˙ Sentenza  122/1980 (ECLI:IT:COST:1980:122)
Giudizio:  GIUDIZIO DI LEGITTIMITÀ COSTITUZIONALE IN VIA INCIDENTALE
Presidente: AMADEI - Redattore:  - Relatore: MACCARONE
Udienza Pubblica del 16/01/1980;    Decisione  del 17/07/1980
Deposito del 23/07/1980;    Pubblicazione in G. U.
Norme impugnate:  
Massime:  9562 9563
Atti decisi: 

Pronuncia

N. 122

SENTENZA 17 LUGLIO 1980

Deposito in cancelleria: 23 luglio 1980.

Pubblicazione in "Gazz. Uff." n. 208 del 30 luglio 1980.

Pres. AMADEI - Rel. MACCARONE

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori: Avv. LEONETTO AMADEI, Presidente - Prof. EDOARDO VOLTERRA - Prof. GUIDO ASTUTI - Dott. MICHELE ROSSANO - Prof. ANTONINO DE STEFANO - Prof. LEOPOLDO ELIA - Prof. GUGLIELMO ROEHRSSEN - Dott. BRUNETTO BUCCIARELLI DUCCI - Avv. ALBERTO MALAGUGINI - Prof. LIVIO PALADIN - Dott. ARNALDO MACCARONE - Prof. ANTONIO LA PERGOLA - Prof. VIRGILIO ANDRIOLI, Giudici,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale degli artt. 27, secondo comma, e 28 della legge 8 agosto 1977, n. 513 (Provvedimenti urgenti in materia di edilizia residenziale pubblica), promossi con le seguenti ordinanze:

1) ordinanza emessa il 19 gennaio 1978 dal tribunale di Venezia nel procedimento civile vertente tra Amata Antonino ed altri e l'IACP della Provincia di Venezia, iscritta al n. 199 del registro ordinanze 1978 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 135 del 17 maggio 1978;

2) ordinanza emessa il 3 aprile 1978 dal tribunale di Genova nel procedimento civile vertente tra Cioli Mario ed altri e l'IACP della Provincia di Genova, iscritta al n. 418 del registro ordinanze 1978 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 327 del 22 novembre 1978;

3) ordinanza emessa il 3 aprile 1978 dal tribunale di Genova nel procedimento civile vertente tra Corosu Giovanni ed altri e l'IACP della Provincia di Genova, iscritta al n. 419 del registro ordinanze 1978 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 327 del 22 novembre 1978;

4) ordinanza emessa il 17 marzo 1978 dal tribunale di Roma nel procedimento civile vertente tra Salzano Gennaro ed altri e l'IACP della Provincia di Roma, iscritta al n. 424 del registro ordinanze 1978 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 327 del 22 novembre 1978;

5) ordinanza emessa il 14 dicembre 1978 dal tribunale di Pavia nel procedimento civile vertente tra Balderacchi Anna ed altri e l'IACP della Provincia di Pavia, iscritta al n. 213 del registro ordinanze 1979 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 126 del 9 maggio 1979;

6) ordinanza emessa il 5 dicembre 1978 dal tribunale di La Spezia nel procedimento civile vertente tra Misiano Chiarina ed altri e l'IACP della Provincia di La Spezia, iscritta al n. 284 del registro ordinanze 1979 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 168 del 20 giugno 1979;

7) ordinanza emessa il 1 marzo 1979 dal tribunale di Milano nel procedimento civile vertente tra Di Napoli Giovanni e l'Azienda autonoma delle ferrovie dello Stato, iscritta al n. 463 del registro ordinanze 1979 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 210 del 1 agosto 1979;

8) ordinanza emessa il 1 marzo 1979 dal tribunale di Milano nel procedimento civile vertente tra Vanzillotta Franco ed altri e l'Azienda autonoma delle ferrovie dello Stato, iscritta al n. 464 del registro ordinanze 1979 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 210 del 1 agosto 1979.

Visti gli atti di costituzione di Cioli Mario ed altri, Corosu Giovanni ed altri, Salzano Gennaro ed altri, Misiano Chiarina ed altri, e dell'IACP delle Provincie di Venezia, Genova e Roma nonché gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 16 gennaio 1980 il Giudice relatore Arnaldo Maccarone;

uditi gli avvocati Sergio La China, per Cioli Mario ed altri, Paolo Barile, per Misiano Chiarina ed altri, Lorenzo Acquarone, per l'IACP di Genova e Umberto Pototschnig, per l'IACP di Venezia e l'avvocato dello Stato Giacomo Mataloni, per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto:

Amata Antonino ed altri, conduttori assegnatari di alloggi di edilizia residenziale pubblica, convennero in giudizio avanti al tribunale di Venezia l'IACP di quella Provincia affinché venisse accertato il loro diritto alla cessione in proprietà degli alloggi stessi in base alle disposizioni contenute nel d.P.R. 17 gennaio 1959, n. 2, e nella legge 14 febbraio 1963, n. 60. L'Istituto convenuto eccepì che, essendo intervenuta l'abrogazione delle citate norme per effetto dell'art. 27, primo comma, della legge 8 agosto 1977, n. 513, l'assegnazione in proprietà avrebbe dovuto avvenire alle condizioni previste dagli articoli 27, secondo comma, e 28 della legge stessa.

Dette norme innovavano sui criteri di determinazione del prezzo di cessione in proprietà degli alloggi di edilizia popolare ed economica che in precedenza era calcolato secondo criteri variamente indicati nelle disposizioni al riguardo e, principalmente, con riferimento o al costo di costruzione (d.P.R. 17 gennaio 1959 n. 2, art. 6 e successive modificazioni e d.P.R. 30 dicembre 1972, n. 1035, art. 23) o al valore venale, ma incisivamente ridotto del 30% o 40%, a seconda dei casi, oltre che di una quota proporzionale agli anni di occupazione da parte del richiedente (legge n. 231 del 1962 artt. 4, 12, 14).

Invece, secondo il primo comma dell'art. 27, della legge n. 513 del 1977 la precedente normativa in materia di cessione della proprietà agli assegnatari di alloggi di edilizia residenziale pubblica è stata abrogata e in virtù del secondo comma dello stesso articolo è stato fatto salvo soltanto il diritto a conseguire la cessione a favore di quegli assegnatari che, avendo già in precedenza avanzato la domanda, senza che fosse stato stipulato il relativo contratto di cessione in proprietà, provvedessero a confermarla entro sei mesi dalla entrata in vigore della legge. Alle domande così confermate, peraltro, in virtù di quanto espressamente affermato nell'ultima disposizione del secondo comma del citato articolo, si applica il successivo art. 28, il quale dispone, fra l'altro, che gli alloggi debbono essere ceduti al prezzo corrispondente al valore venale al momento dell'entrata in vigore della legge, determinato dall'Ufficio tecnico erariale tenendo anche conto dello stato di conservazione dell'immobile e della sua ubicazione ed ammettendo si soltanto la riduzione dello 0,25% per ogni anno di effettiva occupazione da parte del richiedente ed una ulteriore riduzione nel solo caso di acquisto per contanti, di maggiore o minore misura (30% o 20%) a seconda dell'entità del reddito del richiedente stesso.

