˙ Sentenza  157/1980 (ECLI:IT:COST:1980:157)
Giudizio:  GIUDIZIO DI LEGITTIMITÀ COSTITUZIONALE IN VIA INCIDENTALE
Presidente: AMADEI - Redattore:  - Relatore: REALE O.
Udienza Pubblica del 12/11/1980;    Decisione  del 27/11/1980
Deposito del 15/12/1980;    Pubblicazione in G. U.
Norme impugnate:  
Massime:  9968
Atti decisi: 

Pronuncia

N. 157

SENTENZA 27 NOVEMBRE 1980

Deposito in cancelleria: 15 dicembre 1980.

Pubblicazione in "Gazz. Uff." n. 352 del 24 dicembre 1980.

Pres. AMADEI - Rel. REALE

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori: Avv. LEONETTO AMADEI, Presidente - Dott. GIULIO GIONFRIDA - Prof. EDOARDO VOLTERRA - Dott. MICHELE ROSSANO - Prof. ANTONINO DE STEFANO - Prof. LEOPOLDO ELIA - Prof. GUGLIELMO ROEHRSSEN - Avv. ORONZO REALE - Dott. BRUNETTO BUCCIARELLI DUCCI - Prof. LIVIO PALADIN - Dott. ARNALDO MACCARONE - Prof. ANTONIO LA PERGOLA - Prof. VIRGILIO ANDRIOLI - Prof. GIUSEPPE FERRARI, Giudici,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale dell'art. 26 della legge 30 aprile 1969, n. 153, come modif. dall'art. 3 del d.l. 2 marzo 1974, n. 30, conv. in legge 16 aprile 1974, n. 114 e modif. dall'art. 3 della legge 3 giugno 1975, n. 160, promossi con le seguenti ordinanze:

1) ordinanza emessa il 19 ottobre 1976 dal pretore di Ferrara nel procedimento civile vertente tra Cardi Agnese e l'INPS, iscritta al n. 702 del registro ordinanze 1976 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 10 del 12 gennaio 1977;

2) ordinanza emessa il 14 dicembre 1976 dal pretore di Modena nel procedimento civile vertente tra Vivarelli Emma e l'INPS, iscritta al n. 10 del registro ordinanze 1977 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 51 del 23 febbraio 1977;

3) ordinanza emessa il 15 giugno 1977 dal pretore di Genova nel procedimento civile vertente tra Anelli Domenica e l'INPS, iscritta al n. 367 del registro ordinanze 1977 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 265 del 28 settembre 1977;

4) ordinanza emessa il 7 marzo 1979 dal pretore di Bologna nel procedimento civile vertente tra Salvini Bonaccini Giuseppina e l'INPS, iscritta al n. 379 del registro ordinanze 1979 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 168 del 20 giugno 1979.

Visti l'atto di costituzione di Vivarelli Emma e gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 12 novembre 1980 il Giudice relatore Oronzo Reale;

udito l'avvocato dello Stato Giovanni Albisinni, per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto:

Con ordinanza 19 ottobre 1976 (n. 702 Reg. ord. 1976) il pretore di Ferrara sollevava questione di legittimità costituzionale dell'art. 26 della legge 30 aprile 1969, n. 153, come modificato dall'art. 3 del d.l. 2 marzo 1974, n. 30 (convertito nella legge 16 aprile 1974, n. 114), nella parte in cui detta norma condiziona la corresponsione della pensione sociale al mancato godimento di una pensione di guerra, ovvero riduce l'importo della pensione sociale qualora l'ammontare della pensione di guerra sia inferiore all'importo della pensione sociale, fino al raggiungimento complessivo dello stesso ammontare.

La parte attrice (Cardi Agnese) aveva richiesto all'INPS, nella concorrenza degli altri requisiti di legge, la corresponsione della pensione sociale, pur dichiarando di essere beneficiaria di pensione di guerra. L'istituto aveva rigettato l'istanza in applicazione della norma di cui al citato art. 26; in sede giurisdizionale, quale mezzo al fine di ottenere l'accoglimento della domanda, veniva sollevata questione di legittimità costituzionale con riferimento agli artt. 3 e 38 della Costituzione.

Il pretore, nel fare propria tale tesi, osservava che, abbia carattere risarcitorio, ovvero sia adempimento di un obbligo etico, il diritto alla pensione di guerra sorge in conseguenza di un sacrificio, sopportato in ragione del compimento di un dovere costituzionalmente imposto, che ingenera disagio in chi tale sacrificio ha dovuto sopportare.

