N. 155
SENTENZA 21 NOVEMBRE 1980
Deposito in cancelleria: 2 dicembre 1980.
Pubblicazione in "Gazz. Uff." n. 338 del 10 dicembre 1980.
Pres. AMADEI - Rel. ANDRIOLI
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori: Avv. LEONETTO AMADEI, Presidente - Dott. GIULIO GIONFRIDA - Prof. EDOARDO VOLTERRA - Dott. MICHELE ROSSANO - Prof. ANTONINO DE STEFANO - Prof. LEOPOLDO ELIA - Prof. GUGLIELMO ROEHRSSEN - Avv. ORONZO REALE - Dott. BRUNETTO BUCCIARELLI DUCCI - Avv. ALBERTO MALAGUGINI - Prof. LIVIO PALADIN - Dott. ARNALDO MACCARONE - Prof. ANTONIO LA PERGOLA - Prof. VIRGILIO ANDRIOLI, Giudici,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale dell'art. 209, comma secondo, del r.d. 16 marzo 1942, n. 267 (disciplina del fallimento, del concordato preventivo, dell'amministrazione controllata e della liquidazione coatta amministrativa) promossi con ordinanze emesse il 10 maggio 1975 dal Tribunale di Roma ed il 29, l'8 e il 22 gennaio (numero due ordinanze), il 18 marzo, il 28 e il 21 ottobre 1976 ed il 21 aprile 1977 dal Tribunale di Milano, rispettivamente iscritte al n. 389 del registro ordinanze 1975, ai nn. 454, 651, 652 e 653 del registro ordinanze 1976 ed ai nn. 4, 144, 145 e 428 del registro ordinanze 1977 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 288 del 1975, nn. 232, 333 e 340 del 1976 e nn. 59, 113 e 306 del 1977.
Visti gli atti di costituzione della Compagnia Mediterranea di Assicurazioni, di Bonfanti Carlo e della Banca Privata Italiana in liquidazione coatta amministrativa;
udito nell'udienza pubblica del 29 ottobre 1980 il Giudice relatore Virgilio Andrioli;
uditi l'avv. Michele Costa per Bonfanti, l'avv. Renato Scognamiglio per la Compagnia Mediterranea di Assicurazioni in liquidazione coatta amministrativa e l'avv. Giuseppe Guarino per la Banca Privata Italiana in liquidazione coatta amministrativa.
Ritenuto in fatto:
1. - Nello stato passivo, depositato dal liquidatore della Compagnia Mediterranea Assicurazioni nella Cancelleria del tribunale di Roma sotto la data del 30 maggio 1967, Carlo Bonfanti, residente a Robbiate, che vantava un credito di L.3.500.000, fu ammesso per L.50.000.
Il Bonfanti, cui l'avviso del deposito pervenne il 1 giugno 1967, provvide al deposito del ricorso per opposizione nella cancelleria del competente Tribunale il 1 giugno 1967, e cioè il giorno successivo alla scadenza del termine di quindici giorni, di cui all'art. 209, comma secondo, r.d. 16 marzo 1942, n. 267.
La causa, iscritta a ruolo il 7 novembre 1967, fu spedita per sentenza, nel contraddittorio della Compagnia, che eccepi la inammissibilità del ricorso, e del Bonfanti che sollevò questione d'incostituzionalità dell'art. 209 in riferimento agli artt. 3 e 24, primo e secondo comma Cost., all'udienza collegiale del 5 febbraio 1975.
L'adito Tribunale di Roma, con ordinanza 10-31 maggio 1975, comunicata e notificata nei modi di legge, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 288 del 29 ottobre 1975 e iscritta al n. 389 R.O. 1975, ha giudicato rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità sollevata dal Bonfanti per contrasto con l'art. 24, secondo comma Cost., e non per contrasto con l'art. 3, di cui il Bonfanti aveva denunciato la violazione per l'identico trattamento fatto ai creditori residenti nel circondario del tribunale, nella cui cancelleria è depositato lo stato passivo, e agli altri creditori, come il Bonfanti, residenti in luogo diverso. Ha il Tribunale ravvisato la offesa inferta al diritto di difesa in ciò che il termine per la opposizione decorrerebbe non già dalla data di comunicazione dell'avviso del deposito dello stato passivo sibbene dalla data del deposito stesso dal quale scaturirebbe una mera presunzione di conoscenza, e nella brevità della durata del termine. Né - ha proseguito il Tribunale - cederebbero le riassunte argomentazioni dinanzi alla sentenza 157/1971, con cui la Corte costituzionale ebbe a giudicare infondata la questione di legittimità dell'art. 98, che disciplina l'analoga situazione dell'accertamento del passivo fallimentare, perché diversa sarebbe la struttura della procedura di verifica del passivo di impresa in l.c.a., la cui prima fase si svolge avanti il liquidatone senza il rispetto del principio del contraddittorio e delle regole procedurali.
Avanti la Corte si sono costituiti la Compagnia per mezzo dell'avv. prof. Renato Scognamiglio, il quale, nell'atto depositato il 15 novembre 1975, si è richiamato alla sent. 157/ 1971 della Corte e ha concluso per la dichiarazione di legittimità dell'art. 209, e il Bonfanti per mezzo degli avv.ti Michele Costa e Arnaldo Maggi, i quali, nella comparsa depositata il 18 novembre 1975, non si sono limitati a richiamare le ragioni esposte nella ordinanza di rimessione, ma hanno ravvisato l'espressione dell'evolversi della giurisprudenza della Corte costituzionale nella sent. 139/1967 dichiarativa dell'illegittimità dell'art. 305 c.p.c., nella sent. 89/1972 dichiarativa della parziale incostituzionalità dell'art. 668 c.p.c. e, soprattutto, nella sent. 255/1974 dichiarativa della incostituzionalità degli artt. 183, primo e terzo comma, e 131, primo e terzo comma, r.d. 16 marzo 1942, n. 267.
Non ha spiegato intervento il Presidente del Consiglio dei ministri.
Nella memoria depositata il 14 ottobre 1980 la Compagnia richiama la sent. 14 gennaio 1977, n. 26, con la quale la Corte costituzionale ha ritenuto giustificato il trattamento riservato dall'art. 77 della legge bancaria (fatto salvo dall'articolo 209, quarto comma) ai creditori chirografari, di norma clienti delle banche, a favore dei quali milita la garanzia del segreto bancario.
Alla pubblica udienza del 29 ottobre 1980, nella quale il Giudice Andrioli ha svolto la relazione, il difensore della Compagnia ha illustrato l'adeguatezza del diritto di difesa del creditore anche nella procedura di accertamento del passivo di impresa soggetta a l.c.a. in contrasto con le argomentazioni, basate dal codifensore del Bonfanti, avv. Michele Costa, anche sulle sent. 14 e 15/1977 della Corte e intese ad evidenziare le caratteristiche della procedura di liquidazione coatta amministrativa rispetto al fallimento.
