˙ Sentenza  178/1980 (ECLI:IT:COST:1980:178)
Giudizio:  GIUDIZIO DI LEGITTIMITÀ COSTITUZIONALE IN VIA INCIDENTALE
Presidente: AMADEI - Redattore:  - Relatore: MALAGUGINI
Udienza Pubblica del 29/10/1980;    Decisione  del 16/12/1980
Deposito del 22/12/1980;    Pubblicazione in G. U.
Norme impugnate:  
Massime:  12120
Atti decisi: 

Pronuncia

N. 178

SENTENZA 16 DICEMBRE 1980

Deposito in cancelleria: 22 dicembre 1980.

Pubblicazione in "Gazz. Uff." n. 357 del 31 dicembre 1980.

Pres. AMADEI - Rel. MALAGUGINI

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori: Avv. LEONETTO AMADEI, Presidente - Dott. GIULIO GIONFRIDA - Prof. EDOARDO VOLTERRA - Dott. MICHELE ROSSANO - Prof. ANTONINO DE STEFANO - Prof. LEOPOLDO ELIA - Prof. GUGLIELMO ROEHRSSEN - Avv. ORONZO REALE - Dott. BRUNETTO BUCCIARELLI DUCCI - Avv. ALBERTO MALAGUGINI - Prof. LIVIO PALADIN - Dott. ARNALDO MACCARONE - Prof. ANTONIO LA PERGOLA - Prof. VIRGILIO ANDRIOLI, Giudici,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi di legittimità costituzionale dell'art. 177 bis del codice di procedura penale promossi con ordinanza 21 giugno 1975 del Pretore di Chieri e con ordinanza 26 marzo 1977 del Pretore di Guglionesi rispettivamente nei procedimenti penali a carico di Sidari Nicola ed altri e di Slimane Harrar, iscritte al n. 696 del registro ordinanze 1976 e al n. 221 del registro ordinanze 1977 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 346 del 1976 e n. 169 del 1977.

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 29 ottobre 1980 il Giudice relatore Alberto Malagugini;

udito l'avvocato dello Stato Giorgio Azzariti, per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto:

1. - In un procedimento penale a carico di Sidari Nicola, il Pretore di Chieri, dovendo decidere sulla contumacia dell'imputato, non presentatosi al dibattimento, e quindi sulla validità (della notifica) del decreto di citazione a giudizio, con ordinanza in data 21 giugno 1975 ha osservato: che l'imputato risultava dagli atti risiedere in Australia, ad indirizzo conosciuto; che gli era perciò stata data comunicazione del procedimento iniziato a suo carico, ex art. 177 bis c.p.p., con raccomandata senza ricevuta di ritorno, in data 17 dicembre 1974; che non avendo l'imputato dato risposta, non esisteva prova se e quando l'avviso fosse pervenuto al destinatario. Tale situazione, pur conforme alla lettera dell'art. 177 bis c.p.p., ad avviso del giudice a quo "si sostanzia in una violazione degli artt. 3 e 24 cpv. Cost., e non può essere sanata altrimenti che con una pronuncia di illegittimità costituzionale dello stesso art. 177 bis c.p.p., nella misura in cui considera effettuata la comunicazione ivi prevista indipendentemente dalla acquisizione della prova del se e del quando essa sia effettivamente pervenuta, in aderenza alle statuizioni poste dalla Corte costituzionale con sentenze 27 aprile-4 maggio 1972, n. 77, e 1-9 giugno 1967, n. 70".

2. - Intervenendo nel giudizio davanti alla Corte costituzionale, l'Avvocatura generale dello Stato riconosce che l'interpretazione della norma impugnata, fatta propria dal giudice a quo, è quella prevalente in dottrina, ancorché non incontroversa (taluno infatti, in base ad un'interpretazione sistematica, ritiene che anche per le comunicazioni ex art. 177 bis c.p.p. occorrerebbe l'avviso di ricevimento). La questione di legittimità costituzionale sarebbe comunque non fondata. L'avviso di ricevimento, previsto dalla convenzione postale universale, non impone alle Amministrazioni postali alcuna particolare attività di ricerca del destinatario al fine di realizzare il recapito; la regolamentazione relativa è uguale per tutte le raccomandate, con o senza ricevuta di ritorno; e la funzione dell'avviso è "essenzialmente, se non esclusivamente, quella di fornire al mittente la prova, da valere in particolar modo contro il destinatario, dell'avvenuta consegna a costui del piego spedito ". La questione di legittimità costituzionale, in relazione all'art. 24 Cost., "si risolve allora esaminando se la prescrizione della ricevuta di ritorno possa valere a rendere più idoneo lo strumento regolato dalla norma impugnata, inteso ad assicurare, proprio a tutela del diritto di difesa dell'imputato, che le notificazioni nel corso del processo penale siano fatte in modo da renderlo effettivamente edotto degli atti processuali che la legge stabilisce siano portati nella sua sfera di disponibilità. La risposta è negativa perché, come si è osservato, la ricevuta di ritorno non vale ad aumentare in alcun modo le probabilità che l'avviso di procedimento sia effettivamente consegnato al destinatario; ciò basta ad escludere qualsiasi violazione, ad opera della norma impugnata, del diritto di difesa dell'imputato, che non sarebbe più garantito se la norma stessa prescrivesse l'invio della raccomandata con ricevuta di ritorno".

