N. 133
SENTENZA 18 LUGLIO 1980
Deposito in cancelleria: 30 luglio 1980.
Pubblicazione in "Gazz. Uff." n. 215 del 6 agosto 1980.
Pres. AMADEI - Rel. ELIA
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori: Avv. LEONETTO AMADEI, Presidente - Dott. GIULIO GIONFRIDA - Prof. GUIDO ASTUTI - Dott. MICHELE ROSSANO - Prof. ANTONINO DE STEFANO - Prof. LEOPOLDO ELIA - Prof. GUGLIELMO ROEHRSSEN - Avv. ORONZO REALE - Dott. BRUNETTO BUCCIARELLI DUCCI - Avv. ALBERTO MALAGUGINI - Prof. LIVIO PALADIN - Dott. ARNALDO MACCARONE - Prof. ANTONIO LA PERGOLA - Prof. VIRGILIO ANDRIOLI, Giudici,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale dell'art. 164, 2 comma, n. 1, e 4 comma, del codice penale, promossi con le seguenti ordinanze:
1) ordinanza emessa il 25 settembre 1976 dal pretore di Padova nel procedimento penale a carico di Miola Renzo ed altro, iscritta al n. 673 del registro ordinanze 1976 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 340 del 22 dicembre 1976;
2) ordinanza emessa l'11 gennaio 1979 dal pretore di Roma nel procedimento penale a carico di Angiolino Raniero, iscritta al n. 196 del registro ordinanze 1979 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 108 del 18 aprile 1979.
Visto l'atto d'intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell'udienza pubblica del 19 dicembre 1979 il Giudice relatore Leopoldo Elia;
udito l'avvocato dello Stato Giorgio Azzariti, per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto:
1. - Il pretore di Padova, con ordinanza emessa il 25 settembre 1976, sollevava questione di costituzionalità dell'art. 164, ultimo comma, del codice penale, nella parte in cui limita a due volte la concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena, tenendo fermo il limite massimo di due anni complessivi di condanna, per contrasto con il principio di eguaglianza. Ciò perché l'istituto della sospensione condizionale della pena, così come si è andato configurando nella recente normativa di riforma, avrebbe perduto quei caratteri di "condizionalità" che prima erano ad esso coessenziali e dunque si paleserebbe ora ragionevole e coerente con la sua natura il solo limite dell'ammontare complessivo della pena.
Nella specie l'imputato, ad avviso del pretore, avrebbe dovuto essere condannato per contravvenzioni varie (reato p. e p. dall'art. 707 del codice penale, per aver detenuto arnesi atti allo scasso, quale pregiudicato per reati contro il patrimonio; reato p. e p. dall'art. 4, 3 comma, ipotesi lieve, legge 18 aprile 1975, n. 110, per aver detenuto un 'arma impropria, cioè una grande forbice, senza motivo; reato p.e p. dall'articolo 2 della legge 27 dicembre 1956, n. 1423, per non aver ottemperato al divieto di far ritorno a Padova per anni tre per ragioni di pubblica sicurezza imposto dal questore di Padova) alla pena di mesi cinque di arresto e lire 50.000 di ammenda. Ostavano alla concessione del beneficio di cui si tratta due precedenti condanne, l'una per furto tentato (1973) alla pena di mesi due, giorni venti di reclusione e lire 10.000 di multa e l'altra per lesioni volontarie (1976) alla pena di mesi uno e giorni 10 di reclusione, entrambe con la concessione del beneficio.
L'ordinanza, regolarmente comunicata e notificata, veniva pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 340 del 22 dicembre 1976.
2. - Interveniva in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri attraverso l'Avvocatura dello Stato, chiedendo pronunzia di rigetto. L'art. 164 del codice penale, così come modificato con la legge 7 giugno 1974, n. 220 (di conversione del d.l. 11 aprile 1974, n. 99), consentirebbe invero di concedere più di due volte il beneficio della sospensione condizionale della pena. In sede di conversione, infatti, del decreto-legge menzionato non solo è stato soppresso l'inciso "nel caso che per una precedente condanna sia stata ordinata la sospensione della esecuzione" ma inoltre è stato precisato che la sospensione può essere disposta in un successivo giudizio qualora i limiti stabiliti dall'art. 163 del codice penale non siano superati cumulando la pena da infliggere con "quella irrogata con la precedente condanna anche per delitto". Con ciò invero si sarebbe inteso rimuovere ogni limite riguardo al numero delle condanne, restando fermo il limite dell'entità complessiva della pena.
Nel corso dell'udienza di discussione l'Avvocatura dello Stato ribadiva il proprio punto di vista riportandosi all'atto di intervento.
3. - Questione in parte analoga, con riferimento all'articolo 164, 2 comma, n. 1 ed ultimo comma del codice penale, era sollevata dal pretore di Roma, con ordinanza emessa l'11 gennaio 1979.
L'irragionevolezza del sistema apparirebbe chiara, ad avviso del pretore di Roma, oltreché per motivi analoghi a quelli già illustrati, anche avendo riguardo alla circostanza che il beneficio può essere concesso (secondo la giurisprudenza della Corte suprema) a chi deve essere condannato per delitto, avendo riportato due precedenti condanne, una per contravvenzione ed una per delitto; mentre non potrebbe essere concesso a chi deve essere condannato per una contravvenzione, dopo essere stato condannato due volte per delitto.