Pertanto, la corresponsione della pensione di guerra deve essere considerata un atto riparatorio volto a dare parziale ristoro ad una situazione di svantaggio in cui il pensionato è venuto a trovarsi rispetto agli altri cittadini. Appare perciò in contrasto con l'art. 3 della Costituzione che il godimento di una pensione di guerra vada a costituire ostacolo alla corresponsione della pensione sociale allorché ne ricorrano gli altri requisiti prescritti dalla legge. Inoltre negare, in base alla attuale normativa, di poter accedere agli strumenti previdenziali, apprestati in via generale per tutti i cittadini, ai beneficiari di una pensione di guerra, sarebbe anche in contrasto con l'art. 38 della Costituzione, che prevede il diritto, per i cittadini bisognosi, al mantenimento ed alla assistenza sociale.

L'ordinanza veniva ritualmente notificata e comunicata; spiegava intervento il Presidente del Consiglio dei ministri per il tramite dell'Avvocatura generale dello Stato, mentre le parti non si costituivano.

L'Avvocatura dello Stato, nel richiamare i lavori parlamentari relativi alla legge n. 153 del 1969, rileva come la finalità della pensione sociale debba essere ravvisata nell'esigenza di ovviare alle primarie necessità di vita dei cittadini ultrasessantacinquenni bisognosi e sprovvisti di qualunque reddito avente carattere continuativo. La peculiare natura della pensione di guerra non esclude, quanto meno sotto il profilo economico, la effettività del reddito che la stessa procura ai beneficiari; consegue da ciò che l'esclusione di questi dall'ambito dei soggetti abilitati a percepire la pensione sociale sia logicamente corretta ed aderente ai principi costituzionali invocati, dei quali anzi può e deve essere considerata attuazione.

Con ordinanza in data 14 dicembre 1976 (n. 10 Reg. Ord. 1977); il pretore di Modena sollevava analoga censura di legittimità costituzionale impugnando sia il comma terzo, n. 2, che il comma quinto della disposizione surricordata, atteso che nel caso di specie la parte (Vivarelli Emma) aveva ottenuto dall'INPS la corresponsione di un assegno pari alla differenza tra l'importo della pensione di guerra di cui era titolare e l'importo allora in corso della pensione sociale.

Il giudice a quo invocava quale parametro costituzionale l'art. 3 della Costituzione; a sostegno del proprio giudizio di non manifesta infondatezza della questione adduceva per un verso argomenti analoghi a quelli del pretore di Ferrara, e, ancora, ragioni desumibili dall'esame dell'art. 27 della legge 18 marzo 1968, n. 313, dal quale risulterebbe evidente il trattamento di favore che il legislatore aveva riservato ai percettori di pensioni di guerra. Incomprensibile, ad avviso del magistrato remittente, risulterebbe l'eccezione - ritenuta unica - contenuta nella norma impugnata, atteso che essa verrebbe a colpire proprio, tra i beneficiari di pensione di guerra, i meno fortunati e più bisognosi. L'eguaglianza ai fini previdenziali ed assistenziali dei titolari di pensioni di guerra verrebbe così ad essere lesa in maniera irrazionale e pertanto in violazione dell'art. 3 della Costituzione.

L'ordinanza veniva ritualmente notificata e comunicata. Si costituiva Vivarelli Emma e spiegava intervento il Presidente del Consiglio dei ministri.

Nell'atto di costituzione, la Vivarelli aderisce sostanzialmente alla tesi svolta dal giudice a quo e chiede che la proposta eccezione venga accolta.

Del tutto analoghe a quelle riassunte a proposito dell'ordinanza del pretore di Ferrara sono le ragioni esposte dall'Avvocatura dello Stato per chiedere che la proposta eccezione venga dichiarata non fondata.

Anche il pretore di Genova, con ordinanza datata 15 giugno 1977 (n. 367 Reg. Ord. 1977), sollevava analoga questione, richiamando anche l'art. 3 della legge 3 giugno 1975, n. 160, con riferimento agli artt. 3 e 38 della Costituzione. Le argomentazioni svolte a sostegno della non manifesta infondatezza della questione sono largamente coincidenti con quelle del pretore di Modena; solo, nell'esaminare i motivi di contrasto con l'art. 3 della Costituzione, il giudice a quo rileva che l'art. 26 citato sarebbe discriminatorio senza giustificazione nell'ambito dei pensionati di guerra, in quanto tra di essi esclude totalmente dal diritto a percepire la pensione sociale quelli che hanno subito un maggior danno. (e perciò godono della pensione di guerra più alta) e solo parzialmente coloro che hanno subito un danno minore e godono perciò di una pensione minore.

