˙ Sentenza  100/1980 (ECLI:IT:COST:1980:100)
Giudizio:  GIUDIZIO PER CONFLITTO DI ATTRIBUZIONE TRA ENTI
Presidente: AMADEI - Redattore:  - Relatore: PALADIN
Udienza Pubblica del 23/04/1980;    Decisione  del 19/06/1980
Deposito del 25/06/1980;    Pubblicazione in G. U.
Norme impugnate:  
Massime:  11762
Atti decisi: 

Pronuncia

N. 100

SENTENZA 19 GIUGNO 1980

Deposito in cancelleria: 25 giugno 1980.

Pres. AMADEI - Rel. PALADIN

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori: Avv. LEONETTO AMADEI, Presidente - Dott. GIULIO GIONFRIDA - Prof. EDOARDO VOLTERRA - Prof. GUIDO ASTUTI - Dott. MICHELE ROSSANO - Prof. ANTONINO DE STEFANO - Prof. LEOPOLDO ELIA - Prof. GUGLIELMO ROEHRSSEN - Avv. ORONZO REALE - Dott. BRUNETTO BUCCIARELLI DUCCI - Avv. ALBERTO MALAGUGINI - Prof. LIVIO PALADIN - - Prof. ANTONIO LA PERGOLA - Prof. VIRGILIO ANDRIOLI, Giudici,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio promosso con ricorso del Presidente della Regione Trentino - Alto Adige, notificato il 18 luglio 1979, depositato nella Cancelleria della Corte costituzionale il 27 successivo ed iscritto al n. 22 del registro ricorsi 1979, per conflitto di attribuzione sorto a seguito del d.P.R. 1 giugno 1979, n. 191, recante: "Disciplina del rapporto di lavoro del personale degli enti locali".

Visto l'atto di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 23 aprile 1980 il Giudice relatore Livio Paladin;

uditi l'avv. Giuseppe Guarino per la Regione Trentino - Alto Adige e l'avvocato dello Stato Giorgio Azzariti per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto:

1. - Con ricorso notificato il 18 luglio 1979, la Regione Trentino - Alto Adige ha sollevato conflitto di attribuzione nei confronti del Presidente del Consiglio dei ministri, impugnando l'art. 1 dell'accordo nazionale approvato con il d.P.R. 1 giugno 1979, n. 191, nella parte in cui estende al personale dipendente dai Comuni del Trentino - Alto Adige "la disciplina del rapporto di lavoro del personale degli enti locali".

Premesso che l'atto in questione avrebbe natura amministrativa e sarebbe quindi suscettibile di venire impugnato per regolamento di competenza, il ricorso lamenta l'invasione della sfera di attribuzioni spettanti alla Regione in tema di "ordinamento dei comuni" nonché di "ordinamento del personale dei comuni" stessi, alla stregua degli artt. 5 n. 1 e 65 del relativo Statuto speciale: competenza già esercitata da parte regionale, mediante la legge 11 dicembre 1975, n. 11, in cui si dispone - all'art. 28 - che "gli stipendi del personale dovranno essere determinati in base alle condizioni economiche locali, alla natura e alla importanza del servizio e alla giusta proporzione tra il trattamento economico delle varie qualifiche", per poi riservare la definizione di tale trattamento ai regolamenti comunali, "sulla base degli accordi stipulati dalle organizzazioni rappresentative dei Comuni delle Province di Trento e di Bolzano con le organizzazioni sindacali provinciali del personale" rispettivamente interessato. A ciò si aggiunge - osserva la difesa della Regione - l'art. 9 delle norme di attuazione statutaria approvate con il d.P.R. 6 gennaio 1978, n. 58, per cui "nella provincia di Bolzano, alle associazioni sindacali costituite esclusivamente tra lavoratori dipendenti appartenenti alle minoranze linguistiche tedesca e ladina, aderenti alla confederazione maggiormente rappresentativa fra quelle dei lavoratori stessi, sono estesi... i diritti riconosciuti da norme di legge alle associazioni aderenti alle confederazioni maggiormente rappresentative sul piano nazionale".

Con questo fondamento, il ricorso richiede il parziale annullamento dell'atto impugnato, previa - ove occorra - la corrispondente dichiarazione dell'illegittimità costituzionale dell'art. 6 del decreto - legge 29 dicembre 1977, n. 946 (come modificato dalla legge di conversione 27 febbraio 1978, n. 43), ai sensi del quale è stato emanato il d.P.R. n. 191 del 1979.

Nella comparsa di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri, l'Avvocatura dello Stato si limita invece a sostenere l'inammissibilità del ricorso regionale, in quanto il d.P.R. n. 191 del 1979 avrebbe la natura di una legge delegata.