2. - Comune introduzione ai procedimenti 454/1976, 651/1976, 144/1977 e 428/1977 si è che la Banca Privata Italiana venne posta in liquidazione coatta amministrativa con decreto 27 settembre 1974 del Ministro per il Tesoro, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del successivo 28 settembre, e che con provvedimento di pari data il Governatore della Banca d'Italia nominò commissario liquidatore l'avv. Giorgio Ambrosoli.
Con lettera racc. R.R. pervenuta al destinatario il 6 manzo 1975, il liquidatore, richiamato l'art. 77 della legge bancaria (dal medesimo individuata nel r.d. 12 manzo 1936, n. 375), dia a Ermanno Mundo notizia di aver depositato nella cancelleria del Tribunale di Milano l'elenco dei creditori privilegiati e di aver presentato alla Banca d'Italia l'elenco dei creditori ammessi e delle somme a ciascuno riconosciute in via chirografaria; informò inoltre il Mundo di averlo - vista la domanda di ammissione da lui presentata - riconosciuto ed iscritto in via privilegiata per IVA per L.78.306 e in via chirografaria per capitale per L. 1.083.550, di cui L.652.550 soggette a ritenuta d'acconto.
Con ricorso, depositato nella cancelleria del Tribunale di Milano il 20 marzo 1975 e notificato, in una con il decreto presidenziale di designazione del giudice istruttore e di fissazione dell'udienza di comparizione, al liquidatore il successivo 7 maggio, il Mundo fece opposizione alla ammissione del credito di L.1.083.550 in via chirografaria chiedendone l'ammissione in via privilegiata.
Si costituì la Banca eccependo in via preliminare l'inammissibilità dell'opposizione del Mundo perché depositata nella cancelleria del Tribunale oltre il termine di quindici giorni dal deposito dell'elenco, fissato nell'art. 209, secondo comma r.d. 16 manzo 1942, n. 267, e negando l'applicabilità al caso dell'art. 209, ultimo comma, il quale farebbe salva l'applicazione dell'art. 77 della legge bancaria 7 marzo 1938, n. 141 per l'accertamento dei soli crediti chirografari, e chiedendone nel merito il rigetto.
Dal suo canto il Mundo obiettò nella conclusionale che il liquidatore, nella inserzione dei crediti vantati da esso Mundo nell'elenco dei creditori privilegiati ammessi, non aveva tenuto conto della lettera 20 dicembre 1974 n. 400.160 in cui aveva riconosciuto la natura privilegiata di tutto il credito, e, pertanto, non riusciva applicabile alla specie il termine di quindici giorni dal deposito in cancelleria dello stato passivo, di cui agli artt. 98 e 209, secondo comma, r.d. 267/1942, e denunciò l'incostituzionalità degli artt. 98 e 209, secondo comma dello stesso decreto in relazione all'art. 77 e in riferimento agli artt. 3 e 24 Cost. Lo stesso Mundo, infine, sollevò, nella comparsa di replica, questione di costituzionalità dell'art. 209, ultimo comma, a motivo del diverso trattamento riservato ai creditori chirografari e privilegiati, per violazione degli artt. 3 e 24 Cost.
Replicò a sua volta la Banca che al creditore, il quale contesta il mancato riconoscimento del privilegio, è applicabile non il quarto ma il secondo comma dell'art. 209 che il Mundo non aveva rispettato per aver depositato il reclamo in violazione del termine di quindici giorni ed aveva provveduto successivamente alla notifica del medesimo al liquidatone.
Nel fascicolo di merito della Banca è inserito documento, intestato al Tribunale di Milano, nel quale il liquidatore dichiarava, tra l'altro, di depositare gli elenchi dei creditori privilegiati e dei titolari di diritti reali nella cancelleria il 27 febbraio 1975 (data, di cui non è menzione nella lettera raccomandata R.R. pervenuta al Mundo il 6 marzo 1975).
Con ordinanza 29 gennaio - 1 marzo 1976, comunicata e notificata a sensi di legge, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 232 del 1 settembre 1976, e iscritta al n. 454 R.O. 1976, l'adito Tribunale, prese in esame le due questioni di Costituzionalità denunciate dal Mundo, reputò irrilevante la questione di costituzionalità dell'art. 209 ultimo comma perché il Mundo aveva impugnato l'elenco dei creditori privilegiati dolendosi di non esservi stato incluso anche per il secondo dei crediti, di cui si assumeva titolare, e, pertanto, identificò la norma impugnata nell'art. 209 cap. r.d. 267/1942, che fissa il termine, non rispettato dall'opponente, di quindici giorni dal deposito dell'elenco dei crediti ammessi o no nella cancelleria del Tribunale per opposizione; la questione, in tal guisa identificata, giudicò non manifestamente infondata a) in riferimento all'art. 3, primo comma, sul duplice riflesso della disparità di trattamenti riservati ai creditori privilegiati, per i quali il termine per l'opposizione sarebbe di quindici giorni decorrenti dalla data del deposito dell'elenco, e ai creditori chirografari, per i quali il termine è di un mese dalla data della comunicazione del deposito, e delle diversità procedurali intercorrenti tra l'accertamento del passivo di imprenditori falliti e l'accertamento dei passivo delle imprese soggette alla liquidazione coatta amministrativa, e b) in riferimento all'art. 24 Cost. sulla base della sent. 85/1968, a stregua della quale il termine di quindici giorni, decorrente dal deposito dell'elenco, potrebbe non garantire il diritto di difesa del creditore in un procedimento di natura amministrativa come la liquidazione coatta delle imprese.
Avanti la Corte si sono costituiti per la Banca Privata Italiana gli avv.ti Arturo Dalmartello, Carlo Majno e Giuseppe Guarino giusta procura in margine all'atto di deduzioni, depositato il 17 settembre 1976, in cui hanno eccepito in via preliminare la irrilevanza della questione perché a) l'articolo 77 della legge bancaria non è incompatibile con l'articolo 209 r.d. 267/1942 e, pertanto, riesce applicabile anche dopo l'entrata in vigore di quest'ultimo, b) l'avv. Mundo è un creditore chirografario, al quale quindi riesce applicabile, traverso l'art. 209 ultimo comma, l'art. 77, che consente di proporre opposizione entro un mese dalla comunicazione del deposito in cancelleria dell'elenco mediante atto da depositarsi in cancelleria dopo la notificazione al curatore, c) sol in ipotesi subordinata l'art. 209. secondo comma sarebbe applicabile anche al creditore chirografario, e hanno chiesto quindi disporsi la restituzione degli atti al Tribunale perché proceda all'apprezzamento della rilevanza della questione, della quale hanno argomentato per la infondatezza.
Il Presidente del Consiglio dei ministri non ha spiegato intervento.