Il tribunale di Venezia, chiamato a decidere sulle domande di cessione in proprietà avanzate dall'Amata e dagli altri assegnatari ha ritenuto che la descritta situazione legislativa introdurrebbe una disparità di trattamento tra assegnatari titolari dello stesso diritto perfetto al riscatto degli alloggi, in quanto il prezzo di cessione verrebbe a variare notevolmente, con efficacia retroattiva, in relazione non al tempo della domanda, ma alla circostanza dell'avvenuta o non avvenuta stipula del contratto di cessione in proprietà, cioè ad una condizione che, secondo il tribunale, sarebbe rimessa alla condotta discrezionale dei singoli Istituti, alcuni dei quali, come appunto quello convenuto nel giudizio principale, avevano ritenuto che la cessione in proprietà non fosse più consentita in base alla normativa introdotta con la legge 22 ottobre 1971, n. 865 (art. 61) e col d.P.R. 30 dicembre 1972, n. 1035 (art. 23), che disponevano, il primo, l'assegnazione in locazione di tutte le abitazioni costruite in attuazione dei programmi di cui alla legge stessa salvo una quota del 15% da cedere a riscatto ed il secondo la limitazione delle precedenti condizioni di cessione più favorevoli ai soli casi in cui gli interessati avessero presentato la domanda di cessione in data anteriore al 22 ottobre 1971.

Pertanto, con ordinanza del 19 gennaio 1978, il tribunale di Venezia ha sollevato questione di legittimità costituzionale del secondo comma dell'art. 27 della citata legge n. 513 del 1977, per violazione del principio di eguaglianza garantito dall'art. 3 Cost.

L'IACP di Venezia si è costituito in giudizio rappresentato e difeso dagli avvocati Feliciano Benvenuti, Umberto Pototschnig e Vitaliano Lorenzoni, i quali hanno tempestivamente depositato le proprie deduzioni.

La difesa osserva preliminarmente che la censura sarebbe rivolta sostanzialmente solo contro l'ultima disposizione del secondo comma dell'art. 27, che rende applicabili le nuove disposizioni in materia di prezzo degli alloggi a coloro che abbiano confermato le domande nei termini. La richiesta di dichiarazione di illegittimità dell'intero secondo comma, quindi, andrebbe oltre il contenuto della motivazione dell'ordinanza di rinvio e pertanto gli atti andrebbero rimessi al giudice a quo per "una nuova formulazione della disposizione di legge che si ritiene viziata".

Nel merito osserva poi che l'ordinanza di rinvio, in sostanza, censurerebbe la norma impugnata per avere fatto riferimento, ai fini della determinazione del prezzo, alla data di entrata in vigore della legge anziché alla data della presentazione della domanda di cessione (come si era fatto con l'articolo 23 del d.P.R. 30 dicembre 1972 n. 1035). Ciò peraltro risponderebbe all'esigenza di evitare la svendita del patrimonio pubblico di edilizia residenziale aggiornandone i prezzi anche nei confronti di chi avesse da tempo presentato la domanda di cessione. Ed al riguardo afferma in particolare che l'art. 27 sarebbe stato appunto emanato allo scopo di risolvere legislativamente il problema interpretativo insorto dopo la legge 865 del 1971 ed il relativo d.P.R. 1035 del 1972, problema originato dal fatto che alcuni IACP avevano, come si è detto, ritenuto fin da allora abrogata la precedente normativa in favore della cessione degli alloggi in proprietà, mentre tale interpretazione era stata contestata dagli assegnatari, i quali invece avevano insistito per ottenere la cessione in proprietà pur dopo l'entrata in vigore della legge del 1971. Abrogando ora espressamente la normativa precedente e quindi escludendo in modo inequivocabile la cessione in proprietà oltre i termini ed i limiti ivi previsti, l'art. 27 della legge numero 513 del 1977 avrebbe superato il problema in linea di principio, ponendo peraltro, con il rinvio ai nuovi prezzi di cessione indicati dal successivo art. 28 un corrispettivo della conservazione della validità della domanda di cessione già presentata e confermata nei termini richiesti.

Si è anche costituito il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, che ha tempestivamente depositato le proprie deduzioni.

L'Avvocatura osserva preliminarmente che la questione, sollevata soltanto contro il secondo comma dell'art. 27, prescindendo dal primo comma, sarebbe "mal posta" perché le aspettative degli assegnatari sarebbero, in ipotesi, lese dal venir meno del diritto alla cessione degli alloggi conseguente all'abrogazione della normativa precedente disposta dal primo comma dello stesso art. 27. Il secondo comma conterrebbe, invece, in sostanza, una disciplina conservativa del diritto abrogato, sia pure a certe condizioni, onde la questione dovrebbe, secondo l'Avvocatura, dichiararsi manifestamente infondata.

Quanto al merito, l'Avvocatura, svolge considerazioni analoghe a quelle esposte nelle difese dell'IACP per quanto riguarda l'origine e la portata degli articoli 27 e 28 della legge n. 513 del 1977, ed aggiunge che nell'ordinanza di rinvio si attribuirebbe inesattamente efficacia retroattiva alle disposizioni impugnate, in quanto esse opererebbero sulla posizione giuridica degli assegnatari dal momento della entrata in vigore, in funzione dell'avvenuta o non avvenuta stipula del contratto. Stipula che, contrariamente a quanto si afferma nell'ordinanza di rinvio, non risulterebbe rimessa alla discrezionalità dell'Ente, ma dipenderebbe esclusivamente dal necessario espletamento delle relative procedure di natura assai complessa. Ove si fossero verificate disfunzioni o carenze amministrative al riguardo, con lesione delle posizioni giuridiche degli assegnatari, prosegue l'Avvocatura, non potrebbe inferirsene l'illegittimità delle norme impugnate, che non escludono certo l'operatività degli ordinari rimedi previsti ad eventuale tutela di tali posizioni.

Comunque, secondo l'Avvocatura, non potrebbe in nessun caso ravvisarsi nella specie una disparità di trattamento in contrasto col principio di eguaglianza. Invero, sarebbe connaturale ad ogni provvedimento legislativo innovatore in senso riduttivo di precedenti aspettative, che esso comporti una situazione di disparità in fatto tra coloro che abbiano potuto o non abbiano potuto soddisfare le aspettative stesse sotto la vigenza della precedente normativa. Nella specie, il legislatore, dovendo intervenire in una materia complessa e riflettente una pluralità di posizioni, avrebbe rettamente usato della propria discrezionalità lasciando impregiudicata la posizione di coloro che avessero gia stipulato il contratto, fosse oppur no immediatamente traslativo della proprietà; salvaguardando in parte (attraverso l'imposizione dell'obbligo della conferma della domanda) la posizione di coloro che avessero validamente manifestato la volontà di esercitare il diritto alla cessione in proprietà dell'alloggio, e non ritenendo invece meritevole di tutela coloro che non avessero neppur manifestato tale volontà.