Quanto al richiamo, non altrimenti specificato, all'art. 3 Cost., per l'Avvocatura dello Stato "sembra che il giudice a quo abbia ritenuto irrazionale l'eguale trattamento riservato a chi, ricevuta la comunicazione, non abbia proceduto a dichiarazione od elezione di domicilio ed a chi non abbia, invece, ricevuto la comunicazione stessa.

Ma si tratta, ancora, di questione infondata. Per quanto riguarda l'imputato negligente la stessa ordinanza non contesta la legittimità della norma impugnata: è lo stesso imputato che, col suo comportamento, impedisce che il procedimento regolato dall'art. 177 bis raggiunga il suo scopo. Il mancato recapito della lettera raccomandata mostra di norma che la notizia risultante dagli atti del luogo di dimora dell'imputato non è (più) esatta; comunque non è sufficiente a permettere di raggiungere l'imputato con i consueti mezzi di comunicazione. In entrambi i casi, sia pure per diverse ragioni, è perciò giustificata la conseguenza che la norma fa derivare dalla mera circostanza oggettiva della mancata elezione di domicilio: la parificazione della condizione dell'imputato con domicilio all'estero noto (o tale ritenuto) a quella dell'imputato del quale non si conosca la dimora all'estero.

Deve del resto dirsi che, dopo la sentenza n. 177 del 1974 la così operata parificazione non comporta automaticamente il ricorso al rito per le notificazioni agli irreperibili: specie quando abbia alcun dubbio sull'avvenuto ricevimento, da parte dell'imputato, della lettera raccomandata contenente l'avviso di procedimento iniziato a suo carico, il giudice, prima di emettere il decreto di irreperibilità ha il dovere di disporre nuove indagini volte ad individuare l'esatto recapito dell'imputato, indagini sempre possibili senza alcuna limitazione nel territorio nazionale, particolarmente nel luogo di nascita ed in quello di ultima dimora, ed anche all'estero, nei limiti consentiti dal diritto internazionale ".

3. - In un procedimento penale contro Slimane Harrar, risultante dagli atti risiedere all'estero, il Pretore di Guglionesi, dovendo decidere sulla contumacia dell'imputato non presentatosi al dibattimento, e quindi sulla validità della citazione a giudizio, con ordinanza in data 26 marzo 1977 ha osservato che l'avviso ex art. 177 bis c.p.p. era stato spedito all'imputato con lettera raccomandata in data 12 gennaio 1977, e che, non essendo stato eletto domicilio nello Stato, le notificazioni all'imputato erano state fatte con il rito degli irreperibili. In tale situazione, ritiene il giudice a quo che la disciplina di cui all'art. 177 bis c.p.p., malgrado le già intervenute pronunce della Corte costituzionale (n. 31/65, n. 70/67, n. 177/74), comporti una violazione del diritto di difesa costituzionalmente garantito, secondo cui è necessario che l'accusa sia portata a conoscenza dell'imputato in modo che questi possa difendersi personalmente.

"Certamente - argomenta il giudice a quo - il fatto di risiedere all'estero pone l'imputato in una situazione particolare e diversa rispetto all'imputato che risiede nello Stato ed è indiscutibile che tale situazione non può ostacolare il corso della giustizia.

Ciò non significa peraltro che il legislatore non debba predisporre, a tutela del diritto di difesa, una norma la quale assicuri, nei limiti del possibile, che l'accusa venga effettivamente portata nella sfera di conoscibilità dell'imputato residente all'estero. Ciò premesso, non sembra che la norma di cui all'art. 177 bis c.p.p. rispetti, nel senso sopra specificato, il diritto di difesa.

Invero, poiché sono note le croniche disfunzioni del servizio postale, non può escludersi che le raccomandate di cui alla citata norma non giungano, in una rilevante percentuale dei casi, ai destinatari. In tale situazione, far discendere, nel silenzio dell'imputato, dalla semplice spedizione della raccomandata una presunzione assoluta della sua ricezione da parte del destinatario e della conoscenza del procedimento penale contro di lui iniziato, significa disconoscere e quindi violare in un non esiguo numero di casi, il diritto di difesa dello imputato.

