N. 143
SENTENZA 18 LUGLIO 1980
Deposito in cancelleria: 30 luglio 1980.
Pubblicazione in "Gazz. Uff." n. 215 del 6 agosto 1980.
Pres. AMADEI - Rel. ANDRIOLI
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori: Avv. LEONETTO AMADEI, Presidente - Dott. GIULIO GIONFRIDA - Prof. EDOARDO VOLTERRA - Prof. GUIDO ASTUTI - Dott. MICHELE ROSSANO - Prof. ANTONINO DE STEFANO - Prof. LEOPOLDO ELIA - Prof. GUGLIELMO ROEHRSSEN - Avv. ORONZO REALE - Dott. BRUNETTO BUCCIARELLI DUCCI - Avv. ALBERTO MALAGUGINI - Prof. LIVIO PALADIN - Dott. ARNALDO MACCARONE - Prof. ANTONIO LA PERGOLA - Prof. VIRGILIO ANDRIOLI, Giudici,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 1, primo e terzo comma, della legge 26 maggio 1978, n. 215 (norme in materia di mobilità dei lavoratori) promosso con ordinanza emessa l'8 febbraio 1979 dal Pretore di Milano nel procedimento civile vertente tra Galbiati Giuseppe e le Società UNIDAL e SIDALM, iscritta al n. 570 del registro ordinanze 1979 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 265 del 26 settembre 1979.
Visti gli atti di costituzione di Galbiati Giuseppe e della Società SIDALM; nonché l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell'udienza pubblica del 18 giugno 1980 il Giudice relatore Virgilio Andrioli;
uditi l'avv. Leopoldo Leon per Galbiati Giuseppe, l'avvocato Mario Vitucci per la Società SIDALM, e l'avvocato dello Stato Giorgio Azzariti per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto:
1. - Con ricorso, depositato il 12 dicembre 1977 e notificato alla resistente UNIDAL (già ALEMAGNA s.p.a.), in una con il decreto di fissazione dell'udienza di discussione del 13 febbraio 1978, il 6 gennaio 1978, Galbiati Giuseppe, rappresentato e difeso giusta mandato a margine dagli avvocati Maria Grazia Campari e Leopoldo Leon, espose che, assunto alle dipendenze della società Alemagna il 1 giugno 1964 in qualità di venditore piazzista e inquadrato nella prima categoria del relativo contratto collettivo, fu inserito nell'organico della filiale di Monza e svolse attività lavorativa sino a febbraio-marzo 1973, epoca in cui fu affetto da grave malattia cardiaca che ne determinò l'infermità permanente; che ripresosi dalla fase acuta, concordò, a seguito di contatti intrattenuti con il direttore della filiale e con il direttore del personale dott. Anelli, di presentare alla datrice di lavoro le dimissioni da venditore piazzista al fine di essere assunto in qualità di impiegato di seconda categoria, addetto alla sede di via Silva; che, resosi dimissionario il 31 maggio 1974, fu fatto segno, sotto la data del 28 giugno, di richiesta nominativa come impiegato di seconda categoria, da parte della s.p.a. Alemagna, all'Ufficio provinciale del lavoro e della massima occupazione ed avviato al lavoro con tale qualifica il 1 luglio 1974, ma che fu in realtà adibito all'espletamento di mansioni operaie dapprima nella categoria F (luglio-agosto 1974) e poi nella quinta categoria dall'agosto 1974 in poi e percepì le corrispondenti retribuzioni.
Ciò premesso in fatto, dedusse il ricorrente in diritto che la richiesta nominativa da parte del datore di lavoro aveva costituito il rapporto impiegatizio, che, comunque, era riconfermato dal rilascio, da parte del competente ufficio, di certificato di avviamento al lavoro presso la Alemagna, che la società, adibendo esso Galbiati a mansioni non impiegatizie e, per giunta, non consone alla condizione di invalido di lui, aveva violato l'art. 20 legge n. 482/1968 e, in ogni modo, l'art. 13 legge n. 300/1970.