Nella memoria, depositata il 15 ottobre 1980, la Compagnia richiama la sent. 157/1971, con la quale la Corte costituzionale ha dichiarato infondata la questione di legittimità dell'art. 98, primo comma, soggiunge che le esigenze di speditezza, postevi in rilievo, valgono anche nel campo della liquidazione coatta amministrativa, e nega, per contro, fondamento al richiamo della sent. 255/1974 perché non sussisterebbe identità di ragione tra il termine fissato nell'articolo 183, primo comma r.d. 267/1942, dichiarato incostituzionale, e il termine, indicato nell'art. 209, secondo comma, de quo agitur.
All'udienza pubblica del 29 ottobre 1980, nella quale il giudice Andrioli ha svolto la relazione, l'avv. prof. Giuseppe Guarino, codifensore della Banca, ha ampiamente illustrato sia la eccezione d'irrilevanza, sia la richiesta di restituzione degli atti al giudice a quo, sia l'infondatezza della proposta questione di costituzionalità.
3. - Con lettera raccomandata 23 dicembre 1974, l'avv. Adriano Aureli chiese di essere ammesso al passivo della Banca Privata Italiana in l.c.a. per il suo credito di L.45.241.204 al lordo da ritenute d'acconto, per spese, competenze e onorari relativi a prestazioni professionali rese a favore della Banca.
Con lettera raccomandata R.R. inoltrata il 3 marzo 1975 e pervenuta al destinatario il successivo 5, il liquidatone informò l'Aureli di avere, a sensi dell'art. 77 del r.d.l. 12 manzo 1936, n. 375, depositato nella cancelleria del Tribunale di Milano l'elenco dei creditori privilegiati e di aver presentato alla Banca d'Italia l'elenco dei creditori ammessi e delle somme riconosciute in via chirografaria e dichiarò di aver riconosciuto ed iscritto il credito dell'Aureli nell'elenco in via privilegiata per L.3.101.175.
Con atto depositato il 4 aprile 1975 nella cancelleria del Tribunale e notificato, in una con il decreto presidenziale di designazione del giudice istruttore e di fissazione dell'udienza di comparizione, al liquidatore il 30 aprile 1975, l'Aureli chiese che gli si riconoscesse dovuta per prestazioni professionali la somma di L.45.241.204, ivi inclusa l'IVA, oltre gli interessi a partire dal 23 dicembre 1974, e non dovuti da esso Aureli alla Banca gli interessi sullo scoperto dei conti correnti nn. 3660 e 3661 a partire dal 28 settembre 1974, e, in subordine, dal 23 dicembre 1974.
(Sebbene la data non risulti dagli atti liquidatore e creditore sono concordi nell'affermare avvenuto il 28 febbraio 1975 il deposito nella cancelleria del Tribunale dell'elenco dei creditori privilegiati; data che peraltro non risulterebbe confermata dalla lettura degli atti del procedimento 474/1976, in cui è parte la Banca Privata Italiana).
Si costituì la Banca eccependo l'improcedibilità della domanda attrice per essere applicabile all'Aureli, il quale intendeva far valere un suo credito privilegiato, non l'art. 77 della legge bancaria, ma l'art. 209 r.d. 267/1942, a tenor del quale la opposizione deve essere proposta con ricorso al presidente del tribunale, da depositarsi entro quindici giorni dal deposito dell'elenco in cancelleria, e chiedendo in subordine la reiezione della domanda attrice.
L'Aureli eccepì che il deposito dell'elenco era stato effettuato il 28 febbraio 1975, non già entro il 26 gennaio 1975 (e cioè entro cinque mesi dalla nomina del liquidatore) e pertanto non era idoneo a far decorrere il termine per l'opposizione, e denunciò la illegittimità dell'art. 209 r.d. 267/1942 per contrasto con gli artt. 3 e 24 Cost., provocata dal diverso trattamento riservato ai creditori chirografari e privilegiati.
Con ordinanza 8 gennaio-28 giugno 1976, comunicata e notificata ai sensi di legge, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 333 del 15 dicembre 1976, e iscritta al n. 651 R.O. 1976, l'adito Tribunale ritenne, in contrasto con l'Aureli, applicabile (non l'art. 77, ma) l'art. 209, secondo comma, del quale giudicò non manifestamente infondata la questione di costituzionalità nella parte in cui fa decorrere il termine per l'opposizione dal deposito dell'elenco nella cancelleria del tribunale, in riferimento agli artt. 3, primo comma e 24, secondo comma Cost.
Nessuna delle parti si è costituita in questa sede, né ha spiegato intervento il Presidente del Consiglio dei ministri.
All'udienza pubblica del 29 ottobre 1980 il Giudice Andrioli ha svolto la relazione.
4. - Il dott. Icano Perelli, assunto alle dipendenze della Banca Privata Italiana il 19 novembre 1970, fu licenziato dal liquidatone della Banca il 14 dicembre 1974 con sei mesi di preavviso.
Essendo stato inserito nell'elenco dei creditori privilegiati, depositato nella cancelleria del Tribunale di Milano il 27 febbraio 1975, per L. 12.540.000, il Perelli spiegò, a sensi dell'art. 77 della legge bancaria, opposizione, con ricorso notificato al liquidatore il 12 marzo 1975, depositato il 22 marzo 1975, nuovamente notificato, in una con il decreto presidenziale di designazione del giudice istruttore e di fissazione della udienza di comparizione, al liquidatore il 2 aprile 1975, chiedendo che fosse riconosciuto e ammesso al passivo il credito privilegiato di L.20.279.580.
Si costituì la Banca chiedendo in via preliminare dichiararsi l'improponibilità della opposizione del Perelli per inosservanza dell'art. 209, secondo comma, r.d. 267/1942, in cui il Perelli sarebbe incorso per aver depositato il reclamo nella cancelleria del Tribunale il 22 manzo 1975, e respingersi nel merito la domanda attrice.
Con ordinanza 28 ottobre-1 dicembre 1976, comunicata e notificata nei modi di legge, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 113 del 27 aprile 1977 e iscritta al n. 144 R.O. 1977, l'adito Tribunale di Milano, senza verificare se e quando il liquidatone avesse dato comunicazione al Perelli del deposito dell'elenco dei creditori privilegiati in cancelleria ha reputato effettuata la opposizione con le modalità previste nell'art. 209, secondo comma senza peraltro rispettarne il termine di quindici giorni, ma non ne ha dichiarato l'inammissibilità per non essere manifestamente infondata la questione di costituzionalità dell'art. 209, secondo comma, per contrasto con gli artt. 3, primo comma, e 24, secondo comma Cost. (contrasto con l'art. 3 desunto dal diverso trattamento riservato ai creditori privilegiati e ai creditori chirografari).
