˙ Sentenza  151/1980 (ECLI:IT:COST:1980:151)
Giudizio:  GIUDIZIO DI LEGITTIMITÀ COSTITUZIONALE IN VIA INCIDENTALE
Presidente: AMADEI - Redattore:  - Relatore: ANDRIOLI
Udienza Pubblica del 29/10/1980;    Decisione  del 20/11/1980
Deposito del 27/11/1980;    Pubblicazione in G. U.
Norme impugnate:  
Massime:  11429 11430
Atti decisi: 

Pronuncia

N. 151

SENTENZA 20 NOVEMBRE 1980

Deposito in cancelleria: 27 novembre 1980.

Pubblicazione in "Gazz. Uff." n. 332 del 3 dicembre 1980.

Pres. AMADEI - Rel. ANDRIOLI

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai Signori: AVV. LEONETTO AMADEI, Presidente - Dott. GIULIO GIONFRIDA - Prof. EDOARDO VOLTERRA - Dott. MICHELE ROSSANO - Prof. ANTONINO DE STEFANO - Prof. LEOPOLDO ELIA - Prof. GUGLIELMO ROEHRSSEN - AVV. ORONZO REALE - Dott. BRUNETTO BUCCIARELLI DUCCI - Avv. ALBERTO MALAGUGINI - Prof. LIVIO PALADIN - Dott. ARNALDO MACCARONE - Prof. ANTONIO LA PERGOLA - Prof. VIRGILIO ANDRIOLI, Giudici,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale dell'art. 18, comma primo, del r.d. 16 marzo 1942, n. 267 (Disciplina del fallimento, del concordato preventivo, dell'amministrazione controllata e della liquidazione coatta amministrativa) promossi con le Seguenti ordinanze:

1) ordinanza emessa il 16 aprile 1977 dal Tribunale di Siracusa nel procedimento civile vertente tra Ponzio Michele e Bordonaro Antonino ed altro, iscritta al n. 323 del registro ordinanze 1977 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 251 del 14 settembre 1977;

2) ordinanza emessa il 4 maggio 1977 dalla Corte d'appello di Brescia nel procedimento civile vertente tra Haiat A. Selim e fallimento s.n.c. Silver ed altro, iscritta al n. 484 del registro ordinanze 1977 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 347 del 21 dicembre 1977;

3) ordinanza emessa il 27 gennaio 1977 dal Tribunale di Roma nel procedimento civile vertente tra De Blasis Svandiro e fallimento De Blasis Svandiro ed altri, iscritta al n. 508 del registro ordinanze 1977 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 4 del 4 gennaio 1978;

4) ordinanza emessa il 7 febbraio 1979 dalla Corte di cassazione sul ricorso proposto dalla S.p.a. A.S.I.S. contro l'Esattoria comunale di Messina ed altro, iscritta al n. 847 del registro ordinanze 1979 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 29 del 30 gennaio 1980.

Visti gli atti di costituzione di De Blasis Svandiro e della S.p.a. A.S.l.S. nonché gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 29 ottobre 1980 il Giudice relatore Virgilio Andrioli;

uditi l'avv. Dario Di Gravio per De Blasis, l'avv. Mario Pentimalli per la Soc. A.S.I.S. e l'avvocato dello Stato Renato Carafa per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto:

1. - Con sentenza 2 marzo 1976, notificata ad istanza del curatore al fallito il 15 marzo 1976, il Tribunale di Siracausa, su ricorso della s.r.l. Pavimenti Bianca, dichiarò il fallimento di Ponzio Michele, il quale, con atto notificato al curatore e al creditore istante il 26 marzo 1976, chiese accogliersi la spiegata opposizione e revocarsi la dichiarazione di fallimento; avendo il curatore eccepito la intempestività della opposizione per essere stata proposta nell'inosservanza del termine di quindici giorni dalla data di affissione della sentenza (data non risultante dagli atti pervenuti alla Corte), e avendo il fallito dichiarato, nella conclusionale 9 febbraio 1977, p. 2, di essere "venuto a conoscenza della procedura per dichiararne il fallimento solo il 15 marzo 1976, ovvero ben tredici giorni dopo l'avvenuta dichiarazione, avendo il coniuge smarrito la comunicazione fattagli dal Tribunale", l'adito Tribunale, con ordinanza 16 aprile-6 maggio 1977, regolarmente comunicata e notificata, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 251 del 14 settembre 1977, e iscritta al n. 323 R.O. 1977, ha sollevato d'ufficio e ritenuto non manifestamente infondata la questione di legittimità dell'art. 18 comma primo r.d. 16 marzo 1942, n. 267, in riferimento all'art. 24 Cost. perché la norma impugnata fa decorrere il termine di quindici giorni dalla data dell'affissione della sentenza dichiarativa di fallimento e non già dalla comunicazione al debitore, prevista nell'art. 17 dello stesso decreto.