Sulla base delle riassunte considerazioni chiese il Galbiati che l'adito Pretore di Milano a) condannasse la UNIDAL ad attribuirgli le mansioni impiegatizie di seconda categoria, compatibili con il suo stato di salute, con declaratoria di illegittimità della precedente attribuzione a mansioni operaie, b) dichiarasse dovuta e, per l'effetto, gli attribuisse la qualifica impiegatizia a far data dal 1 luglio 1974 con ogni conseguenza di ordine patrimoniale, monetizzata in lire 4.360.359, maggiorate da interessi e da rivalutazione monetaria, per differenza paga, e in lire 1.950.000 per omessa contribuzione, c) dichiarasse fittizia interruzione del rapporto le dimissioni presentate il 10 maggio 1974, con la conseguenza che la anzianità dovesse prendere data dal 1 giugno 1964. In via subordinata chiese esperirsi prova per testi.
La UNIDAL, rappresentata ed assistita dall'avv. Giuseppe Prisco giusta procura generale alle liti n. 2330 rep. not. Paolini di Varese del 4 gennaio 1978, si costituì mediante memoria difensiva depositata il 2 febbraio 1978, in cui denunciò la contraddittorietà delle postulazioni attrici, affermò la realtà delle dimissioni del Galbiati e, sulla base di tali premesse, chiese respingersi le domande attrici. In via subordinata indicò testi.
2. - Riuscito vano il tentativo di conciliazione, si procedé, nel corso dell'udienza di discussione, all'interrogatorio delle parti, a seguito del quale il Pretore ordinò al competente Ufficio del lavoro di fornire informazioni sia sul momento dell'iscrizione del Galbiati nell'elenco degli invalidi civili sia sulla richiesta avanzata dall'Alemagna il 28 giugno 1974 ed evasa con l'avviamento al lavoro datato 1 luglio 1974 nella persona del Galbiati.
Assunta la disposta prova per testi all'udienza del 4 aprile 1978, il Pretore fissò per la discussione l'udienza del 30 maggio 1978, all'inizio della quale il Galbiati dichiarò che il 23 maggio 1978 si era risolto il suo rapporto con la UNIDAL e che era stato assunto alle dipendenze della SIDALM come operaio, con inizio delle prestazioni previsto per il 16 giugno 1978; sebbene la difesa dell'UNIDAL contestasse la ritualità delle istanze attrici di intervento della SIDALM per ordine del giudice e della acquisizione della documentazione della risoluzione del rapporto Galbiati UNIDAL e del rapporto Galbiati SIDALM, il Pretore, anche alfine di valutare la cessazione della materia del contendere in ordine alla prima domanda del Galbiati, invitò le parti a produrre la documentazione.
All'udienza del 13 giugno 1978 la difesa della UNIDAL esibì in copia il verbale di conciliazione sindacale tra essa UNIDAL e il Galbiati in data 16 maggio 1978 e il contratto individuale di lavoro SIDALM Galbiati e si oppose all'ordine di intervento della SIDALM, ma il Pretore, anche in considerazione della opportunità di chiarire i rapporti tra la UNI-DAL e la SIDALM ai fini di verificare se in concreto si fosse data vita tra le due società a trasferimento di azienda, dispose, con ordinanza 13 giugno 1978, l'intervento in causa della SIDALM e la produzione, da effettuarsi dalla UNIDAL, del verbale d'intesa 23 gennaio 1978 e di tutta la documentazione inerente al passaggio del complesso aziendale UNIDAL alla SIDALM, compresa la manodopera alle dipendenze della prima.
All'ordine pretorile ottemperò il Galbiati con ricorso notificato il 27 luglio e depositato il 3 agosto 1978, in cui estese alla SIDALM le domande già proposte nei confronti della UNIDAL.
Si costituì la SIDALM, rappresentata e assistita dall'avvocato Francesco Realmonte giusta procura in calce e poi dall'avv. Giuseppe Guarino giusta mandato alle liti autenticato per notaio Paolini il 28 gennaio 1979, mediante memoria 10 settembre 1978, con la quale, sulla base di documentazione versata in atti, chiese dichiararsi l'autonomia, rispetto al precorso rapporto con la UNIDAL, del rapporto del Galbiati con la SIDALM e, di conseguenza, respingersi le domande attrici; autonomia che la SIDALM ancorava sia alla conciliazione sindacale avvenuta il 16 maggio 1978, sia alla disposizione dell'art. 1 della legge 26 maggio 1978, n. 215, che, convertendo il d.l. 30 marzo 1978, n. 80, ha attribuito alla dichiarazione dello stato di crisi aziendale ai sensi dell'art. 2, comma quinto, lett. c) della legge 12 agosto 1977, n. 675, lo stesso effetto della disdetta indicata nell'art. 2112, comma primo, cod. civ., anche se intervenuta anteriormente alla entrata in vigore del decreto legge.