Nessuna delle parti si è costituita in questa sede, né ha spiegato intervento il Presidente del Consiglio dei ministri.
Alla pubblica udienza del 29 ottobre 1980 il giudice Andrioli ha svolto la relazione.
5. - Con lettera 20 dicembre 1974, diretta al liquidatore della Banca Privata Italiana, Valaperta Antonio chiese di essere riconosciuto creditore privilegiato della Banca per l'importo di L. 12.600.000 per prestata opera professionale di consulente ma il liquidatore, con lettera racc. R.R. pervenuta al destinatario il 3 marzo 1975, lo informò di avere, a sensi dell'art. 77 della legge bancaria, depositato nella cancelleria del Tribunale di Milano l'elenco dei creditori privilegiati e di aver presentato alla Banca d'Italia l'elenco dei creditori ammessi e delle somme riconosciute a ciascuno in via chirografaria, e di non aver accolto la richiesta del Valaperta perché la pretesa doveva essere rivolta nei confronti di terzi.
Con atto notificato il 27 marzo 1975 il Valaperta chiese che il credito, per il quale aveva rivolto richiesta al liquidatore, fosse inserito nell'elenco dei creditori privilegiati ammessi al passivo con gli interessi. Il Presidente della 2 Sezione civile dell'adito Tribunale di Milano, delegato con decreto 4 aprile 1975 dal Presidente Capo, designò il giudice istruttore e fissò l'udienza di comparizione con decreto 22 settembre 1975; a seguito di che, l'atto, in una con i due decreti stilati in calce, venne di bel nuovo notificato il 17 ottobre 1975 al liquidatore, il quale, costituitosi in giudizio, eccepì in via preliminare l'inammissibilità della opposizione per essere stata proposta oltre il termine fissato nell'art. 209, secondo comma, r.d. 16 marzo 1942, n. 267, che sarebbe scaduto il 15 marzo 1975.
Con ordinanza 21 aprile-12 maggio 1977, comunicata e notificata nei modi di legge, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 306 del 9 novembre 1977, e iscritta al n. 428 R.O. 1977, l'adito Tribunale, sulla premessa che l'elenco dei creditori privilegiati fosse stato depositato in cancelleria il 27 febbraio 1975 e che la inammissibilità dell'opposizione fosse sancita dall'art. 209, secondo comma, ritenuto applicabile al caso, ha giudicato non manifestamente infondata la questione di legittimità di detta norma in riferimento agli artt. 3 e 24 Cost.
Nessuna delle parti si è costituita in questa sede, né ha spiegato intervento il Presidente del Consiglio dei ministri.
Alla pubblica udienza del 29 ottobre 1980 il giudice Andrioli ha svolto la relazione.
6. - Con lettera racc. R.R. pervenuta il 20 giugno 1975, il commissario liquidatore del Banco di Milano in l.c.a. dié notizia, a sensi dell'art. 77 della legge bancaria, all'avv. Vincenzo Fasano di aver provveduto a formare lo stato passivo e di non aver accolto le richieste del destinatario, il quale, con atto notificato il 30 giugno 1975 al liquidatore e rinotificato, in una con il decreto 12 luglio 1975 di delega del Presidente della Sezione 2 civile, emesso dal Presidente Capo del Tribunale di Milano, il successivo 31 luglio, chiese di essere ammesso in via privilegiata, per L. 31.558.360 e accessori, che assumeva dovutigli per prestazioni professionali.
Il Banco eccepì l'inammissibilità della opposizione per inosservanza del termine di cui all'art. 209, secondo comma, r.d. 16 marzo 1942, n. 267 e, in subordine, chiese respingersi nel merito la domanda attrice.
Acquisito agli atti certificato 7 giugno 1976 con cui il cancelliere della Sezione 2 civile attesta che lo stato passivo privilegiato della Banca era stato depositato dal liquidatore in cancelleria il 14 giugno 1975, l'adito Tribunale ha giudicato non manifestamente infondata, in riferimento agli artt. 3, primo comma, e 24, secondo comma Cost., la questione di legittimità dell'art. 209, secondo comma, r.d. 16 marzo 1942, n. 267, ritenuto applicabile al caso, nella parte in cui fissa la decorrenza del termine per proporre opposizione all'elenco dei creditori formato dal commissario liquidatore dal suo deposito in cancelleria.
L'ordinanza di rimessione, deliberata il 21 ottobre 1976 e depositata il successivo 23 dicembre, è stata comunicata e notificata nei modi di legge, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 113 del 7 aprile 1977 e iscritta al n. 145 R.O. 1977, ma nessuna delle parti si è costituita in questa sede, né ha spiegato intervento il Presidente del Consiglio dei ministri.
Alla pubblica udienza del 29 ottobre 1980 il giudice Andrioli ha svolto la relazione.
7. - Il prof. Francesco Torneo, nominato con provvedimento 4 luglio 1974 dal Governatore della Banca d'Italia commissario liquidatore della Interfinanza s.p.a. Generale Finanziaria, con lettera raccomandata R.R. timbrata il 28 maggio 1975 in Milano, "in relazione al disposto dell'art. 77 del r.d.l. 12 marzo 1936, n. 375 (legge bancaria)" comunicò "che in data odierna è stato depositato lo stato passivo della procedura", che "il vostro credito è stato escluso, in quanto non esiste agli atti la documentazione relativa alla posizione amministrativa, né autorizzazione alcuna del legale rappresentante della Società"; avvertì che "contro tale decisione potrà essere proposta formale opposizione con regolare istanza documentata, da depositare presso la cancelleria della 2 Sezione fallimentare del Tribunale civile e penale di Milano, entro un mese dalla data di ricezione della presente comunicazione, previa notifica al sottoscritto commissario liquidatore" e che "il reclamo dovrà contenere la elezione di domicilio in Milano, in conformità alle norme di legge che regolano la materia".
I destinatari Greco Angelo, Gambino Francesco, Lattuca Vincenzo, Laida Salvatore, Jacono Salvatore Maria, Laiola Vittorio, Macello Gioacchino, Merulla Giovanni e Gambino Luigi proposero separati reclami (peraltro diversi sol per le generalità dei reclamanti e per l'ammontare pecuniario delle richieste) avverso il provvedimento di esclusione del credito dallo stato passivo della Interfinanza chiedendo il riconoscimento della sussistenza del rapporto di lavoro alle dipendenze della stessa e il pagamento di quanto monetizzato per mensilità non corrisposte, differenza paga ed indennità di anzianità, oltre gli interessi legali e l'indennità per svalutazione monetaria.
I reclami risultano iscritti a ruolo il 24 giugno 1975 e notificati al commissario liquidatore il 30 giugno 1975.
La posizione di Caruana Alfonso differisce dalle altre passate in rassegna sol in ciò che il reclamo venne notificato al commissario liquidatore il 1 luglio 1975.