Anche il tribunale di Genova, con due ordinanze di identico contenuto emesse il 3 aprile 1978 nei procedimenti civili promossi da Cioli Mario ed altri e Corosu Giovanni ed altri contro l'IACP di Genova e tendenti ad ottenere il riconoscimento del diritto al conseguimento della proprietà dell'alloggio occupato, a norma della legge n. 60 del 14 febbraio 1963, ivi compreso il riconoscimento del diritto alla futura vendita dell'alloggio stesso, ha sollevato analoga questione, estendendola peraltro, oltre che al secondo comma dell'art. 27, anche al successivo art. 28 della citata legge n. 513 del 1977. Il tribunale insiste in particolare sul preteso collegamento dell'applicabilità delle più gravose condizioni di prezzo al verificarsi di condizioni "accidentali" e "casuali", ben potendosi ipotizzare il caso di domande risalenti alla stessa data che siano state eventualmente accolte da IACP di altre Provincie e sfuggano così all'incidenza della nuova disciplina pur nell'identità dei presupposti riguardanti le posizioni degli assegnatari. Il tribunale osserva altresì che la disciplina impugnata sarebbe riferita esclusivamente alla ipotesi di già avvenuta presentazione di domanda di cessione in proprietà e sembrerebbe quindi ignorare la diversa ipotesi della assegnazione di alloggi in locazione con patto di futura vendita, che pure dovrebbe ritenersi compresa nella generale portata della disposizione abrogativa dell'art. 27, primo comma, della legge n. 513 del 1977. Si porrebbe così in essere una disparità di trattamento a danno dei soggetti già titolari dei relativi diritti, senza che siano individuabili plausibili motivi, sembrando ingiusto che costoro non fruiscano neppure di una disciplina transitoria come quella prevista per gli altri casi dai ripetuti artt. 27 e 28 della legge n. 513 del 1977.

Nei giudizi di cui sopra si è costituito l'IACP, rappresentato e difeso dagli avv.ti Prof. Feliciano Benvenuti e Lorenzo Acquarone, che hanno tempestivamente depositato le proprie deduzioni.

La difesa osserva che le norme impugnate sarebbero espressione di una scelta di politica legislativa sostenuta da ragionevoli motivi, ed al riguardo ribadisce e sviluppa quanto già illustrato in proposito nelle deduzioni dell'IACP di Venezia sopra menzionate, aggiungendo che la lamentata esclusione di una disciplina intertemporale per quanto concerne la tutela degli assegnatari di abitazioni con patto di futura vendita non precluderebbe affatto a costoro la possibilità di acquisire la proprietà dell'alloggio, perché anche la loro posizione rientrerebbe senz'altro nella disciplina generale cui alla legge n. 513 del 1977.

Si è pure costituito il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, che ha depositato tempestivamente le proprie deduzioni.

L'Avvocatura ribadisce anche in questa sede le argomentazioni svolte in precedenza, per quanto riguarda gli aspetti generali della questione sollevata.

Con riferimento al profilo specifico evidenziato nell'ordinanza di rinvio a proposito degli assegnatari di alloggi in locazione con patto di futura vendita, l'Avvocatura osserva che la lamentata esclusione degli assegnatari dalla possibilità di beneficiare della disciplina transitoria si riferirebbe al caso degli alloggi della ex gestione INA-Casa, già concessi in locazione semplice e dei quali era prevista la trasformazione in assegnazione con patto di futura vendita ai sensi dell'art. 3 della legge 14 febbraio 1963, n. 60, e degli artt. 1, n. 2, lett. a), 2 e 8 d.P.R. 11 ottobre 1963, n. 1471. Orbene, secondo l'Avvocatura, la domanda presentata per ottenere la trasformazione della locazione semplice in assegnazione con promessa di futura vendita dovrebbe intendersi pur sempre come una domanda intesa ad ottenere la cessione in proprietà dell'alloggio, attraverso uno strumento negoziale mediato, e pertanto sarebbe suscettibile di conferma ai sensi e per gli effetti della disciplina transitoria impugnata.

Si sono infine costituite anche le parti private, Cioli Mario ed altri e Corosu Giovanni ed altri, rappresentate e difese dagli avvocati Sergio La China, Clemente Recina e Attilio Pesaturo che hanno tempestivamente depositato le loro deduzioni.

La difesa condivide le argomentazioni svolte nelle ordinanze di rinvio, ponendo in particolare evidenza il fatto che le domande di assegnazione, nella fattispecie in esame, risalirebbero a diversi anni, e la cessione della proprietà degli alloggi non si sarebbe perfezionata esclusivamente per ritardo imputabile all'Ente, il che renderebbe evidente l'iniquità della disciplina impugnata.

La difesa, infine, osserva che la proroga dei termini di conferma delle domande, disposta con l'art. 52 della legge 5 agosto 1978, n. 457, e le nuove condizioni ivi previste circa la determinazione del prezzo di cessione, più favorevoli all'acquirente non influirebbero nella specie concernente domande già proposte entro i termini di cui all'art. 27 e perciò già ricadenti sotto la disciplina transitoria di cui all'art. 28.

Con ordinanza emessa il 17 marzo 1978 dal tribunale di Roma nel procedimento civile promosso contro l'IACP di Roma da Salzano Gennaro ed altri, assegnatari di alloggi di cui chiedevano la cessione in proprietà a norma dell'art. 29 legge n. 60 del 1963, è stata pure sollevata questione di legittimità degli artt. 27, secondo comma e 28 della legge n. 513 del 1977, sotto profili analoghi a quelli già sopra esposti. Anche il tribunale di Roma osserva in particolare che si verificherebbe una ingiustificabile disparità di trattamento a danno sia degli assegnatari che avendo presentato domanda prima del 22 ottobre 1971 previsto come si è detto quale termine ultimo per beneficiare delle migliori condizioni di prezzo stabilite per il passato hanno ottenuto la stipula del contratto sia di quelli che, pur avendo presentato la domanda dopo tale data, hanno ottenuto egualmente la stipula alle condizioni previste dal d.P.R. n. 1035 del 1972 e a danno invece di coloro che, pur avendo comunque presentato la domanda di cessione prima della entrata in vigore della legge n. 513 del 1977 non sono ancora riusciti ad ottenere la cessione stessa e possono quindi conseguirla solo alle condizioni meno favorevoli previste dalle norme impugnate.

Si è costituito l'IACP in persona del Presidente dr. Girolamo Marcocci, difeso dagli avvocati Giuliano Bertuccelli e Armando De Maio, che hanno depositato tempestivamente le loro deduzioni.

La difesa eccepisce preliminarmente l'irrilevanza della questione essendo, nelle more del giudizio, intervenuta la legge 5 agosto 1978, n. 457 con cui il legislatore avrebbe fornito l'interpretazione autentica del secondo comma dell'art. 27 della legge del 1977 nella parte in cui dispone la conferma delle domande per le quali non sia stato "stipulato il relativo contratto" chiarendo che "si considera stipulato e concluso il contratto di compravendita qualora l'Ente proprietario o gestore abbia accettato la domanda di riscatto e comunicato all'assegnatario il relativo prezzo di cessione, qualora non previsto per legge". Con ciò, poiché per alcuni degli assegnatari di cui al giudizio principale sarebbe intervenuta la stipula del contratto in corso di causa e per gli altri l'Istituto avrebbe provveduto ad invitarli a farlo, l'art. 28 censurato non dovrebbe più essere applicato nella specie.