Dal suo canto, il Galbiati sollevò questioni di costituzionalità dell'intero d.l. n. 80/1978 in riferimento agli artt. 70, 76 e 77, commi primo e secondo, Cost. e per eccesso di potere governativo, dell'art. 1 dello stesso decreto in riferimento agli artt. 1,2,3,4,35,36,37,41, comma secondo, Cost., dell'intera legge n. 215/1978 in riferimento agli artt. 70, 76, 77 e 72 Cost., e dell'art. 1, commi primo e terzo, della stessa legge in riferimento agli artt. 77, 1, 2, 3, 4, 35, 36, 37, 41, comma secondo, Cost., nonché per violazione dei principi generalissimi di legalità e di riserva di legge, e per eccesso di potere governativo.
3. - Con ordinanza resa l'8 febbraio 1979 alla presenza dei difensori e dei procuratori speciali, depositata nella cancelleria il successivo 13, notificata alle parti i 21, 22 e 26, alla Presidenza del Consiglio dei ministri il 26, comunicata il 26 alla Camera dei deputati e il 27 al Senato della Repubblica, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 265 del 26 settembre 1979 (n. 570 Reg. ord. 1979), l'adito Pretore ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 1, commi primo e terzo, della legge 26 maggio 1978, n. 215, in riferimento agli artt. 1, 2, 3, 4 comma primo, 35, 36 comma primo, 41 comma secondo, Cost., ordinando la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale e la sospensione del giudizio in corso.
Premesso che il Galbiati rivendicava un 'anzianità ininterrotta dal 1 giugno 1964 e la qualifica impiegatizia di seconda categoria dal 1 luglio 1974 nei confronti dell'UNIDAL, la continuità del rapporto originario e l'illegittimità dell'inquadramento nel quinto livello professionale e nella categoria operaia nei confronti della SIDALM, nonché, nei confronti di entrambe le convenute, il risarcimento dei danni conseguenti al comportamento fraudolento che sarebbe stato tenuto in occasione delle sue dimissioni dall'UNIDAL, il Pretore ha ravvisato l'origine del sollevato incidente nella deduzione del Galbiati volta a che le pretese originariamente vantate contro l'UNIDAL debbano valere anche nei confronti della SIDALM, in quanto le due imprese costituirebbero la medesima entità, o, quanto meno, si sarebbe verificato tra le stesse un trasferimento di azienda, produttivo degli effetti di cui all'articolo 2112, comma primo, cod. civ., e nelle deduzioni della SIDALM, la prima delle quali consistente nelle concrete modalità del passaggio del Galbiati dall'UNIDAL alla SIDALM, realizzatosi con la risoluzione consensuale del primo rapporto, documentata nella conciliazione del 16 maggio 1978 espressamente interruttiva della continuità con il secondo rapporto, e la seconda deduzione consistente nell'applicazione dell'art. 1 legge n. 215/1978, che attribuisce l'effetto della disdetta, di cui al ripetuto art. 2112, comma primo, cod. civ., alla dichiarazione dello stato di crisi aziendale espressa dal CIPI ai sensi dell'art. 2, comma quinto. lett. c) della legge n. 675/1977.
Muovendo dalla premessa, diffusamente argomentata, che rilevante è la questione la quale investa una delle norme che si ha ragione di ritenere che dovranno essere applicate per definire il giudizio di merito, il Pretore ha giudicato rilevante la prospettata questione di costituzionalità, che considera non manifestamente infondata perché la normativa in esame, rendendo superflua la disdetta del datore di lavoro che trasferisce l'azienda, le quante volte questa versa in dichiarato stato di crisi, infligge lesione a quel complesso di diritti legati all'anzianità acquisiti dal lavoratore in virtù della continuità del rapporto, che rappresentano strumenti di realizzazione dell'esigenza affermata nel 1 comma dell'art. 36 della Costituzione.