Il commissario liquidatore si costituì nei dieci procedimenti eccependo la tardività delle opposizioni, e, in ipotesi, chiedendone la reiezione, ma non produsse gli avvisi di ricevimento delle raccomandate, anzi la sua difesa sostenne che del deposito dello stato passivo non doveva essere data comunicazione ai reclamanti perché riusciva applicabile a costoro, in qualità di creditori privilegiati, l'art. 209, secondo comma, r.d. 16 marzo 1942 n. 267, per il quale l'opposizione va proposta mediante ricorso al presidente del tribunale entro quindici giorni dal deposito nella cancelleria dell'elenco dei crediti ammessi o respinti. Peraltro, il Greco e il Lattuca han dichiarato nelle scritture defensionali di aver ricevuto le raccomandate il 28 maggio 1975 e la difesa del commissario liquidatore, a p. 7 della comparsa di costituzione 28 ottobre 1975, ha scritto che la racc. R.R. 28 maggio 1975 pervenne al Caruana "il 31 maggio 1975 come risulta dal timbro postale".
Riunite le cause, per le quali era stato designato il giudice istruttore, l'adito Tribunale ha sollevato d'ufficio e giudicato non manifestamente infondata la questione di costituzionalità dell'art. 209 secondo comma, r.d. 16 marzo 1942 n. 267, nella parte in cui fissa la decorrenza del termine per proporre opposizione all'elenco dei crediti formato dal commissario liquidatore dal suo deposito in cancelleria, in riferimento agli artt. 24, secondo comma, e 3, primo comma Cost.
La ordinanza di rimessione, deliberata il 22 gennaio 1976 e depositata il successivo 28, è stata comunicata e notificata nei modi di legge, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 333 del 15 dicembre 1976, e iscritta al n. 652 R.O. 1976, ma nessuna delle parti si è costituita in questa sede né ha spiegato intervento il Presidente del Consiglio dei ministri.
Alla pubblica udienza del 29 ottobre 1980 il giudice Andrioli ha svolto la relazione.
8. - Il commissario liquidatore della Interfinanza s.p.a. Generale Finanziaria, con lettera pervenuta al destinatario il 30 maggio 1975 di cui non risultano agli atti né l'originale né la copia, comunicò al dott. Enrico Avogadro la esclusione, dallo stato passivo depositato nella cancelleria del Tribunale di Milano il 28 maggio 1975, del credito di lavoro fatto valere per mancanza di prove.
Con atto notificato il 26 giugno 1975 al liquidatore, l'Avogadro chiese in via principale - previo accertamento della sussistenza del rapporto di lavoro a far tempo dal 10 aprile 1974 e della attuale sua vigenza - condannarsi la Interfinanza all'immediato versamento della somma di L.7.936.054 a titolo di omessa retribuzione, ratei tredicesima, quattordicesima e quindicesima, ferie non godute e, previa integrazione del contraddittorio con gli enti a ciò preposti, al versamento degli omessi contributi assicurativi e previdenziali a far tempo dal 10 aprile 1974, e formulò conclusioni di merito in via subordinata e istruttorie.
Sull'originale dell'atto, depositato nella cancelleria del Tribunale, il Presidente Capo, con decreto 28 giugno 1975, delegò per i provvedimenti di giustizia il Presidente della Sezione 2 civile, che, con decreto 31 luglio 1975, designò il giudice istruttore e fissò per la comparizione delle parti l'udienza del 14 novembre 1975 assegnando il termine di sessanta giorni dal 31 luglio 1975 per le notificazioni di rito.
Le "notificazioni di rito" non risultano eseguite; peraltro la causa fu iscritta a ruolo a cura dell'Avogadro il 2 ottobre 1975 e la difesa del liquidatore si costituì mediante comparsa depositata il 25 ottobre 1975, in cui eccepì in via principale la inammissibilità della domanda attrice perché, sebbene, essendo il credito dell'Avogadro di natura privilegiata, dovesse il ricorso essere notificato al liquidatore e depositato entro quindici giorni dal deposito nella cancelleria dello stato passivo, non era stato tempestivamente eseguito tale deposito né era stata effettuata entro lo stesso termine la notifica ad esso liquidatore del decreto di nomina del giudice delegato e di fissazione della udienza di comparizione, laddove erasi l'Avogadro limitato a far notificare con il rispetto del termine di trenta giorni il solo ricorso; nel merito chiese respingersi la domanda attrice.
All'udienza del 14 novembre 1975 il giudice istruttore, sostituito con decreto 10 novembre 1975, in cui si rescriveva rimaner ferma la data della udienza collegiale del 14 novembre 1975, al magistrato in precedenza designato, rinviò le parti costituite per la precisazione delle conclusioni all'udienza del 28 novembre 1975, nella quale la difesa dell'Avogadro, in linea preliminare alle conclusioni spiegate nell'atto notificato il 26 giugno 1975, chiese dichiararsi l'incompetenza dell'adito Tribunale per essere in sua vece competente il pretore in funzione di giudice del lavoro e, di conseguenza, sospendersi il procedimento in attesa della definizione della controversia già instaurata avanti il Pretore di Milano in funzione di giudice del lavoro.
Nelle comparse conclusionali e di replica le parti si diffusero con particolare insistenza sulla inammissibilità o meno della proposta opposizione: in particolare l'Avogadro rilevò che la opposizione, in aderenza a quanto indicato dal liquidatore nella lettera pervenutagli il 30 maggio 1975, era stata notificata e depositata nel termine di trenta giorni dal deposito dello stato passivo nella cancelleria del tribunale, che, anche a non seguire le indicazioni del liquidatore, il termine di quindici giorni, di cui all'art. 209, secondo comma, r.d. 16 marzo 1942, n. 267, è privo di carattere perentorio e che, comunque, era dubbia la conformità, agli artt. 3, primo comma, 25 primo comma e 102, primo e secondo comma Cost., dell'intero art. 209 (dubbio esteso all'art. 77 della legge bancaria per contrasto con l'art. 3 Cost.); dal suo canto, la difesa del liquidatore obiettò che la controversia avanti il Pretore del lavoro di Milano era stata cancellata dal ruolo, e che il termine indicato dal liquidatore nella lettera di comunicazione del deposito dello stato passivo nella cancelleria del Tribunale e di esclusione del credito dell'Avogadro "era quello genericamente prospettato dalla legge bancaria, senza che tale indicazione potesse valere come esclusione dell'applicabilità del termine previsto dall'art. 209 legge fallimentare per i casi da questo contemplati" (p. comp. repl. 14 gennaio 1976).
