˙ Sentenza  156/1980 (ECLI:IT:COST:1980:156)
Giudizio:  GIUDIZIO DI LEGITTIMITÀ COSTITUZIONALE IN VIA INCIDENTALE
Presidente: AMADEI - Redattore:  - Relatore: VOLTERRA
Udienza Pubblica del 12/11/1980;    Decisione  del 27/11/1980
Deposito del 15/12/1980;    Pubblicazione in G. U.
Norme impugnate:  
Massime:  9391
Atti decisi: 

Pronuncia

N. 156

SENTENZA 27 NOVEMBRE 1980

Deposito in cancelleria: 15 dicembre 1980.

Pubblicazione in "Gazz. Uff." n. 352 del 24 dicembre 1980.

Pres. AMADEI - Rel. VOLTERRA

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori: Avv. LEONETTO AMADEI, Presidente - Dott. GIULIO GIONFRIDA - Prof. EDOARDO VOLTERRA - Dott. MICHELE ROSSANO - Prof. ANTONINO DE STEFANO - Prof. LEOPOLDO ELIA - Prof. GUGLIELMO ROEHRSSEN - Avv. ORONZO REALE - Dott. BRUNETTO BUCCIARELLI DUCCI - Prof. LIVIO PALADIN - Dott. ARNALDO MACCARONE - Prof. ANTONIO LA PERGOLA - Prof. VIRGILIO ANDRIOLI - Prof. GIUSEPPE FERRARI, Giudici;

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 8 della legge 29 aprile 1976, n. 177 (Collegamento delle pensioni del settore pubblico alla dinamica delle retribuzioni. Miglioramenti del trattamento di quiescenza del personale statale e degli iscritti alla casse pensioni degli istituti di previdenza) promosso con ordinanza emessa il 6 ottobre 1976 dalla Corte dei conti - Sez. III giurisdizionale, sul ricorso proposto da Salvetti Armando contro l'Amministrazione delle Ferrovie dello Stato, iscritta al n. 284 del registro ordinanze 1978 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 250 del 6 settembre 1978.

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri.

Udito nell'udienza pubblica del 12 novembre 1980 il Giudice relatore Edoardo Volterra;

udito l'avvocato dello Stato Pietro Francioli, per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto:

1. - Con ordinanza pronunziata il 6 ottobre 1976 nel ricorso promosso dal signor Armando Salvetti, la Corte dei conti, Sezione III, ha ritenuto non manifestamente infondata la questione di costituzionalità dell'art. 8 legge 29 aprile 1976, n. 177, nella parte in cui determina una quantificazione del nuovo trattamento complessivo, spettante ai pensionati cessati dal servizio al 1 gennaio 1976, che non hanno percepito l'assegno perequativo o indennità analoghe, in misura meno favorevole di quella riconosciuta dagli artt. 1, 2, 3 della stessa legge ai pensionati che ne hanno goduto in costanza di servizio, in riferimento all'art. 3 Cost.

Ha considerato all'uopo che nei confronti dei pubblici dipendenti ivi indicati, cessati dal servizio in epoca precedente al 1 gennaio 1976 (artt. 3 e 8), si sarebbe determinata una non giustificata disparità di trattamento tra coloro posti in quiescenza prima e coloro che invece erano stati collocati a riposo dopo la concessione dell'assegno perequativo pensionabile concesso ai pubblici dipendenti (Legge 15 novembre 1973, n. 734 per gli impiegati civili) o degli altri similari previsti per talune categorie (Legge 16 febbraio 1974, n. 57 per il personale ferroviario).

Solo questi ultimi infatti, in virtù del menzionato art. 8 della legge 177/1976, beneficerebbero agli effetti pensionistici del computo di tali assegni, sicché per i primi si determinerebbe una posizione deteriore, in contrasto però con il principio generalmente osservato dal legislatore ed operante in sede di riliquidazione del trattamento di quiescenza, inteso a porre tutti i pensionati nella medesima posizione economico-giuridica, indipendentemente dalla data di cessazione dal servizio.

Una tale deviazione non sarebbe giustificata né dal rispetto delle esigenze di bilancio, che ben avrebbero potuto essere garantite attraverso un più equo riparto dei concessi miglioramenti economici, né da altre ragioni di carattere tecnico concernenti il procedimento di adeguamento delle pensioni alla dinamica salariale, che assumono rilevanza secondaria rispetto al principio della par condicio.

2. - L'ordinanza è stata regolarmente comunicata, notificata e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale.

È intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, per chiedere che la questione sia dichiarata non fondata.

Osserva l'Avvocatura che non sembra possa disconoscersi, nella questione in esame, una difformità di posizione giuridica tra le categorie di pensionati e pertanto non può considerarsi inficiato da illegittimità costituzionale il sistema introdotto con la legge 1976, n. 177 (artt. 6 e 8) che col graduare il trattamento di quiescenza, in vista del necessario riferimento all'ultimo stipendio percetto, ha inteso privilegiare le pensioni di minore importo, tali rese per la non computabilità dell'assegno perequativo o di altro similare nella base pensionabile, in quanto non ancora operanti all'atto del collocamento a riposo del dipendente.

Costituirebbe principio di carattere generale, recepito nella normativa succedutasi a far tempo dalla soppressione del riferimento pensionistico alla media triennale degli emolumenti percetti (legge 29 aprile 1949, n. 221), che la liquidazione del trattamento di quiescenza sia effettuata sulla scorta dell'ultimo stipendio, paga o retribuzione integralmente percetta dal dipendente e degli assegni pensionabili spettanti all'atto del collocamento a riposo (art. 2 legge 11 luglio 1956, n. 734; artt. 43 e 200 d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092).

