N. 1
SENTENZA 17 GENNAIO 1980
Deposito in cancelleria: 23 gennaio 1980.
Pubblicazione in "Gazz. Uff." n. 29 del 30 gennaio 1980.
Pres. AMADEI - Rel. MALAGUGINI
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori: Avv. LEONETTO AMADEI, Presidente Prof. EDOARDO VOLTERRA - Prof. GUIDO ASTUTI - Dott. MICHELE ROSSANO - Prof. ANTONINO DE STEFANO - Prof. LEOPOLDO ELIA - Prof. GUGLIELMO ROEHRSSEN - Dott. BRUNETTO BUCCIARELLI DUCCI - Avv. ALBERTO MALAGUGINI Prof. LIVIO PALADIN - Dott. ARNALDO MACCARONE - Prof. ANTONIO LA PERGOLA - Prof. VIRGILO ANDRIOLI, Giudici,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 1, comma terzo, della legge 22 maggio 1975 n. 152 (Disposizioni a tutela dell'ordine pubblico) promosso con ordinanza emessa il 23 gennaio 1976 dal Giudice istruttore del Tribunale di Torino, nel procedimento penale a carico di Del Mastro Jolanda, iscritta al n. 384 del registro ordinanze 1976 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 164 del 23 giugno 1976.
Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
uditi nell'udienza pubblica del 7 marzo 1979 il Giudice relatore Alberto Malagugini, e il sostituto avvocato generale dello Stato Giorgio Azzariti, per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto:
Nel procedimento penale a carico di Del Mastro Jolanda, detenuta in forza di mandato di cattura come imputata di diversi reati previsti dall'art. 3 della legge n. 75 del 1958 (Induzione, favoreggiamento e sfruttamento della prostituzione di più persone), il giudice istruttore del Tribunale di Torino, con ordinanza in data 23 gennaio 1976, ha sollevato eccezione d'illegittimità costituzionale dell'art. 1, terzo comma, della legge 22 maggio 1975, n. 152. La norma in questione si porrebbe in contrasto con gli artt. 13, comma secondo, e 27, comma secondo, della Costituzione, poiché, ai fini della concessione della libertà provvisoria, quando consentita, impone al giudice di valutare che non "sussista la probabilità, in relazione alla gravità del reato e alla personalità dell'imputato, che questi, lasciato libero, possa commettere nuovamente reati che pongano in pericolo le esigenze di tutela della collettività".
Specificatamente, chiamato a decidere su un'istanza di libertà provvisoria dell'imputata, il giudice a quo ritiene che la concessione del beneficio sarebbe giustificata in relazione sia alla natura e gravità del fatto sia alla situazione processuale, ma è impedita - in forza appunto dell'art. 1, comma terzo, della legge n. 152/75 - dalla seria previsione che l'imputata, ove rimessa in libertà, commetterebbe altri reati, in particolare del tipo di quelli per cui è attualmente detenuta. Ritiene, peraltro, che la norma citata pone un problema di compatibilità con gli artt. 13, comma secondo, e 27, comma secondo, Cost., avuto riguardo all'orientamento della Corte costituzionale in tema di natura e funzione della carcerazione preventiva (sentenze n. 64 del 1970, n. 147 del 1973, n. 146 del 1975): infatti più volte la Corte ha ribadito che la finalità della pena e quella della custodia preventiva sono radicalmente diverse, e che la seconda "può essere predisposta solo in vista della soddisfazione di esigenze cautelari e strettamente inerenti al processo".
Invece, il disposto del comma terzo dell'art. 1 legge 1975 n. 152, imponendo al giudice di negare la libertà provvisoria se vi sia probabilità di commissione di reati, diversi ed estranei a quelli per cui si procede, da parte dell'imputato posto in libertà, attribuisce necessariamente alla carcerazione preventiva una funzione ad essa non propria, ma propria della pena o, meglio, della misura di sicurezza.
Verrebbe pertanto violato, con l'imporre tale valutazione, il principio di presunzione di non colpevolezza di cui all'articolo 27, comma secondo, Cost., attribuendo alla carcerazione preventiva carattere e funzione di pena o misura di sicurezza, da ritenersi illegittimi secondo principi fissati dalla stessa Corte costituzionale.