Il Tribunale, ritenuta la causa per la decisione all'udienza collegiale del 22 gennaio 1976, ha, con ordinanza deliberata lo stesso giorno e depositata il 28 giugno 1976, disposto la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale per la decisione sulla costituzionalità dell'art. 209, secondo comma, nella parte in cui fissa la decorrenza del termine per proporre opposizione all'elenco dei crediti formati dal commissario liquidatore dal suo deposito nella cancelleria, con riferimento agli artt. 24, secondo comma, e 3, primo comma Cost.: negata la pertinenza degli artt. 25, primo comma e 102, primo e secondo comma, Cost. al fine di escludere la perentorietà del termine per la opposizione, di cui all'art. 209, secondo comma, e disattesa la concludenza del richiamo della legge bancaria, la quale riuscirebbe, per consolidata giurisprudenza, applicabile ai soli creditori chirografari, ha fatto propri gli argomenti, addotti in precedenti incontri dallo stesso Tribunale per reputare non manifestamente infondata la sollevata questione.
La ordinanza di rimessione è stata comunicata e notificata nei modi di legge, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 340 del 22 dicembre 1976 e iscritta al n. 653 R.O. 1976, ma nessuna delle parti si è costituita in questa sede, né ha spiegato intervento il Presidente del Consiglio dei ministri.
Alla pubblica udienza del 29 ottobre 1980 il giudice Andrioli ha svolto la relazione.
9. - Con atto datato 19 giugno 1975 il rag. Filippo Di Francesco, premesso che aveva prestato la propria attività lavorativa alle dipendenze della Interfinanza dal 1 dicembre 1971 al 10 gennaio 1972 presso la filiale di Porto Empedocle con la qualifica di impiegato di prima categoria, che dall'11 gennaio 1972 era stato assegnato presso la filiale di Racalmuto con le mansioni di preposto, che, collocata in l.c.a. la Interfinanza giusta decreto 1 luglio 1974 del Ministro per il Tesoro, il commissario liquidatore, con raccomandata 9 giugno 1975, aveva significato al Di Francesco che la richiesta, avanzata con lettera raccomandata 28 maggio 1975, di conseguire quanto spettantegli come funzionario preposto di filiale per il periodo di servizio prestato alla filiale di Racalmuto, non poteva essere accolta, che "quindi il credito che sarà stato ammesso allo stato passivo della Interfinanza, che da notizie apprese risulta essere stato depositato, è inferiore a quello spettante", propose reclamo avverso il provvedimento di disconoscimento del proprio diritto alle differenze paga dall'11 gennaio 1972 e alla liquidazione corrispondente alla qualità di preposto di filiale, e chiese all'adito Tribunale di Milano in via preliminare riconoscere il diritto al ripetuto trattamento economico e condannare la Interfinanza al pronto pagamento della somma da determinarsi dal consulente tecnico nominando, con gli interessi legali e l'indennità per svalutazione monetaria.
L'atto venne notificato al liquidatore sotto la data del 20 (o 30?) giugno 1975; a seguito di che, il Di Francesco presentò nota d'iscrizione a ruolo, datata 24 giugno 1975, in calce alla quale vennero stilati due decreti: l'uno in data 3 luglio 1975 con cui il Presidente Capo assegnò la causa alla Sezione 2 civile; l'altro in data 4 luglio 1975, con cui il Presidente di Sezione designò il giudice, avanti il quale le parti sarebbero dovute comparire.
Altra copia dell'atto, in calce alla quale era stilato decreto datato 9 luglio 1975 con cui il giudice delegato fissava per la comparizione delle parti l'udienza del 14 novembre 1975 e il termine di novanta giorni per la notifica al liquidatore, venne notificata al liquidatore sotto la data del 19 luglio 1975.
All'udienza del 14 novembre 1975, alla quale comparvero il Di Francesco e il liquidatore, che mediante comparsa 24 ottobre 1975 (depositata il successivo 25) aveva chiesto in via principale la dichiarazione di litispendenza con le cause iscritte ai nn. 3220 e 1407 R.G. 1975 e conseguente cancellazione della causa dal ruolo, in via subordinata la dichiarazione di inammissibilità della opposizione perché tardivamente e irritualmente proposta e nel merito il rigetto della domanda attrice, il giudice designato rinviò le parti per la precisazione delle conclusioni all'udienza del 28 novembre 1975, ma soltanto all'udienza del 9 febbraio 1976 la causa, alla presenza del solo difensore del liquidatore che si riportò alle conclusioni precedentemente formulate, fu rimessa alla udienza collegiale del 18 marzo 1976.
Con ordinanza, deliberata il 18 marzo 1976 e depositata il 18 ottobre 1976, comunicata e notificata nei modi di legge, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 59 del 2 marzo 1977, iscritta al n. 4 R.O. 1977, l'adito Tribunale, premesso che l'elenco dei crediti ammessi o esclusi con cause di prelazione era stato dal liquidatore depositato in cancelleria il 28 maggio 1975, ha disatteso la eccezione di litispendenza, e, pur constatando che la domanda era stata ritualmente introdotta per avere il Di Francesco proceduto al deposito del ricorso già notificato e ad altra notifica di sua copia, in calce alla quale il giudice designato aveva stilato il decreto di fissazione della udienza di comparizione, ha rilevato il ritardo, con cui il ricorso per la prima volta notificato, sarebbe stato depositato in cancelleria a cura del Di Francesco, ma non ha dichiarato inammissibile l'opposizione perché ha giudicato non manifestamente infondata, per contrasto con gli artt. 24, secondo comma, e 3, primo comma, Cost., la questione di legittimità dell'art. 209, secondo comma, del r.d. 16 marzo 1942, n. 267, nella parte in cui fissa la decorrenza del termine per proporre opposizione all'elenco dei crediti, formati dal commissario liquidatore, dalla data del suo deposito nella cancelleria.
Avanti la Corte nessuna delle parti si è costituita, né ha spiegato intervento il Presidente del Consiglio dei ministri.
Alla pubblica udienza del 29 ottobre 1980 il giudice Andrioli ha svolto la relazione.
Considerato in diritto:
1. - Per l'art. 207 r.d. 16 marzo 1942, n. 267, il commissario liquidatore di impresa in l.c.a. entro un mese dalla nomina, effettuata con il provvedimento ordinatario della liquidazione ovvero con altro successivo (art. 198), comunica a ciascun creditore con lettera raccomandata con avviso di ricevimento le somme risultanti a credito secondo le scritture contabili e i documenti dell'impresa (comunicazione fatta con riserva delle eventuali contestazioni); i creditori entro quindici giorni dalla ricezione della raccomandata possono far pervenire al commissario mediante raccomandata le loro osservazioni e istanze (analogo trattamento è praticato dal secondo comma dell'art. 207 a coloro che possono far valere domande di rivendicazione, restituzione e separazione su cose mobili possedute dall'impresa).
Per l'art. 208 dello stesso decreto, i creditori (e le altre persone indicate nell'art. 207, secondo comma), che non hanno ricevuto la comunicazione prevista nell'art. 207 possono chiedere mediante raccomandata, entro sessanta giorni dalla pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale del provvedimento di liquidazione, il riconoscimento dei loro crediti (e la restituzione dei loro beni).
