legge citata) ha ricevuto necessario ed imprescindibile temperamento nel diritto di recesso, espressione del riconoscimento legislativo che nei casi di necessità il diritto del locatore deve, in ogni caso, prevalere su quello del conduttore, così realizzandosi quella composizione dei contrapposti interessi che è conforme a Costituzione (sentenza Corte costituzionale n. 132/72). A questo punto, soggiungono le ordinanze, sarebbe intrinsecamente contraddittorio escludere il diritto di recesso in relazione al maggiore reddito di cui godono taluni conduttori, per l'inidoneità di tale circostanza, sotto tale aspetto fortuita, a discriminare la posizione dei corrispondenti locatori, privi, in ipotesi, di abitazione e della facoltà di riottenere la propria casa. Con la conseguenza, inoltre, che il soggetto avente un reddito annuo inferiore agli 8 milioni di lire può, quale conduttore, essere sfrattato, mentre quale proprietario - locatore non può far valere l'azione di necessità nei confronti del proprio inquilino, ove questi sia più ricco di lui, ma soltanto un'azione per finita locazione per quando cesserà la scadenza contrattuale prorogata ex lege di circa 4 anni.

Viene altresì rilevato che le altre differenze che caratterizzano, per gli immobili destinati ad abitazione, i rapporti contrattuali soggetti a proroga distinguendoli da quelli che non vi sono soggetti, appaiono insufficienti a giustificare una discriminazione così grave ed essenziale. Infatti la maggiore durata nell'adeguamento del canone, i cui aumenti sono ripartiti in 6 anni di tempo, e la durata, leggermente più breve, della proroga per i contratti non soggetti a proroga (potendosi dedurre di regola dal quadriennio di proroga una frazione di anno), non giustificherebbero minimamente la censurata esclusione del diritto di recesso, essendo "indubitabilmente prevalente l'interesse alla stabilità del rapporto", beneficio che è riconosciuto solo ai conduttori aventi un reddito più elevato, a coloro cioè che appaiono meno bisognevoli di quella tutela sociale che ha sempre permeato la legislazione vincolistica e che ha ispirato la stessa legge sull'equo canone.

In talune ordinanze (quelle iscritte al registro generale sotto i nn. 665/78, 20, 22, 282, 467, 472, 513/79) la descritta disparità in tema di recesso è censurata nel senso che la violazione dell'art. 3 Cost. sarebbe eliminabile dichiarando l'illegittimità, non della norma che esclude il recesso dai contratti non soggetti a proroga, ma di quella contenuta nell'art. 59 della citata legge, che tale istituto prevede ancora per i contratti soggetti a proroga.

2. - Nell'ordinanza 356 del 1979, si prospetta, oltre alla censura già descritta in riferimento all'art. 3 Cost., il dubbio che l'art. 65 della citata legge 392 del 1978, prorogando ulteriormente di 4 anni, nei termini delineati, la durata dei contratti in corso, ed escludendo, altresì, il diritto di recesso per necessità nei confronti dei conduttori aventi un reddito annuo superiore agli 8 milioni di lire, vanifichi il diritto di proprietà e di godimento della casa, con violazione dell'art. 42, secondo comma, della Costituzione.

Il giudice a quo argomentando dagli insegnamenti contenuti nelle sentenze della Corte costituzionale in materia (sentenze 3 e 225/76; 132/72), osserva che i sacrifici alla proprietà privata della casa possono essere imposti, per legge, a fini sociali, allo scopo cioè di assicurare il bene primario dell'abitazione alle categorie di soggetti economicamente meno abbienti. Può quindi ammettersi che una legislazione siffatta, purché temporanea e straordinaria, si giustifichi, anche ove stabilisca un regime vincolistico dei contratti e dei canoni a prescindere da ogni valutazione comparativa delle condizioni di reddito del locatore e del conduttore.

