˙ Sentenza  182/1980 (ECLI:IT:COST:1980:182)
Giudizio:  GIUDIZIO DI LEGITTIMITÀ COSTITUZIONALE IN VIA INCIDENTALE
Presidente: AMADEI - Redattore:  - Relatore: MALAGUGINI
Camera di Consiglio del 30/10/1980;    Decisione  del 16/12/1980
Deposito del 22/12/1980;    Pubblicazione in G. U.
Norme impugnate:  
Massime:  12121
Atti decisi: 

Pronuncia

N. 182

SENTENZA 16 DICEMBRE 1980

Deposito in cancelleria: 22 dicembre 1980.

Pubblicazione in "Gazz. Uff." n. 357 del 31 dicembre 1980.

Pres. AMADEI - Rel. MALAGUGINI

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori: Avv. LEONETTO AMADEI, Presidente - Dott. GIULIO GIONFRIDA - Prof. EDOARDO VOLTERRA - Dott. MICHELE ROSSANO - Prof. ANTONINO DE STEFANO - Prof. LEOPOLDO ELIA - Prof. GUGLIELMO ROEHRSSEN - Avv. ORONZO REALE - Dott. BRUNETTO BUCCIARELLI DUCCI - Avv. ALBERTO MALAGUGINI - Prof. LIVIO PALADIN - Dott. ARNALDO MACCARONE - Prof. ANTONIO LA PERGOLA - Prof. VIRGILIO ANDRIOLI, Giudici,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 169, primo e terzo comma, del codice di procedura penale, promosso con ordinanza emessa il 5 giugno 1978 dal pretore di Milano, nell'incidente di esecuzione proposto da Sciancalepore Giovanni, iscritta al n. 493 del registro ordinanze 1978 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 10 del 10 gennaio 1979.

Udito nella camera di consiglio del 30 ottobre 1980 il Giudice relatore Alberto Malagugini.

Ritenuto in fatto:

In sede di incidente d'esecuzione promosso da Sciancalepore Giovanni avverso un ordine di carcerazione conseguente a condanna pronunciata dal pretore di Milano, il pretore stesso, con ordinanza in data 5 giugno 1978, ha rilevato: che la sentenza di condanna era stata appellata sia dall'imputato, presente, che dal difensore; che, dato regolare avviso di deposito della sentenza, non erano stati presentati i motivi; che conseguentemente, con ordinanza 25 luglio 1977, l'appello era stato dichiarato inammissibile. Di tale ultima ordinanza, l'avviso all'imputato è stato notificato nei modi "di cui all'art. 169, commi primo e terzo, c.p.p., con consegna di copia dell'atto al portiere, che sottoscrisse l'originale. Al destinatario fu inviato a mezzo lettera raccomandata il prescritto avviso dell'avvenuta notifica, ma quest'ultimo avviso fu restituito al mittente per assenza dell'interessato, senza che l'ufficio postale competente lo trattenesse per la giacenza di gg. 10, dopo avere dato il preventivo relativo avviso".

Su tale forma di notificazione - dalla cui validità dipende la formazione del giudicato e quindi la decisione sull'incidente d'esecuzione - il pretore solleva questione di legittimità costituzionale dell'art. 169, primo e terzo comma, cod. proc. pen., nell'interpretazione data dalla Corte di cassazione (sez. 6, sent. 2-7-1975, in Giust. pen. 1977, III, 89). Ritenuta l'applicabilità alle notifiche ex art. 169 c.p.p., delle disposizioni che regolano la distribuzione della corrispondenza ordinaria (artt. 26 e segg. r.d. 18 aprile 1940, n. 689), la Corte di cassazione ne ha tratto la conseguenza che "in caso di assenza del destinatario della raccomandata, presumendosi in via assoluta il rifiuto tacito del plico da parte del medesimo, questo è restituito subito al mittente, come prescrive l'art. 40, comma secondo, r.d. 18 aprile 1940, n. 689 per la corrispondenza ordinaria (senza avviso e periodo di giacenza previsto, invece, per le notifiche a mezzo della posta degli atti giudiziari). A tale stregua, la Cassazione considera come legalmente ricevuto non solo il plico rifiutato espressamente dal destinatario, ma anche quello non potuto consegnare per sua assenza".

Secondo il giudice a quo, simili conclusioni "sembrano contraddire con i principi espressi della Corte costituzionale. Questa, in sostanza, ha ritenuto l'art. 169, commi terzo e quinto, in contrasto con gli artt. 3 e 24, comma secondo, della Costituzione, perché come in precedenza formulati non garantivano la ricezione effettiva dell'atto notificato da parte del destinatario, cioè a dire la "conoscenza reale" dello stesso da parte dell'interessato, in modi e tempi tali da assicurargli, anche in relazione ai brevissimi termini per l'impugnazione, l'esercizio concreto ed effettivo della sua difesa.

