˙ Sentenza  138/1980 (ECLI:IT:COST:1980:138)
Giudizio:  GIUDIZIO DI LEGITTIMITÀ COSTITUZIONALE IN VIA INCIDENTALE
Presidente: AMADEI - Redattore:  - Relatore: PALADIN
Udienza Pubblica del 30/01/1980;    Decisione  del 18/07/1980
Deposito del 30/07/1980;    Pubblicazione in G. U.
Norme impugnate:  
Massime:  12147
Atti decisi: 

Pronuncia

N. 138

SENTENZA 18 LUGLIO 1980

Deposito in cancelleria: 30 luglio 1980.

Pubblicazione in "Gazz. Uff." n. 215 del 6 agosto 1980.

Pres. AMADEI - Rel. PALADIN

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori: Avv. LEONETTO AMADEI, Presidente - Dott. GIULIO GIONFRIDA - Prof. EDOARDO VOLTERRA - Prof. GUIDO ASTUTI - Dott. MICHELE ROSSANO - Prof. ANTONINO DE STEFANO - Prof. LEOPOLDO ELIA - Prof. GUGLIELMO ROEHRSSEN - Avv. ORONZO REALE - Dott. BRUNETTO BUCCIARELLI DUCCI - Avv. ALBERTO MALAGUGINI - Prof. LIVIO PALADIN - Dott. ARNALDO MACCARONE - Prof. VIRGILIO ANDRIOLI, Giudici,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 316, quarto comma, del codice di procedura penale promosso con ordinanza emessa il 28 aprile 1976 dal Giudice istruttore del tribunale di Roma, nel procedimento penale a carico di Lucantoni Giancarlo, iscritta al n. 483 del registro ordinanze 1976 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 246 del 15 settembre 1976.

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 30 gennaio 1980 il Giudice relatore Livio Paladin;

udito l'avvocato dello Stato Renato Carafa per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto:

1. - Con ordinanza emessa il 28 aprile 1976, il giudice istruttore del tribunale di Roma ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 316 quarto comma cod. proc. pen., "nella parte in cui attribuisce alla competenza della Sezione Istruttoria della Corte di Appello il potere di prorogare il termine per la presentazione in iscritto della relazione peritale"; e ciò, per preteso contrasto con l'art. 25 primo comma Cost.

Il giudice a quo sottolinea anzitutto la rilevanza della questione così prospettata: dal momento che nel corso del relativo procedimento penale il deposito della relazione peritale ordinata dal giudice stesso era avvenuto oltre il termine di due mesi, prescritto dall'art. 316 cod. proc. pen., senza che fosse intervenuto alcun provvedimento di proroga da parte della competente sezione istruttoria; e la difesa della parte civile aveva quindi eccepito la nullità della perizia.

Quanto alla non manifesta infondatezza della questione predetta, l'ordinanza di rimessione adduce tre ordini di motivi.

In primo luogo, il principio costituzionale del giudice naturale non sarebbe salvaguardato dalla sola "precostituzione legislativa del giudice". Al contrario, tale principio risulterebbe violato, qualora "un organo cui sono attribuiti nel nostro diritto processuale, in via generale, esclusivi poteri in una eventuale fase di gravame" venga inserito "nel compimento di attività processuali del giudice di primo grado", modificando "entità e modalità degli atti di acquisizione probatoria"; e tale sarebbe appunto il caso della sezione istruttoria di cui al quarto comma dell'art. 316 cod. proc. pen., in quanto "soggetto diverso da quello cui è demandata la generale competenza di giudice dell'istruzione".

In secondo luogo, di fronte ad una eccezionale deroga alla competenza del giudice istruttore, come quella introdotta dalla norma impugnata, dovrebbe verificarsi la ragionevolezza dell'eccezione stessa: ragionevolezza che invece farebbe difetto nell'ipotesi in questione, dato che la sezione istruttoria rappresenterebbe "un giudice episodicamente competente e quindi certamente non in grado di rendersi conto... dei tempi e dei modi di espletamento della perizia".

In terzo luogo, varrebbe il precedente stabilito da questa Corte, con la sentenza n. 110 del 1973, che ha annullato il capoverso dell'art. 234 cod. proc. pen., per cui il procuratore generale presso la Corte di appello poteva spostare alla sezione istruttoria, "senza vincoli di prescrizioni legali", la competenza del giudice istruttore. Anche nel caso in esame, difatti, l'attività processuale del procuratore generale - chiamato ad investire la sezione istruttoria della facoltà di prorogare il termine dalla perizia - non sarebbe dovuta ma rappresenterebbe il frutto di un "potere incontrollabile" e dunque incostituzionale.

2. - Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura dello Stato, replica che la figura del giudice naturale "non si cristallizza" - come ha testualmente ritenuto questa Corte - "nella determinazione di una competenza generale": essendo pur sempre possibile che particolari disposizioni vi apportino deroghe, "in funzione dei diversi interessi presenti nel processo e del loro necessario contemperamento".

A questa stregua, la norma denunciata sarebbe "perfettamente in linea con il precetto costituzionale" dell'art. 25 primo comma. La sezione istruttoria verrebbe infatti chiamata - "in via generale ed astratta" - a prorogare il termine di deposito della perizia, nel solo caso che un tale provvedimento si renda assolutamente necessario; e ciò per evitare gli ingiustificati ritardi che l'eccessiva durata delle perizie produceva nella prassi precedente il codice in vigore, in nome di "interessi degni di particolare tutela", come quelli "ricollegabili alla sollecita definizione dei procedimenti penali".