Viene peraltro ricordata l'affermazione ed il monito secondo cui deve esser realizzato un equilibrio nella tutela degli interessi dei locatori e dei conduttori mediante una normativa che con carattere di ordinarietà provvede ad un'equa conciliazione di detti interessi.

In tale equilibrio dovrebbe inserirsi il diritto di recesso, considerato dalla Corte (sentenza 132/72) come istituto generale, necessario correttivo per salvaguardare le esigenze fondamentali del locatore, la cui previsione e disciplina normativa non può dipendere da circostanze casuali.

Pertanto, secondo il giudice a quo, la norma impugnata, laddove proroga ulteriormente il contratto senza prevedere il recesso per necessità del locatore, potrebbe portare all'assurdo che quest'ultimo, pur sfrattato, non possa riavere la propria abitazione "per il singolare motivo che il suo inquilino è abbiente". Onde l'invocata violazione degli artt. 3, 42, secondo comma, della Costituzione.

La medesima censura viene sostanzialmente proposta con le ordinanze 461, 476 e 512/79, le quali pongono anche in luce che, sia pure con disposizioni transitorie (di durata peraltro non breve), è stata eccezionalmente introdotta una proroga generalizzata di tutte le locazioni (senza distinguere tra i conduttori quelli con reddito più elevato e quelli economicamente più deboli) non potendosi attribuire valore sostanziale alla distinzione tra la proroga prevista dall'art. 58 citata legge e il prolungamento della durata del contratto in corso, coattivamente imposto dall'art. 65 legge citata.

L'illegittimità della norma impugnata sarebbe deducibile dal fatto che il legislatore dell'equo canone, trasformando la durata minima legale anche dei contratti in corso non soggetti a proroga, non ha previsto il diritto di recesso, pur avendo introdotto un nuovo regime di proroga legale pluriennale per un periodo c.d. transitorio. Lo stesso legislatore - proseguono dette ordinanze di rimessione - prevedendo, al contrario, per gli immobili non adibiti ad uso di abitazione anche se non soggetti a proroga il diritto di recesso del locatore nel periodo transitorio, avrebbe infatti espressamente riconosciuto che la determinazione ex lege di una durata minima contrattuale superiore a quella pattuita equivale ad una proroga: altrimenti non avrebbe potuto riconoscere il diritto di recesso per necessità, istituto non concepibile se non in un regime di proroga, perché diretto, appunto, a farla cessare.

Pertanto, non troverebbe giustificazione l'esclusione del recesso per i soli contratti di locazione ad uso abitativo i cui conduttori abbiano un reddito superiore agli 8 milioni, con conseguente violazione degli artt. 3 e 42 della Costituzione.

Infine, l'ordinanza n. 476/79 nega che sia imputabile al locatore che viene ad esercitare solo oggi un'azione di necessità la preesistente effettiva possibilità di far cessare in concreto il rapporto locatizio, anche se rientrante tra quelli non soggetti a proroga. Infatti, poiché dal 1973 in poi, in virtù di varie leggi, gli sfratti restarono sospesi in relazione a sentenze o provvedimenti di rilascio per finita locazione, il locatore, che non avesse avuto il diritto di esercitare già allora l'azione di necessità a cagione dell'elevato reddito del suo inquilino, non poteva comunque ottenere in alcun modo la disponibilità dell'appartamento e non può imputarsi ad una sua libera volontà il mancato esercizio dell'azione di finita locazione.

Soggiunge il giudice a quo che se il d.l. n. 21 del 1979 (convertito in legge 93 del 1979) ha in qualche modo sanato le situazioni pregresse, assai più grave appare la situazione dei tanti locatori che avevano iniziato l'azione di necessità prima della entrata in vigore della legge sull'equo canone, i cui conduttori abbiano invocato l'improponibilità della domanda per essere il rapporto locatizio sottratto a proroga legale. In tal caso il locatore non ha l'azione di recesso per necessità e nemmeno quella di risoluzione del contratto alla scadenza contrattuale, perché questa scadenza è stata prorogata di circa quattro anni.