Inoltre, anche l'art. 13, comma secondo, Cost. risulterebbe violato poiché l'estrema genericità della dizione del citato art. 1, comma terzo, della legge n. 152 del 1975 ("reati che pongano in pericolo le esigenze di tutela della collettività"), non consentirebbe di emettere sul punto motivazioni controllabili, non comprendendosi quali siano i limiti dei reati che pongano di fatto in pericolo le esigenze di tutela della collettività".
È intervenuta nel processo l'Avvocatura dello Stato, chiedendo la dichiarazione d'infondatezza delle sollevate questioni di legittimità costituzionale. Si afferma che la delimitazione dei fini della custodia preventiva, fatta dal giudice a quo, non è condivisa dalla prevalente e più accreditata dottrina, che vede nell'art. 68 Cost. la affermazione costituzionale che fine della carcerazione preventiva è anche la prevenzione immediata della commissione di ulteriori delitti da parte dell'imputato.
Nello stesso senso, del resto, è la giurisprudenza della Corte costituzionale (sentenze n. 147 del 1973, 17 e 21 del 1974, 146 del 1975 ed 88 del 1976), che ha ritenuto la legittimità di misure detentive obbligatorie, ha ravvisato nella carcerazione preventiva un "presidio di difesa sociale", e con specifico riguardo alle nuove limitazioni alla concessione della libertà provvisoria, introdotte dall'art. 1 della legge n. 152/75, ha sottolineato il riferimento di tali limiti a situazioni di proclività alla recidiva e pericolosità per la vita, l'incolumità e la sicurezza dei cittadini.
Quanto alla questione sollevata in relazione all'art. 13 Cost., osserva l'Avvocatura che è contraddittorio denunciare una ritenuta eccessiva genericità della previsione legislativa per dedurne che essa impedisce, laddove al contrario impone, una adeguata ed effettiva motivazione da parte del giudice.
Considerato in diritto:
1. - Il giudice a quo dubita della legittimità costituzionale dell'art. 1, terzo comma, della legge 22 maggio 1975, n. 152 nella parte in cui impone al giudice "nel concedere la libertà provvisoria nei casi in cui è consentita", di valutare che non "sussista la probabilità, in relazione alla gravità del reato ed alla personalità dell'imputato, che questi, lasciato libero, possa commettere nuovamente reati che pongano in pericolo le esigenze di tutela della collettività".
Il disposto di legge in questione contrasterebbe con due distinti parametri costituzionali.
Da un lato, sarebbe vulnerato il principio di presunzione di non colpevolezza, di cui all'art. 27, secondo comma, Cost. "con il fare assumere alla carcerazione preventiva una funzione a lei non propria, ma propria della pena o meglio della misura di sicurezza".
Dall'altro, risulterebbe violato l'art. 13, secondo comma, Cost., "sotto il profilo che l'estrema genericità della dizione della legge al citato art. 1, terzo comma" "non consente, oggettivamente, di emettere motivazioni sul punto controllabili".
2. - La norma denunciata si inserisce nel complesso di disposizioni, di cui all'art. 1 della legge n. 152 del 1975, intese a nuovamente delimitare la possibilità di concessione della libertà provvisoria, che nel testo originario dell'art. 277 c.p.p. non era ammessa nei casi nei quali è obbligatoria l'emissione del mandato di cattura, mentre successivamente, con legge 15 dicembre 1972 n. 773, era stata consentita nei confronti degli imputati di qualsivoglia reato. Con l'art. 1 della legge 22 maggio 1975 n. 152, è stato ripristinato un sistema di limiti o condizioni per la concessione della libertà provvisoria, più articolato di quello anteriore alla legge n. 773 del 1972. Il primo comma prevede casi di esclusione della libertà provvisoria in relazione al titolo del reato per cui è in atto la custodia preventiva; il secondo comma prende in considerazione, agli stessi fini, particolari situazioni processuali; il terzo comma, della cui legittimità costituzionale si fa questione, indica criteri per la (non) concessione della libertà provvisoria, in situazioni in cui questa non sarebbe in via di principio preclusa. Il riferimento alle "esigenze di tutela della collettività", accanto alle "ragioni processuali", trae il suo modello dalla legge 3 aprile 1974 n. 103, portante "delega legislativa al Governo per la emanazione del nuovo codice di procedura penale", nella quale il criterio direttivo n. 54 (dell'art. 2) relativo alle "misure di coercizione" prevede, fra l'altro, la possibilità di disporre una di tali misure "a carico dell'imputato nei cui confronti ricorrono sufficienti indizi di colpevolezza, quando, per la sua pericolosità e per la gravità del reato sussistono esigenze di tutela della collettività". La Commissione incaricata della redazione del progetto preliminare ritenne di superare pur affacciati dubbi di legittimità costituzionale di una normativa che finalizza la custodia preventiva anche a fini extra processuali, sul rilievo che né l'art. 13 né l'art. 27 Cost. escludono in via assoluta il ricorso a misure cautelari di contenuto coercitivo rispondenti ad una logica di "prevenzione in senso ampio".
