˙ Sentenza  191/1980 (ECLI:IT:COST:1980:191)
Giudizio:  GIUDIZIO DI LEGITTIMITÀ COSTITUZIONALE IN VIA PRINCIPALE
Presidente: AMADEI - Redattore:  - Relatore: PALADIN
Udienza Pubblica del 10/12/1980;    Decisione  del 16/12/1980
Deposito del 22/12/1980;    Pubblicazione in G. U.
Norme impugnate:  
Massime:  9355
Atti decisi: 

Pronuncia

N. 191

SENTENZA 16 DICEMBRE 1980

Deposito in cancelleria: 22 dicembre 1980.

Pubblicazione in "Gazz. Uff." n. 357 del 31 dicembre 1980.

Pres. AMADEI - Rel. PALADIN

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori: Avv. LEONETTO AMADEI, Presidente - Dott. GIULIO GIONFRIDA - Prof. EDOARDO VOLTERRA - Dott. MICHELE ROSSANO - Prof. ANTONINO DE STEFANO - Prof. LEOPOLDO ELIA - Avv. ORONZO REALE - Dott. BRUNETTO BUCCIARELLI DUCCI - Avv. ALBERTO MALAGUGINI - Prof. LIVIO PALADIN - Dott. ARNALDO MACCARONE - Prof. ANTONIO LA PERGOLA - Prof. VIRGILIO ANDRIOLI - Prof. GIUSEPPE FERRARI, Giudici,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale dell'art. 8 del d.l. 30 dicembre 1979, n. 663, come modificato dalla legge di conversione 29 febbraio 1980, n. 33 (finanziamento del servizio sanitario nazionale per la previdenza, per il contenimento del costo del lavoro e per la proroga dei contratti stipulati dalla Pubblica Amministrazione in base alla legge 1 giugno 1977, n. 285, sulla occupazione giovanile) promossi con ricorsi della Regione Veneto, notificati il 30 gennaio e il 29 marzo 1980, rispettivamente depositati in cancelleria l'11 febbraio e il 12 aprile 1980, iscritti ai nn. 2 e 8 del registro ricorsi 1980 e pubblicati nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 50 e 112 del 1980.

Visti gli atti di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 10 dicembre 1980 il Giudice relatore Livio Paladin;

udito l'avvocato dello Stato Giorgio Azzariti, per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto:

1. - Con ricorso notificato il 30 gennaio e depositato l'11 febbraio 1980, la Regione Veneto ha impugnato il decreto-legge 30 dicembre 1979, n. 663, relativo al finanziamento del servizio sanitario nazionale: chiedendo, in particolar modo, l'annullamento dell'art. 8, nonché di ogni altra disposizione del decreto stesso che ne costituisca "presupposto o premessa", per violazione degli artt. 5, 115, 117, 118, 119, 123 e 97 della Costituzione.

Preliminarmente, la Regione fa notare che in base all'articolo 51 della legge 23 dicembre 1978, n. 833, il fondo sanitario nazionale va ripartito fra tutte le Regioni, le quali poi provvedono - con legge regionale - a suddividere fra le unità sanitarie locali le quote di loro spettanza. Per converso, nello art. 8 del predetto decreto-legge n. 663 del 1979, non soltanto si impone alle unità sanitarie locali di affidare il proprio servizio di tesoreria ad una serie determinata di aziende di credito, ma si disciplina puntualmente sia il trasferimento alla Regione della relativa quota del fondo nazionale sia il conseguente trasferimento delle loro spettanze dalla Regione alle unità sanitarie locali, sicché la Regione non svolge - secondo la difesa regionale - altro che "un compito di trasmissione figurata e formale di somme, senza poter in alcun modo disporne o controllarne l'utilizzo".