Tale situazione di forza viene concessa proprio ai conduttori con reddito più elevato. Conclude l'ordinanza che di fronte a tali svantaggi è ben poca cosa il vantaggio del locatore in stato di necessità, di poter ottenere, anziché la disponibilità della casa, un più rapido adeguamento del canone corrisposto a quello spettante per effetto della nuova legge.

3. - In qualche ordinanza l'esclusione del diritto di recesso è denunciata per la pretesa violazione, oltreché dell'art. 3, dell'art. 24 Cost. Si assume che il locatore che abbia necessità di riavere la propria abitazione, sia sfornito di tutela giudiziale verso il conduttore dotato di reddito annuo superiore agli 8 milioni di lire. Da ciò la violazione del diritto di agire in giudizio nei suoi confronti.

4. - È intervenuto in tutti i giudizi pendenti il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, con atti di deduzioni depositati rispettivamente l'8 e 16 marzo, il 10 e 17 aprile, il 5, 18 e 26 giugno, il 18 luglio, il 17 e 28 agosto 1979, l'11, 18 e 25 settembre 1979, chiedendo dichiararsi l'infondatezza di tutte le censure prospettate.

Premesse alcune considerazioni generali sulla necessità, da parte del legislatore dell'equo canone, dell'introduzione di una disciplina transitoria che, pur volta ad ottenere per il futuro un uniforme trattamento giuridico, ha dovuto adottare una regolamentazione differenziata dei vari casi, la difesa dello Stato osserva che tale discriminazione non viola l'art. 3 Cost., perché concerne situazioni che solo erroneamente i giudici a quibus hanno potuto considerare eguali ed omogenee.

Invero il regime dei rapporti contrattuali in corso concernenti gli immobili destinati ad abitazione appare differenziato, a seconda che si tratti di contratti soggetti, o meno, a proroga, non soltanto sotto il profilo del diritto di recesso, ma anche in relazione alla durata della proroga e dei tempi di adeguamento del canone corrisposto a quello fissato come definitivo dalla nuova legge sull'equo canone. Infatti dalla comparazione degli artt. 58 e 65, primo comma, legge n. 392/78, (sempre in tema di immobili adibiti ad uso di abitazione), risulta, quanto alla durata, che pur essendo tutti i contratti in corso soggetti ad ulteriore proroga quadriennale, il calcolo del quadriennio è determinato in maniera tale per cui i contratti già "soggetti a proroga" verranno ad essere prorogati per un tempo variabile dai 4 anni e 5 mesi ai 5 anni e 5 mesi, mentre per quelli "non soggetti a proroga", dovendo detrarsi dal quadriennio il tempo già trascorso dall'inizio della locazione, la proroga varierà, di regola, dai 3 ai 4 anni. Quanto all'adeguamento del canone a quello fissato nella legge, per la prima categoria di rapporti l'art. 62 stessa legge prevede che le variazioni, se in aumento, si possono applicare a decorrere dal 1 novembre 1978, nella misura del 20 per cento all'anno, per i primi due anni, e del 15 per cento, per gli anni successivi, con l'applicazione dell'equo canone dall'inizio del 6 anno dall'entrata in vigore della legge. Per la categoria dei contratti "non soggetti a proroga", l'adeguamento è previsto in due sole fasi: il 50 per cento dell'aumento, a decorrere dal 1 novembre 78, il residuo 50 per cento, dal 30 luglio 1979.

Dall'esposta diversità di regime tra le due situazioni sottoposte a comparazione - considerate quindi non omogenee - la difesa dello Stato deduce la legittimità della discriminazione esistente in relazione al diritto di recesso, anche per il rilievo che tale diritto non spettava al locatore nei confronti del conduttore di reddito elevato nemmeno secondo la legislazione precedente, così come non spetterà più a nessun locatore finito il regime transitorio di ulteriore proroga, sicché sarebbe stato irrazionale introdurlo solo adesso per i contratti non soggetti a proroga al momento dell'entrata in vigore della nuova legge.