Nessuna delle parti si è costituita in questa sede, né ha spiegato intervento il Presidente del Consiglio dei ministri.

2. - Con sentenza 1 - 2 aprile 1972, affissa il successivo 21, il Tribunale di Mantova, su ricorso della Banca Provinciale Lombarda e previa audizione di Decò Antonio, socio rappresentante della s.n.c. Silver con sede in Sabbioneta, dichiarò i fallimenti della società e dei soci Decò e Haiat Selim. Quest'ultimo spiegò opposizione con atto notificato il 23 giugno 1972, in cui, premesso che non aveva avuto notizia del ricorso del creditore né della procedura dichiarativa che ne era seguita, che la comunicazione dell'estratto della sentenza, pur essendo stata effettuata lo stesso giorno della affissione, era pervenuta allo studio dell'avv. Mangione, suo legale, soltanto il 9 giugno 1972, e che esso Haiat Selim era receduto seppure informalmente dalla società sin dal maggio 1970, denunciò la non manifesta infondatezza della questione di legittimità dell'art. 18 r.d. 16 marzo 1942, n. 267 in riferimento all'art. 24, secondo comma Cost. e chiese la revoca del suo fallimento.

Con sentenza 25 maggio-14 giugno 1975 l'adito Tribunale, ritenuta manifestamente infondata la questione di costituzionalità, giudicò improponibile la opposizione dell'Haiat, che indirizzo' tempestivo gravame alla Corte d'appello di Brescia, la quale, andando in avviso contrario a quello del giudice di prime cure, ha ritenuto non manifestamente infondata la questione di legittimità dell'art. 18 in relazione all'art. 17 r.d. 16 marzo 1942, n. 267 e in riferimento all'art. 24, secondo comma Cost. Nella ordinanza 4 maggio-9 giugno 1977, comunicata e notificata, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 347 del 21 dicembre 1977 e iscritta al n. 484 R.O. 1977, la Corte di merito, disattesa l'interpretazione dell'art. 17, inteso dall'Haiat nel senso che il termine per l'opposizione decorrerebbe dalla data dell'affissione della sentenza sol se ne sia nello stesso giorno comunicato il dispositivo a chi di ragione, ha negato che l'art. 18 valga a garantire il diritto di difesa delle parti, precisando che l'opposto giudizio della Corte costituzionale apparirebbe meno convincente nell'ipotesi, in cui sia dichiarato il fallimento del socio che, per non rappresentare la società, non sia stato preventivamente sentito.

Avanti la Corte nessuna delle parti si è costituita; ha spiegato intervento per il Presidente del Consiglio dei ministri l'Avvocatura generale dello Stato con atto depositato il 10 dicembre 1978, nel quale, richiamati i precedenti della Corte, ha concluso per la infondatezza della questione.

Conclusioni, nelle quali l'avvocato dello Stato Carafa ha insistito alla pubblica udienza del 29 ottobre 1980, nella quale il Giudice Andrioli ha svolto la relazione.

3. - Con sentenza 4 dicembre 1975, affissa il successivo 17, che non risulta comunicata al debitore, il Tribunale di Roma dichiarò il fallimento di De Blasis Svandiro, il quale, con atto notificato al curatore e ai creditori istanti il 5 luglio 1976, spiegò opposizione denunciando in linea preliminare la illegittimità dell'art. 18, primo comma, r.d. 16 marzo 1942, n. 267 in riferimento agli artt. 3 e 24 Cost., perché la norma impugnata, facendo decorrere dalla data dell'affissione della sentenza di fallimento il termine per la opposizione, pone sullo stesso piano degli altri interessati alla opposizione il fallito, e non gli assicura il diritto di difesa.