Riferendosi ad un precedente ricorso regionale, concernente la legge 5 agosto 1978, n. 468 (sulla contabilità generale dello Stato), la Regione deduce che a questa stregua si "rompe la necessaria unità della funzione pubblica regionale" e si "altera profondamente anche il rapporto istituito dalla legge sanitaria tra le Regioni e le unità sanitarie locali". In effetti, il legislatore statale non avrebbe il potere di ridurre l'autonomia regionale in materia di assistenza sanitaria, sottraendo alla Regione la disciplina e la gestione dei relativi rapporti di tesoreria, mediante assegnazioni che in realtà farebbero soltanto trasmigrare i fondi da un conto ad altro conto corrente, entrambi gestiti dal Tesoro.

2. - Nel giudizio si è costituito il Presidente del Consiglio dei ministri, per resistere al ricorso regionale.

Secondo le deduzioni contenute nell'atto di intervento, non sussisterebbe alcuna incompatibilità fra l'art. 51 della legge n. 833 del 1978 e l'art. 8 del decreto-legge n. 663 del 1979. Infatti, né l'una né l'altra disposizione intenderebbe attribuire alle Regioni, per un qualsiasi periodo di tempo, la disponibilità delle relative quote del fondo sanitario nazionale, da ripartire fra le singole unità sanitarie locali.

In ogni caso, l'impugnato art. 8 tenderebbe soltanto a garantire "la contemporaneità dell'esborso da parte della tesoreria dello Stato..... con l'effettiva spesa volta al concreto perseguimento del pubblico interesse", evitando in tal modo il fenomeno delle giacenze di cassa. E ciò non violerebbe in alcun modo l'autonomia finanziaria assicurata alle Regioni dall'art. 119 Cost.

3. - Mediante un successivo ricorso, notificato il 29 marzo e depositato il 12 aprile 1980, la Regione Veneto ha impugnato altresì la legge 29 febbraio 1980, n. 33, che ha convertito con modificazioni il decreto legge n. 663 del 1979. Anche nella sua nuova formulazione, l'art. 8 del decreto stesso prefigurerebbe, infatti, "l'inserimento delle Regioni in un circuito finanziario interamente retto dallo Stato", venendo pertanto a violare le garanzie costituzionali dell'autonomia regionale.

Per contro, nell'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri, l'Avvocatura dello Stato ribadisce le argomentazioni già svolte per sostenere il rigetto dell'altro ricorso.

4. - Le cause sono state chiamate e discusse nell'udienza pubblica del 4 giugno 1980. Nel corso di essa, la difesa regionale ha dato atto che il deposito di entrambi i ricorsi è stato effettuato al di là del termine prescritto dall'art. 31 ultimo comma della legge n. 87 del 1953 (e richiamato dall'art. 32 ultimo comma della legge stessa), per cui "il ricorso deve essere depositato nella cancelleria della Corte entro il termine di dieci giorni dalla notificazione". Per altro, la difesa in questione ha sostenuto che tali ritardi non determinerebbero l'inammissibilità dei ricorsi medesimi. Il deposito presso la cancelleria della Corte andrebbe infatti inteso come un adempimento processuale, necessario per consentire che si svolga il relativo processo costituzionale; ma il corrispondente termine sarebbe ordinatorio, secondo il principio generale stabilito dal capoverso dell'art. 152 cod. proc. civ.; e la circostanza che il Presidente del Consiglio dei ministri si sia costituito in entrambi i giudizi, accettando il contraddittorio, basterebbe comunque a sanare l'eventuale vizio.

Rinviate a nuovo ruolo, con ordinanza n. 145 del 1980, le cause sono state discusse nell'udienza pubblica del 10 dicembre 1980.

In quest'ultima occasione, l'Avvocatura dello Stato ha insistito nelle già proposte conclusioni.

