˙ Sentenza  111/1980 (ECLI:IT:COST:1980:111)
Giudizio:  GIUDIZIO DI LEGITTIMITÀ COSTITUZIONALE IN VIA INCIDENTALE
Presidente: AMADEI - Redattore:  - Relatore: DE STEFANO
Udienza Pubblica del 07/11/1979;    Decisione  del 10/07/1980
Deposito del 16/07/1980;    Pubblicazione in G. U.
Norme impugnate:  
Massime:  9832
Atti decisi: 

Pronuncia

N. 111

SENTENZA 10 LUGLIO 1980

Deposito in cancelleria: 16 luglio 1980.

Pubblicazione in "Gazz. Uff." n. 201 del 23 luglio 1980.

Pres. AMADEI - Rel. DE STEFANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori: Avv. LEONETTO AMADEI, Presidente - Dott. GIULIO GIONFRIDA - Prof. EDOARDO VOLTERRA - Prof. GUIDO ASTUTI - Dott. MICHELE ROSSANO - Prof. ANTONINO DE STEFANO - Prof. LEOPOLDO ELIA - Prof. GUGLIELMO ROEHRSSEN - Avv. ORONZO REALE - Dott. BRUNETTO BUCCIARELLI DUCCI - Avv. ALBERTO MALAGUGINI - Prof. LIVIO PALADIN - Dott. ARNALDO MACCARONE - Prof. ANTONIO LA PERGOLA - Prof. VIRGILIO ANDRIOLI, Giudici,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 1 bis, comma primo, del d.l. 19 giugno 1974, n. 236, convertito con modificazioni in legge 12 agosto 1974, n. 351 (provvedimenti urgenti sulla proroga dei contratti di locazione e di sublocazione degli immobili urbani), promosso con ordinanza emessa il 3 gennaio 1976 dal pretore di Chiavenna, nel procedimento civile vertente tra Fibioli Speranza e Bianchi Giuseppe, iscritta al n. 293 del registro ordinanze 1976 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 145 del 3 giugno 1976.

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 7 novembre 1979 il Giudice relatore Antonino De Stefano;

udito l'avvocato dello Stato Renato Carafa, per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto:

Con ordinanza emessa il 3 gennaio 1976, nel procedimento civile vertente tra Fibioli Speranza e Bianchi Giuseppe, il pretore di Chiavenna ha sollevato questione di legittimità costituzionale, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, dell'articolo 1 bis, comma primo, del d.l. 19 giugno 1974, n. 236, nel testo inserito dalla legge di conversione 12 agosto 1974, n. 351.

Si legge nell'ordinanza che il 1 settembre 1970 la Fibioli aveva preso in affitto un appartamento per il canone mensile di lire 35.000, comprensivo di spese; appartamento che era stato successivamente acquistato dal Bianchi, il quale, con decorrenza 1 dicembre 1973, aveva elevato il canone a lire 43.000, spese escluse. Ricevuta il 7 marzo 1975 l'intimazione a lasciare l'appartamento per finita locazione e per morosità, sia in relazione ai canoni che alle spese condominiali, la Fibioli chiedeva che, ai sensi della legge n. 351 del 1974, il canone venisse rapportato a quello dovuto alla data del 1 gennaio 1971.

Osserva il pretore che "nella fattispecie trattasi di contratto di locazione di una abitazione in cui il conduttore non dimora abitualmente (art. 1 u.c. legge 351), stipulato dopo il 1 dicembre 1969 e soggetto pertanto alle disposizioni dell'art. 1 bis legge 351, e cioè alla riduzione del canone a partire dal 1 ottobre 1974 a quello originario, aumentato del 10 per cento"; per contro, lo stesso art. 1 bis prevede che nessun aumento sia richiedibile dal locatore che non abbia già praticato aumenti dal 1 gennaio 1969 in poi. Secondo il giudice a quo, tale norma comporta una evidente disparità di trattamento, tanto più ingiusta in quanto viene a premiare il locatore più esigente che ha preteso continui aumenti, magari violando la legge, e a danneggiare il locatore che invece ha favorito il conduttore.