Con ordinanza 27 gennaio-13 marzo 1977, notificata al fallito il successivo 20 aprile ma pervenuta alla Corte soltanto il 28 ottobre 1977, poi comunicata e notificata a sensi di legge, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 4 del 4 gennaio 1978 e iscritta al n. 508 R.O. 1977, l'adito Tribunale non ha reputato persuasivi gli argomenti, addotti da questa Corte per dire infondata la proposta denuncia, e, al fine di ritenere rilevante e non manifestamente infondata la questione di costituzionalità, ha fatto leva sulla sent. 255/1974, con cui la Corte ha giudicato lesivi degli artt. 3 e 24 Cost. l'art. 183, primo comma, e, a sensi dell'art. 27 legge 11 marzo 1953, n. 87, gli artt. 183, terzo comma e 131, commi primo e terzo, r.d. 16 marzo 1942, n. 267, che identificavano nella data di affissione della sentenza che omologa o respinge la proposta di concordato fallimentare o preventivo il dies a quo del termine per l'appello del debitore e degli altri interessati, ed ha escluso che tali situazioni siano diverse da quelle del fallito e degli altri interessati alla rimozione, traverso la revoca della sentenza dichiarativa, degli effetti della apertura del fallimento.

Si è costituito per il De Blasis l'avv. Dario Di Gravio giusta procura in calce a memoria (notificata il 1 aprile 1977 al Presidente del Consiglio dei ministri, il 2 aprile 1977 al curatore, il 6 aprile 1977 al Presidente della Camera dei deputati, il 7 aprile 1977 al Presidente del Senato, il 4 e il 27 aprile 1977 ai creditori istanti, e depositata, in una con il fascicolo di merito, il 20 maggio 1977 nella cancelleria della Corte), nella quale non si è limitato ad insistere nelle argomentazioni accolte nella ordinanza di rimessione, ma ha sollevato questione di illegittimità, in riferimento agli artt. 3, 24 e 70 Cost., della disciplina del sindacato di costituzionalità delle leggi e segnatamente dell'art. 30 legge 11 marzo 1953, n. 87, nella parte in cui non prevede come debba farsi fronte al vuoto legislativo provocato da pronunce d'incostituzionalità. Nella assenza delle altre parti private, è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri con atto depositato il 5 luglio 1977, in cui non ha preso posizione sulla denuncia d'incostituzionalità sollevata dal De Blasis in questa sede ed ha concluso per la infondatezza della questione sollevata dal giudice a quo negando che la sent. 255/1974 valga a riporre in discussione le decisioni adottate dalla Corte sull'art. 18.

Alla pubblica udienza del 29 ottobre 1980, nella quale il Giudice Andrioli ha svolto la relazione, l'avv. Di Gravio, difensore del De Blasis, ha in particolare misura insistito sulla eccezione d'illegittimità dell'art. 30 legge 87/1953 nonché sul contrasto tra l'art. 18, primo comma, e l'art. 3 Cost., mentre l'avvocato dello Stato Carafa, pur non sottacendo la consistenza degli inconvenienti cui la norma impugnata fornisce in pratica occasione, ha insistito nella dichiarazione d'infondatezza della questione specie in riferimento all'art. 3, e in ordine all'eccezione d'illegittimità dell'art. 30 non ne ha contestato la rilevanza ma ha negato che competa alla Corte costituzionale il compito di colmare i vuoti normativi provocati da dichiarazioni d'incostituzionalità di leggi e atti aventi forza di legge.

4. - Con sentenza 20 dicembre 1973, affissa l'11 gennaio 1974, che la debitrice A.S.I.S., nell'atto di opposizione, p. 1, notificato il 1 febbraio 1974 al curatore e alla istante Esattoria comunale di Messina, affermò non comunicatale ma eseguita in suo danno il 29 gennaio 1974, il Tribunale di Catania dichiarò il fallimento di detta società.

Con sentenza 13 febbraio-27 marzo 1977, l'adito Tribunale giudicò manifestamente infondata la questione di legittimità dell'art. 18 r.d. 16 marzo 1942, n. 267, sollevata dalla A.S.I.S. in riferimento all'art. 24, secondo comma, Cost. e ne respinse la opposizione, né diverso fu il giudizio reso dalla Corte d'appello di Catania con sentenza 18 giugno-4 ottobre 1976 su tempestivo gravame della debitrice.