Secondo l'Avvocatura Generale la disciplina relativa ai conduttori a reddito più elevato è prospettata erroneamente come più favorevole dai giudici a quibus, perché essa non può definirsi tale ove la si consideri non soltanto in relazione alla stabilità di durata del rapporto, ma in una visione più ampia che tenga conto del diverso regime degli aumenti e degli aggiornamenti ISTAT.

Dalla diversità delle situazioni prese in considerazione deriverebbe l'infondatezza di tutte le censure prospettate per violazione del principio di eguaglianza non solo di quelle rivolte ad ottenere l'estensione del diritto di recesso nei confronti di tutti i conduttori, ma anche di quelle, inverse, dirette alla declatoria di illegittimità del recesso nei confronti dei conduttori con reddito annuo inferiore agli 8 milioni di lire. Viene opposto, infatti, che la maggior durata della proroga (fino a 5 anni e mezzo), la notevole gradualità nell'applicazione degli aumenti della pigione (ripartiti in 6 anni) e dell'aggiornamento ISTAT, nonché la preesistenza, nell'ipotesi considerata, del diritto di recesso, giustificano il permanere transitorio di tale eccezionale istituto. Sarebbe stata irrazionale l'abrogazione immediata del diritto di recesso nei confronti di quei locatori la cui disciplina contrattuale è protratta sostanzialmente per altri 5 - 6 anni.

5. - Per quanto concerne la censura mossa alla norma impugnata sotto il profilo che l'ulteriore proroga quadriennale della durata dei contratti in corso - anche di quelli prima non soggetti a proroga - contrasterebbe con l'art. 42, secondo comma, della Costituzione in quanto verrebbe a vanificare il diritto di godimento dell'abitazione, specie se non temperata dall'istituto del recesso, che sempre costituì il mezzo speciale di bilanciamento degli opposti interessi tutelati dal legislatore, la difesa dello Stato a tale riguardo osserva che il parametro costituzionale invocato consente al legislatore di apporre limiti al godimento dei beni, tra cui può rientrare la negazione, nei casi considerati, del diritto di recesso, per la più breve durata contrattuale disposta dal cit. art. 65, rispetto a quella stabilita dall'art. 58 citato.

6. - Una volta dimostrata l'insussistenza della censura mossa ex art. 3 Cost. ne consegue logicamente l'infondatezza della denuncia per violazione dell'art. 24 Cost. giacché, come è ben noto, laddove manca il diritto sostanziale non può lamentarsi l'assenza di una tutela giudiziale, quella appunto garantita dall'art. 24 Cost.

7. - Si è costituito in giudizio innanzi a questa Corte, nel procedimento nascente dall'ord. 641/78, il Signor Antonio Tommasino, rappresentato e difeso dagli Avvocati Guido Parlato ed Ubaldo Procopio, con atto di deduzioni depositato il 9 marzo 1979, chiedendo dichiararsi l'infondatezza della questione proposta.

Osserva la difesa della parte privata che il diverso regime derivante dalla disposizione impugnata in tema di recesso - che viene escluso nei confronti dei conduttori con redditi annui superiori agli 8 milioni (art. 65 legge 392/78) - non può violare il principio di eguaglianza, per la diversità oggettiva dei contratti nei cui confronti opera, gli uni già sottoposti a proroga, gli altri prorogati per la prima volta, con la legge sull'equo canone.

La diversa regolamentazione non è peraltro nemmeno irrazionale, sia perché la durata delle locazioni è prorogata in maniera differenziata per le due contrapposte categorie di rapporti contrattuali, sia perché il legislatore, abolendo per il futuro ogni azione di necessità, non era obbligato ad introdurla in via transitoria per i rapporti cui non era mai stata applicabile.