Comunicata e notificata l'ordinanza, si costituiva, peraltro fuori termine, Anelli Domenica, parte ricorrente nel giudizio di merito, con una memoria nella quale sosteneva la fondatezza della proposta questione.

Infine, il pretore di Bologna, con ordinanza in data 7 marzo 1979 (n. 379 Reg. Ord. 1979), sollevava la medesima questione. L'ordinanza di remissione è motivata esclusivamente con riferimento a quella del pretore di Modena.

Non si è avuta costituzione di parti: è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, per il tramite dell'Avvocatura generale dello Stato, svolgendo le argomentazioni già note..

Considerato in diritto:

1. - Con le quattro ordinanze di cui in narrativa i pretori di Ferrara, Modena, Genova e Bologna sollevano la medesima questione di legittimità costituzionale, tutti con riferimento all'art. 3 della Costituzione, due con riferimento anche all'art. 38. I giudizi possono essere quindi riuniti e decisi con unica sentenza.

2. - La questione non è fondata con riferimento ad alcuno dei due invocati parametri costituzionali.

Risulta chiaramente dal testo dell'art. 26 della legge n. 153 del 1969, istitutiva della pensione sociale, ed è confermato dai lavori parlamentari che si conclusero con la sua approvazione, quali siano la natura, la destinazione e il fine della pensione sociale. La legge stabilisce che i destinatari sono i cittadini ultrasessantacinquenni residenti nel territorio nazionale che, "comunque, non siano titolari di redditi a qualsiasi titolo di importo pari o superiore a L.156.000 annue", con esclusione dal loro calcolo del reddito dominicale della casa di abitazione. Di questa regola costituisce esplicita applicazione la condizione che i beneficiari della pensione sociale "non abbiano titolo a rendite o prestazioni economiche previdenziali od assistenziali, ivi comprese le pensioni di guerra".

Il legislatore del 1969 intese introdurre, "per la prima volta, nell'ordinamento giuridico italiano... un principio di sicurezza sociale", il "diritto, cioè, di tutti i cittadini anziani e bisognosi alla assistenza" (confr. relazioni del ministro proponente e del relatore della legge al Senato).

Come la dottrina ha posto in evidenza, l'istituzione della pensione sociale si inquadra nell'attuazione del primo (non del secondo) comma dell'art. 38 della Costituzione, che attribuisce ad "ogni cittadino inabile al lavoro e sprovvisto dei mezzi necessari per vivere" il "diritto al mantenimento ed alla assistenza sociale".

La natura assistenziale della pensione sociale è fra l'altro sottolineata dal fatto che essa è a carico dello Stato.

Questa essendo la natura della pensione sociale, il presupposto della mancanza di altri redditi di importo complessivo superiore a quello della pensione, non irragionevolmente opera anche in confronto della pensione di guerra, come il legislatore ha stabilito.

Le giuste considerazioni dei giudici a quibus sul carattere risarcitorio della pensione di guerra come dovuto atto di riparazione verso chi ha sopportato un sacrificio in ragione del compimento di un dovere, la difesa della Patria, costituzionalmente imposto, possono assumere il solo rilievo di una critica alla misura entro la quale lo Stato ha dovuto contenere il riconoscimento economico di quel sacrificio.

Ma la pensione di guerra nella sua modesta entità non cessa di costituire, per chi la percepisce, un elemento di quel reddito complessivo minimo che costituisce la soglia (progressivamente aumentata con le leggi successive a quella del 1969) al di là della quale viene meno l'intervento assistenziale della collettività che si esprime nella pensione sociale; allo stesso modo (come si può osservare per analogia) il dovere dei parenti di somministrare gli alimenti (art. 438 c.c.) non sussiste quale che sia la fonte del reddito che esclude l'esistenza dello stato di bisogno.

Non esiste, quindi, la violazione dell'art. 3 della Costituzione, denunciata dai giudici a quibus, per il preteso trattamento differenziato che l'art. 26 della legge n. 153 del 1969 (nella sua formulazione originaria e in quella risultante dall'art. 3 del d.l. n. 30 del 1974 convertito nella legge n. 114 del 1974) stabilirebbe a danno dei pensionati di guerra, non escludendo il loro reddito dal novero di quelli la cui somma costituisce il limite della concessione ed entità della pensione sociale.

3. - Né è vero quel che afferma il pretore di Modena che, "a differenza di chi abbia invece diritto a qualsiasi altra prestazione di previdenza e di assistenza", il pensionato di guerra sia escluso dalla pensione sociale. Al contrario, come si è già ricordato, l'art. 26 (tanto nella formulazione del 1969, quanto e più incisivamente in quella del 1974), esclude dalla pensione sociale "coloro che hanno titolo a rendite o prestazioni economiche previdenziali ed assistenziali... erogate con carattere di continuità dallo Stato o da altri enti pubblici o da Stati Esteri", con la sola eccezione degli assegni familiari, evidentemente per la loro destinazione finale al sostentamento di persone diverse dal beneficiano della pensione sociale.