2. - La Regione ricorrente ha richiesto altresì la sospensione dell'esecuzione dell'atto impugnato, adducendo l'esigenza di evitare il consolidarsi di "situazioni amministrative, finanziarie e contabili, contrastanti con il pubblico interesse". Ma questa Corte - con l'ordinanza n. 136 del 1979 - ha respinto l'istanza regionale, motivando l'insussistenza di quelle "gravi ragioni" dalle quali dipende la misura della sospensione, in sede di conflitto di attribuzione fra Regione e Stato.

3. - In una successiva memoria la Regione osserva che dopo la sentenza n. 21 del 1980, con cui questa Corte ha dichiarato inammissibile l'impugnativa incidentale di un consimile decreto, non si potrebbe più dubitare della "natura regolamentare" del d.P.R. n. 191 del 1979: che dunque sarebbe illegittimo, per il solo fatto di avere invaso la sfera di competenza statutariamente riservata alla Regione ed ai Comuni. Né, d'altra parte, sarebbe sostenibile che l'applicabilità di tale atto nelle stesse Regioni a statuto speciale sia "la manifestazione di un intendimento già contenuto nella legge n. 43/1978": dal momento che l'art. 6 della legge in questione non dispone nulla "circa l'ambito territoriale della propria applicabilità"; mentre la legge stessa, tendendo al risanamento della finanza locale, attraverso erogazioni gravanti sul bilancio dello Stato, non potrebbe comunque riferirsi al Trentino - Alto Adige, nell'ambito del quale l'art. 1 del d.P.R. n. 473 del 1975 (recante norme di attuazione statutaria in materia di finanza locale) conferisce alle Province di Trento e di Bolzano le relative attribuzioni statali, anche per quanto riguarda le "integrazioni ai fini del risanamento dei bilanci dei comuni". Non a caso, malgrado l'art. 6 della legge n. 43 del 1978, nel Trentino - Alto Adige è stato concluso un nuovo accordo locale, secondo la legge regionale n. 11 del 1975 (cui hanno aderito - a quanto riferisce la memoria della Regione - cento dei centosedici Comuni della Provincia di Bolzano); ed è solo in un momento successivo che è sopravvenuto il decreto approvativo del corrispondente accordo nazionale.

Del resto, se l'art. 6 della legge statale in esame fosse indirizzato anche ai Comuni del Trentino - Alto Adige, ne risulterebbe senz'altro violato l'art. 65 del relativo Statuto, poiché la competenza comunale prevista in tal campo risulterebbe svuotata di ogni contenuto. E la parallela competenza spettante alla Regione sarebbe svuotata a sua volta, se si ritenesse che il predetto decreto abbia abrogato la legge regionale n. 11 del 1975.

All'opposto, in una memoria depositata fuori termine, l'Avvocatura dello Stato assume invece la "perfetta armonia" fra l'art. 6 della legge n. 43 del 1978 e l'art. 1 dell'accordo allegato al d.P.R. n. 191 del 1979: giacché la legge statale di base non farebbe affatto salve le competenze delle Regioni a statuto speciale e comunque intenderebbe realizzare "un trattamento unitario e perequato nel settore per l'intero territorio nazionale". Per ciò stesso, d'altronde, la legge n. 43 del 1978 stabilirebbe i principi di una "generale riforma della finanza locale", attuativa dell'art. 3 Cost., senza dunque violare lo Statuto speciale del Trentino - Alto Adige.

Nella pubblica udienza, entrambe le parti hanno illustrato le rispettive argomentazioni.

Considerato in diritto:

1. - L'Avvocatura dello Stato ha preliminarmente chiesto che il ricorso venga dichiarato inammissibile, in quanto il conflitto di attribuzione sollevato dalla Regione Trentino - Alto Adige concernerebbe un atto statale avente forza di legge.

Tuttavia, anche al caso in esame sono riferibili le considerazioni svolte dalla Corte - nella sentenza n. 21 di questo anno - per escludere che avesse forza di legge l'analogo decreto presidenziale n. 411 del 1976, di approvazione di un accordo riguardante la "disciplina del rapporto di lavoro del personale degli enti pubblici di cui alla legge 20 marzo 1975, n. 70". In primo luogo, cioè, nemmeno il d.P.R. 1 giugno 1979, n. 191, si qualifica affatto come legge delegata. In secondo luogo, dall'art. 6 del decreto - legge 29 dicembre 1977, n. 946 (convertito e modificato dalla legge 27 febbraio 1978, n. 43), ai sensi del quale l'atto impugnato ha provveduto ad emanare la "disciplina del rapporto di lavoro del personale degli enti locali", non si desume l'intenzione di operare alcuna delega di potestà legislativa dal Parlamento al Governo. In terzo luogo, qui pure si prospetta senza limiti di tempo, come già nella legge n. 70 del 1975, una reiterazione triennale degli accordi e delle conseguenti deliberazioni del Consiglio dei ministri; per cui va comunque respinta la pretesa che i decreti presidenziali di approvazione degli accordi stessi costituiscano il frutto di una delegazione, giacché diversamente ne discenderebbe una sicura violazione dell'art. 76 Cost., venendo a difettare - come la Corte ha dichiarato nella predetta sentenza - "la previsione del momento finale del termine per l'esercizio della potestà delegata".