D'altronde, prosegue la difesa del Tommasino, dall'eccezionalità del regime vincolistico delle locazioni, ribadita dalla stessa Corte Costituzionale con più sentenze, dovrebbe potersi dedurre l'eccezionalità dello stesso istituto del recesso per necessità, che in ogni caso non potrebbe operare al di fuori di un qualsiasi regime di proroga, perché, per sua intrinseca natura, diretto a costituirne causa di cessazione.

Alla pubblica udienza le parti hanno ampiamente illustrato le argomentazioni svolte, insistendo entrambe nelle conclusioni prese.

Considerato in diritto:

1. - Le numerose ordinanze di rimessione, descritte in narrativa, propongono sostanzialmente una medesima questione di legittimità costituzionale, pur prospettandola in riferimento a diversi parametri. I relativi giudizi vanno quindi riuniti e definiti con unica sentenza.

2. - La Corte costituzionale è chiamata a decidere se contrasti con l'art. 3 Cost. il combinato disposto degli artt. 58, 59, n. 1, e 65 della legge sull'equo canone n. 392 del 27 luglio 1978, nella parte in cui attribuisce al locatore il diritto di recesso per necessità di destinare l'immobile ad uso proprio o dei prossimi congiunti relativamente a contratti di locazione di immobili adibiti ad uso di abitazione in corso al momento dell'entrata in vigore della legge, soltanto ove le locazioni fossero già soggette a proroga legale, con l'esclusione del diritto di recesso nei confronti dei conduttori in forza di contratti non compresi nelle proroghe, perché percettori di un reddito superiore agli otto milioni di lire annue.

Si dubita della razionalità della norma denunciata in quanto sacrificherebbe il diritto del locatore non a vantaggio del conduttore economicamente meno dotato, ma di quello con reddito più elevato, con conseguente disparità di trattamento tra locatori, che si trovano, nella ipotesi considerata, tutti in eguale stato di necessità; nonché dell'irrazionale disparità di trattamento tra conduttori, la cui discriminazione a vantaggio, nel complesso, di quelli di essi economicamente più dotati, non appare finalizzata alla tutela del contraente più debole, cui è stato da sempre improntato il regime di proroga legale e la stessa legge sull'equo canone. La questione è sollevata, sostanzialmente negli stessi termini, da tutte le ordinanze sopra indicate, a volte denunciandosi il solo art. 59, a volte l'art. 65, a volte il combinato disposto degli stessi. Talune delle ordinanze prospettano un'ulteriore disparità, sotto il profilo che per i contratti di locazione di immobili adibiti ad uso non abitativo il diritto di recesso spetta in ogni caso (artt. 73, 67, 70, 71 cit. legge).

Altre ordinanze censurando sempre la disciplina differenziata in ordine al diritto di recesso, ora descritta, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, prospettano che il trattamento di favore che ne risulta a vantaggio dei conduttori con reddito superiore agli 8 milioni, nei cui confronti il recesso è escluso, potrebbe essere eliminato abolendo in ogni caso il diritto di recesso dai contratti di locazione in corso ed aventi ad oggetto immobili adibiti ad uso di abitazione.

L'esclusione del diritto di recesso del locatore, per necessità abitativa propria, anche se sfrattato, nei confronti dei conduttori con reddito più elevato (art. 65 cit. legge), è denunciata oltre che per l'irrazionalità sopra delineata, per ravvisata vanificazione sostanziale del diritto di proprietà derivante dalla norma che, reintroducendo, di fatto, in via transitoria, una ulteriore proroga quadriennale dei contratti - aggravata, nei casi suddetti, dall'esclusione di ogni recesso - contrasterebbe con le garanzie poste dall'art. 42 Cost. a tutela del godimento della proprietà, mentre il regime vincolistico è stato dalla Corte sempre riconosciuto compatibile con detto principio costituzionale (sentenze nn. 3 e 225 del 1976), condizionatamente però al carattere straordinario e provvisorio della proroga ed in un'armonica composizione dei contrapposti interessi.

