˙ Sentenza  20/1980 (ECLI:IT:COST:1980:20)
Giudizio:  GIUDIZIO DI LEGITTIMITÀ COSTITUZIONALE IN VIA INCIDENTALE
Presidente: AMADEI - Redattore:  - Relatore: REALE O.
Camera di Consiglio del 08/11/1979;    Decisione  del 12/02/1980
Deposito del 15/02/1980;    Pubblicazione in G. U.
Norme impugnate:  
Massime:  9413 9801
Atti decisi: 

Pronuncia

N. 20

SENTENZA 12 FEBBRAIO 1980

Deposito in cancelleria: 15 febbraio 1980.

Pubblicazione in "Gazz. Uff." n. 50 del 20 febbraio 1980.

Pres. AMADEI - Rel. REALE

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori: Avv. LEONETTO AMADEI, Presidente - Dott. GIULIO GIONFRIDA - Prof. EDOARDO VOLTERRA - Prof. GUIDO ASTUTI - Dott. MICHELE ROSSANO - Prof. ANTONINO DE STEFANO - Prof. LEOPOLDO ELIA - Prof. GUGLIELMO ROEHRSSEN - Avv. ORONZO REALE - Dott. BRUNETTO BUCCIARELLI DUCCI - Avv. ALBERTO MALAGUGINI - Prof. LIVIO PALADIN - Dott. ARNALDO MACCARONE - Prof. ANTONIO LA PERGOLA - Prof. VIRGILIO ANDRIOLI, Giudici,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 29 e 36 della legge 4 luglio 1967, n. 580 (Disciplina per la lavorazione e commercio dei cereali, degli sfarinati, del pane e delle paste alimentari), promosso con ordinanza emessa il 17 giugno 1977 dal Pretore di Milano, nel procedimento penale a carico di Moja Sergio ed altro, iscritta al n. 454 del registro ordinanze 1977 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 327 del 30 novembre 1977.

Udito nella camera di consiglio dell'8 novembre 1979 il Giudice relatore Oronzo Reale.

Ritenuto in fatto:

Nel corso di un procedimento penale nei confronti di Moja Sergio e De Filippo Carlo, il Pretore di Milano, con ordinanza emessa in data 17 giugno 1977, sollevava questione incidentale di legittimità costituzionale degli artt. 29 e 36 della legge 4 luglio 1967, n. 580 (Disciplina per la lavorazione e commercio dei cereali, degli sfarinati, del pane e delle paste alimentari) con riferimento all'art. 41 della Costituzione.

Agli imputati si addebitava infatti l'importazione e vendita di pasta alimentare (spaghetti) confezionata con impiego di "grano duro macinato", anziché con soli semola o semolato di grano duro, come prescritto dall'art. 29 della legge n. 580 del 1967 sopra richiamata.

Il giudice a quo escludeva ogni contrasto della citata norma con l'art. 32 della Costituzione, ma riteneva invece che la stessa norma confliggesse con l'art. 41. E ciò perché il limite posto all'iniziativa economica privata dalla legge n. 580 non troverebbe giustificazione alcuna in motivi attinenti alla sicurezza, libertà e dignità umana; né si vedrebbe come l'utilità sociale di proteggere ed incentivare specifiche coltivazioni granarie particolarmente praticate nell'Italia meridionale potrebbe essere minacciata dalla introduzione in commercio di pasta "integrale", pur sempre ottenuta con il prodotto della macinazione del grano duro.

Neppure nell'esigenza di fornire al consumatore un prodotto qualitativamente migliore potrebbe essere colta una ragione di utilità sociale, atteso che ciò non escluderebbe, impregiudicata la determinazione di un prezzo di vendita inferiore, la produzione e messa in vendita di altro prodotto avente caratteristiche diverse.

Se poi si considera anche che il prodotto di che trattasi non può essere neppure ricompreso fra i prodotti dietetici e non può pertanto essere commerciato neppure come tale, apparirebbe evidente l'ingiustificata compressione della iniziativa economica privata attuata con le norme in esame, e il contrasto con quanto disposto dall'art. 17 della stessa legge che consente il commercio del pane integrale.

Il giudice a quo non ritiene peraltro che la sentenza n. 137 del 1971 della Corte costituzionale (con la quale fu dichiarata infondata analoga questione sollevata dal Pretore di Nocera Inferiore) possa essere considerata preclusiva alla riproposizione della questione stessa.

Si osserva al riguardo che, in quella fattispecie, trattavasi della produzione e del commercio di pasta di segala, prodotto di composizione del tutto diversa dalla pasta integrale di grano duro; e che, dalla motivazione della citata sentenza, pare potersi evincere che il giudizio di legittimità rivendicato dalla Corte alla propria competenza non potrebbe travalicare la rilevabilità di un intento legislativo teso a perseguire l'utilità sociale e la generica idoneità dei mezzi predisposti a tale scopo, senza che possa verificarsi in concreto se sia corretto e giustificato il riferimento ai motivi addotti dal legislatore per addivenire alla compressione di un diritto costituzionalmente garantito.