In ogni modo, poiché l'art. 52 citato innoverebbe anche per quanto riguarda il sistema di determinazione del prezzo di cessione attraverso l'aumento all'1,5% della riduzione per ogni anno di occupazione e con la riduzione di un ulteriore 10% nel caso in cui il richiedente fruisca di basso reddito e sono state apportate anche altre modifiche attinenti alle modalità di pagamento, più favorevoli agli assegnatari, si renderebbe in ogni caso necessario il rinvio degli atti al giudice a quo per il riesame della rilevanza anche sotto questo profilo.

Si sono anche costituite le parti private, Salzano ed altri, rappresentate e difese dall'Avv. Emo Mariani che ha depositato tempestivamente le proprie deduzioni.

La difesa svolge argomenti analoghi a quelli esposti a base delle censure nell'ordinanza di rinvio, e chiede quindi dichiararsi l'illegittimità delle norme denunziate.

Si è infine anche costituito il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato che ha tempestivamente depositato le proprie deduzioni.

L'Avvocatura dopo aver osservato che il tribunale avrebbe fatto riferimento al sistema di determinazione dei prezzi di cessione di cui al d.P.R. n. 2 del 1959, mentre trattandosi di alloggi costruiti o dalla soppressa gestione INA-Casa o dalla pure soppressa GESCAL, in relazione ad essi avrebbero dovuto trovare in ipotesi applicazione, per quanto riguarda l'INA-Casa l'art. 8 del d.P.R. n. 1471 del 1963, e, per quanto riguarda la GESCAL, l'art. 32 della legge n. 60 del 1963.

Ciò posto l'Avvocatura ribadisce le osservazioni già esposte a sostegno della infondatezza delle questioni sui giudizi sopra ricordati.

Con ordinanza 14 dicembre 1978 il tribunale di Pavia, nel giudizio vertente tra Balderacchi Anna e l'IACP di Pavia, ed anch'esso avente ad oggetto l'assegnazione in proprietà di un alloggio ai sensi della ripetuta legge n. 60 del 1963, ha pure sollevato questione di legittimità della norma come sopra impugnata, prospettando considerazioni analoghe a quelle già esposte circa la pretesa discriminazione a carico di coloro che, pur avendo presentato domanda di assegnazione prima della entrata in vigore della legge n. 513 del 1977, per circostanze di "pura accidentalità" non erano ancora riusciti ad ottenere l'assegnazione in proprietà.

Si è costituito il Presidente del Consiglio dei ministri rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato.

L'Avvocatura osserva che l'art. 52 della legge 5 agosto 1978, n. 457, oltre ad interpretare autenticamente la portata della condizione afferente l'avvenuta stipula del contratto prevista dalla legge del 1977 ha modificato la disciplina della materia in esame, e pone in evidenza che, ciononostante, il giudice a quo, non ha considerato nell'ordinanza di rinvio la nuova normativa così sopravvenuta. Rileva poi che, trattandosi nella specie di alloggi costruiti dalla soppressa GESCAL, sarebbe da applicare ai fini della determinazione del prezzo di cessione l'art. 32 della legge n. 60 del 1963 e non già il d.P.R. n. 2 del 1959, come invece ritiene il tribunale nell'ordinanza di rinvio.

Nel merito l'Avvocatura ribadisce le tesi già svolte, e conclude chiedendo dichiararsi infondata la questione.

Anche il tribunale di La Spezia, con ordinanza 5 dicembre 1978, emessa nel giudizio fra Misiano Chiarina ed altri e l'IACP di La Spezia, individua nelle norme più volte citate di cui agli artt. 27, secondo comma, e 28 della legge del 1977 vizi di illegittimità per violazione del principio di eguaglianza sotto profili coincidenti con quelli già illustrati. In particolare, l'ordinanza di rinvio in esame, fa espresso riferimento ai criteri di cui all'art. 52 della legge 5 agosto 1978, n. 457 e ritiene che anche in tal modo la scelta del regime di cessione dell'alloggio seguiterebbe a dipendere totalmente dall'Ente cedente, con disparità di trattamento derivanti da motivi accidentali e casuali.

Si sono costituite le parti private rappresentate e difese dagli avvocati prof. Paolo Barile, Roberto Giromini ed Elia Clarizia.

La difesa osserva che, pur dopo le modifiche introdotte dall'art. 52 della legge del 1978, il livello dei prezzi di cessione degli alloggi sarebbe rimasto più gravoso di quello risultante dalla legislazione anteriore alla legge n. 513 del 1977.

Le norme impugnate, quindi, interverrebbero pur sempre sul preesistente diritto degli assegnatari in locazione semplice ad ottenere la cessione in proprietà dell'alloggio sulla base del prezzo più favorevole determinato dalla legislazione previgente, mentre il rispetto dell'art. 3 Cost. esigerebbe in consimili circostanze indubitabili motivi di razionale giustificazione, che mancherebbero invece nella specie per motivi analoghi a quelli già esposti al riguardo e sopra riferiti.

E ciò varrebbe anche in presenza della nuova disciplina dettata dall'art. 52 della legge del 1978 per i motivi svolti in proposito nell'ordinanza di rinvio.

La difesa crede poi di poter prospettare un ulteriore profilo di illegittimità, sempre per violazione dell'art. 3 Cost., evidenziando che i soggetti danneggiati dalla nuova normativa avevano, invece, fatto affidamento sulla permanenza delle condizioni di particolare favore prevista per il passato ed affermando che la salvaguardia dell'impegnatività della legge comporterebbe il divieto per il legislatore di adottare nuovi precetti dettati in modo speciale per quei soggetti privati "che siano divenuti concreti destinatari della legge stessa".

Si è costituito il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato che, nelle proprie deduzioni, riproduce le argomentazioni già svolte nei precedenti giudizi.

Analoga questione ha sollevato infine anche il tribunale di Milano con due identiche ordinanze emesse il 1 marzo 1979 sui procedimenti civili vertenti fra Di Napoli Giovanni, Vanzillotta Franco ed altri e l'Amministrazione dei trasporti e dell'aviazione civile - Azienda autonoma FF.SS., e concernente la cessione di alloggi di proprietà dell'Azienda a norma della legge 15 luglio 1966, n. 605, che si richiama al d.P.R. n. 2 del 1959 per quanto riguarda la determinazione del prezzo di cessione.