Ed è appunto a tale principio che si sarebbe uniformato il legislatore allorquando, nell'apportare miglioramenti al trattamento di quiescenza, ha ritenuto di privilegiare (art. 8) la categoria di pensioni che del ripetuto assegno perequativo, non avendo beneficiato in servizio, non potevano beneficiare in quiescenza.

In ogni caso con la legge 29 aprile 1976, n. 177 non si sarebbe inteso procedere ad alcuna riliquidazione, in senso tecnico, delle pensioni, ma accordare taluni miglioramenti, opportunamente graduati anche in forza delle intese intercorse al riguardo tra Governo e Sindacati. Del resto già la Corte costituzionale (sentenza 4 maggio 1973, n. 57) avrebbe avuto modo di puntualizzare che, in particolare per le ipotesi di vaste ed onerose innovazioni che siano altresì rilevanti, ed in modo non trascurabile, per le esigenze di bilancio, bene e dato al legislatore di adottare opportuni criteri di gradualità nell'estendere al trattamento di quiescenza le maggiorazioni accordate, senza incorrere, sul piano costituzionale, in alcuna illegittimità per la differenziazione di trattamento effettuato, in dipendenza della data di cessazione dal servizio, tra coloro che siano stati collocati a riposo.

Considerato in diritto:

1. - L'ordinanza in epigrafe promuove questione di legittimità costituzionale dell'art. 8 della legge 29 aprile 1976, n. 177 in riferimento all'art. 3 della Costituzione, in quanto nei confronti dei dipendenti statali cessati dal servizio anteriormente al 1 gennaio 1976 si sarebbe verificata una disparità di trattamento a seconda se la cessazione dal servizio fosse avvenuta prima o dopo la concessione dell'assegno perequativo o indennità analoghe spettante ai pubblici dipendenti in virtù delle leggi 15 novembre 1973, n. 734 e 16 febbraio 1974, n. 57. Soltanto coloro che di tali assegni avessero beneficiato in servizio ne beneficerebbero agli effetti pensionistici. Ciò contrasterebbe con l'indirizzo seguito dal legislatore in sede di riliquidazione del trattamento di quiescenza diretto a porre tutti i pensionati nella stessa posizione giuridica ed economica indipendentemente dalle diverse date di cessazione dal servizio. Questo contrasto non si giustificherebbe né con la necessità di bilancio né con esigenze tecniche per la attuazione dell'adeguamento.

2. - La questione non è fondata.

Come si ricava dai lavori preparatori, con la legge 29 aprile 1976, n. 177 si intese introdurre nel settore del pubblico impiego il principio della perequazione automatica delle pensioni, collegando le stesse alla dinamica delle retribuzioni, e migliorare il trattamento di quiescenza sia del personale statale sia degli iscritti alla Cassa pensioni degli istituti di previdenza. Il legislatore, comunque, nel perseguire con la necessaria gradualità questo obbiettivo non intese discostarsi dall'indirizzo recepito dal 1949, secondo cui la liquidazione del trattamento di quiescenza viene effettuata sulla scorta dell'ultimo stipendio, paga o retribuzione integralmente percetta dal pensionato e degli assegni pensionabili spettanti all'atto del collocamento a riposo.

Impropriamente quindi il giudice a quo si richiama ai precedenti normativi in tema di riliquidazione delle pensioni che pongono tutti i pensionati nella medesima posizione economico-giuridica, indipendentemente dalla data di cessazione dal servizio (Legge 8 aprile 1952, n. 212; d.P.R. il gennaio 1956, n. 20; Legge 11 luglio 1956, n. 734; Legge 11 giugno 1959, n. 353; Legge 18 marzo 1968, n. 249; d.P.R. 28 dicembre 1970, n. 1031; d.P.R. 30 giugno 1972, n. 748). Nella specie infatti non si verte in tema di riliquidazione, bensì, come è fatto palese oltre che dai richiamati lavori preparatori, anche dal titolo della legge e dal testo degli artt. 1, 3 e 12, in tema di perequazione tra pensione e retribuzioni, perequazione che peraltro mantiene fermo il trattamento base di quiescenza spettante al dipendente collocato a riposo.

D'altro canto, in sede di miglioramento del trattamento pensionistico e per evidenti intenti equitativi, il legislatore proprio con il denunziato art. 8 ha apportato un correttivo che privilegia quanti non avevano beneficiato dell'assegno perequativo durante l'attività di servizio.

3. - Questa normativa, che non si discosta dal sistema attualmente in vigore, non appare dunque inficiata da arbitrarietà, ma è frutto di quella discrezionalità del legislatore nella materia in esame, più volte ribadita da questa Corte e da ultimo nelle sentenze n. 57 del 1973 e 26 del 1980. Talché, mentre anche in questa sede si rinnova l'auspicio di una riorganizzazione dell'intero settore per raggiungere una proporzionalità ed una adeguatezza ottimale tra pensioni e stipendi (come posto in evidenza da ultimo nella citata sentenza n. 26 del 1980), non può dirsi violato il principio di eguaglianza consacrato nell'art. 3 della Costituzione.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 8 della legge 29 aprile 1976, n. 177 sollevata nell'ordinanza in epigrafe in riferimento all'art. 3 della Costituzione.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 27 novembre 1980.

F.to: LEONETTO AMADEI - GIULIO GIONFRIDA - EDOARDO VOLTERRA - MICHELE ROSSANO - ANTONINO DE STEFANO - LEOPOLDO ELIA - GUGLIELMO ROEHRSSEN - ORONZO REALE - BRUNETTO BUCCIARELLI DUCCI - LIVIO PALADIN - ARNALDO MACCARONE - ANTONIO LA PERGOLA - VIRGILIO ANDRIOLI - GIUSEPPE FERRARI.

GIOVANNI VITALE - Cancelliere