Nel giudizio dinanzi alla Corte è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocato generale dello Stato, il quale ha concluso per l'inammissibilità della sollevata questione. Una volta che lo stesso giudice a quo ha affermato che il rapporto di locazione dedotto in giudizio (avente ad oggetto un'abitazione in cui il conduttore non dimorava abitualmente) rientrava nella previsione dell'art. 1, ultimo comma, del d.l. n. 236 del 1974, come modificato dalla legge di conversione n. 351 del 1974, con la conseguenza che a tale rapporto non erano applicabili né la proroga, né gli aumenti previsti dai precedenti commi dello stesso art. 1, non poteva poi il giudice medesimo discettare della incostituzionalità dell'art. 1 bis, primo comma, dello stesso provvedimento, atteso che il terzo comma di questo articolo disciplina compiutamente proprio i contratti di locazione non ricadenti, come quello di specie, nelle previsioni di cui all'art. 1. La disposizione denunciata, quindi, quale identificata dal giudice nel primo comma dell'art. 1 bis, sarebbe prima facie inapplicabile al rapporto controverso. A parte ciò, lo stesso giudice, nel rimettere la questione alla Corte con ordinanza del 3 gennaio 1976, non avrebbe preso neanche in esame l'eventuale incidenza della normativa a quella data sopravvenuta con il d.l. 25 giugno 1975, n. 255, convertito con modificazioni nella legge 31 luglio 1975, n. 363.

All'udienza pubblica l'Avvocatura dello Stato ha ribadito la richiesta che sia dichiarata inammissibile la proposta questione di legittimità costituzionale.

Considerato in diritto:

1. L'ordinanza del pretore di Chiavenna sottopone alla Corte la questione se sia costituzionalmente illegittimo, per contrasto con l'art. 3 della Costituzione, l'art. 1 bis, primo comma, del d.l. 19 giugno 1974, n. 236, nel testo inserito dalla legge di conversione 12 agosto 1974, n. 351, nella parte in cui prevede che nessun aumento di canone possa essere richiesto dal locatore che non abbia già praticato aumenti, dovendo l'ammontare del canone corrispondere a quello dovuto alla data del 1 gennaio 1971; mentre riconosce un aumento contenuto entro il dieci per cento sul canone dovuto alla data del 1 gennaio 1971, al locatore che avesse già praticato aumenti nello stesso periodo.

2. L'ordinanza è stata emessa anteriormente all'entrata in vigore (30 luglio 1978) della legge 27 luglio 1978, n. 392, che ha dettato nuova disciplina delle locazioni di immobili urbani. Peraltro, la Corte rileva che, in virtù dell'art. 82 della sopravvenuta legge, ai giudizi in corso alla data anzidetta continuano ad applicarsi ad ogni effetto le norme precedenti, come quella denunciata, sulla quale, quindi, ritiene di portare il suo esame, senza richiedere al giudice a quo conferma della rilevanza della sollevata questione.

3. Va preliminarmente esaminata l'eccezione di inammissibilità per irrilevanza della questione nel giudizio a quo, opposta dall'Avvocatura dello Stato, la quale assume, come esposto in narrativa, che la denunciata norma non sia applicabile al caso in concreto da decidere, trattandosi di abitazione in cui il conduttore non dimorava abitualmente.