Nell'ordinanza, a sostegno della censura vengono esposti argomenti analoghi a quelli già in precedenza rappresentati, e ritenuti validi pur in presenza dell'art. 52 della legge n. 457 del 1978, essendo pacifico che, nella fattispecie in esame, non risulterebbe comunicato all'attore dall'Amministrazione dei trasporti il prezzo dell'alloggio oggetto del riscatto, e dovendosi, quindi, applicare gli artt. 27 e 28 della legge n. 513 del 1977. Ed in particolare il tribunale di Milano ravvisa un ulteriore vizio delle norme impugnate in quanto, specificatamente, prevedono per la prima volta condizioni di prezzo diverse secondo che il pagamento avvenga per contanti o a rate, con la conseguenza di produrre, anche per questa ragione, una ulteriore discriminazione tra chi conseguirà la proprietà della casa dopo l'entrata in vigore della legge del 1977 (18 agosto 1977) e chi invece l'abbia conseguita prima.

Il Presidente del Consiglio dei ministri si è costituito in entrambi i giudizi, depositando deduzioni di identico tenore, con cui ribadisce le tesi difensive già svolte in occasione dei precedenti giudizi di cui sopra si è detto.

La difesa dell'IACP di Venezia ha depositato una memoria illustrativa con cui afferma anzitutto che l'entrata in vigore della legge n. 457 del 1978 richiederebbe un nuovo esame della rilevanza della questione. Svolge poi considerazioni parallele a quelle proposte dall'Avvocatura dello Stato per escludere che il momento della stipula del contratto sia rimesso alla arbitraria determinazione degli Enti, ribadendo il concetto che, comunque, si tratterebbe di comportamenti non previsti dalla legge, la quale, quindi, andrebbe esente da censura.

Sarebbe poi da escludere la natura di diritto soggettivo della pretesa degli assegnatari in locazione ad ottenere la cessione perché gli assegnatari attualmente in giudizio avrebbero presentato la domanda dopo l'entrata in vigore della legge 865 del 1971 e del d.P.R. 1035 del 1972, e stante l'inapplicabilità delle norme precedenti, le quali soltanto prevedevano il sorgere di tale diritto al momento della presentazione della domanda.

Anche la difesa dell'IACP di Genova ha presentato una memoria illustrativa con cui, premesso che l'entrata in vigore delle nuove norme ha modificato il criterio di valutazione dei prezzi di cessione, il giudice a quo dovrebbe riesaminare il giudizio di rilevanza.

La difesa svolge poi considerazioni tendenti a dimostrare che il prezzo di cessione degli alloggi deve essere tale da reintegrare il depauperamento patrimoniale ad esso conseguente, pur escludendosi ovviamente ogni profitto, ed afferma che a tale esigenza ben risponderebbero le norme impugnate, specie per quanto riguarda il riferimento del prezzo al momento della deliberazione della cessione.

La difesa delle parti private Cioli Mario ed altri ha altresì depositato una memoria illustrativa con cui svolge ampie considerazioni intese a ribadire la pretesa discriminazione fra assegnatari derivante dalla norma impugnata e insiste in particolare sulla irrazionalità del riferimento alla stipula del contratto contenuta nell'art. 27 della legge come termine finale per l'applicabilità della vecchia normativa in materia di prezzi di cessione, irrazionalità che sarebbe confermata dall'art. 52 della legge n. 457 del 1978, che avrebbe mantenuto in sostanza il riferimento ad un'attività discrezionale dell'Ente quale la comunicazione del prezzo di cessione.

Altra memoria illustrativa è stata depositata dai rappresentanti delle parti private Misiano ed altri.

La difesa insiste sulla pretesa portata retroattiva della norma impugnata e, pur riconoscendo che, in tesi generale, la retroattività delle norme non penali non è esclusa dalla Costituzione, osserva che la norma retroattiva, in quanto introduca un elemento di discriminazione afflittiva nei confronti di taluni soggetti, non può prescindere da un criterio di ragionevolezza in osservanza del principio di eguaglianza. E ciò sarebbe vero ancor più quando la norma retroattiva collide con l'affidamento dei singoli sul mantenimento degli impegni assunti dal legislatore in materia economica. Tale ragionevolezza peraltro mancherebbe nella specie per i già esposti motivi e si evidenzierebbe quindi la fondatezza della censura.

Infine anche l'Avvocatura ha depositato una memoria con cui svolge ampiamente le argomentazioni già esposte nelle precedenti difese, insistendo nella richiesta dichiarazione di infondatezza delle questioni sollevate con le ordinanze sopra ricordate.

Considerato in diritto:

1. - I giudizi vanno riuniti e decisi con unica sentenza in quanto sollevano analoghe questioni di legittimità costituzionale.

2. - La disciplina della cessione in proprietà a favore degli assegnatari di alloggi economici e popolari costruiti in regime di edilizia sovvenzionata si è sempre manifestata per il passato come risposta alla fondamentale esigenza di garantire, nei limiti del possibile, la disponibilità di una casa ai meno abbienti.

Attraverso una intensa attività legislativa, iniziata fin dai primi anni del secolo e confluita nel t.u. approvato con il r.d. 28 aprile 1938, n. 1165, sull'edilizia economica e popolare, rimase acquisito il principio secondo cui era consentito agli Enti gestori oltre che locare, anche vendere o assegnare in locazione con patto di futura vendita gli stabili disponibili. E a tale principio corrispondeva, secondo la dottrina e la giurisprudenza, un diritto soggettivo dell'assegnatario ad ottenere la cessione in proprietà, concorrendo ovviamente le condizioni previste dalla legge ed attinenti alla natura degli alloggi, al rispetto di una quota limite delle cessioni rispetto al complesso degli alloggi esistenti, alla posizione soggettiva dei richiedenti (da ult. artt. 1/4 d.P.R. 17 gennaio 1959, n. 2, e 61 legge 22 ottobre 1971, n. 865).

Per quanto riguarda in particolare il prezzo di cessione, i criteri di determinazione adottati fino all'entrata in vigore delle norme censurate, rispecchiavano sostanzialmente gli scopi sociali che il legislatore aveva inteso perseguire attraverso le numerose norme susseguitesi in materia, informate ad un fondamentale criterio di favore verso l'acquirente mediante il riferimento del prezzo stesso a livelli nettamente inferiori ai prezzi di mercato. Ed invero, in base all'art. 6 del d.P.R. 17 gennaio 1959, n. 2, modificato dall'art. 4 della legge 27 aprile 1962, n. 231, il prezzo veniva ragguagliato al valore venale dell'alloggio al momento nel quale gli Enti interessati deliberavano la cessione, ridotto del 30%, nonché di un ulteriore 0,25% per ogni anno di effettiva occupazione.

Sempre in base allo stesso articolo 6, modificato dall'articolo 5 della legge n. 231 del 1962, per gli edifici costruiti con il contributo dello Stato ed ultimati dopo il 1 luglio 1961, il valore venale degli alloggi doveva essere uguale al costo di costruzione, al netto dei contributi statali.