L'impossibilità del locatore, che abbia necessità di disporre immediatamente dell'immobile per proprio uso, di rivolgersi al giudice per esercitare il diritto di recesso nei confronti dei conduttori più abbienti, è infine denunciata per il dubbio che risulti irrazionalmente precluso il diritto di agire in giudizio, con violazione degli artt. 3 e 24 Cost.

3. - La questione è fondata e merita accoglimento in relazione alla prima delle censure sopra descritte. Invero, per le ragioni che saranno qui di seguito esposte, appare ingiustificabile la disparità di trattamento tra diversi locatori, tutti versanti nel medesimo stato di necessità, ad alcuni soltanto dei quali la legge consente di ottenere la disponibilità dell'appartamento dato in locazione, mentre il diritto di recesso deve spettare a tutti i locatori che si trovino nelle medesime condizioni di necessità previste dall'art. 59, primo comma, n. 1 citata legge 392 del 1978, a prescindere dalla diversa disciplina legale o contrattuale nella quale esso viene ad operare.

A tale censura ha replicato l'Avvocatura Generale dello Stato deducendo l'impossibilità di esaminare la denunciata violazione del principio costituzionale di eguaglianza, per la non omogeneità delle situazioni comparate, giacché il regime transitorio introdotto dalla legge sull'equo canone diversifica sotto più aspetti la disciplina dei contratti già soggetti a proroga (cit. art. 58) rispetto a quelli non soggetti (cit. art. 65). Viene rilevato che diverso è il sistema di adeguamento del vecchio al nuovo canone, in un caso realizzato nel giro di un anno, nell'altro in un periodo di circa 6 anni; diverso è il tipo di aggiornamento alle variazioni del costo della vita, accertate dall'ISTAT; e soprattutto diversa è la protrazione della durata contrattuale, più breve nei confronti di coloro che avevano un reddito superiore agli 8 milioni annui (di regola da 3 a 4 anni), più lunga nell'altro caso (da 4 anni e 5 mesi a 5 anni e 5 mesi).

È stato altresì obiettato, dalla difesa della parte privata, che non avrebbe avuto senso introdurre il diritto di recesso nei confronti dei rapporti locatizi la cui durata era stata libera per non esser stati mai soggetti a proroga legale, proprio nel momento in cui veniva emanata una legge totalmente innovatrice in materia, la quale escludeva per il futuro il regime di proroga della durata contrattuale e, conseguentemente, anche il diritto di recesso del locatore.

È stato infine osservato che altro è il contenuto normativo dell'art. 58 citata legge, altro quello dell'art. 65 stessa legge, giacché nel primo si dispone che i contratti, da esso richiamati, "si considerano prorogati", mentre il secondo non imporrebbe una ulteriore proroga legale, ma si limiterebbe ad estendere coattivamente ai contratti in corso non soggetti a proroga la nuova durata legale minima dei contratti, fissata in quattro anni per le locazioni di immobili urbani adibiti ad abitazione.

Ritiene la Corte che le argomentazioni ora riportate non possono essere condivise.

In primo luogo va rilevato che la diversità di disciplina posta in luce dalla difesa dello Stato non scalfisce l'elemento fondamentale, comune alle due ipotesi prese in comparazione - quello della pari necessità di tutti i locatori che versino nelle ipotesi di legge - di ottenere la disponibilità dell'immobile dato in locazione a prescindere dalle condizioni economiche dei rispettivi conduttori e delle conseguenti diversità di disciplina contrattuale, irrilevanti rispetto allo stato di necessità.

Di fronte alla pari necessità del locatore, il diritto di recesso non può essere razionalmente concesso dal legislatore nei confronti del conduttore titolare di un contratto già soggetto a proroga a cagione della bassa entità dei suoi redditi, e negato proprio nei confronti dei conduttori che, a cagione del loro reddito annuo superiore agli 8 milioni di lire, non sono stati assoggettati per il passato al regime di proroga, del quale oggi sostanzialmente vengono invece a beneficiare, sia pure in via transitoria.