L'art. 209 - salvo il maggior termine stabilito in leggi speciali - fissa il termine di novanta giorni dalla data del provvedimento di liquidazione entro il quale il commissario liquidatore a) forma l'elenco dei crediti ammessi o respinti (e delle domande indicate nell'art. 207, secondo comma, accolte o respinte), b) lo deposita nella cancelleria (del tribunale) del luogo dove l'impresa ha la sede principale, c) dà notizia del deposito, con raccomandata con avviso di ricevimento, a coloro la cui pretesa non sia stata in tutto o in parte ammessa (primo comma).
Il secondo comma dello stesso art. 209 statuisce che le opposizioni dei creditori esclusi (art. 98) e le impugnazioni dei crediti ammessi (art. 100) sono proposte, entro quindici giorni dal deposito dell'elenco, con ricorso al presidente del tribunale, nel quale il creditore non domiciliato nel comune in cui ha sede l'impresa deve eleggere domicilio nel comune stesso, pena l'esecuzione delle posteriori notificazioni presso la cancelleria del tribunale.
Il presidente del tribunale nomina un giudice per l'istruzione e i provvedimenti ulteriori - osservate (prosegue il terzo comma dell'art. 209) le disposizioni dell'art. 203 - sostituiti al giudice delegato il giudice istruttore e al curatore il commissario liquidatore.
Sulla base della riassunta normativa il Tribunale di Roma non ha giudicato inammissibile l'opposizione dall'assicurato depositata lo stesso giorno in cui gli era pervenuta la notizia del deposito dell'elenco ma a termine di quindici giorni dalla data del deposito scaduto, perché ha ritenuto non manifestamente infondata la questione di legittimità dell'art. 209, secondo comma per violazione (non dell'art. 3 ma) dell'art. 24, secondo comma, Cost., ravvisata nella identificazione del dies a quo con la data del deposito e non con la ricezione della notizia del deposito stesso e della parziale esclusione della pretesa dall'elenco.
2. - Gli altri otto incidenti di costituzionalità, sollevati tutti dal Tribunale di Milano nei confronti di imprese creditizie (Banca Privata Italiana, Banco di Milano, Interfinanza s.p.a. Generale Finanziaria), sollecitavano l'interpretazione e l'applicazione dell'ultimo comma dell'art. 209 ("Restano salve le disposizioni delle leggi speciali relative all'accertamento dei crediti chirografari nella liquidazione delle imprese che esercitano il credito"). Ma la conformità di detta disposizione ai dettami costituzionali non è sottoposta al giudizio di questa Corte perché il giudice a quo non l'ha ritenuta applicabile alle otto fattispecie svolgendo motivazioni, la cui fondatezza, sebbene non quadri in tutto con l'interpretazione del quarto comma dell'art. 209 accolta dalla Corte di cassazione in tempo successivo al rilievo dell'incidente ultimo in ordine di data, sfugge al sindacato di questa Corte. Né la Corte può prendere in esame le critiche rivolte dalla difesa del commissario liquidatore della Banca Privata Italiana alla giuridica correttezza dell'apprezzamento di rilevanza, compiuto dal Tribunale di Milano, vuoi perché l'apprezzamento è stato pur effettuato, vuoi perché la motivazione, di cui è materiato, s'intreccia con quell'interpretazione dell'art. 209, quarto comma, la cui conformità alle direttive segnate nell'art. 12 disp. prelim. cod. civ. sfugge - lo si ripete - al giudizio della Corte.
È appena il caso di avvertire che, stante la forma di ordinanza di cui i provvedimenti di rimessione alla Corte sono rivestiti, ben potranno le sottostanti questioni essere riproposte nei giudizi di merito se e nei limiti, in cui non ne sarà il riesame precluso dalla presente sentenza che la Corte va a pronunciare (in tali sensi sent. 142/1980).
Un ultimo rilievo sui limiti obiettivi della disamina: dei due rimedi procedurali, indicati nell'art. 209, secondo comma, viene in considerazione la sola opposizione del creditore in tutto o in parte escluso, e non anche l'impugnazione dei crediti ammessi, e, ancor meno, la opposizione al provvedimento di rigetto delle domande, di cui all'art. 207, secondo comma.
Ciò premesso, in tutto giustificata è la riunione dei nove procedimenti, ad ostacolare la quale non giova la non assoluta coincidenza dei parametri di costituzionalità, provocata da ciò che il Tribunale di Milano non si è affiancato al Tribunale di Roma nel disattendere il richiamo dell'art. 3, primo comma, Cost., sin troppo noto essendo che la continenza non meno della identità giustifica la riunione di più cause in unico procedimento. Semmai, la divergenza tra i due tribunali spiega perché la Corte stia per riservare la precedenza allo scrutinio di legittimità, nei termini obiettivi precisati, dell'art. 209, secondo comma, in riferimento all'art. 24, secondo comma, Cost. nella cui invocazione i due tribunali sono stati concordi.
3. - Il secondo e il terzo comma dell'art. 209 di cui si è esposto il contenuto, sono espressione di una scelta che non è sostenuta dalle ragioni, che hanno indotto il legislatore ad operare, nel campo della opposizione alla sentenza dichiarativa di fallimento, analoga scelta dando vita all'art. 18, primo comma dello stesso r.d. 267/1942.
La Corte, con sent. 151/1980, ha giudicato lesivo del diritto di difesa in giudizio, garantito dall'art. 24, secondo comma, l'art. 18, primo comma, nella parte in cui indica nella data dell'affissione il dies a quo per proporre avverso la sentenza di fallimento l'opposizione del solo debitore e non di interessato diverso dal fallito, perché l'estrema difficoltà di identificare coloro, in danno dei quali si produrranno gli effetti della sentenza di fallimento non appena pronunciata (effetti, che neppure la sua revoca tocca nei limiti segnati dall'art. 21, primo comma, r.d. 267/1942), non soccorre per il fallito e, pertanto, non fornisce, nel gioco di compensazione dei contrapposti interessi, persuasivo dato di bilanciamento rispetto all'offesa, che alla sostanziale tutela dei diritti infligge l'utilizzazione dell'affissione quale mezzo di propalazione dell'atto (o dell'evento) che ne costituisce oggetto.
Nel solco, dunque, aperto con la or menzionata sentenza, con la quale si registra, nel campo dominato dall'art. 18, primo comma, mutamento giurisprudenziale che rinviene giustificazione anche in sentenze dichiarative dell'illegittimità di altre norme procedurali (da ultimo, sent. 14 e 15/1979), la Corte sanziona l'illegittimità, per violazione dell'art. 24, secondo comma Cost. dell'art. 209, secondo comma, nella parte, in cui fa decorrere il termine di quindici giorni per proporre le opposizioni dei creditori in tutto o in parte esclusi, dal deposito dell'elenco dei creditori ammessi o respinti nella cancelleria del tribunale del luogo della sede principale dell'impresa in liquidazione coatta amministrativa.