In base all'art. 22 del ripetuto d.P.R. n. 2 del 1959 così come modificato dall'art. 12 della citata legge n. 231 del 1962, il prezzo di cessione degli alloggi dell'ex IRCIS (Istituto Romano Cooperativo per le case degli impiegati dello Stato) era invece dato dal valore venale di essi al momento della domanda di cessione, ridotto del 40% nonché di un ulteriore 0,50% per ogni anno di effettiva occupazione in base all'articolo 26 del citato d.P.R. n. 2 del 1959, gli alloggi costruiti o da costruire ai sensi della legge 9 agosto 1954, n. 640, e tutti gli altri alloggi costruiti a totale carico dello Stato per le categorie meno abbienti, nonché gli alloggi dell'UNRRA-Casa, venivano ceduti ad un prezzo pari al 50% del costo di costruzione di ogni singolo alloggio; secondo infine l'art. 23 del d.P.R. 30 dicembre 1972, n. 1035, il prezzo di assegnazione in proprietà degli alloggi era determinato in base al costo di costruzione quale risultava dagli atti di contabilità finale e di collaudo, con l'aggiunta del valore dell'area o del corrispettivo della concessione del diritto di superficie, determinati ai sensi dell'art. 35 della legge 22 ottobre 1971, n. 865, nonché degli oneri di gestione e di preammortamento, dedotto il ricavato netto effettivo delle annualità del contributo statale, salve le condizioni eventualmente più vantaggiose previste da precedenti leggi per gli assegnatari che avessero presentato domanda di riscatto entro il 22 ottobre 1971.

Come appare evidente da tali riferimenti un dato costante in materia era costituito dalla dissociazione di questo tipo di operazione dalle regole economiche che informano il mercato immobiliare per quanto riguarda la determinazione del prezzo di vendita. E ciò appunto in funzione della scelta di politica economica e sociale nel settore, improntata, come si è detto, alla volontà di soddisfare un bisogno fondamentale dell'individuo come quello della casa attraverso l'assunzione degli oneri relativi, in certa misura, a carico della finanza pubblica e quindi, in ultima analisi, della collettività.

Senonché l'art. 27 della legge 8 agosto 1977, n. 513, ha espressamente abrogato la disciplina precedentemente sancita dal citato d.P.R. 17 gennaio 1959, n. 2, e successive modificazioni, dalla legge 14 febbraio 1963, n. 60, concernente la cessione in proprietà degli alloggi del medesimo tipo appartenenti alla gestione INA-Casa ed assegnati in locazione con patto di futura vendita o in locazione semplice, nonché da tutte le disposizioni "che comunque disciplinano il trasferimento in proprietà agli assegnatari di alloggi di edilizia pubblica residenziale già assegnati in locazione semplice".

Dopo questa disposizione di carattere generale, abolitiva del precedente regime vigente in materia, col secondo comma dello stesso art. 27 è disposto in via transitoria che le domande per le quali non fosse stato stipulato il contratto di cessione in proprietà dovessero essere confermate entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della legge, a pena di "decadenza dell'interessato da ogni diritto".

Con l'ultima disposizione del ripetuto art. 27 inoltre, per quanto riguarda le condizioni per la cessione degli alloggi a coloro che avessero tempestivamente confermato le domande, si è fatto rinvio a quanto stabilito nel successivo art. 28, secondo il quale il prezzo di cessione risultava dal "valore venale degli alloggi stessi al momento dell'entrata in vigore della legge, determinato dall'Ufficio tecnico erariale tenendo anche conto dello stato di conservazione dell'immobile e della sua ubicazione" ridotto dello 0,25% per ogni anno di effettiva occupazione da parte del richiedente, e salvo uno sconto per il pagamento in contante del 30% per i titolari di redditi inferiori a L.4.800.000 annue e del 20% nel caso di reddito superiore.

Per il caso di pagamento rateale, invece, è stata fissata una quota minima di acconto del 40% del prezzo e l'interesse del 6% all'anno per dieci anni sul residuo debito per i percettori di redditi maggiori ed un acconto del 25% con interesse del 0,50% sul residuo debito da estinguere in 15 anni per i percettori di redditi inferiori.

Tale disciplina è poi stata ancora modificata con l'art. 52 della legge 5 agosto 1978, n. 457. In particolare, dirimendo difficoltà interpretative insorte al riguardo, è stato chiarito che "si considera stipulato e concluso il contratto di compravendita qualora l'Ente proprietario o gestore abbia accettato la domanda di riscatto e comunicato all'assegnatario il relativo prezzo di cessione, se non previsto per legge". È stato poi prorogato il termine di conferma delle domande ed è stato modificato il sistema di determinazione del prezzo di cessione stabilendosi che, fermo restando il riferimento al valore venale come sopra determinato, lo stesso va però ridotto dall'1,50% per ogni anno di effettiva occupazione dell'alloggio da parte del richiedente, fino a un limite massimo di venti anni, con una ulteriore riduzione del 10% da applicarsi nel caso in cui il richiedente fruisca di reddito non superiore a L. 4.800.000 annue. Altre modifiche sono pure state apportate per quanto riguarda la detrazione del prezzo delle migliorie eventualmente apportate dall'assegnatario, la riduzione al 15% della quota in contanti da versare per il caso di acquisto rateale da parte dei titolari di redditi inferiori alla misura predetta ed al 30% per i percettori di redditi superiori.

Quanto testé riferito rappresenta il punto di arrivo di una revisione dei principi di favore precedentemente accolti in materia, ritenuta necessaria dal legislatore, come risulta dai lavori preparatori, in vista della crisi economica e strutturale del settore manifestatasi a seguito sia delle gravi carenze di disponibilità per il finanziamento dell'edilizia economica e popolare, le cui necessità assurgevano a valori elevatissimi, sia delle disfunzioni dei meccanismi di base dell'investimento e della produzione edilizia nel settore.

3. - Poste tali premesse, si osserva in merito alla contestazione che, secondo quanto emerge dalle ordinanze di rinvio, le controversie sono state tutte promosse da pretesi titolari del diritto alla cessione degli alloggi in questione reclamanti i benefici derivanti dalle norme di favore sopra richiamate e poi abrogate.

Le censure lamentano che l'applicazione della nuova disciplina dei prezzi sancita dal combinato disposto degli artt. 27, secondo comma e 28 della legge n. 513 del 1977 istituirebbe una disparità di trattamento a danno degli aventi diritto che, pur avendo presentato a suo tempo regolare domanda sono esclusi dal regime più favorevole, unicamente in dipendenza della mancata stipula del contratto, cioè, secondo quanto affermato dai giudici a quibus, in dipendenza di una condizione rimessa alla discrezionalità degli Enti interessati dalla cui inerzia sarebbe dipesa la mancata stipula dei contratti prima della modifica del sistema normativo. Si tratterebbe quindi di una disparità di trattamento istituita irrazionalmente fra categorie omogenee di soggetti, e come tale in contrasto con l'art. 3 Cost.

4. - Ciò premesso passando all'esame delle eccezioni di irrilevanza formulate nei giudizi provenienti dai tribunali di Venezia, Genova e Roma, che hanno emesso le ordinanze di rinvio prima della entrata in vigore della citata legge n. 457 del 1978, deve escludersene la fondatezza.