Violazione dell'art. 3, comma primo, Cost. ha ravvisato il Pretore nel diverso trattamento praticato ai lavoratori dipendenti di azienda giudicata in crisi rispetto ai dipendenti di azienda non in crisi; diversità di trattamento, la quale, a sua volta, si riannoda alla esigenza di non gravare il datore di lavoro acquirente dell'azienda di oneri inerenti al passato, della cui soddisfazione non possono essere chiamati a sopportare le spese i lavoratori senza violare gli artt. 1, 2, 3, 4 e 35 della Costituzione.
"Le disposizioni impugnate sembrano, in verità, - ha concluso il Pretore - espressione di una tendenza recente della produzione legislativa rivolta ad erodere, in nome dell'emergenza economica, significative acquisizioni normative a favore dei lavoratori, attuative dei principi costituzionali (seppure anteriori alla stessa Costituzione), che non può non destare, ad avviso di questo giudice, serie preoccupazioni sotto un profilo di politica del diritto, nel momento in cui si rivela espressione del dogma illuministico dell'onnipotenza della legge, che tutto può fare e disfare, senza in alcun modo tener conto di diritti acquisiti sui quali venga eventualmente ad incidere, nemmeno nel caso - come quello in esame - in cui tali diritti derivino da altre norme di legge esplicitamente od implicitamente rivolte alla realizzazione di principi costituzionali".
4. - Avanti la Corte si è costituito, con la difesa dell'avvocato Leopoldo Leon giusta procura in calce, il Galbiati mediante memoria depositata il 20 marzo 1979, il cui contenuto è comune all'incidente di costituzionalità n. 484 Reg. ord. 1979.
Si è costituita, con l'assistenza dell'avv. Giuseppe Guarino giusta procura in calce, la SIDALM mediante memoria depositata il 16 ottobre 1979, in cui ha in linea preliminare contestato la rilevanza della questione sia perché non riescono applicabili al caso il primo comma dell'art. 1 della legge n. 215/ 1978 che riflette gli effetti di dichiarazione di crisi aziendale ex lege n. 675/1977 anteriori al d.l. n. 80/1978, e il terzo comma dell'art. 1 che riguarda dichiarazioni di crisi aziendale successive al d.l. n. 80/1978, sia perché oggetto principale del giudizio erano le pretese del Galbiati verso la UNIDAL, sol riconoscendo fondate le quali veniva in considerazione la estensione delle medesime alla SIDALM su cui incideva, in ipotesi, la normativa sospettata d'incostituzionalità, sia perché il Pretore non aveva delibato l'impugnativa per dolo, con la quale il Galbiati aveva investito la conciliazione sindacale con cui si era posto fine al rapporto Galbiati- UNIDAL, né aveva tenuto conto di ciò che il Galbiati prestava la sua opera nello stabilimento di Milano, via Silva, non compreso tra le attività trasferite dalla UNIDAL alla SIDALM. Formulata, sulla base di tali argomentazioni, istanza di rimessione degli atti al giudice a quo per rinnovato esame della rilevanza, la SIDALM ha contestato la fondatezza della questione sul duplice riflesso che la disdetta, di cui all'art. 2112 cod. civ., non può sospettarsi d'incostituzionalità e, pertanto, non giova a indurre dubbio sulla legittimità della dichiarazione di crisi aziendale, della quale è equipollente, e che l'assunzione dei dipendenti della azienda in crisi, di cui siasi attuato il trasferimento, giova ad evitare il licenziamento consecutivo allo spirare del periodo di Cassa integrazione.