Tutto ciò potrebbe essere evitato qualora si facesse dipendere l'instaurazione del rito degli irreperibili non dalla spedizione della raccomandata, ma dalla sua ricezione da parte dell'imputato.

In ottemperanza al principio che la garanzia della difesa intesa come conoscenza effettiva dell'accusa e conseguente effettiva instaurazione del contraddittorio, non può ritenersi osservata quando, pur essendo possibile adottare un mezzo che consenta di portare il contenuto dell'avviso di procedimento nell'effettiva sfera di conoscibilità dell'imputato, si faccia ricorso ad uno meno sicuro, facendone derivare una presunzione legale di conoscenza (ved. sentenza di codesta Corte numero 77 del 27 aprile 1972) sembra doversi concludere per la non manifesta infondatezza della questione di costituzionalità dell'art. 177 bis c.p.p. nella parte in cui prevede che, nel silenzio dell'imputato residente all'estero, possa essere emesso il decreto di irreperibilità in base alla semplice spedizione della raccomandata contenente l'avviso del procedimento e non alla sua ricezione da parte del destinatario "

Considerato in diritto:

1. - Le questioni sollevate dal Pretore di Chieri e dal Pretore di Guglionesi con le ordinanze indicate in epigrafe, hanno identico oggetto. I due giudizi possono, quindi, essere riuniti e decisi con unica sentenza.

2. - I giudici a quibus dubitano della legittimità costituzionale dell'art. 177 bis c.p.p. "nella misura in cui considera effettuata la comunicazione ivi prevista indipendentemente dalla acquisizione della prova del se e del quando essa sia effettivamente pervenuta " al destinatario (ord. 696/76) ovvero "nella parte in cui prevede che, nel silenzio dell'imputato residente all'estero, possa essere emesso il decreto di irreperibilità in base alla semplice spedizione della raccomandata contenente l'avviso del procedimento e non alla sua ricezione da parte del destinatario " (ord. n. 221/77).

La normativa in esame, che presume la ricezione della raccomandata contenente l'avviso una volta che ne sia provata semplicemente la spedizione, comporterebbe disconoscimento e quindi violazione "in un non esiguo numero di casi " del diritto di difesa dell'imputato, la cui inviolabilità è affermata dall'art. 24, secondo comma, Cost. e contrasterebbe anche, a giudizio del solo Pretore di Chieri, che peraltro, non motiva specificatamente sul punto, con il principio di eguaglianza di cui all'art. 3 Cost.

La questione è fondata.

3. - L'avviso previsto dall'art. 177 bis c.p.p. (con il quale, in forza della novella del 1955, veniva recuperata, pur con notevoli modificazioni, la disposizione dell'art. 113 del c.p.p. del 1913) ha lo scopo di consentire l'instaurazione di un effettivo contraddittorio, dando all'imputato, cittadino o straniero, dimorante all'estero ad indirizzo conosciuto, la notizia del procedimento penale pendente a suo carico, con contestuale invito a dichiarare od eleggere domicilio nel territorio nazionale per la notificazione degli atti.

Come questa Corte ha rilevato (sent. n. 70 del 1967), tale atto "non può essere considerato una pura formalità, oppure un semplice monito, ma è destinato a raggiungere determinati precisi effetti, che possono compendiarsi nel trovare un punto di incontro nel territorio nazionale fra l'autorità procedente e lo stesso imputato alfine di consentire a questo ultimo l'esercizio del diritto di difesa".

Infatti, l'avviso di cui all'art. 177 bis c.p.p. è il mezzo previsto dall'ordinamento processuale penale per portare a conoscenza dell'imputato dimorante all'estero ad indirizzo conosciuto l'esistenza del procedimento penale pendente a suo carico e insieme per consentirgli - aderendo al contestuale invito -di dichiarare od eleggere domicilio nel territorio nazionale. Soltanto se tale facoltà (di dichiarare od eleggere domicilio) non viene esercitata entro un congruo termine o se la dichiarazione o l'elezione di domicilio nel territorio nazionale sono insufficienti o inidonee, il giudice o il pubblico ministero emette il decreto previsto dall'art. 170 c.p.p. in forza del quale "le notificazioni non potute fare e quelle che occorressero in seguito per tutta la durata del procedimento " sono "eseguite mediante deposito nella cancelleria o segreteria dell'ufficio giudiziario" dandone avviso senza ritardo al difensore nominato con il decreto stesso.