Se infatti è vero che, nel caso in cui sopravvenga una nuova legge che regoli la stessa materia oggetto della norma sottoposta a giudizio di legittimità costituzionale, il giudice del merito, cui spetta il giudizio circa la sussistenza del nesso di pregiudizialità fra la questione sollevata e la decisione del giudizio principale, deve essere posto in condizioni di rivalutare la situazione alla luce delle nuove norme, attraverso la restituzione degli atti da parte della Corte, per un nuovo esame della rilevanza, deve anche affermarsi che tale criterio è valido soltanto nel caso in cui la nuova legge comporti una sostanziale diversità di disciplina rispetto a quella inizialmente impugnata, almeno per quanto riguarda i punti sottoposti a giudizio di legittimità.

Nella specie, come si è detto, la censura si incentra su quella parte degli artt. 27 e 28 della legge n. 513 del 1977 che collega la diversità del regime di cessione all'elemento dell'avvenuta stipula del contratto di cessione dell'alloggio, ritenuta casuale perché rimessa alla discrezionalità dell'Ente. La legge sopravvenuta, peraltro, pur precisando alcuni elementi di fatto ai fini della identificazione del momento della stipula del contratto, non ha innovato su tale punto essenziale prospettato in giudizio come viziato di illegittimità, né ha sostanzialmente modificato il regime di cessione in relazione ai profili di illegittimità dedotti salvo che per aspetti secondari che non attengono in nessun modo alla essenza dei criteri stabiliti in precedenza. Manca quindi la condizione fondamentale per far luogo al rinvio degli atti ai giudici a quibus che hanno emesso le ordinanze prima dell'entrata in vigore della nuova legge.

A maggior ragione lo stesso criterio va adottato per quanto riguarda l'eccezione analogamente formulata nel giudizio proveniente dal tribunale di Pavia, che ha emesso l'ordinanza di rinvio dopo l'entrata in vigore della legge n. 457 del 1978.

Né maggiormente fondato appare il particolare motivo di irrilevanza prospettato dalla difesa dell'IACP di Roma, secondo cui, essendo intervenuta nel corso del giudizio la stipula del contratto a norma dell'art. 52 della legge n. 457 del 1978 per alcuni degli assegnatari attori, la norma impugnata non dovrebbe più trovare applicazione.

Invero, in base a quanto la stessa difesa afferma, la dedotta circostanza non riguarda la totalità dei partecipanti al giudizio, per alcuni dei quali, quindi, permane evidentemente la possibilità di applicazione del censurato regime dei prezzi di cessione.

Va altresì esclusa la fondatezza della eccezione preliminarmente formulata dall'Avvocatura nel giudizio proveniente dal tribunale di Venezia secondo cui l'avere proposto la questione solo con riferimento al secondo comma dell'art. 27 della legge n. 513 del 1977, prescindendo dal primo comma, che dispone l'abrogazione della precedente normativa, inciderebbe sulla fondatezza della censura perché le aspettative degli assegnatari sarebbero, se mai, lese dall'abrogazione del sistema di cessione in proprietà, venuto meno appunto in virtù del primo e non del secondo comma del ripetuto art. 27. Ma è agevole obiettare che le questioni sollevate, così come si è già precisato in precedenza, attengono non alla abrogazione del sistema di cessione in proprietà degli assegnatari di determinate percentuali di alloggi, ma solo ed esclusivamente al diverso prezzo di cessione in quanto generatore di pretese discriminazioni; e tale aspetto ha ovviamente una sua autonomia logica e sostanziale che legittima l'impugnazione nei limiti enunciati.

Nello stesso giudizio la difesa del locale IACP ha pure osservato che, essendo la censura rivolta, appunto, contro l'ultima disposizione del secondo comma dell'art. 27, concernente i criteri di applicabilità dei nuovi prezzi di cessione, la richiesta di dichiarazione di illegittimità dell'intero secondo comma andrebbe oltre il contenuto della motivazione dell'ordinanza di rinvio.

Ma anche su tale punto è agevole obiettare che il nesso logico e sostanziale che unisce la materia trattata nel secondo comma in esame, con cui si pongono condizioni procedurali per beneficiare del diritto al riscatto (conferma entro un certo termine delle domande per le quali non sia stato stipulato il relativo contratto) e la importanza che tale criterio assume nell'economia generale del provvedimento in relazione ai prezzi da praticare, rende evidente l'unitarietà della normativa enunciata nel secondo comma e quindi l'infondatezza dell'argomentazione riferita.

5. - Quanto alla fondatezza delle censure, la Corte ritiene che la pretesa violazione dell'art. 3 Cost. non sussista.

Come si è detto, la nuova disciplina, dettata dalle norme impugnate, è la risultante di una scelta legislativa di politica economica e come tale rientrante nella discrezionalità del legislatore; né, d'altra parte, come pure si è detto, la censura investe la scelta in sé, bensì la sua operatività per quanto riguarda il momento indicato ai fini di stabilire l'applicabilità delle due diverse discipline.

Ma a tal riguardo occorre rilevare che la determinazione del legislatore risponde a criteri di razionalità. Va considerato infatti che essa fa riferimento al momento in cui la volontà delle parti (assegnatari ed Enti) aveva dato vita ad un rapporto obbligatorio avente ad oggetto appunto il trasferimento della proprietà dell'alloggio, cioè ad una circostanza fondamentale nello svolgimento del rapporto fra le parti, idonea a mutare la loro situazione giuridica e tale da costituire un oggettivo punto di riferimento per l'applicazione della nuova disciplina. E ad un criterio parallelo risponde altresì l'obbligo imposto di confermare le domande già presentate per i casi in cui il contratto non fosse ancora intervenuto, offrendo così in sostanza una possibilità di tutela di situazioni non ancora definitive, ma ritenute meritevoli di considerazione per l'avvenuta manifestazione di volontà della parte privata di acquisire la proprietà dell'alloggio.

Devono d'altra parte respingersi le considerazioni diffusamente svolte nelle ordinanze di rinvio e dalla difesa delle parti private circa la pretesa casualità del verificarsi della condizione dell'avvenuta stipula del contratto. Ed infatti è da escludere che la stipula possa considerarsi un atto rimesso alla discrezionalità dell'Ente poiché, come pure si è detto, in base alla precedente legislazione era riconosciuto all'assegnatario un vero e proprio diritto soggettivo alla cessione in proprietà dell'alloggio, e tale natura indubbiamente permane anche sotto l'impero della nuova legge, sia pure nel rispetto delle nuove condizioni che ne regolano il contenuto e l'esercizio.

Pertanto gli Enti si trovavano e si trovano a dovere svolgere una attività non meramente discrezionale ma legata alla realizzazione di un diritto soggettivo ad essi affidata e suscettibile, come tale, di ogni controllo e tutela ammessi dall'ordinamento, ivi compreso il risarcimento del danno eventualmente arrecato.

Le disfunzioni in relazione alle quali si sarebbero verificate le censurate disparità di trattamento, d'altra parte, non possono ovviamente collegarsi con nesso di conseguenzialità alla normativa impugnata, per cui anche in questo caso deve escludersi ogni loro influenza sul giudizio di costituzionalità, in conformità di quanto ripetutamente affermato dalla giurisprudenza di questa Corte in analoghe fattispecie (v. sent. 40/1970, 167/1973, 54 e 110/1974).