3. - La fondamentale censura d'illegittimità costituzionale, mossa dal giudice a quo, concerne la previsione - quale idonea finalità cautelare della custodia preventiva - della tutela della collettività dal pericolo di commissione di certi reati; finalità che, si dice, sarebbe propria della pena e della misura di sicurezza, ed incompatibile con la presunzione di non colpevolezza cui deve ispirarsi il trattamento dell'imputato durante il processo.
Un tale assunto non può essere condiviso e proprio alla stregua delle precedenti sentenze di questa Corte cui il giudice a quo fa esplicito riferimento.
Con la sentenza n. 64 del 1970, la Corte ha, infatti, affermato che la custodia preventiva - istituto esplicitamente previsto dalla Costituzione (artt. 13, ultimo comma; 68, secondo comma e anche 111, secondo comma) ma che va disciplinato in modo da non vanificare la presunzione di non colpevolezza - "può essere predisposta unicamente in vista della soddisfazione di esigenze di carattere cautelare o strettamente inerenti al processo".
Muovendo da questa premessa, con la stessa sentenza, si è ritenuta la legittimità costituzionale delle ipotesi di cattura obbligatoria - e del conseguente divieto (di cui all'art. 277, secondo comma, del codice di procedura penale nel testo all'epoca vigente) di concedere, in quelle ipotesi medesime, la libertà provvisoria, ben potendo la legge "(entro limiti non insindacabili di ragionevolezza) presumere che la persona, accusata di un reato particolarmente grave e colpita da sufficienti indizi di colpevolezza, sia in condizione di porre in pericolo quei beni a tutela dei quali la detenzione preventiva viene disposta". "Esigenze di prevenzione" possono, dunque, legittimare la scelta legislativa della cattura obbligatoria e del correlato divieto di libertà provvisoria, come è reso palese dall'art. 68, secondo comma, Cost. che una tale scelta recepisce - senza peraltro renderla vincolante - e che, comunque, non consente di ritenere che alla custodia preventiva sia costituzionalmente assegnabile la funzione esclusiva di cautela processuale in senso stretto. Ai medesimi criteri si è ispirata la Corte con le sentenze n. 143 del 1973, 17 e 21 del 1974, 146 del 1975 e 88 del 1976.
Ora, il legislatore del 1975, con la norma censurata, ha parzialmente abbandonato la tecnica tradizionale di tipizzazione di casi in cui - nella concessione della libertà provvisoria - è esclusa ogni discrezionalità giudiziale, per dettare, invece, criteri orientativi per l'esercizio del potere discrezionale del giudice.
Rispetto all'esigenza costituzionalmente protetta, di finalizzazione della custodia preventiva a specifiche esigenze cautelari, la norma denunziata appare pertanto aderente agli orientamenti di questa Corte, che nella succitata sentenza n. 64 del 1970, aveva rilevato la "preferibilità di un sistema che demandi sempre al giudice il potere di valutare di volta in volta se il lasciare in libertà l'imputato determini un pericolo di entità tale da giustificarne la cattura e la detenzione".