E intervenuta la Presidenza del Consiglio dei ministri mediante atto depositato il 16 ottobre 1979, in cui l'Avvocatura generale dello Stato, dopo aver contestato la rilevanza della questione con argomenti non divergenti dagli altri esposti dalla SIDALM, sottolinea, in ordine alla fondatezza, che i corpi di norme del 1977 e del 1978 sono essenzialmente volti a garantire i livelli occupazionali mediante il risanamento delle aziende in crisi e la mobilità dei lavoratori; finalità, per la realizzazione delle quali non appare contrario ai dettami costituzionali affiancare alla disdetta, che è espressione di autonomia privata, la dichiarazione di crisi aziendale; finalità alla soddisfazione delle quali non è contrario alla Costituzione sacrificare il diritto del lavoratore all'anzianità. È estraneo - sempre ad avviso dell'Avvocatura - al giudizio di costituzionalità l'apprezzamento della sufficienza di mezzi economici, diversi da quello accolto, indirizzati al fine di rendere possibile il risanamento delle aziende, né, infine, omette l'Avvocatura di sottolineare l'efficacia transitoria del primo comma dell'art. 1 e il collegamento dei successivi commi della stessa disposizione alla emergenza.
La difesa del Galbiati, con istanza 18 dicembre 1979, depositata il 7 gennaio 1980, ha chiesto fissarsi l'udienza di discussione dell'incidente, e, con memoria depositata il 7 maggio 1980, comune all'altro incidente di costituzionalità n. 484 Reg. ord. 1979, ha ampiamente illustrato la rilevanza delle questioni d'illegittimità e l'illegittimità dell'art. 1 d.l. n. 80/ 1978 e dell'art. 1 legge n. 215/1978, degli artt. 1, 3, 4 e 8 d.l. n. 795/1978 e della legge n. 36/1979.
Premessa l'esposizione delle fonti normative, comune all'altro incidente di costituzionalità n. 484 Reg. ord. 1979, la difesa, in punto all'apprezzamento di rilevanza, ha sostenuto che il parametro va saggiato in riferimento alla ipotesi di accoglimento della domanda, e non già con riguardo alla pronuncia giudiziale di merito, sia essa favorevole o contraria all'attore.
In ordine alla fondatezza dell'incidente ha posto in rilievo il sostrato socio-economico, peraltro non espresso nella ordinanza di rimessione; sostrato ravvisato in ciò che "l'azienda incorpora ed è la risultante del lavoro di coloro che vi sono stati addetti" e che "la loro anzianità e professionalità viene a configurarsi come un bene-valore incorporato nell'azienda ceduta". Donde due conseguenze.
L'art. 1, ponendo nel nulla l'anzianità, "fa conseguire gratuitamente codesto bene-valore al cessionario".
In secondo luogo, il d.l. impugnato, lungi dal colmare, come si proponeva, una lacuna della legge n. 675/1977, che non disciplinava il caso di cessione dell'azienda da parte dell'impresa in crisi, sortirebbe invece l'effetto di determinare, per il personale non assunto dall'impresa cessionaria, che si trovi in mobilità ed in cassa integrazione guadagni straordinaria, la cessazione di entrambe le procedure, le quali non avrebbero più corso nei confronti del personale di una azienda ormai ceduta. Razionale sarebbe stato, invece, prevedere che il personale dell'azienda in crisi, in caso di cessione aziendale, passasse alle dipendenze dell'impresa cessionaria, e che questa, per il fatto della cessione, ereditasse le procedure di mobilità e di integrazione salariale, provvedendo poi essa a licenziare, al termine del processo di ristrutturazione, il personale sovrabbondante. Il diverso sistema usato dal decreto legge avrebbe l'effetto di incentivare le imprese a costituire il "doppio" di se stesse (a costituire cioè nuove imprese doppioni, invece di ricapitalizzare quelle esistenti), al fine di cedere sostanzialmente a se stesse le aziende, si da poter beneficiare della "riduzione di personale ex lege" introdotta dalla "novella" in esame.
La difesa ha concluso per la dichiarazione d'incostituzionalità a) dell'art. 1 d.l. n. 80/1978 e dell'art. 1, commi primo e terzo, della legge n. 215/1978 per violazione degli artt. 77, 1, 2, 3, 4 comma primo, 35, 36 comma primo, 41 comma secondo, Cost., e b) dell'intero d.l. n. 80/1978 e dell'intera legge n. 215/1978 nel suo effetto di conversione per violazione dell'art. 77 della Costituzione.
