˙ Sentenza  139/1980 (ECLI:IT:COST:1980:139)
Giudizio:  GIUDIZIO DI LEGITTIMITÀ COSTITUZIONALE IN VIA INCIDENTALE
Presidente: AMADEI - Redattore:  - Relatore: GIONFRIDA
Udienza Pubblica del 19/03/1980;    Decisione  del 18/07/1980
Deposito del 30/07/1980;    Pubblicazione in G. U.
Norme impugnate:  
Massime:  9513
Atti decisi: 

Pronuncia

N. 139

SENTENZA 18 LUGLIO 1980

Deposito in cancelleria: 30 luglio 1980.

Pubblicazione in "Gazz. Uff." n. 215 del 6 agosto 1980.

Pres. AMADEI - Rel. GIONFRIDA

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori: Avv. LEONETTO AMADEI, Presidente - Dott. GIULIO GIONFRIDA - Prof. EDOARDO VOLTERRA - Prof. GUIDO ASTUTI - Dott. MICHELE ROSSANO - Prof. ANTONINO DE STEFANO - Prof. LEOPOLDO ELIA - Prof. GUGLIELMO ROEHRSSEN - Avv. ORONZO REALE - Dott. BRUNETTO BUCCIARELLI DUCCI - Avv. ALBERTO MALAGUGINI - Prof. LIVIO PALADIN - Dott. ARNALDO MACCARONE - Prof. ANTONIO LA PERGOLA - Prof. VIRGILIO ANDRIOLI, Giudici,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 556, comma terzo, cod. pen. promosso con ordinanza emessa il 18 febbraio 1975 dal Giudice istruttore del tribunale di Trieste, nel procedimento penale a carico di Pinesich Antonio ed altra, iscritta al n. 294 del registro ordinanze 1975 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 235 del 3 settembre 1975.

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 19 marzo 1980 il Giudice relatore Giulio Gionfrida;

udito l'avvocato dello Stato Giuseppe Angelini Rota, per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto:

1. - Il 3 giugno 1931, Antonio Pinesich, cittadino italiano, contrasse matrimonio civile, a Cunski (Jugoslavia), con Antonia Hroncich.

Il 12 febbraio 1964, il tribunale di Fiume emise sentenza di divorzio tra i due.

Il successivo 25 gennaio 1965, lo stesso Pinesich si è unito a Maria Grimalda, anch'essa cittadina italiana, con nuovo matrimonio civile celebrato a Millburne (Pennsylvanya - U.S.A.).

Il 7 marzo 1974, la Corte di appello di Trieste ha delibato la pronunzia di divorzio, come sopra emessa dal tribunale di Fiume, dandole efficacia in Italia.

Nel frattempo - essendosi il Pinesich e la Grimalda trasferiti in Italia ed avendo quivi chiesto, il 29 settembre 1972, l'iscrizione anagrafica - era stata acclarata l'esistenza del precedente vincolo matrimoniale del Pinesich (la cui pronunzia di scioglimento non era stata - come detto - ancora delibata in Italia); e da ciò aveva preso avvio un azione penale per bigamia a carico di Pinesich e della Grimalda.

Nel corso del detto procedimento, il giudice istruttore del tribunale di Trieste, con ordinanza del 18 febbraio 1975, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 556, comma terzo, cod. pen., secondo cui il reato di bigamia è estinto "se il matrimonio contratto precedenteniente dal bigamo è dichiarato nullo ovvero è annullato il secondo matrimonio per causa diversa dalla bigamia".

La detta norma è sembrata, infatti, al giudice di Trieste in contrasto con il precetto costituzionale della eguaglianza (art. 3 Cost.), in quanto non pone "sullo stesso piano del soggetto che oggi pacificamente fruisce della causa di estinzione, della quale si discute, colui che, avendo contratto il secondo matrimonio all'estero in data successiva alla pronunzia di divorzio dal primo, ottenga tramite la delibazione in Italia della sentenza di divorzio straniera, la relativa annotazione della cessazione del vincolo sui registri dello stato civile".

La rilevanza della questione è motivata in base alla considerazione che la reductio ad legitimitatem della disposizione impugnata, nei sensi indicati, consentirebbe, nel giudizio a quo di dichiarare estinto il reato di bigamia ascritto agli imputati.

La questione stessa sarebbe, inoltre, sempre secondo il giudice di rinvio, non manifestamente infondata, poiché le situazioni comparate e (allo stato) diversamente disciplinate sarebbero, in realtà, "del tutto omogenee sul piano sostanziale e giuridico".

2. - Nel giudizio innanzi alla Corte è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, per mezzo dell'Avvocatura di Stato.

La quale, in via preliminare, ha sollecitato la restituzione degli atti per nuovo esame sul punto della rilevanza, in quanto il giudice a quo non si sarebbe posto il problema della ipotizzabilità stessa del reato di bigamia, in conseguenza della intervenuta delibazione avente effetto retroattivo.

E, nel merito, ha sostenuto l'infondatezza della questione sollevata, per la sostanziale diversità delle fattispecie poste a raffronto.

Considerato in diritto:

Come in narrativa detto, il giudice istruttore del tribunale di Trieste, sottopone alla Corte la questione se l'art. 556, comma terzo, del codice penale, secondo cui il reato di bigamia è estinto se il matrimonio contratto precedentemente dal bigamo è dichiarato nullo ovvero annullato il secondo matrimonio per causa diversa dalla bigamia, contrasti con l'articolo 3. della Costituzione, "in quanto non pone sullo stesso piano del soggetto che fruisce della causa di estinzione colui che, avendo contratto il secondo matrimonio all'estero in data successiva alla pronuncia di divorzio dal primo, ottenga, tramite la delibazione in Italia della sentenza di divorzio straniera, la relativa annotazione della cessazione del vincolo sui registri dello stato civile".

Risulta però dagli atti del giudizio a quo, e dalla stessa esposizione fattane nell'ordinanza di rinvio, che, nella specie - trattandosi di delitto commesso all'estero, da cittadini italiani, per il quale non è stata presentata né la richiesta del Ministro di Grazia e Giustizia, né l'istanza della persona offesa, di cui all'art. 9 cpv. del codice penale - l'azione è allo stato improcedibile ai sensi del predetto art. 9.

Pertanto, poiché le cause di improcedibilità sono evidentemente pregiudiziali rispetto alle cause di estinzione del reato (alla cui applicazione ha, invece, riguardo l'odierna questione di legittimità costituzionale), ne discende che la questione stessa risulta del tutto irrilevante nel processo a quo.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'art. 556, comma terzo, cod. pen., sollevata, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, con l'ordinanza in epigrafe indicata.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 18 luglio 1980.

F.to: LEONETTO AMADEI - GIULIO GIONFRIDA - EDOARDO VOLTERRA - GUIDO ASTUTI - MICHELE ROSSANO - ANTONINO DE STEFANO - LEOPOLDO ELIA - GUGLIELMO ROEHRSSEN - ORONZO REALE - BRUNETTO BUCCIARELLI DUCCI - ALBERTO MALAGUGINI - LIVIO PALADIN - ARNALDO MACCARONE - ANTONIO LA PERGOLA - VIRGILIO ANDRIOLI.

GIOVANNI VITALE - Cancelliere