L'eccezione va disattesa. Ben vero che, per effetto dell'ultimo comma dell'art. 1 del citato d.l. n. 236 del 1974, come modificato dalla legge di conversione n. 351 del 1974, le disposizioni di cui ai commi precedenti dello stesso articolo non si applicano alle locazioni relative ad immobili adibiti ad uso di abitazione, diversi da quelli in cui il conduttore dimori abitualmente; ma le norme inapplicabili a siffatte locazioni sono quelle relative alla proroga dei contratti in corso, ed all'aumento dei canoni per i contratti ininterrottamente prorogati anteriori al 1 marzo 1947 e per quelli, egualmente prorogati, stipulati tra il 1 marzo 1947 ed il 1 gennaio 1953. Il successivo art. 1 bis, invece, stabilisce al primo comma, per le locazioni in corso alla data di entrata in vigore della legge di conversione, in base a contratti stipulati successivamente al 1 dicembre 1969, la riduzione del canone all'ammontare dovuto alla data del 1 gennaio 1971; qualora su tale canone siano stati comunque praticati aumenti, questi ultimi sono ridotti in misura tale che gli aumenti stessi non risultino superiori al dieci per cento del canone dovuto alla stessa data del 1 gennaio 1971. Questa norma, a differenza di quelle dettate dal precedente art. 1, si applica a tutti i contratti di locazione di immobili urbani adibiti ad uso di abitazione, e non soltanto a quelli prorogati: dai lavori preparatori è dato, infatti, desumere che la mens legis era quella di incidere sui canoni di tutti i contratti recenti, come primo passo per la progettata applicazione dell'equo canone. Del resto la Corte, investita di una censura di incostituzionalità rivolta all'art. 1 ter del d.l. 25 giugno 1975, n. 255, nel testo inserito dalla legge di conversione 31 luglio 1975, n. 363, il cui primo comma mantiene ferme le disposizioni contenute nel primo comma dell'art. 1 bis ora in esame, ha già ritenuto, con la sentenza n. 33 del 1980, che esso prevede la possibilità di riduzione del canone per tutti i conduttori, ivi compresi quelli non beneficiari della proroga legale.

Ora, nel giudizio a quo, il rapporto controverso non è certo soggetto alla proroga disposta dal richiamato art. 1, per effetto dell'ultimo comma dello stesso articolo; ma, essendo sorto a seguito di contratto stipulato dopo il 1 dicembre 1969 (precisamente il 1 settembre 1970), ed essendo in corso alla data di entrata in vigore della legge n. 351 del 1974, ricade de plano nella sfera di applicazione del primo comma del successivo art. 1 bis, che è appunto la norma denunciata.

Né a ciò osta il successivo terzo comma dello stesso articolo 1 bis, egualmente richiamato a sostegno della tesi del l'inammissibilità. Ché anzi esso, con il disporre che i canoni delle locazioni in corso alla data di entrata in vigore della legge di conversione, relativi ad immobili urbani adibiti ad uso di abitazione non soggetti alla proroga di cui al precedente art. 1, possono "alla scadenza del contratto" essere aumentati in misura non superiore al cinque per cento del canone "determinato a norma dei commi precedenti", conferma testualmente l'applicabilità del primo comma dello stesso art. 1 bis ai contratti non prorogati.

L'Avvocatura dello Stato obietta altresì che il giudice a quo non avrebbe preso in esame l'eventuale incidenza della normativa intervenuta alla data di emissione dell'ordinanza (3 gennaio 1976) con il d.l. 25 giugno 1975, n. 255, convertito con modificazioni in legge 31 luglio 1975, n. 363. Ma a superare tale obiezione vale ricordare che il primo comma dell'art. 1 ter del richiamato provvedimento dispone, come dianzi già accennato, che rimangano ferme le disposizioni contenute nel primo comma dell'art. 1 bis in parola.

4. Esaurito con ciò l'esame delle eccezioni pregiudiziali, e venendo al merito della questione proposta dal pretore di Chiavenna, la Corte ritiene che la stessa non sia fondata.

Secondo il giudice a quo la denunciata norma violerebbe il principio costituzionale dell'eguaglianza, in quanto, avendo come destinatari i locatori di immobili urbani adibiti ad uso di abitazione, a seguito di rapporti instaurati dopo il 1 dicembre 1969, avvantaggerebbe quelli che comunque avessero aumentato il canone, consentendo loro di conservare, malgrado la disposta riduzione, una maggiorazione entro il dieci per cento del canone loro dovuto alla data del 1 gennaio 1971, mentre danneggerebbe i locatori che non avessero praticato aumenti, i quali continuerebbero a percepire il canone nell'ammontare loro dovuto alla su indicata data del 1 gennaio 1971. La incostituzionalità, ove riconosciuta dalla Corte, comporterebbe la eliminazione della seconda parte del primo comma dell'art. 1 bis, in guisa che tutti i locatori, avessero o meno praticato aumenti, percepirebbero il canone esclusivamente nell'ammontare loro dovuto al 1 gennaio 1971.