La teoria del rifiuto tacito, non sorretta da alcuna norma positiva, non appare armonizzarsi con le esigenze di tutela delle garanzie della difesa fatte proprie dalla Corte costituzionale. Si pensi al soggetto che, allontanatosi con la propria famiglia anche per poche ore (o per uno o più giorni) dalla propria abitazione, rendendosi così assente, si veda recapitare l'avviso di cui all'art. 169 c.p.p. durante tale assenza e che non ne prenda quindi conoscenza reale (dato che questo, ai sensi dell'art. 40 r.d. 18 aprile 1940, n. 689 deve essere subito restituito al mittente in assenza del destinatario). Certamente questo soggetto non sarà posto in grado di avvalersi degli strumenti di difesa assicuratigli dall'ordinamento, nei sensi e nei modi precisati dalla Corte costituzionale, quando ha previsto come elemento essenziale della notifica la ricezione dell'avviso raccomandato.

La Corte di cassazione, inoltre, non sembra aver tenuto conto che le norme regolanti la distribuzione della posta ordinaria non prevedono tra le persone abilitate a ricevere una raccomandata il portiere, ma il solo destinatario in persona o il suo rappresentante, mandatario o delegato nel caso di raccomandata con ricevuta (art. 36 r.d. 18 aprile 1940, n. 689), e solo le persone di famiglia o conviventi e i direttori di alberghi, negozi, stabilimenti, uffici, manifatture e simili ove i destinatari siano alloggiati, o addetti per le corrispondenze raccomandate (art. 37 r.d. cit.). Cosicché, in caso di assenza anche breve del destinatario e delle persone abilitate a riceverlo, neppure il portiere potrebbe avere l'avviso, con il risultato certo che l'interessato non avrebbe notizia concreta e reale di questo".

Il dubbio d'incostituzionalità non sarebbe eliminato - osserva infine il pretore - nemmeno ad accogliere l'orientamento di altre recenti sentenze della Cassazione, secondo cui agli avvisi di cui all'art. 169 sarebbero applicabili le norme per le notifiche degli atti giudiziari a mezzo posta. "Anche tali pronunce partono dal presupposto di ritenere l'assenza dello imputato dalla sua abitazione come rifiuto tacito a ricevere la raccomandata, dato che sia l'art. 8 del r.d. 21 ottobre 1923, n. 2393, sia l'art. 175 r.d. 18 aprile 1940, n. 689, prevedono solo il rifiuto espresso. A siffatta premessa si collega la conseguenza di reputare come perfezionativo della notifica o il solo periodo di giacenza (Cass. Sez. 5 22 aprile 1955 - 130668; Cass. Sez. VI 21 aprile 1977 - 136966) o assieme a quello l'avviso di giacenza (Cass. IV 23 gennaio 1976 - 132028; Cass. Sez. VI 22 settembre 1977 - 136741), secondo quanto prescritto dalle norme citate.

E appena il caso di osservare che i termini del problema non cambiano poiché anche questa seconda interpretazione parte dalla teoria del rifiuto tacito, sulla quale si appuntano i dubbi di costituzionalità".

Considerato in diritto:

1. - Il giudice a quo dubita della legittimità costituzionale dell'art. 169, primo e terzo comma, cod. proc. pen. interpretato nel senso che l'avviso (previsto dal terzo comma) dell'avvenuta notificazione a mani del portiere debba essere recapitato secondo le norme sulla distribuzione della corrispondenza ordinaria (art. 26 e segg. r.d. 18 aprile 1940, n. 689) e comunque nel senso che l'assenza del destinatario, quand'anche si ritenessero invece applicabili le norme sulle notificazioni degli atti giudiziari a mezzo del servizio postale (r.d. 21 ottobre 1923, n. 2393), viene equiparata al rifiuto a ricevere l'atto, con la conseguente restituzione del plico al mittente.

Una tale disciplina contrasterebbe, secondo il pretore di Milano, con gli artt. 3 e 24 Cost. in quanto, presumendo il rifiuto del destinatario (imputato non detenuto) a ricevere la raccomandata anche quando costui (ed i suoi familiari con lui conviventi o gli altri soggetti abilitati a ricevere il plico) siano (temporaneamente) assenti, si frustrerebbe lo scopo cui è preordinato l'invio della raccomandata contenente la notizia dell'avvenuta notificazione a mani del portiere, quale elemento integrante e sostanziale di una tale notificazione: vale a dire la "conoscenza reale" dell'atto, così notificato, da parte del destinatario.