Nella specie l'imputato avrebbe dovuto essere condannato per la contravvenzione p.e p. dall'art. 17, lett. b) della legge 28 gennaio 1977, n. 10 (costruzione abusiva) e per i delitti di violazione di sigilli (art. 349 c.p.) ed immutazione dello stato dei luoghi (art. 632 c.p.), unificati sotto il vincolo della continuazione, a lieve pena, tenuto conto delle sue modeste condizioni economiche e culturali e della non rilevante gravità del fatto; ma ostavano alla concessione del beneficio precedenti condanne del 1946 ad anni uno e mesi quattro di reclusione e lire 1.333 di multa per il delitto di furto e del 1950 alla pena di mesi uno e giorni venticinque di reclusione per il delitto di lesioni personali.
L'ordinanza, regolarmente comunicata e notificata, veniva pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 108 del 18 aprile 1979.
Nessuna parte si è costituita nel giudizio innanzi a questa Corte.
Considerato in diritto:
L'ordinanza del pretore di Padova e quella del pretore di Roma, riguardando entrambe l'ultimo comma dell'art. 164 del codice penale (sia pure considerato, nella seconda ordinanza, insieme al disposto del 2 comma, n. 1), sollevano questioni analoghe che possono essere decise con unica sentenza.
Le questioni non sono fondate.
Con la riforma in tema di sospensione condizionale della pena, intervenuta a seguito dell'art. 12 del d.l. 11 aprile 1974, n. 99 (il quale modificava l'art. 164 del codice penale, ulteriormente modificato, nell'ultimo comma, dalla legge di conversione 7 giugno 1974, n. 220), si è resa più favorevole al condannato la precedente disciplina, stabilendo che "il giudice, nell'infliggere una nuova condanna, può disporre la sospensione condizionale qualora la pena da infliggere, cumulata con quella irrogata con la precedente condanna anche per delitto, non superi i limiti stabiliti dall'art. 163" (pena detentiva non superiore a due anni).
Dal testo della novellata disposizione, nonché dai lavori preparatori, emerge con chiarezza che la sospensione non può concedersi per più di due volte, costituendo il limite della pena detentiva biennale il massimo di sbarramento per una prima ed una seconda concessione del beneficio. Una diversa interpretazione (in contrasto con la giurisprudenza della Corte di cassazione) non sarebbe aderente alla ratio della riforma, che intende tener conto soltanto di una seconda possibilità di ravvedimento da parte del condannato.
Si eccepisce che così risulterebbe deteriore la posizione del soggetto condannato più di due volte con pene che, cumulate, restino nel limite della pena detentiva di due anni; violandosi in tal modo l'art. 3, 1 comma, Cost. perché questa situazione sarebbe irragionevolmente svantaggiata rispetto a quella di chi è condannato, una o due volte, a pene che raggiungano l'entità predetta.
Ma la eccepita irragionevolezza non sussiste dal momento che, come si è detto, l'innovazione introdotta dalla riforma va ravvisata in primo luogo nel consentire la sospensione condizionale della pena anche in caso di recidiva, ma di recidiva primaria e non già di recidiva plurima. Perciò il criterio assunto nella normativa del 1974 concerne il numero delle condanne a pena detentiva (che passa da uno a due), compatibili con la concessione del beneficio, e non il limite massimo della pena, che è identico, del resto, sia in caso di prima che di seconda condanna.
Inoltre, l'accedere alla soluzione prospettata nell'ordinanza del pretore di Padova, lungi dal favorire la possibilità di ravvedimento del condannato, potrebbe piuttosto disincentivarla.
In altri termini, il legislatore non è caduto in alcuna contraddizione ed ha sviluppato con coerenza una disciplina che, più favorevole nei confronti del condannato, è comunque fondata sulla prognosi di ravvedimento: prognosi che diverrebbe sempre meno plausibile, una volta che si andasse oltre la recidiva primaria. Comunque solo il legislatore, per considerazioni di politica criminale, potrebbe darsi carico dei rilievi contenuti nell'ordinanza del pretore di Padova, non certo il giudice della costituzionalità delle leggi.
Le considerazioni svolte a proposito di ne ter in idem in tema di concessione della sospensione condizionale della pena valgono anche per la questione di legittimità costituzionale dell'art. 164, 2 comma, n. 1 e ultimo comma, sollevata dal pretore di Roma.
L'ordinanza contesta, sempre in relazione al limite della pena complessiva biennale, l'impossibilità per il giudice di ordinare la sospensione della esecuzione della pena detentiva per delitto, quando il condannato abbia comunque riportato in precedenza due condanne, sempre a pena detentiva per delitto.
Anche qui, è del tutto ragionevole che, superandosi il limite della doppia condanna, come sopra qualificata, perda ogni rilievo la circostanza che la pena complessiva irrogata nelle tre pronuncie non superi la durata biennale. Né appare pertinente il richiamo a situazioni a torto definite analoghe, nelle quali si faccia valere il carattere, ostativo o meno alla concessione del beneficio, di pronuncie di condanna intermedie.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 164, secondo comma n. 1 e ultimo comma del codice penale, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, sollevate dai pretori di Padova e di Roma, con le ordinanze in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 18 luglio 1980.
F.to: LEONETTO AMADEI - GIULIO GIONFRIDA - GUIDO ASTUTI - MICHELE ROSSANO - ANTONINO DE STEFANO - LEOPOLDO ELIA - GUGLIELMO ROEHRSSEN - ORONZO REALE - BRUNETTO BUCCIARELLI DUCCI - ALBERTO MALAGUGINI - LIVIO PALADIN - ARNALDO MACCARONE - ANTONIO LA PERGOLA - VIRGILIO ANDRIOLI.
GIOVANNI VITALE - Cancelliere