Ritiene il Pretore di Milano che, al contrario, sia proprio quest'ultimo il sindacato da compiersi, onde accertare se le motivazioni addotte o gli intenti perseguiti dal legislatore non siano infondati, illogici o arbitrari.

Su questa base, veniva sollevata la riferita questione di legittimità costituzionale degli artt. 29 e 36 della legge 4 luglio 1967, n. 580, "almeno nella parte in cui non prevedono la possibilità di impiego della farina ' integrale ' di grano duro nella produzione della pasta alimentare" per preteso contrasto con l'art. 41 della Costituzione.

L'ordinanza è stata notificata, comunicata e pubblicata ai sensi di legge; non si sono avuti né costituzione di parte né intervento dell'Avvocatura.

La Corte, con ordinanza n. 32 del 5 maggio 1979, depositata il 24 maggio 1979, "considerata l'opportunità, ai fini di una più completa valutazione delle eventuali ragioni di carattere tecnico ravvisabili a fondamento del divieto dell'uso di sfarinati di grano duro nella produzione delle pasti alimentari e non del pane, contenuto nella legge 4 luglio 1967, n.580, di richiedere ai Ministeri dell'Agricoltura e Foreste e della Sanità ogni utile elemento in loro possesso atto a fornire chiarimenti al riguardo", ordinò ai detti Ministeri di fornire entro 60 giorni gli specificati elementi conoscitivi.

Con note del 4 luglio 1979 rispettivamente il Ministero della Sanità e quello dell'Agricoltura e Foreste hanno dato riscontro alla detta ordinanza.

Considerato in diritto:

1. - La Corte è chiamata a decidere se contrasti con l'articolo 41 della Costituzione, concernente la libertà di iniziativa economica privata, il divieto, contenuto e sanzionato negli artt. 29 e 36 della legge 4 luglio 1967, n. 580, di produrre e mettere in commercio paste alimentari di farina integrale di grano duro, laddove il detto art. 29 consente soltanto paste di semola e di semolato di grano duro, con esclusione del cosiddetto rimacinato.

Il giudice a quo afferma l'esistenza di tale contrasto, e quindi la illegittimità costituzionale della norma denunciata, negando che esistano valide ragioni di "utilità sociale" (oltreché motivi attinenti alla sicurezza, alla libertà o alla dignità umana) per comprimere l'esercizio della libera iniziativa esplicantesi nella fabbricazione di pasta di farina integrale di grano duro destinata al commercio.

Osserva il giudice a quo che se l'utilità sociale, legittimante la norma, è da ravvisare nella protezione e incentivazione di specifiche coltivazioni di grano duro dell'Italia meridionale, il motivo è infondato perché anche la pasta "integrale" è composta di farina di grano duro; e d'altra parte non si spiegherebbe perché la stessa legge n. 580 all'art. 17 consenta il commercio di "pane integrale".

Né, a giudizio del giudice a quo, potrebbe invocarsi, a fondamento di una pronunzia di infondatezza della questione proposta, la sentenza n. 137/1971 della Corte che dichiarò infondata analoga questione concernente, però, il divieto di produzione e commercio della pasta di segala: in quel caso, infatti, il motivo della protezione delle culture di grano duro poteva reggere. Né, sempre a giudizio del Pretore di Milano, la Corte dovrebbe arrestarsi, come dichiarò di dover fare nel precedente citato, di fronte alla rilevabilità dell'intento legislativo di perseguire un fine di utilità sociale con mezzi genericamente idonei, senza verificare la validità e congruità dei motivi indicati dal legislatore.

2. - Per meglio identificare tali motivi la Corte, a integrazione di quanto risultava dai lavori preparatori della legge n. 580, richiese ai Ministeri della Sanità e dell'Agricoltura e Foreste, con l'ordinanza di cui in narrativa, ogni utile elemento in loro possesso.

Il Ministero della Sanità ha risposto comunicando, per quanto di sua competenza, che "non vi sono ragioni di ordine igienico - sanitario a fondamento del divieto dell'uso degli sfarinati di grano duro integrale nella produzione delle paste alimentari", rilevando "anzi, che in base alle più moderne acquisizioni della scienza dell'alimentazione, la fibra alimentare presente nei cereali esplica un'utile azione per la prevenzione di alcune malattie dismetaboliche e dell'apparato digerente e pertanto è auspicabile che venga messa a disposizione dei consumatori, oltre che la pasta avente i requisiti attualmente previsti dalla citata legge n. 580, anche una pasta integrale".