La Corte di cassazione, adita dalla A.S.I.S., ha ritenuto non manifestamente infondata la questione di costituzionalità dell'art. 18, primo comma, r.d. 16 marzo 1942, n. 267, nella parte in cui fa decorrere, per il fallito, il termine per proporre opposizione avverso la sentenza dichiarativa dall'affissione ancorché la comunicazione, prevista dall'art. 17, primo comma, del menzionato decreto, non sia, rispetto ad essa, anteriore o contemporanea sul riflesso che detta comunicazione "non vale a garantire che il fallito sia posto in condizione di venire tempestivamente a conoscenza della sentenza di fallimento, perché nel sistema della legge nessuna influenza è riconosciuta al ritardo o alla omissione della comunicazione e nessuna sanzione è comminata per tale eventualità ed è, quindi, evidente che il previsto meccanismo normativo (affissione più comunicazione) potrebbe costituire un idoneo mezzo di notificazione soltanto se fosse prevista e sanzionata l'anteriorità o, quanto meno, la simultaneità della comunicazione rispetto all'affissione". La Cassazione, insomma, ha riproposto la questione non sotto il profilo della congruità, o meno, del termine stabilito per la opposizione, ma "con riguardo alla idoneità del meccanismo di notificazione, predisposto dalla legge, ad assicurare al fallito il diritto di difesa, di cui fa parte integrante il diritto all'impugnazione".

A seguito della ordinanza di rimessione resa il 7 febbraio e depositata il 6 luglio 1979, comunicata e notificata a sensi di legge, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 29 del 30 gennaio 1980, e iscritta al n. 847 R.O. 1979, si è costituito per la A.S.I.S. l'avv. Mario Pentimalli giusta procura in margine alle deduzioni, depositate il 13 ottobre 1979 concludendo per la dichiarazione di fondatezza della questione. Il Presidente del Consiglio dei ministri non ha spiegato intervento.

Alla pubblica udienza del 29 ottobre 1980, nella quale il Giudice Andrioli ha svolto la relazione, l'avv. Pentimalli, difensore della fallita, si è soffermato su ciò che alla debitrice non era stata data comunicazione dell'estratto della sentenza dichiarativa.

Considerato in diritto:

1. - La circostanza che tutte le ordinanze di rimessione pongono in forse la legittimità dell'art. 18, primo comma, r.d. 16 marzo 1942, n. 267 in quanto fissa il dies a quo del termine di quindici giorni per l'opposizione del fallito alla sentenza dichiarativa per un verso giustifica la riunione dei quattro procedimenti e per altro verso limita il compito della Corte alla verifica della conformità della norma impugnata ai parametri ravvisati dal Tribunale di Roma negli artt. 3 e 24 Cost. (gli altri giudici han fatto capo al solo art. 24) per la opposizione del solo fallito. È per vero estraneo all'attuale dibattito lo scrutinio dell'art. 18 nella parte in cui fa decorrere dall'affissione il termine per l'opposizione di interessati diversi dal fallito, della vasta congerie, cioè di coloro a carico dei quali operano gli effetti della dichiarazione di fallimento (autori di atti pregiudizievoli ai creditori, parti di rapporti pendenti, creditori non istanti).

2. - La precisazione avvia l'indagine intesa a dire fondata la questione per violazione degli artt. 3 e 24, secondo comma Cost.: invero, la necessità di trattazione e decisione unitarie della pluralità di opposizioni, in ipotesi proposte da Vari legittimati non identificabili a priori, spiega perché nel sistema della legge il termine iniziale sia uno ed unico e ne sia la messa in moto sottratta alla iniziativa degli interessati a rendere irretrattabili gli effetti del fallimento dichiarato. Senonché il diritto di difesa del debitore, il quale è destinatario degli effetti del fallimento in assai maggior misura degli altri interessati alla revoca della sentenza dichiarativa, se non riceve offesa dalla seconda delle ragioni giustificatrici della norma in esame (si vuol dire l'impulso d'ufficio), riesce colpito dalla difficoltà della conoscenza effettiva della pronuncia somministrata al debitore dalla affissione, dalla quale pur prende a decorrere il termine di quindici giorni.

Allegare, come da questa Corte si è giudicato con precedenti pronunce (sent. 93/1962; sent. 141/1970; ord. 59/ 1971), l'adagio: vigilantibus, non dormientibus iura succurrunt non convince, perché tutto sta a vedere se sia da reputarsi dormiens il debitore che non rispetta il termine decorrente dall'affissione, e la esperienza insegna che la risposta affermativa è quanto meno azzardata.

La inidentificabilità, poi, degli altri interessati, se legittima la scelta del legislatore nei limiti in cui ricorre la ripetuta inconoscibilità, non somministra utile supporto al dettato normativo nell'ipotesi del debitore, talché ben può concludersi che la individuazione del dies a quo nell'affissione dell'estratto della sentenza è, per quel che concerne l'opposizione del debitore, priva di razionale fondamento.