Giova in proposito premettere che - come ha affermato la Corte nella già menzionata sentenza n. 33 del 1980, nei confronti sia dello stesso art. 1 bis, denunciato sotto diversi profili di incostituzionalità, che dell'art. 1 ter del d.l. n. 255 del 1975, come modificato dalla legge di conversione n. 363 del 1975, nonché delle ulteriori disposizioni di riduzione dei canoni di locazione - l'introduzione generalizzata di meccanismi di contenimento e riduzione del canone non è priva di razionalità, "rivelandosi preordinata ad una obiettiva perequazione e livellamento dei corrispettivi locatizi, sia come misura congiunturale per resistere alle spinte inflazionistiche e speculative in atto, sia in vista della precostituzione di una base omogenea per la successiva (allora già profilata) istituzione dell'equo canone".

In siffatta prospettiva non irrazionalmente il legislatore ha operato con la denunciata norma, tenendo presente il dato dell'ingente aumento dei canoni di locazione di immobili urbani ad uso abitativo, verificatosi nell'ambito della maggior parte dei contratti stipulati successivamente al 1 dicembre 1969, cui non poteva applicarsi il blocco introdotto dalla legge 26 novembre 1969, n. 833. Sui canoni così aumentati ha inteso dunque incidere la disposta riduzione, con il correttivo della consentita maggiorazione fino al dieci per cento; mentre resta invariata la situazione, quantitativamente circoscritta, dei canoni non aumentati, restringendosi peraltro il preesistente divario tra i primi e i secondi.

Torna perciò puntuale il richiamo a quanto già ritenuto dalla Corte nella sentenza n. 3 del 1976, in ordine ad analoga questione di costituzionalità concernente il comma secondo dell'art. 1 della legge 6 novembre 1963, n. 1444. La norma veniva in quella sede denunciata per asserito contrasto con l'art. 3 della Costituzione, appunto nella parte in cui - attraverso la prevista riduzione autoritativa di canoni maggiorati in misura eccedente determinate percentuali - veniva in pratica a legittimare aumenti già apportati o concordati, senza contemporaneamente consentire i medesimi aumenti per i canoni rimasti invariati. Ma la Corte escluse la prospettata lesione del precetto di eguaglianza, osservando che la disposizione impugnata operava in realtà nei confronti di due distinte categorie di locatori: di quelli, cioè, che non avevano richiesto aumenti prima dell'entrata in vigore della legge (così facendo presumere di ritenere i canoni stessi per loro equi e remunerativi) e di quelli, invece, che avevano apportato maggiorazioni, ai quali soltanto poteva rivolgersi la prevista riduzione del canone, razionalmente contenuto in limiti percentuali.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 1 bis, comma primo, del d.l. 19 giugno 1974, n. 236 (provvedimenti urgenti sulla proroga dei contratti di locazione e di sublocazione degl'immobili urbani), nel testo inserito dalla legge di conversione 12 agosto 1974, n. 351, sollevata, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, con l'ordinanza del 3 gennaio 1976 del pretore di Chiavenna.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 10 luglio 1980.

F.to: LEONETTO AMADEI - GIULIO GIONFRIDA - EDOARDO VOLTERRA - GUIDO ASTUTI - MICHELE ROSSANO - ANTONINO DE STEFANO - LEOPOLDO ELIA - GUGLIELMO ROEHRSSEN - ORONZO REALE - BRUNETTO BUCCIARELLI DUCCI - ALBERTO MALAGUGINI - LIVIO PALADIN - ARNALDO MACCARONE - ANTONIO LA PERGOLA - VIRGILIO ANDRIOLI.

GIOVANNI VITALE - Cancelliere