4. - Vero è che le finalità della custodia preventiva, che non possono in alcun modo risolversi in anticipata espiazione di pena, sono segnate da esigenze di carattere cautelare, rispetto a ragioni di giustizia penale che per la durata del processo penale sarebbero pregiudicate ove non potesse cautelativamente provvedersi anche prima della sentenza definitiva. Sotto questo riguardo, non vi è sostanziale differenza fra esigenze "strettamente inerenti al processo", ed altre che comunque abbiano fondamento nei fatti per cui è processo, posto che anche la tutela di queste ultime abbia rilievo costituzionale, e giustifichi quindi il sacrificio della libertà personale dell'imputato.
Va considerato, a questo proposito, che presupposto generale della custodia preventiva è l'esistenza, in punto di fatto, di "sufficienti indizi di colpevolezza", e che tale valutazione, dietro l'apparente contrasto con la presunzione di non colpevolezza, è al contrario necessaria a ridurre al minimo il rischio che l'anticipato sacrificio della libertà dell'imputato si riveli ingiustificato, vulnerando la presunzione di non colpevolezza nel suo contenuto più sostanziale.
Deriva da ciò che una restrizione della libertà dell'imputato, fondata (anche) su sufficienti indizi - o elementi - di colpevolezza, ben può essere mantenuta, senza incontrare ostacoli costituzionali, in quanto costituisca una misura cautelare necessaria per la salvaguardia di un interesse - la tutela della collettività dalla commissione di gravi reati - d'indubbio rilievo costituzionale ed in accertato collegamento con la condotta e la persona dell'imputato, della cui libertà si faccia questione.
5. - Un'ulteriore censura d'illegittimità costituzionale dell'art. 1, terzo comma, della legge n. 152 del 1975 è sollevata in riferimento all'art. 13, secondo comma, Cost., sotto il profilo della mancata specificazione di quali reati pongano in pericolo le esigenze di tutela della collettività; il che non consentirebbe al giudice di emettere sul punto un provvedimento realmente motivato.
Dietro il riferimento alla motivazione giudiziaria viene in effetti in considerazione una questione più di fondo, attinente alla struttura della fattispecie. La motivazione giudiziaria, richiesta dai principi costituzionali e processuali, è in sé e per sé sempre possibile, indipendentemente dalla natura più o meno vincolata o discrezionale del giudizio che, di volta in volta, si tratti di motivare; a variare saranno requisiti di una motivazione "reale", adeguata alle peculiarità del suo oggetto. Se la questione dedotta ha un senso, essa lo ha, dunque, non con riguardo all'obbligo di motivazione, bensì ai principi costituzionali, ricavabili dallo stesso art. 13, secondo comma, sulla predeterminazione legale dei "casi" in cui è ammessa la restrizione della libertà personale. Predeterminazione che, nell'art. 1, terzo comma, della legge n. 152/75 è dal giudice a quo ritenuta insufficiente, per la genericità del riferimento ai "reati che pongono in pericolo le esigenze di tutela della collettività".
Anche in questi termini la questione non appare fondata.
Il problema che la norma denunciata, non diversamente da altre, pone all'interprete, è quello di determinare il concreto campo di applicazione di una norma formulata non in termini descrittivi, ma come clausola generale, applicabile ai casi concreti tramite il riferimento a valori o parametri dati. Nella specie, il valore o parametro per l'individuazione dei reati, la cui probabile commissione osta alla libertà provvisoria, è dato dalle "esigenze di tutela della collettività". Il concetto è indubbiamente assai generico, tale da potersi riferire, a un livello massimo d'astrazione teorica, a qualsiasi reato; ma ritrova una delimitazione e un senso concreto nel e dal contesto della legge n. 152 del 1975 .
Le "disposizioni a tutela dell'ordine pubblico", introdotte da detta legge, hanno come scopo dichiarato il rafforzamento della tutela della "incolumità e sicurezza dei cittadini" (relazione al disegno di legge n. 3659 presentato alla Camera dei Deputati l'8 aprile 1975). Dietro l'intervento legislativo, sono "recenti gravissimi episodi di criminalità comune e politica", per lo più caratterizzati dall'uso di violenza, dalla riferibilità ad organizzazioni criminose, e in definitiva dall'impatto sulle condizioni di sicurezza della vita civile o politica del paese.