Ma le ragioni, che hanno indotto la Corte a non ravvisare nel tessuto dell'art. 17 r.d. 267/1942 meccanismi di propalazione idonei a sostituire l'affissione quale dies a quo per l'opposizione del debitore non soccorrono nella specie, perché lo stesso art. 209 delinea nella comunicazione della notizia del deposito dell'elenco effettuata mediante raccomandata con avviso di ricevimento ai creditori in tutto o in parte esclusi un mezzo, che la qualità dell'organo, alla cui diligenza è la comunicazione affidata, consente di utilizzare senza far ricorso al codice di procedura civile e alle disposizioni di sua attuazione, che disciplinano le comunicazioni di cancelleria.
Così giudicando, la Corte non si pone in contrasto con la sent. 157/1971, con la quale ebbe a dichiarare infondata la questione di costituzionalità dell'art. 98, primo comma, che fissa nella data del deposito dello stato passivo fallimentare in cancelleria il dies a quo per le opposizioni dei creditori in tutto o in parte esclusi.
Non soccorre, per vero, tra l'art. 98, primo comma e l'art. 201, secondo comma, la identità di ratio, che valga a trasferire a questo le ragioni di conformità di quello al precetto costituzionale.
Invero il difetto di natura giurisdizionale della fase riservata alla formazione dell'elenco affidata al liquidatore, non si risolve in diatriba definitoria vuoi perché per un verso l'atto d 'insinuazione al passivo fallimentare produce, a sensi dell'art. 94 r.d. 267/1942, gli effetti della domanda giudiziale, a produrre i quali sono inidonee le domande dei creditori dell'impresa in l.c.a., cui l'art. 207, primo comma, riconosce soltanto il significato di mere denunce, vuoi perché il procedimento amministrativo di formazione dello stato passivo, descritto nel combinato disposto degli artt. 207 e 209, primo comma, è privo delle garanzie del contraddittorio orale, che assistono l'accertamento del passivo, il quale si articola nella prima fase della formazione dello stato passivo provvisorio (art. 95) e dell'adunanza di sua verificazione (art. 96).
Il fatto si è che le opposizioni (e le impugnazioni) di cui all'art. 209, secondo comma - a differenza delle opposizioni e delle impugnazioni allo stato passivo fallimentare, la cui affinità con taluni processi a cognizione sommaria è stata sottolineata - non rappresentano il secondo stadio di un procedimento uno ed unico, né possono essere inquadrate nello schema della giurisdizione condizionata per non essere l'inserzione nell'elenco subordinata ad un atto del creditore, ma si definiscono come l'unica sollecitazione dell'esercizio della funzione giurisdizionale a garanzia dei creditori dell'impresa in l.c.a., che si caratterizza per il potere attribuito, in deroga all'art. 4 legge 20 marzo 1865, n. 2248 all. E, al giudice ordinario di annullare atti dell'autorità amministrativa lesivi di diritti.
La circostanza che il mancato esercizio giudiziale del diritto di credito finirebbe con l'attribuire all'atto dell'autorità amministrativa, che lo comprime, efficacia estintiva del diritto stesso, conferma l'esigenza che non all'affissione dell'elenco, ma alla notizia della esclusione totale o parziale del credito comunicata al singolo creditore con lettera raccomandata con avviso di ricevimento, sia riservata la capacità di porre in moto il termine, alla cui inosservanza è alla fin fine collegata la perdita del diritto.
D'altro canto, la sostituzione di una pluralità di dies a quibus all'unico dies a quo, indicato nell'art. 209, secondo comma, non soffoca l'aspirazione del legislatore a riunire la pluralità di opposizioni in unico processo, perché, a differenza delle opposizioni di interessati diversi dal fallito alla revoca della sentenza dichiarativa di fallimento, che si sperimentano mediante atti di citazione ad udienza fissa che pongono le opposizioni stesse a contatto prima dei legittimati passivi (curatore e, se vi siano, creditori istanti) e poi dell'autorità giudiziaria competente, le opposizioni dei creditori in tutto o in parte esclusi dall'elenco hanno forma di ricorso al presidente del tribunale, al quale - ammonisce il terzo comma dell'art. 209 - compete la nomina di un giudice per l'istruzione e per i provvedimenti ulteriori, nel rispetto degli articoli 98 e 103 in quanto applicabili. Forma del ricorso, che consentirà al presidente di tribunale di procedere alla nomina del giudice istruttore sol dopo la restituzione alla cancelleria del tribunale degli avvisi di ricevimento.
Certo - non se lo dissimula la Corte - il dispositivo, che si va ad enunciare, potrà dar luogo a non lievi difficoltà nella ipotesi, nella specie non ricorrente, di opposizioni e di impugnazioni, per le quali ultime rimane ferma la data del deposito come dies a quo del termine di quindici giorni, ma il principio della corrispondenza tra chiesto e pronunciato e il rispetto delle prerogative del potere legislativo inibiscono di escogitare i rimedi alla Corte, la quale, peraltro, non può non segnalare i non tanto eventuali inconvenienti al legislatore perché ponga mano agli opportuni rimedi.
La constatata violazione dell'art. 24, secondo comma, rende superfluo il raffronto tra l'art. 3, primo comma, Cost. e la norma impugnata.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i procedimenti iscritti ai nn. 389/1975, 454, 651, 652, 653/1976, e 4, 144, 145 e 428/1977, dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 209, secondo comma, del r.d. 16 marzo 1942, n. 267, nella parte in cui prevede che il termine per le opposizioni dei creditori in tutto o in parte esclusi decorra dalla data del deposito, nella cancelleria del tribunale del luogo dove l'impresa in liquidazione coatta amministrativa ha la sede principale, dell'elenco dei crediti ammessi o respinti, formato dal commissario liquidatore, anziché dalle date di ricezione delle raccomandate con avviso di ricevimento, con le quali il commissario liquidatore dà notizia dell'avvenuto deposito ai creditori le cui pretese non sono state in tutto o in parte ammesse.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 21 novembre 1980.
F.to: LEONETTO AMADEI - GIULIO GIONFRIDA - EDOARDO VOLTERRA - MICHELE ROSSANO- ANTONINO DE STEFANO - LEOPOLDO ELIA - GUGLIELMO ROEHRSSEN - ORONZO REALE - BRUNETTO BUCCIARELLI DUCCI - ALBERTO MALAGUGINI - LIVIO PALADIN - ARNALDO MACCARONE - ANTONIO LA PERGOLA - VIRGILIO ANDRIOLI.
GIOVANNI VITALE - Cancelliere