5. - All'udienza pubblica del 18 giugno 1980, alla quale la discussione è stata rinviata dalla precedente udienza del 21 maggio 1980, il Giudice Andrioli ha svolto la relazione. L'avv. Leon, nell'interesse del Galbiati, ha illustrato le ragioni prospettate nelle scritture; in particolare, ha invocato, a sostegno della rilevanza della questione sollevata dal Pretore, i principi del rito speciale del lavoro, espressi nel testo novellato degli artt. 420 e 421 cod. proc. civ., che non consentirebbe il frazionamento del giudizio in due o più sentenze, e, in quanto alla fondatezza della questione, si è diffuso ad illustrare il significato dell'art. 2112, comma primo cod. civ.
L'avv. Vitucci, in sostituzione dell'avv. Guarino difensore della SIDALM, ha esposto le ragioni della cliente; in particolare, ha, a conforto della irrilevanza della questione, richiamato la sentenza n. 103/1979 della Corte e la irretrattabilità della conciliazione sindacale. L'avv. dello Stato Azzariti, infine, ha puntualizzato alcuni degli argomenti esposti nell'atto d'intervento.
Considerato in diritto:
1. - La diffusa motivazione, svolta dal Pretore sulla rilevanza della prospettata questione di legittimità. resiste alle critiche della Presidenza del Consiglio e della SIDALM: basta riflettere che le eccezioni dirette al rigetto delle domande di merito del Galbiati in alternativa alle deduzioni di infondatezza della questione stessa esigono l'accertamento del carattere fraudolento della conciliazione sindacale e della sostanza dei rapporti tra UNIDAL e SIDALM (accertamento quest'ultimo di cui non può sfuggire la estrema complessità) per convincersi che il fondamentale principio della economia dei giudizi, pur in processo dominato dalla duplice direttiva della concentrazione e della immediatezza impressa con la legge 11 agosto 1973, n. 533, alla trattazione delle controversie individuali di lavoro, induce a ritenere opportuna la scelta operata dal Pretore di Milano.
Non a proposito, nel corso della discussione orale, ha invocato la difesa della SIDALM la irretrattabilità della conciliazione sindacale perché non è questa sottratta al comune regime d'impugnazione degli atti negoziali per vizi della volontà, né si manifesta in termini il richiamo della sent. n. 103/1979, resa da questa Corte non in tema di pregiudizialità alternative, ma in riferimento a specie, in cui il giudice a quo aveva omesso la verifica della fattispecie della norma impugnata.
2. - Nel merito le questioni sollevate dal Pretore di Milano sono infondate perché muovono dalla premessa che l'art. 2112, comma primo, cod. civ., costituisca un tipo di norma di ordine rafforzato se non costituzionale, in cospetto del quale dovrebbe soccombere il meccanismo di normativa, opportunamente esposta sul limitare della memoria del Galbiati, che ha per oggetto le crisi aziendali e la mobilità dei lavoratori.
Gli argomenti di contenuto economico-sociale, con grande impegno svolti dalla difesa del lavoratori al fine di virilizzare la premessa, non persuadono. L'affermazione che l'impugnato art. 1, ponendo nel nulla l'anzianità, faccia conseguire gratuitamente al cessionario il bene lavoro costituito da anzianità e professionalità dei dipendenti incorporate nell'azienda, non tiene conto dello stato di crisi, che, indipendentemente dalla normativizzazione che se ne è fatta dal 1977 e fuori dall'ipotesi dell'amministrazione straordinaria, prevista dal d.l. n. 26/ 1979, conv. nella legge n. 95/1979, rappresenta il più delle volte l'anticamera della dichiarazione di fallimento, la quale, a stare al codice civile, non provoca - è vero - la cessazione del rapporto di lavoro ma si limita, nella quasi totalità dei casi, a procrastinarla, esponendo poi i lavoratori licenziati dagli organi della procedura concorsuale, che non abbiano autorizzato la continuazione dell'esercizio dell'impresa, alle non celeri operazioni di ripartizione dell'attivo, nelle quali la laudabile novellazione dell'ordine dei privilegi effettuata nel 1975 non è sempre idonea a far acquisire il dovuto ai lavoratori ormai privi di occupazione. Anche qui riceve conferma l'adagio che una cosa è la più fondata delle pretese e altra è la sua soddisfazione.