2. - Ciò posto, il ricorso dev'essere accolto.

Lo Statuto speciale per il Trentino - Alto Adige non si limita ad attribuire alla Regione - ex art. 5 n. 1 - potestà legislativa in tema di "ordinamento dei comuni", come pure si riscontra nello Statuto per il Friuli - Venezia Giulia e, più largamente, nello Statuto siciliano; ma stabilisce altresì, mediante il singolarissimo disposto dell'art. 65, che "l'ordinamento del personale dei comuni è regolato dai comuni stessi, salva l'osservanza dei principi generali che potranno essere stabiliti da una legge regionale". Su questa base s'è appunto fondata la legge regionale 11 dicembre 1975, n. 11, contenente "disposizioni generali sullo stato giuridico e sul trattamento economico dei dipendenti dei Comuni e dei segretari comunali della Regione". E i regolamenti comunali hanno quindi recepito, in forza dell'art. 28 cpv. di tale legge, gli accordi stipulati dalle organizzazioni rappresentative dei Comuni appartenenti alle Province di Trento e di Bolzano con le organizzazioni sindacali provinciali del personale interessato, per la determinazione dei relativi trattamenti economici.

Ora, estendendo - nell'art. 1 primo comma - il campo della propria applicazione "a tutto il personale dipendente dai comuni, dalle province e dai loro consorzi sia delle regioni a statuto ordinario che di quelle a statuto speciale", Trentino - Alto Adige incluso, l'accordo approvato per mezzo dell'impugnato decreto presidenziale n. 191 del 1979 concreta indubbiamente un'invasione della sfera di competenza che l'art. 65 dello Statuto speciale assegna alla Regione ricorrente. Nel secondo comma dell'art. 1 si precisa, infatti, che "non è consentito alcun accordo integrativo in sede locale, salvo che ciò sia espressamente previsto dal presente accordo"; e l'art. 34 specifica, in proposito, che "le disposizioni regolamentari vigenti negli enti locali" valgono solo "per quanto non previsto dal presente accordo" e "in quanto compatibili con l'accordo medesimo". Senonché la disciplina stabilita dall'accordo nazionale è così dettagliata da non far residuare ambiti in cui possa svolgersi, con esiti significativi, l'autonomia spettante ai Comuni del Trentino - Alto Adige circa il complessivo ordinamento del loro personale; e non riserva comunque uno spazio - ciò che più conta in un conflitto di attribuzione vertente fra Regione e Stato - alla legislazione regionale cui l'art. 65 dello Statuto speciale affida il compito di fissare i "principi generali" del settore. Il d.P.R. n. 191 del 1979 si pone anzi in diretto contrasto con la legge regionale n. 11 del 1975, anche al di là di quanto riguarda la definizione dei "livelli retributivo - funzionali" e dei correla" tivi trattamenti economici: basti citare ad esempio l'accesso alle singole qualifiche dei vari livelli, che in base all'art. 3 dell'accordo nazionale non può avvenire se non per concorso, laddove l'art. 4 della ricordata legge regionale consente, sia pure in certi casi o a certe condizioni, la "chiamata diretta" nonché il "contratto a tempo determinato".

Se dunque si considera che il d.P.R. n. 191 del 1979, non essendo neanche dotato della forza di legge, non ha di per se stesso nessun titolo per abrogare o per contraddire una fonte legislativa locale in materia statutariamente attribuita alla Regione, ne segue che tale atto va annullato, in quanto, nell'approvare la disciplina del rapporto di lavoro del personale degli enti locali contenuta nel menzionato accordo, non detta alcuna clausola di salvaguardia della competenza regionale in ordine al personale dipendente dai Comuni del Trentino - Alto Adige.

3. - Vanamente si obietta, da parte dell'Avvocatura dello Stato, che la legge 27 febbraio 1978, n. 43, persegue un intento perequativo che non potrebbe non ricevere attuazione su tutto il territorio nazionale; che trattasi, inoltre, di una "grande riforma" della finanza locale, come tale vincolante per tutte le Regioni, ordinarie e differenziate; che la legge stessa detta, in ogni caso, "i principi fondamentali nella materia" dell'ordinamento del personale dei Comuni; e che, pertanto, nell'estendere alle Regioni a statuto speciale il campo della propria applicazione, il d.P.R. n. 191 del 1979 ha semplicemente espresso quanto era già implicito nella norma legislativa che ne ha imposto l'adozione.

