˙ Sentenza  134/1980 (ECLI:IT:COST:1980:134)
Giudizio:  GIUDIZIO DI LEGITTIMITÀ COSTITUZIONALE IN VIA INCIDENTALE
Presidente: AMADEI - Redattore:  - Relatore: REALE O.
Udienza Pubblica del 30/01/1980;    Decisione  del 18/07/1980
Deposito del 30/07/1980;    Pubblicazione in G. U.
Norme impugnate:  
Massime:  9512
Atti decisi: 

Pronuncia

N. 134

SENTENZA 18 LUGLIO 1980

Deposito in cancelleria: 30 luglio 1980.

Pubblicazione in "Gazz. Uff." n. 215 del 6 agosto 1980.

Pres. AMADEI - Rel. REALE

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori: Avv. LEONETTO AMADEI, Presidente - Dott. GIULIO GIONFRIDA - Prof. EDOARDO VOLTERRA - Prof. GUIDO ASTUTI - Dott. MICHELE ROSSANO - Prof. ANTONINO DE STEFANO - Prof. LEOPOLDO ELIA - Prof. GUGLIELMO ROEHRSSEN - Avv. ORONZO REALE - Dott. BRUNETTO BUCCIARELLI DUCCI - Avv. ALBERTO MALAGUGINI - Prof. LIVIO PALADIN - Dott. ARNALDO MACCARONE - Prof. VIRGILIO ANDRIOLI, Giudici,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 81 cpv. del codice penale, promosso con ordinanza emessa il 10 dicembre 1974 dal Pretore di San Donà di Piave, nel procedimento penale a carico di Vianello Federico, iscritta al n. 347 del registro ordinanze 1975 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 268 dell'8 ottobre 1975.

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 30 gennaio 1980 il Giudice relatore Oronzo Reale;

udito l'avvocato dello Stato Renato Carafa, per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto:

Nel corso di un procedimento penale a carico di Vianello Federico, imputato di due contravvenzioni in materia urbanistica, il Pretore di San Donà di Piave, con ordinanza in data 10 dicembre 1974 (n. 347 r.o. 1975), sollevava questione incidentale di legittimità costituzionale dell'art. 81 cpv. del codice penale nella parte in cui non limita l'applicabilità della normativa della continuazione ai soli delitti, per preteso contrasto con l'art. 3 della Costituzione.

All'uopo il giudice a quo osserva che l'eventuale applicazione della disciplina della continuazione ai reati contravvenzionali comporterebbe una "assurda ed ingiustificata" sperequazione a favore di quelli aventi "carattere doloso", che potrebbero usufruirne, rispetto a quelli colposi che, non potendosi nei reati commessi per colpa ravvisare alcun disegno criminoso e perciò tanto meno una unicità di disegno, non potrebbero a tale disciplina essere assoggettati.

Mentre per i delitti l'impossibilità di fare ricorso all'istituto della continuazione nel caso di fattispecie punite a titolo di colpa troverebbe giustificazione nella misura della pena edittale, che è minore di quella prevista per i delitti dolosi, nelle contravvenzioni non vi è tale differenziazione, atteso che la pena comminata per esse sarebbe "in genere" la stessa, quale che sia l'elemento soggettivo (dolo o colpa) che le ha sorrette.

Tale trattamento normativo sarebbe perciò irragionevole e sperequativo, si da ledere l'art. 3 della Costituzione.

Per quanto riguarda la rilevanza, il giudice a quo si limita ad asserire che "la questione della costituzionalità dell'art. 81 cpv. cod. pen., nei limiti sopra indicati, appare rilevante ai fini del decidere ".

Il processo, nel corso del quale la questione è stata sollevata, concerne due contravvenzioni edilizie (per ampliamento senza licenza di fabbricati esistenti), addebitate al medesimo imputato.

Ha spiegato intervento il Presidente del Consiglio dei ministri per il tramite dell'Avvocato Generale dello Stato, mentre non si è avuta costituzione di parti.

Nell'atto di intervento l'Avvocatura osserva che la questione sollevata dal Pretore di San Donà di Piave muove dal postulato che la continuazione non si applicherebbe alle contravvenzioni colpose; tale postulato, sempre secondo l'Avvocatura, sarebbe erroneo, atteso che (e all'uopo vengono citate dottrina e giurisprudenza della Corte di Cassazione) anche al responsabile di più contravvenzioni "colpose" sarebbe applicabile la continuazione, quale ritenuta conseguenza "di quel principio fondamentale, dettato dalla Corte di Cassazione, che quando ricorre la continuazione la pena definitiva deve essere meno grave di quella che risulterebbe dal cumulo materiale delle pene".

Si chiede pertanto che la proposta questione venga dichiarata, ove non fosse ritenuta inammissibile, infondata.

Considerato in diritto:

La Corte deve preliminarmente rilevare che nell'ordinanza di rimessione il giudice a quo, senza esporre alcun elemento di identificazione della fattispecie sottoposta al suo giudizio, non adduce nessuna motivazione sulla rilevanza, limitandosi egli a dichiarare che la questione "appare rilevante ai fini del decidere".

Tanto premesso, la questione, così come proposta, è manifestamente inammissibile per la mancata osservanza dell'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87, che prescrive come l'autorità giurisdizionale remittente debba riferire "i termini ed i motivi" posti a base della ordinanza con cui la questione viene sollevata.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell'art. 81 cpv. del codice penale proposta dal Pretore di San Donà di Piave con l'ordinanza di cui in epigrafe, in riferimento all'art. 3 della Costituzione.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 18 luglio 1980.

F.to: LEONETTO AMADEI - GIULIO GIONFRIDA - EDOARDO VOLTERRA - GUIDO ASTUTI - MICHELE ROSSANO - ANTONINO DE STEFANO - LEOPOLDO ELIA - GUGLIELMO ROEHRSSEN - ORONZO REALE -BRUNETTO BUCCIARELLI DUCCI - ALBERTO MALAGUGINI - LIVIO PALADIN - ARNALDO MACCARONE - VIRGILIO ANDRIOLI.

GIOVANNI VITALE - Cancelliere