Né giova plaudire, come a più razionale scelta, alla ipotesi negletta dal legislatore, per la quale il personale dell'impresa in crisi, in corso di cessione aziendale, sarebbe trasferito alle dipendenze della impresa cessionaria e questa, per effetto della cessione, provvederebbe a licenziare, al termine del processo di ristrutturazione, il personale sovrabbondante; ipotesi che, se elevata a dignità di contenuto di norma cogente, impedirebbe - sospetta la difesa del Galbiati - agli imprenditori di dar vita a controfigure di se stessi onde rimanere titolari delle aziende cedute e di fruire della riduzione di personale ex lege. Ché riesce agevole obiettare che giudici civili, amministrativi e penali ben potranno esercitare il loro magistero per evitare le ipotizzate frodi alla legge.
Né ha pregio l'argomentazione diretta ad evidenziare che del risanamento delle imprese in crisi farebbero le spese i lavoratori perché la collettività, la quale non consta soltanto di coloro che pongono a disposizione di altri energie di lavoro, contribuisce in guisa più che cospicua - traverso rivoli più o meno diretti - ai finanziamenti, in difetto dei quali il ricupero delle imprese rimarrebbe sulla carta. Che poi i finanziamenti non siano illuminatamente utilizzati o vengano divertiti per altre finalità, è vicenda che va accertata dalle autorità competenti e dai giudici dei diritti e dei reati.
Né, infine, giova istituire raffronto tra impresa sana e impresa in crisi per argomentarne la offesa che all'art. 3 Cost. infliggerebbe il diverso trattamento riservato ai dipendenti dell'una e dell'altra, perché sin troppo palese è la diversità di condizione, in cui versano le due figure di imprese tolte a paragone.
La maggior ampiezza del novero dei parametri di costituzionalità, indotti dal Pretore, rispetto agli artt. 3 e 36 su cui si è con maggiore intensità soffermata la difesa del Galbiati, non esime la Corte dal porre in rilievo l'assolutezza della proposizione, da cui il Pretore muove per stimare "abbastanza fondata" la questione di costituzionalità per violazione dell'art. 36, che, cioè, l'art. 2112, comma primo, cod. civ. garantisce la continuità del rapporto di lavoro nell'ipotesi di trasferimento di azienda.
Ben noti accordi sindacali, pur applicati nel senso, accolto dalla giurisprudenza ordinaria la quale mira a ridurre traverso impegnate indagini del concreto l'area dei licenziamenti collettivi, estranei alla legge n. 604/1966 (art. 11, comma secondo) e all'art. 18 legge n. 300/1970, smentiscono la conformità della proposizione al diritto vigente e vivente, il quale non consente - lo si ripete - di elevare la norma in esame a pietra di paragone avanti la quale dovrebbe cedere la normativa impugnata.
Disatteso, per le già esposte ragioni ricavate in parte da norme vigenti e in parte dalla comune esperienza, il rilievo che l'applicazione dell'art. 1 e della legislazione pregressa e successiva, nella quale s'integra, sia finanziata dai soli lavoratori, vengono meno le censure di violazione degli artt. 1, 2, 3, 4 e 35, che, nella ordinanza di rimessione, rinvengono in quel rilievo l'unica base.
Né, infine, merita accoglimento la impugnazione basata sull'art. 41, comma secondo (per giunta menzionata nel solo dispositivo della ordinanza), la quale si ricollega pur sempre al ripetuto e più volte criticato rilievo di ordine economico finanziario.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondata la questione di legittimità dell'art. 1, commi primo e terzo, della legge 26 maggio 1978, n. 215, sollevata in riferimento agli artt. 1, 2, 3, 4 comma primo, 35, 36 comma primo, e 41 comma secondo, Cost. dal Pretore di Milano con la ordinanza 8 febbraio 1979.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 18 luglio 1980.
F.to: LEONETTO AMADEI - GIULIO GIONFRIDA - EDOARDO VOLTERRA - GUIDO ASTUTI - MICHELE ROSSANO - ANTONINO DE STEFANO - LEOPOLDO ELIA - GUGLIELMO ROEHRSSEN - ORONZO REALE -BRUNETTO BUCCIARELLI DUCCI - ALBERTO MALAGUGINI - LIVIO PALADIN - ARNALDO MACCARONE - ANTONIO LA PERGOLA - VIRGILIO ANDRIOLI.
GIOVANNI VITALE - Cancelliere