Per prima cosa, non è contestabile che la legge n. 43 del 1978 - come già risulta dai lavori preparatori ed è confermato dall'ultimo comma dell'art. 6 - miri a superare le precedenti "disparità di trattamento economico del personale"; ma ciò non basta per considerare immune da vizi l'atto impugnato. In effetti, la giurisprudenza di questa Corte ritiene che alle stesse Regioni differenziate, nell'esercizio della loro particolare autonomia, siano precluse le arbitrarie discriminazioni, lesive dell'art. 3 Cost. Ma il principio di eguaglianza non rappresenta in tal senso null'altro che un limite, non già il presupposto giustificativo d'una quasi totale compressione delle autonomie locali, come quella che si produce nel caso in esame (e non per effetto della legge n. 43 del 1978, bensì per espresso disposto del d.P.R. n. 191 del 1979).

Secondariamente, nella specie non è dato ipotizzare una "grande riforma", in presenza di una legge di conversione d'un decreto - legge intitolato e contenente "provvedimenti urgenti per la finanza locale". Né va trascurato, d'altra parte, che anche in tema di finanza locale il Trentino - Alto Adige si trova in una condizione peculiare, dato il trasferimento delle relative funzioni a favore delle Province di Trento e di Bolzano, che il d.P.R. 28 marzo 1975, n. 473, ha recentemente disposto prendendo spunto dall'art. 81 dello Statuto speciale.

Infine, è vero che la potestà legislativa regionale prevista dall'art. 65 dello Statuto speciale, non essendo dissociabile dalla più ampia potestà conferita nell'art. 5 n. 1 dello Statuto medesimo (quanto all'ordinamento dei Comuni), subisce anche essa il limite dei principi stabiliti in materia dalle leggi dello Stato; e non va escluso a priori che principi siffatti siano ricavabili dalla stessa legge 27 febbraio 1978, n. 43, malgrado essa non abbia la struttura di una legge - cornice. Ma giova ricordare che l'attuale controversia non ha per oggetto la violazione di un principio fondamentale stabilito da una legge dello Stato, ad opera del legislatore locale; bensì riguarda l'invasione della competenza attribuita alla Regione, da parte di un dettagliatissimo accordo recepito mediante un decreto presidenziale, che oltre tutto non può porre principi suscettibili di vincolare la legislazione regionale, essendo carente della forza di legge.

Le considerazioni ora esposte contribuiscono, dunque, a far concludere che il diciassettesimo comma dell'art. 6 del decreto - legge n. 946 del 1977, introdotto dalla legge n. 43 del 1978 (per cui "il trattamento giuridico ed economico del personale dei comuni, delle province e dei loro consorzi viene determinato in conformità ai principi, ai criteri ed ai livelli retributivi, risultanti da accordi nazionali a scadenza triennale"), non è riferibile ad una Regione speciale come il Trentino - Alto Adige, dotata in tal campo di un'autonomia statutariamente garantita e già esercitata da parte regionale. In mancanza di un'apposita clausola applicativa, tale comma va invece interpretato - come si suol ritenere in tutti i casi del genere - nel senso che esso non sia destinato ad attuarsi anche nell'ambito della Regione ricorrente. E se ne ricava una recente specifica conferma dall'art. 41 cpv. del decreto - legge 7 maggio 1980, n. 153 (contenente "Norme per l'attività gestionale e finanziaria degli enti locali per l'anno 1980"): in cui si è ritenuto necessario precisare che le norme stesse "sono applicabili nelle regioni a statuto speciale e nelle province autonome di Trento e di Bolzano compatibilmente con le norme dei rispettivi statuti".

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara che non spetta allo Stato il potere di dettare la disciplina del rapporto di lavoro del personale degli enti locali, senza far salve le attribuzioni spettanti alla Regione Trentino - Alto Adige, in base all'art. 65 dello Statuto speciale; e di conseguenza annulla, nella parte concernente la Regione stessa, l'art. 1, primo comma, dell'accordo approvato con il d.P.R. 1 giugno 1979, n. 191.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 19 giugno 1980.

F.to: LEONETTO AMADEI - GIULIO GIONFRIDA - EDOARDO VOLTERRA - GUIDO ASTUTI - MICHELE ROSSANO - ANTONINO DE STEFANO - LEOPOLDO ELIA - GUGLIELMO ROEHRSSEN - ORONZO REALE - BRUNETTO BUCCIARELLI DUCCI - ALBERTO MALAGUGINI - LIVIO PALADIN - ANTONIO LA PERGOLA - VIRGILIO ANDRIOLI.

GIOVANNI VITALE - Cancelliere