La questione non è fondata.

2. - Questa Corte ha avuto modo di ribadire, decidendo altra questione proposta dal medesimo giudice (Ord. 333/78, sentenza n. 181 del 1980) che le notificazioni tendono a "portare il contenuto dell'atto nell'effettiva sfera di conoscibilità dell'interessato" e che, quindi, sono legittime le forme di notificazione rispondenti "a criteri tali da realizzare il maggior numero di probabilità che si verifichi la conoscenza reale dell'atto da parte del destinatario" (sent. n. 170 del 1976).

A questi criteri risponde la forma di notificazione prevista dall'art. 169, primo e terzo comma, cod. proc. pen., là dove si prescrive che alla consegna di copia dell'atto a mani del portiere si accompagni l'invio al destinatario della raccomandata contenente la notizia della notificazione in quel modo avvenuta. Ciò soprattutto, quando si ricordi che con la citata sentenza n. 170 del 1976 questa Corte ha dichiarato quella comunicazione "elemento integrante e sostanziale" della notificazione stessa.

3. - La disposizione di cui all'art. 169, terzo comma, cod. proc. pen., prescrivendo che la notizia sia data al destinatario a mezzo di lettera raccomandata, rinvia, ovviamente, per quanto attiene ai modi di recapito, e all'individuazione dei soggetti cui quella lettera può essere consegnata, alle norme che disciplinano il servizio postale, norme che, relativamente ai soggetti in questione, non si differenziano punto, sia che si tratti di lettera raccomandata sia che si tratti di lettera raccomandata con ricevuta di ritorno.

Il problema specifico posto dall'ordinanza di rimessione riguarda però, l'ipotesi in cui la lettera raccomandata (con o senza ricevuta di ritorno) non si sia potuta consegnare per assenza del destinatario e delle altre persone abilitate a riceverla in sua vece.

Tale ipotesi è prevista dalla normativa in vigore per il recapito della corrispondenza ordinaria. Precisamente, l'art. 40 del codice postale e delle telecomunicazioni approvato con r.d. 27 febbraio 1936, n. 645, e successive modificazioni, statuendo che "le corrispondenze raccomandate e assicurate provenienti dall'interno della Repubblica che non si siano potute recapitare o restituire ai mittenti sono aperte" ecc. pone in modo chiaro come conseguenza dell'impossibilità di recapitare la corrispondenza l'obbligo di restituirla al mittente. Ciò trova riscontro in quanto disposto dall'art. 40, ultimo comma, del r.d. 18 aprile 1940, n. 689, ai sensi del quale le corrispondenze (ordinarie) che per qualunque ragione non si siano potute recapitare "debbono essere rimandate senz'altro al mittente", mentre analoga disposizione è contenuta nel successivo articolo 176, applicabile alle notificazioni degli atti giudiziari a mezzo del servizio postale (e cioè a mezzo di raccomandata con ricevuta di ritorno), che prescrive la restituzione al mittente, a corso di posta del plico non potuto consegnare per cambiamento di domicilio o di residenza del destinatario o per irreperibilità di esso.

Il dato normativo porta quindi a distinguere il rifiuto espresso dal destinatario o dagli altri soggetti abilitati a ricevere la raccomandata (senza o con ricevuta di ritorno), che presuppone la reperibilità e la presenza di uno di costoro al momento del recapito ed esige l'annotazione del rifiuto (articoli 40 e 175 r.d. n. 689 del 1940), dalla impossibilità di effettuare il recapito per qualsivoglia motivo e quindi anche per l'assenza di tutti i soggetti cui la corrispondenza in questione può essere recapitata (artt. 40, terzo comma, e 176 r.d. citato).

4. - Gli adempimenti ulteriori cui gli agenti postali sono tenuti nei casi di assenza delle persone abilitate a ricevere le raccomandate di che trattasi sono desumibili dalla normativa vigente, pur di non agevole sistemazione, che, per il disposto dell'art. 344, ultimo comma, del codice postale, e dell'art. 2 del r.d. 18 aprile 1940, n. 689 (portanti abrogazione delle sole disposizioni contrarie o incompatibili con le norme in essi contenute), comprende anche il regolamento del 1901 (r.d. 10 febbraio 1901, n. 120) integrato con le istruzioni per il servizio delle corrispondenze postali interne od internazionali emanate il 31 luglio 1908 dal Ministro delle poste e dei telegrafi Schanzer, tutt'ora in uso da parte dell'amministrazione postale.