Questi elementi si riscontrano nelle figure delittuose per le quali si è ripristinato il divieto assoluto di concessione della libertà provvisoria (art. 1, primo comma); e segnano per così dire il filo che unifica disposizioni di svariata natura contenute nella stessa legge. Dalla disciplina più rigorosa delle attività fasciste (artt. 7-13) alla estensione delle misure di prevenzione nei confronti dell'eversione politica (art. 18), dalla attenzione verso particolari situazioni pericolose (artt. 4 e 5) al maggior rigore verso determinati atti di violenza (artt. 14 e 26), la maggior parte delle disposizioni si organizza attorno a una tutela dell'ordine pubblico vista sotto il profilo della tutela da comportamenti violenti, lesivi dell'incolumità o libertà o sicurezza individuale o collettiva, o da nuove forme di manifestazione della criminalità comune e politica.
In questo contesto storico e normativo, la clausola generale adottata nel terzo comma dell'art. 1 si riempie di un significato ben definito. La "tutela della collettività", che l'intera legge n. 152/1975 intende assicurare, è posta in pericolo dai reati aventi taluna fra le caratteristiche sopra citate: uso d'armi o di altri mezzi di violenza contro le persone, riferibilità ad organizzazioni criminali comuni o politiche, direzione lesiva verso le condizioni di base della sicurezza collettiva o dell'ordine democratico.
Recuperato in tal modo alla clausola generale, di cui alla norma denunciata, un campo d'applicazione ben determinabile per via di interpretazione sistematica, il dubbio d'illegittimità in relazione all'art. 13 Cost. rimane privo d'oggetto.
6. - Un'incompatibilità con l'art. 27, secondo comma, Cost., adombrata nelle argomentazioni del giudice a quo, è, invece, ravvisabile nel testo dell'art. 1, terzo comma, della legge n. 152 del 1975, là dove usa il termine "nuovamente" a proposito della temuta commissione di reati da parte dell'imputato lasciato libero. Tale locuzione, infatti, farebbe presupporre la già accertata commissione, da parte dell'imputato, di altri precedenti reati; a tutta evidenza, quello o quelli per cui si procede, non essendovi nel comma in questione (a differenza che nel comma secondo dello stesso articolo) alcun riferimento a precedenti penali o giudiziari dell'imputato.
Sotto questo profilo risulta vulnerata la presunzione di non colpevolezza dell'imputato, la quale impedisce - fino alla sentenza definitiva - di considerare l'imputato come sicuramente responsabile dei reati a lui attribuiti.
D'altra parte - una volta eliminato dal testo legislativo l'avverbio "nuovamente" - non per questo potrà considerarsi affievolito il rapporto che quell'avverbio pur impropriamente voleva indicare, fra la natura e gravità delle imputazioni per cui è disposta la custodia preventiva, e la natura dei reati di cui si teme la probabile commissione ad opera dell'imputato lasciato libero. La prognosi di pericolosità, per il chiaro tenore della disposizione in esame, si fonda anche sulla "gravità del reato" addebitato (sulla scorta, s'intende, di "sufficienti indizi di colpevolezza"); e questo basta a far ritenere che le "esigenze di tutela della collettività" per le quali si richiede il mantenimento della custodia preventiva, debbono essere già toccate dalle situazioni che della custodia preventiva costituiscono il fondamento originario.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 1, terzo comma, della legge 22 maggio 1975, n. 152 limitatamente all'avverbio "nuovamente";
dichiara per il resto non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 1, terzo comma, della legge 22 maggio 1975, n. 152 sollevata dal giudice istruttore del Tribunale di Torino con l'ordinanza indicata in epigrafe in riferimento agli artt. 13, secondo comma, e 27, secondo comma, della Costituzione.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 17 gennaio 1980.
F.to: LEONETTO AMADEI - EDOARDO VOLTERRA - GUIDO ASTUTI - MICHELE ROSSANO - ANTONINO DE STEFANO - LEOPOLDO ELIA - GUGLIELMO ROEHRSSEN BRUNETTO BUCCIARELLI DUCCI - ALBERTO MALAGUGINI - LIVIO PALADIN - ARNALDO MACCARONE - ANTONIO LA PERGOLA - VIRGILIO ANDRIOLI
GIOVANNI VITALE - Cancelliere