4. - Tanto meno esiste violazione dell'art. 3 della Costituzione per il fatto, singolarmente denunziato dal pretore di Genova, che "chi ha subito danno (di guerra) maggiore (indennizzato con maggiore pensione di guerra) non ha diritto alla pensione sociale, mentre acquisisce tale diritto chi ha subito un danno minore". Di tutta evidenza, ciò avviene non con violazione, ma con attuazione del principio di eguaglianza.

5. - Certo il legislatore avrebbe potuto nella sua discrezionalità, privilegiare le pensioni di guerra escludendone la rilevanza - come del resto aveva fatto nell'art. 27 della legge 18 marzo 1968, n. 313 sul riordinamento della legislazione pensionistica di guerra - ad ogni fine, anche previdenziale od assistenziale. Ma ciò, sempre nella sua discrezionalità non volle fare quando, successivamente, istituì la pensione sociale e ne dispose espressamente la non cumulabilità con le pensioni di guerra. Il che fu, sempre espressamente, confermato nell'art. 77 del testo unico sulle pensioni di guerra 23 dicembre 1978: nel quale l'apparente antinomia tra il primo comma, che ripete la irrilevanza del reddito da pensioni di guerra ai fini previdenziali ed assistenziali, e il secondo comma, che fa salve espressamente le disposizioni sulle pensioni sociali escludenti la loro cumulabilità con le pensioni di guerra, costituisce solo una ineleganza del testo, - cioè del modo del coordinamento - che non ne vulnera la chiarezza e l'efficacia, né consente rilievi di incostituzionalità, essendo la disposizione certamente non irragionevole, come innanzi si è dimostrato.

6. - I soli pretori di Ferrara e di Genova riferiscono anche all'art. 38, oltre che all'art. 3, della Costituzione il loro dubbio di incostituzionalità dell'art. 26 della legge istitutiva della pensione sociale più volte richiamata. Ma lo fanno: il pretore di Genova senza alcuna specificazione sulle ragioni del preteso contrasto fra la norma ordinaria e quella costituzionale; il pretore di Ferrara indicando il contrasto nel fatto che l'art. 38 della Costituzione "prevede espressamente il diritto, per ogni cittadino inabile al lavoro e sprovvisto dei mezzi necessari per vivere, al mantenimento e alla assistenza sociale".

Poiché la pensione sociale ha appunto il fine di soccorrere i cittadini sprovvisti dei mezzi necessari per vivere (quale che sia la fonte di questi mezzi), la censura risulta già confutata dalle precedenti considerazioni. Se poi la censura sottointendesse che, escludendo il cumulo di pensione sociale e pensione di guerra, la legge non assicurerebbe la sufficienza dei detti mezzi, essa investirebbe i limiti nei quali lo Stato è in grado di provvedere all'assistenza dei cittadini bisognosi, che siano o non siano titolari di pensioni di guerra, e, di tutta evidenza, non assurgerebbe al rango di questione costituzionale.

Quanto al richiamo che il pretore di Genova fa impropriamente all'art. 3 della legge 3 giugno 1975, n. 160, è sufficiente rilevare che la detta norma - limitandosi ad elevare l'importo della pensione sociale e corrispondentemente l'importo del reddito ostativo alla corresponsione della pensione sociale - è estranea alla questione di costituzionalità sottoposta alla Corte.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 26 della legge 30 aprile 1969, n. 153 e dell'art. 3 del d.l. 2 marzo 1974, n. 30 (convertito in legge con la legge 16 aprile 1974, n. 114 e come modificato dall'art. 3 della legge 3 giugno 1975, n. 160) come in epigrafe sollevata dai pretori di Ferrara, Modena, Genova e Bologna in relazione agli artt. 3 e 38 della Costituzione.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 27 novembre 1980.

F.to: LEONETTO AMADEI - GIULIO GIONFRIDA - EDOARDO VOLTERRA - MICHELE ROSSANO - ANTONINO DE STEFANO - LEOPOLDO ELIA - GUGLIELMO ROEHRSSEN - ORONZO REALE - BRUNETTO BUCCIARELLI DUCCI - LIVIO PALADIN - ARNALDO MACCARONE - ANTONIO LA PERGOLA - VIRGILIO ANDRIOLI - GIUSEPPE FERRARI.

GIOVANNI VITALE - Cancelliere