Se ne ricava che la corrispondenza non potuta recapitare viene di norma portata per due volte ai recapiti designati (articolo 44 r.d. n. 120 del 1901) mentre gli uffici hanno l'obbligo di avvertire con apposito modulo, tra gli altri, i destinatari "di corrispondenza portata a domicilio due volte e non consegnata per assenza del destinatario o per non aver trovato persona idonea a riceverla in luogo e vece del destinatario medesimo"(art. 862 lett. f) delle istruzioni del 19Q8) ripetendo tale avviso, spedito questa seconda volta in raccomandazione, trascorsi due giorni, dall'invio del plico (ibidem art. 864, secondo comma) e pone l'obbligo dell'impiegato di "adoperare tutti i mezzi possibili per rintracciare il destinatario e il mittente ed avvertirlo della giacenza della corrispondenza". L'avviso di giacenza è, inoltre, presupposto dall'art. 112 del r.d. n. 689 del 1940, mentre è previsto esplicitamente dal successivo art. 201. In parallelo l'art. 175 del medesimo r.d., per le sole ipotesi però di rifiuto espresso di ricevere il plico raccomandato con ricevuta di ritorno a mezzo del quale viene effettuata la notificazione, prescrive che sia lasciato avviso presso il destinatario del deposito del plico stesso presso l'ufficio postale per un periodo di giacenza di dieci giorni, ma stabilisce altresì che, fatta menzione del rifiuto sull'avviso di ricevimento, subito recapitato al mittente, la notificazione si ha per eseguita.

5. - Non spetta a questa Corte stabilire quale normativa e a quale effetto vada applicata per il recapito della lettera raccomandata prevista dall'art. 169, terzo comma, cod. proc. pen. Il giudice a quo dà conto dei diversi orientamenti sin qui manifestati dalla Corte di cassazione, che ha ritenuto applicabili talvolta le disposizioni regolanti il recapito della corrispondenza ordinaria, tal'altra quelle disciplinanti le notificazioni degli atti giudiziari a mezzo del servizio postale.

Spetta invece a questa Corte verificare se l'inoltro delle raccomandate di cui all'art. 169, terzo comma, cod. proc. pen., quale che sia la disciplina normativa ritenuta pertinente, quando non sia possibile la consegna del plico per assenza del destinatario e delle altre persone idonee a riceverlo, di talché la raccomandata stessa viene restituita all'ufficiale giudiziario mittente, integri la notificazione avvenuta mediante consegna di copia al portiere, in modo costituzionalmente corretto.

La risposta deve essere positiva, in aderenza ai principi sopra richiamati al punto due. Invero, la disposizione di legge denunziata vuole integrare la notificazione effettuata a mani del portiere dando "al destinatario una maggiore possibilità di conoscenza dell'avvenuta consegna" (sent. n. 77 del 1972).

L'uso del mezzo postale, con le particolari garanzie che circondano la distribuzione dei plichi raccomandati, è tutto quanto il legislatore può fare, perché abbia a verificarsi il maggior numero di probabilità che la notizia della notificazione avvenuta a mani del portiere giunga nella sfera di effettiva conoscibilità dell'interessato. Non si può fare carico al legislatore di ovviare all'assenza del destinatario e degli altri soggetti idonei a ricevere il plico, mentre se la validità di una notificazione effettuata a mani del portiere fosse condizionata dalla presenza o meno nei luoghi previsti dall'art. 169 delle persone cui può essere consegnata la raccomandata, si rimetterebbe alla discrezionalità degli interessati l'integrazione o meno della notificazione stessa.

Del resto, se si volesse accedere all'opposta tesi, il risultato non sarebbe certo tale da offrire maggiori garanzie difensive, perché all'imputato che risultasse e venisse dichiarato irreperibile le notificazioni andrebbero effettuate nel modo previsto dall'art. 170 cod. proc. pen.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 169, primo e terzo comma, cod. proc. pen. sollevata in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione dal pretore di Milano con l'ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, in camera di consiglio, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 16 dicembre 1980.

F.to: LEONETTO AMADEI - GIULIO GIONFRIDA - EDOARDO VOLTERRA - MICHELE ROSSANO - ANTONINO DE STEFANO - LEOPOLDO ELIA - GUGLIELMO ROEHRSSEN - ORONZO REALE - BRUNETTO BUCCIARELLI DUCCI - ALBERTO MALAGUGINI - LIVIO PALADIN - ARNALDO MACCARONE - ANTONIO LA PERGOLA - VIRGILIO ANDRIOLI.

GIOVANNI VITALE - Cancelliere