Considerato in diritto:

Come risulta dagli atti (senza che la difesa regionale lo abbia contestato in alcun modo), tanto il ricorso con cui la Regione Veneto ha impugnato l'art. 8 del decreto-legge 30 dicembre 1979, n. 663, quanto il conseguente ricorso relativo alla legge di conversione 29 febbraio 1980, n. 33, sono stati tardivamente depositati nella cancelleria di questa Corte, oltre i dieci giorni dalla notificazione, fissati dagli artt. 31 ultimo comma e 32 ultimo comma della legge 11 marzo 1953, n. 87, quanto all'impugnativa diretta delle leggi, regionali e statali: nell'un caso, il deposito è infatti avvenuto l'11 febbraio, mentre la notificazione risale al 30 gennaio 1980; del pari, nel secondo caso, il ricorso risulta depositato il 12 aprile, rispetto ad una notificazione effettuata il 29 marzo 1980. Ciò basta per desumerne che entrambi i ricorsi sono inammissibili, malgrado le contrarie considerazioni che la difesa regionale ha svolto nella pubblica udienza del 4 giugno 1980.

Vero è che, in base al capoverso dell'art. 152 cod. proc. civ., "i termini stabiliti dalla legge sono ordinatori, tranne che la legge stessa li dichiari espressamente perentori". Da un lato, però, la formulazione testuale dell'art. 31 ultimo comma della legge n. 87 del 1953, sottolineando la doverosità del deposito entro dieci giorni dalla notificazione del relativo ricorso, comporta per ciò stesso che il termine vada rispettato a pena di decadenza. D'altro lato, questa Corte ha ritenuto in varie decisioni (v. specialmente le sentt. n. 15 del 1967 e n. 30 del 1973, nonché l'ord. n. 109 del 1975) che i termini per la costituzione in giudizio presso di essa risentano delle "peculiarità dei giudizi di costituzionalità" e dell'"autonomia della loro disciplina processuale"; e che, pertanto, i termini medesimi siano "perentori per tutte le parti". Tali criteri s'impongono anche nei casi in esame, escludendo la pertinenza del richiamo allo art. 152 cod. proc. civ. (la cui considerazione non potrebbe comunque venire dissociata da quella degli artt. 153 e 154 del codice stesso); tanto più che nelle disposizioni sul funzionamento della Corte il punto di riferimento del processo costituzionale non è rappresentato dal diritto processuale civile, bensì dalle, "norme del regolamento per procedura innanzi al Consiglio di Stato in sede giurisdizionale" (cui rimanda esplicitamente, "in quanto applicabili", l'art. 22 primo comma della stessa legge n. 87 del 1953).

Che poi i termini fissati in tema di deposito del ricorso siano alquanto diversi secondo le diverse specie di procedimenti - dieci giorni per l'impugnativa diretta delle leggi, venti giorni quanto al conflitto di attribuzione tra Stato e Regioni (in base all'art. 27 cpv. delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale), di fronte ai trenta giorni prescritti "a pena di decadenza" dall'art. 36 del r.d. 26 giugno 1924, n. 1054 (recante il testo unico delle leggi sul Consiglio di Stato) - non toglie che in tutte queste ipotesi la doverosa tempestività del deposito, nei tempi improrogabili prefissati dall'ordinamento, venga presidiata dalla correlativa sanzione della decadenza, senza di che le controversie fra lo Stato e le Regioni finirebbero per poter essere instaurate sine die.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara inammissibili i ricorsi con cui la Regione Veneto ha promosso questione di legittimità costituzionale dell'art. 8 del decreto-legge 30 dicembre 1979, n. 663, come convertito e modificato dalla legge 29 febbraio 1980, n. 33.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 16 dicembre 1980.

F.to: LEONETTO AMADEI - GIULIO GTONFRIDA - EDOARDO VOLTERRA - MICHELE ROSSANO - ANTONINO DE STEFANO - LEOPOLDO ELIA - ORONZO REALE - BRUNETTO BUCCIARELLI DUCCI - ALBERTO MALAGUGINI - LIVIO PALADIN - ARNALDO MACCARONE - ANTONIO LA PERGOLA - VIRGILIO ANDRIOLI - GIUSEPPE FERRARI.