Infine, la celerità della procedura fallimentare nel suo complesso intesa e la tutela degli interessi dei creditori sono a torto invocate, per poco si consideri che tutti gli effetti del fallimento si producono - a prescindere dalla affissione -a far tempo dalla pronuncia (e cioè dalla pubblicazione mediante deposito in cancelleria) della sentenza dichiarativa, la quale è esecutiva di diritto e insuscettibile di sospensione, e che la sua revoca non impinge sulla validità degli effetti degli atti legalmente compiuti dagli organi del fallimento.

3. - Alcuno dei giudici si è domandato e ha domandato se la mancata o tardiva esecuzione delle altre forme di propalazione della pronuncia (e segnatamente della comunicazione dell'estratto della sentenza) incida sulla idoneità della affissione alla decorrenza del termine per l'opposizione del fallito, ma del quesito è unico destinatario il giudice ordinario, al quale competono l'interpretazione e l'applicazione della legge fallimentare e del codice di procedura civile, che non cessa di essere la legge generale della giurisdizione dei diritti (art. 1).

Altro giudice ha sollecitato la Corte a sostituire alla affissione la ricezione da parte del fallito del biglietto di comunicazione dell'estratto della sentenza dichiarativa quale atto idoneo alla decorrenza del termine, ma la operazione compete al legislatore, non alla Corte.

Né va sottaciuto che alla raccomandata pura e semplice, di cui il legislatore ordinario, malgrado l'ammonimento espresso nella sent. 88/1977 di questa Corte, ha insistito nel reputarsi pago nella parziale novellazione del combinato disposto degli artt. 136 c.p.c. e 45 d.a.c.p.c., operata con gli artt. 7 e 8 legge 7 febbraio 1979, n. 59, dovrebbe, per esaudire il voto, essere sostituita, le quante volte il biglietto non sia consegnato dal cancelliere al debitore né venga notificata per mezzo di ufficiale giudiziario, la raccomandata con avviso di ricevimento: sostituzione che implica ancora e sempre quella creazione di nuove norme, che non compete alla Corte.

Le or svolte riflessioni pongono in evidenza come, anche ratione temporis (ancora non erano entrati a far parte del complesso normativo gli artt. 7 e 8, nonché 3 legge 59/1979), non possa essere invocata come espressione di opposto indirizzo la sent. 255/1974 con la quale la Corte non si è limitata a giudicare illegittimi gli artt. 131, primo e terzo comma, e 183, primo e terzo comma, r.d. 267/1942, ma si è indotta a sostituire all'affissione la ricezione della comunicazione del dispositivo; a chi ben guardi la invocazione è frutto di disattenta lettura dell'arresto del '74, volta che eventuali parti del giudizio di appello sono nel campo dei concordati le sole parti costituite nel giudizio di primo grado e, pertanto, non si avverte l'esigenza di costruire un dies a quo uno ed unico per la massa sconosciuta degli interessati diversi dal debitore.

Né merita, infine, diverso apprezzamento la denuncia d'incostituzionalità dell'art. 30 legge 87/1953, in questa sede sporta da una delle parti, comecché inidoneo a colmare "vuoti" provocati da pronunce d'incostituzionalità di leggi e atti aventi forza di legge.

4. - Il dispositivo, che la Corte va a formulare, consente ai giudici, che lo han sollecitato, di pronunciare sul merito; anche alla Corte d'appello di Brescia, la quale ha posto in rilievo la condizione del socio illimitatamente responsabile non rappresentante della società personale, che non fu posto in grado di difendersi nella procedura di dichiarazione di fallimento, evidente essendo che, una volta eliminato l'ostacolo della decadenza dalla opposizione, la cui disciplina, traverso il richiamo effettuato dall'art. 147, primo e terzo comma, r.d. 267/1942, va rinvenuta nell'art. 18, sarà il socio ammesso a far valere le sue ragioni.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i quattro procedimenti, iscritti ai nn. 323, 484, 508/1977 e 847/1979, dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 18, primo comma, del r.d. 16 marzo 1942, n. 267, nella parte in cui prevede che il termine di quindici giorni per fare opposizione decorra per il debitore dalla affissione della sentenza che ne dichiara il fallimento.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 20 novembre 1980.

F.to: LEONETTO AMADEI - GIULIO GIONFRIDA - EDOARDO VOLTERRA - MICHELE ROSSANO - ANTONINO DE STEFANO - LEOPOLDO ELIA - GUGLIELMO ROEHRSSEN - ORONZO REALE - BRUNETTO BUCCIARELLI DUCCI - ALBERTO MALAGUGINI - LIVIO PALADIN - ARNALDO MACCARONE - ANTONIO LA PERGOLA - VIRGILIO ANDRIOLI.

GIOVANNI VITALE - Cancelliere