Sul testo originario dell'art. 177 bis del c.p.p. hanno inciso, per la parte che qui rileva, le sentenze 23 aprile 1965, n. 31 e 9 giugno 1967, n. 70 di questa Corte, nella linea di una tendenziale equiparazione, per quanto attiene alla garanzia della difesa, dei soggetti nei confronti dei quali è in corso procedimento penale, quale che sia il luogo in cui essi dimorano, dentro o fuori il territorio nazionale, siano essi cittadini italiani o stranieri. Ciò nel presupposto, esplicitamente affermato nella sentenza n. 177 del 1974, che nel processo penale sono in giuoco (e la difesa è garantita per tutelare) diritti inviolabili dell'uomo.

4. - Dalla ricezione dell'avviso di cui all'art. 177 bis c.p.p. deriva, dunque, per l'imputato residente all'estero ad indirizzo noto, non solo la conoscenza del procedimento pendente a suo carico, ma anche la possibilità di dichiarare o eleggere domicilio nel territorio nazionale entro un congruo termine ai fini delle ulteriori notifiche per tutto il corso del procedimento stesso.

Nella ipotesi qui considerata, il decreto di irreperibilità di cui all'art. 170 c.p.p. consegue non già alla non conoscenza o alla impossibilità di conoscere dove l'imputato dimori (che anzi della sua dimora all'estero deve esistere agli atti notizia precisa), ma all'inerzia o all'incuria dell'imputato, comportamenti, questi, che presuppongono sicuramente la ricezione dell'avviso.

Ne deriva, allora, che la conoscenza dell'avviso e dell'invito previsti dal primo comma dell'art. 177 bis c.p.p. non può presumersi per il solo fatto della spedizione della raccomandata che li contiene, ma - tenendo conto delle sempre possibili disfunzioni, non fosse altro che in termini di ritardi, dei servizi postali - si deve, invece acquisire la prova che la raccomandata è stata effettivamente recapitata al destinatario o ad altro dei soggetti abilitati a riceverla in sua vece (ai sensi degli ordinamenti e delle convenzioni internazionali postali), così da conseguire la certezza che il contenuto dell'atto sia pervenuto nella effettiva sfera di conoscibilità del destinatario stesso. Ciò tanto più quando la previsione di un "congruo termine " per la dichiarazione o l'elezione di domicilio nel territorio nazionale (di cui alla sent. n. 70 del 1967) richiede che sia individuabile con sicurezza il dies a quo per la decorrenza del termine medesimo: termine che, essendo posto per l'esercizio di una facoltà riconosciuta all'imputato (e, solo subordinatamente alla di lui inerzia od incuria, per l'emissione del decreto previsto dall'art. 170 c.p.p.) non può che decorrere dal momento in cui costui è stato posto in condizione di conoscere l'invito rivoltogli, per aderirvi o meno.

Deve dunque dichiararsi la parziale illegittimità dell'articolo 177 bis c.p.p. nei sensi e per gli effetti sopra specificati.

5. - Non compete, invece, a questa Corte stabilire in quale modo debba essere acquisita la prova dell'avvenuto recapito della raccomandata contenente l'avviso e l'invito di cui all'art. 177 bis, primo comma, c.p.p. né in particolare, pronunciare l'obbligatorio ricorso alla raccomandata con avviso di ricevimento.

Sono, queste, scelte riservate al legislatore, ferma restando l'esperibilità degli strumenti apprestati dalle convenzioni postali internazionali ovvero dalle procedure previste dalle convenzioni internazionali di assistenza giudiziaria in materia penale che - mette conto di rilevarlo - sono già recepite nell'ordinamento interno.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la illegittimità costituzionale dell'art. 177 bis, secondo comma, cod. proc. pen. nella parte in cui consente l'emissione del decreto preveduto dall'art. 170 c.p.p. nei confronti dell'imputato dimorante all'estero ad indirizzo conosciuto, al quale sia stato inviato l'avviso di procedimento mediante lettera raccomandata e che non abbia provveduto a dichiarare od eleggere domicilio nel territorio nazionale anche quando non risulti la avvenuta ricezione della raccomandata stessa.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 16 dicembre 1980.

F.to: LEONETTO AMADEI - GIULIO GIONFRIDA - EDOARDO VOLTERRA - MICHELE ROSSANO - ANTONINO DE STEFANO - LEOPOLDO ELIA - GUGLIELMO ROEHRSSEN - ORONZO REALE - BRUNETTO BUCCIARELLI DUCCI - ALBERTO MALAGUGINI - LIVIO PALADIN - ARNALDO MACCARONE - ANTONIO LA PERGOLA - VIRGILIO ANDRIOLI.

GIOVANNI VITALE - Cancelliere