Invero nel complesso sistema vincolistico - improntato alla maggior tutela del contraente più debole, e considerato da questa Corte compatibile con gli artt. 3 e 42 della Costituzione sul presupposto del suo carattere straordinario e provvisorio ed in un'armonica composizione dei contrapposti interessi - l'istituto della necessità come causa di cessazione della proroga legale ha assunto, nella comune interpretazione adeguatrice (cfr. sentenza di questa Corte n. 132/1972), carattere strumentale per la composizione dei contrapposti interessi, prevalendo di regola quelli dei conduttori, che rimangono sacrificati di fronte all'esigenza del locatore - proprietario di ottenere la disponibilità dell'immobile in caso di necessità.

Appare invece intrinsecamente contrastante con il principio di eguaglianza e di ragionevolezza che la legge sull'equo canone, nel disporre un'ulteriore proroga generalizzata di tutti i contratti di locazione di beni ad uso di abitazione, preveda il diritto di recesso nei confronti dei conduttori meno abbienti, e lo escluda verso quelli più abbienti, che appaiono, in ipotesi, meno meritevoli di tutela. Con la conseguenza definita da taluni sul piano pratico aberrante, e verificatasi spesso nella realtà, che il conduttore nei cui confronti è ammessa azione di recesso non può esercitare lo stesso diritto, fondato sulla conseguenziale necessità, per riottenere, in quanto proprietario, la disponibilità del proprio appartamento dato in locazione ad un conduttore che abbia un reddito superiore agli otto milioni annui.

Occorre altresì aggiungere che questa Corte non può condividere la tesi, sopra riferita, secondo cui l'art. 65 citato non realizza, al di là della libera volontà dei contraenti, una effettiva proroga della durata legale dei contratti. Le distinzioni giuridico - formali, che ne sono il presupposto, mentre appaiono insoddisfacenti a spiegare la natura sostanziale del fenomeno - che non può non rilevare sul piano delle garanzie costituzionali - non costituiscono nemmeno esplicazione coerente di un unico criterio discriminativo perseguito in materia di recesso dal legislatore dell'equo canone. Invero, l'istituto del recesso per necessità, limitatamente alle locazioni di immobili adibiti ad uso non abitativo, è previsto dagli artt. 67, 71 e 73 citata legge, indipendentemente dalla circostanza - solo per altri versi rilevante - della precedente soggezione o meno di detti contratti al regime di proroga.

Le osservazioni che precedono in ordine alla ravvisata violazione dell'art. 3 Cost., assorbono le censure formulate nei confronti della norma impugnata con riferimento agli artt. 42, secondo comma, e 24 della Costituzione.

Va ancora soggiunto che, conformemente alla indicata natura del diritto di recesso in questione, tale istituto deve trovare applicazione necessaria soltanto limitatamente ai rapporti contrattuali vigenti in virtù di una protrazione imposta autoritivamente dalla legge, e non in relazione alla durata pattuita.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara l'illegittimità costituzionale del combinato disposto degli artt. 58, 59, n. 1, 65 della legge sull'equo canone 27 luglio 1978, n. 392, nella parte in cui esclude il diritto di recesso per necessità del locatore dai contratti in corso alla data del 30 luglio 1978 e non soggetti a proroga.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 22 febbraio 1980.

F.to: LEONETTO AMADEI - GIULIO GIONFRIDA - EDOARDO VOLTERRA - GUIDO ASTUTI - MICHELE ROSSANO - ANTONINO DE STEFANO - LEOPOLDO ELIA - GUGLIELMO ROEHRSSEN - ORONZO REALE - BRUNETTO BUCCIARELLI DUCCI - ALBERTO MALAGUGINI - LIVIO PALADIN - ARNALDO MACCARONE - ANTONIO LA PERGOLA - VIRGILIO ANDRIOLI.

GIOVANNI VITALE - Cancelliere