Nemmeno si potrebbe sostenere che il potere di richiesta del procuratore generale sia incontrollabile, trattandosi invece d'uno "specifico potere-dovere". Sicché per nessun verso sarebbe violato l'art. 25 della Costituzione, anche se la stessa Avvocatura dello Stato ammette che la norma denunciata è stata sottoposta a critiche de jure condendo, sul ben diverso piano della tecnica e della politica legislativa.

Considerato in diritto:

1. - Il giudice istruttore del tribunale di Roma sostiene che l'art. 316 quarto comma del codice di procedura penale, affidando alla sezione istruttoria della corte d'appello (su richiesta del procuratore generale presso la corte medesima) la proroga dei termini di presentazione delle relazioni peritali, violerebbe in vario senso l'art. 25 primo comma Cost.: sia perché la norma impugnata non si armonizzerebbe con le regole generali di ripartizione delle competenze fra i giudici di primo grado ed i giudici d'appello (cui dovrebbe attribuirsi - secondo il giudice a quo - "valore di vere e proprie norme di costituzione materiale"); sia perché si tratterebbe di una deroga irragionevole, specialmente in considerazione dei poteri direttivi riservati al giudice di primo grado circa le operazioni peritali; sia, finalmente, perché la sezione istruttoria della corte d'appello non potrebbe deliberare in ordine alla proroga se non su richiesta del procuratore generale, che verrebbe in tal modo a disporre di un "potere incontrollabile", in contrasto con i criteri fissati da questa Corte per la determinazione del giudice naturale.

La questione non è fondata. La norma impugnata soddisfa entrambi i requisiti più volte indicati dalla Corte (si veda, fra le altre, la sentenza n. 274 del 1974), affinché possa parlarsi di un "giudice naturale precostituito per legge": essa cioè prestabilisce la competenza della sezione istruttoria della corte d'appello rispetto alle singole richieste di proroga, senza prevedere o consentire in questo campo - irragionevolmente - alcuna deroga né alcuno spostamento della competenza stessa. In realtà, non è pertinente il richiamo della sentenza n. 110 del 1963 (cui si riferisce senza dubbio l'ordinanza di rimessione, malgrado l'erronea menzione della sentenza n. 110 del 1973): poiché in quell'ipotesi la Corte ha sindacato (e dichiarato costituzionalmente illegittima) la norma dell'art. 234 secondo comma cod. proc. pen., per cui il procuratore generale presso la corte d'appello poteva, "con provvedimento insindacabile,... richiamare gli atti e rimettere la istruzione alla sezione istruttoria"; laddove nel caso in esame il procuratore generale, eventualmente sollecitato dallo stesso giudice di primo grado per il tramite del procuratore della Repubblica, deve richiedere la proroga alla sezione istruttoria, qualora se ne prospetti l'"assoluta necessità".

D'altra parte, è precisamente dall'art. 316 quarto comma cod. proc. pen. che si ricava la regola, generale ed onnicomprensiva, per cui la competenza appartiene in tal campo alla sola sezione istruttoria della corte d'appello. E nulla consente di ritenere che norme del genere, riservando particolari poteri al giudice d'appello anziché al giudice di primo grado, violino un criterio di ripartizione delle competenze che l'art. 25 primo comma avrebbe addirittura costituzionalizzato; tanto più che l'esercizio della vigilanza così attribuita alla sezione istruttoria (e, prima ancora, al procuratore generale) non comporta il minimo attentato all'indipendenza del giudice istruttore, circa le attività e le decisioni che ad esso competono in ordine al merito del relativo giudizio.

2. - Con ciò, tuttavia, la Corte non intende affermare che la norma impugnata debba considerarsi immune da qualsiasi genere di critiche. Al contrario, si può dubitare che il quarto comma dell'art. 316 abbia in effetti raggiunto - sia prima che dopo le modifiche apportate dall'art. 4 della legge 15 dicembre 1972, n. 773 - lo scopo che il legislatore si era prefisso: cioè di precludere - come già risulta dai lavori preparatori del vigente codice di procedura penale - indagini superflue od eccessivamente diluite nel tempo, che avrebbero compromesso la rapida definizione dei procedimenti. Non a caso, in sede di riforma del codice stesso viene ora proposto - secondo il criterio direttivo della "massima semplificazione nello svolgimento del processo con eliminazione di ogni atto o attività non essenziale", dettato dall'art. 2 n. 1 della legge-delega 3 aprile 1974, n. 108 - che sia lo stesso giudice istruttore a prorogare per non più di trenta giorni il termine normale della relazione peritale, quando risultino necessari accertamenti di particolare complessità.

Ma scelte siffatte appartengono appunto alla sfera della politica legislativa, non già al sindacato sulla legittimità delle leggi alla stregua del principio del giudice naturale.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

Dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 316, quarto comma, del codice di procedura penale, sollevata dal giudice istruttore del tribunale di Roma, in riferimento all'art. 25 primo comma della Costituzione, con l'ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 18 luglio 1980.

F.to: LEONETTO AMADEI - GIULIO GIONFRIDA - EDOARDO VOLTERRA - GUIDO ASTUTI - MICHELE ROSSANO - ANTONINO DE STEFANO - LEOPOLDO ELIA - GUGLIELMO ROEHRSSEN - ORONZO REALE - BRUNETTO BUCCIARELLI DUCCI - ALBERTO MALAGUGINI - LIVIO PALADIN - ARNALDO MACCARONE - VIRGILIO ANDRIOLI.

GIOVANNI VITALE - Cancelliere