Il Ministero dell'Agricoltura e Foreste ha comunicato che "l'esclusivo impiego del grano duro nella produzione di paste alimentari secche discende, in primo luogo, da esigenze di difesa e valorizzazione del particolare tipo di cultura del grano duro", produzione tipicamente italiana di bassi rendimenti unitari, che rappresenta generalmente in alcune zone la "pressoché sola valida alternativa di coltivazione"; "ne consegue che il legislatore ha inteso sostenere la domanda di grano duro", vietando lo sfruttamento integrale della granella con conseguente notevole maggior consumo di grano per ogni quantità di pasta prodotta, e con l'ulteriore utile conseguenza di un maggior residuo di cruscami ad uso alimentare zootecnico.

Ha aggiunto, il detto Ministero, alcune considerazioni a spiegazione del diverso trattamento dato al pane (che, come è noto, può essere di farina integrale) fra le quali: il fatto che il pane integrale "trova, in tradizione di gusto e di utilizzazione di circoscritte fasce rurali, idonea giustificazione di permissività", e il fatto che il pane, prodotto di immediato consumo, consente la "integrale utilizzazione della granella senza possibilità di alterazioni organolettiche", le quali invece si verificherebbero nelle paste "destinate ad utilizzazioni differite nel tempo".

3. - La motivazione che il Ministero dell'Agricoltura e Foreste fornisce del divieto di produzione e commercializzazione della pasta di farina integrale di grano duro corrisponde a quella sostanzialmente risultante dalla discussione parlamentare che si concluse con l'approvazione della legge n. 580 del 1967. Anche allora (pur nella differente posizione dei Ministeri della Sanità e dell'Agricoltura) la considerazione prevalente e decisiva fu quella della necessaria difesa della produzione italiana di grano duro, che avrebbe potuto essere danneggiata e disincentivata da una integrale utilizzazione dello sfarinato e quindi da una minore quantità di grano per produrre la quantità di pasta assorbita dal consumo.

Vero è che già nella detta discussione parlamentare si era obiettato che la produzione nazionale di grano duro era insufficiente anche a produrre la pasta secondo le prescrizioni della legge, tanto che l'Italia era importatrice di forti quantità di grano duro (e quindi un integrale sfruttamento della farina avrebbe causato non un danno alla produzione nazionale, ma solo una diminuzione dell'importazione). Il che è stato confermato alla Corte dal Ministero del Commercio Estero su dati già pubblicati dal Bollettino ISTAT nel senso che le importazioni di grano duro (in grandissima prevalenza di provenienza extraeuropea) sono andate sempre crescendo in quantità e valore, giungendo nel 1978 a ben oltre un milione di tonnellate, delle quali solo meno di 193.000 in temporanea importazione. Sicché la motivazione della protezione delle culture nazionali ne risulta in fatto gravemente indebolita.

E vero ancora che il Ministero della Sanità, come si è visto, ritiene auspicabile, ai fini di "un'utile azione per la prevenzione di alcune malattie dismetaboliche e dell'apparato digerente" che sia messa a disposizione dei consumatori anche una pasta integrale.

4. - Ma la Corte, tenendo anche presente che la questione sollevata si riferisce solo all'art. 41, della Costituzione, cioè all'esistenza o inesistenza, in concreto, di ragioni di utilità sociale legittimanti la compressione dell'iniziativa economica privata, deve arrestarsi (contrariamente a quanto ritiene il giudice a quo) di fronte alla valutazione che il legislatore ha fatto degli elementi del problema e che l'hanno portato a ritenere l'esistenza e congruità dei motivi posti a fondamento della sua statuizione; sicché solo al legislatore spetta un'eventuale nuova valutazione complessiva di tutti quegli elementi, anche emersi nel presente giudizio.

Con ciò la Corte si conforma alla sua giurisprudenza, più specificamente affermata con la sentenza n. 137 del 1971, nel senso che il potere della Corte medesima "di giudicare in merito alla utilità sociale alla quale la Costituzione condiziona la possibilità di incidere" sui diritti della iniziativa economica privata, concerne solo "la rilevabilità di un intento legislativo di perseguire quel fine" (di utilità sociale) "e la generica idoneità dei mezzi predisposti per raggiungerlo".

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 36 e 29 della legge 4 luglio 1967, n. 580 (Disciplina per la lavorazione e commercio dei cereali, degli sfarinati, del pane e delle paste alimentari), sollevata dal Pretore di Milano con ordinanza del 17 giugno 1977 (Reg. ord. n. 454 del 1977) in riferimento all'art. 41 della Costituzione.

Così deciso in Roma, in camera di consiglio, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 12 febbraio 1980.

F.to: LEONETTO AMADEI - GIULIO GIONFRIDA - EDOARDO VOLTERRA - GUIDO ASTUTI - MICHELE ROSSANO - ANTONINO DE STEFANO - LEOPOLDO ELIA - GUGLIELMO ROEHRSSEN - ORONZO REALE - BRUNETTO BUCCIARELLI DUCCI - ALBERTO MALAGUGINI - LIVIO PALADIN - ARNALDO MACCARONE - ANTONIO LA PERGOLA - VIRGILIO ANDRIOLI.

GIOVANNI VITALE - Cancelliere