Deve aggiungersi che, secondo la giurisprudenza costante di questa Corte, non può ritenersi contrastante con il principio di eguaglianza un differenziato trattamento applicato ad una stessa categoria di soggetti, ma in momenti diversi nel tempo, in relazione al verificarsi di circostanze di fatto che debbono ritenersi una inevitabile conseguenza della successione delle norme (v. sentt. nn. 109/71; 69/75; 63/77).

Né può condurre a diverse conclusioni l'osservare, come fa la difesa delle parti private Misiano ed altre, che le norme impugnate introdurrebbero retroattivamente una discriminazione ingiustificata in contrasto con l'esigenza di rispettare gli impegni precedentemente assunti verso gli assegnatari. Invero, a parte la considerazione che la Costituzione non esclude la retroattività delle leggi non penali (v. sentenze nn. 118/57; 19/70; 194/76; 13/77 ed altre), è evidente che, nella specie, la legge impugnata non riveste tale natura. Essa invero, operando con effetto dalla sua entrata in vigore (18 agosto 1977), non incide sui rapporti già perfezionati e, con la regolamentazione del regime transitorio, sottopone a nuova disciplina le situazioni pendenti, lasciando intatti i rapporti già esauriti, con l'effetto normale della successione delle leggi nel tempo. E d'altra parte la già dimostrata razionalità della detta regolamentazione la rende valida, anche se può avere lese talune posizioni soggettive correlate al precedente regime.

6. - Non fondato è anche il particolare profilo di illegittimità prospettato nell'ordinanza del tribunale di Genova per quanto riguarda gli assegnatari di alloggi in locazione con patto di futura vendita.

Si lamenta infatti che costoro sarebbero esclusi dalla possibilità di ottenere l'assegnazione dell'alloggio in proprietà in quanto la norma impugnata non fa menzione della loro posizione e impedirebbe che essi possano beneficiare della rimessione in termini ivi prevista per le "locazioni semplici".

Al riguardo deve osservarsi che l'art. 27 della legge 513 del 1977 fa riferimento espresso alla cessione in proprietà di alloggi "già assegnati in locazione semplice" ed è lecito dedurre, quindi, che il legislatore abbia voluto regolare soltanto il tipo di contratto cui fa cenno esplicitamente. Altrimenti non avrebbe mancato di menzionare i contratti di locazione con patto di futura vendita, i quali hanno una loro precisa individualità giuridico-sociale e normativa.

Deve altresì considerarsi che, come si è detto, il momento cui la legge fa riferimento per determinare l'applicabilità del nuovo regime è quello in cui la volontà delle parti (assegnatari ed Enti) aveva dato vita ad un rapporto avente ad oggetto appunto il trasferimento della proprietà dell'alloggio. Una parallela situazione già si era verificata nel caso della cessione in locazione dell'alloggio con patto di futura vendita, con la particolarità che, mentre al momento della entrata in vigore della nuova normativa potevano, e di fatto erano, pendenti numerose domande di cessione in proprietà, il cui iter poteva avere raggiunto vari stadi, (v. art. 52 legge 5-8-1978 n. 457 concernente, appunto, la determinazione legislativa dei casi in cui il contratto deve considerarsi "stipulato"), i rapporti di cessione in locazione con patto di futura vendita, obbligatori anche in relazione alla sia pure futura cessione in proprietà, potevano ragionevolmente essere ritenuti ormai già perfezionati e da ricomprendere, pertanto, nell'ambito di quelle situazioni che il legislatore aveva considerato definitive e non più suscettibili di nuova e diversa regolamentazione. Il che chiarisce la mancata espressa menzione dei rapporti in esame nelle norme transitorie.

E che questo fosse l'intento del legislatore risulta dalla relazione al Senato sul disegno di legge divenuto poi la legge n. 513 del 1977, in cui chiaramente si afferma che "l'abrogazione non riguarda minimamente le assegnazioni avvenute con patto di futura vendita o in proprietà con ipoteca legale e quindi non appare giustificato l'allarme che si è diffuso al riguardo tra gli assegnatari di alloggi con questa forma di riscatto".

A ciò si aggiunge un argomento esegetico di notevole rilievo, ricavabile dall'art. 52 della legge n. 457 del 1978. Il terzo comma di detto articolo, invero, dispone che la cessione degli alloggi realizzati in base alla legge 17 maggio 1952 n. 619 (relativa al risanamento del rione dei Sassi di Matera) "continua ad essere regolata dalle norme contenute nella detta legge". Queste norme prevedono la possibilità di cessione in proprietà degli alloggi mediante contratto da stipularsi dopo il pagamento dell'ultima rata del prezzo dell'alloggio ragguagliata al costo di costruzione e lo stesso terzo comma dell'art. 52 citato dà ragione espressa del mantenimento della precedente disciplina là dove testualmente precisa che seguita ad applicarsi la detta legge 619 del 1952 "essendo la disciplina ivi prevista assimilabile alla locazione con patto di futura vendita".

Pertanto è da escludere che le norme impugnate possano essere interpretate nel senso prospettato dal giudice a quo, e la censura va quindi disattesa.

7. - Non ha infine fondamento neppure la censura prospettata nell'ordinanza del tribunale di Milano secondo cui le norme impugnate violerebbero l'art. 3 Cost. in quanto, stabilendo condizioni di prezzo diverse secondo che il pagamento avvenga per contanti o a rate, indurrebbero una ingiustificata disparità di trattamento tra coloro che conseguono la proprietà dopo l'entrata in vigore della legge n. 513 del 1977 e coloro che l'abbiano invece già conseguita.

E infatti evidente che le condizioni di maggior favore previste per i pagamenti in contanti (sconto variabile in misura inversamente proporzionale all'ammontare del reddito dell'assegnatario) rispondono ad un criterio di razionalità, dovendosi le condizioni stesse inquadrare nella carente disponibilità di fondi nel settore dell'edilizia economica e popolare, e nella funzione per quanto possibile correttiva svolta al riguardo dalla riscossione dei prezzi in contanti piuttosto che a mezzo di lunghe rateazioni.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 27, secondo comma, e 28 della legge 8 agosto 1977, n. 513, come in epigrafe sollevate dai tribunali di Venezia, Genova, Roma, Pavia, La Spezia e Milano con riferimento all'art. 3 della Costituzione.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 17 luglio 1980.

F.to: LEONETTO AMADEI - EDOARDO VOLTERRA - GUIDO ASTUTI - MICHELE ROSSANO - ANTONINO DE STEFANO - LEOPOLDO ELIA - GUGLIELMO ROEHRSSEN - BRUNETTO BUCCIARELLI DUCCI - ALBERTO MALAGUGINI - LIVIO PALADIN - ARNALDO MACCARONE - ANTONIO LA PERGOLA - VIRGILIO ANDRIOLI.

GIOVANNI VITALE - Cancelliere