Reg. ord. n. 203 del 2025 pubbl. su G.U. del 22/10/2025 n. 43
Ordinanza del Tribunale amministrativo regionale per la Campania del 27/06/2025
Tra: M.R. R. C/ Università degli Studi della Campania "Luigi Vanvitelli"
Oggetto:
Università e istituzioni di alta cultura – Professori universitari di ruolo – Sanzioni disciplinari – Sospensione dall’ufficio e dallo stipendio fino a un anno – Sanzione accessoria dell’ineleggibilità alle cariche di rettore di Università o di direttore di Istituzione universitaria per dieci anni – Riconoscimento all’organo titolare del potere disciplinare della possibilità, sulla base di una valutazione di proporzionalità, di non applicare la sanzione o di graduarne la durata in base alla gravità della condotta e dei suoi effetti (nel caso di specie: sanzione della sospensione dall’ufficio e dallo stipendio per un mese) – Omessa previsione – Denunciata applicazione di una sanzione ad effetto automatico e di durata predeterminata significativamente lunga – Contrasto con i principi di proporzionalità e ragionevolezza – Lesione dell’aspirazione professionale allo sviluppo della carriera come espressione della personalità dell’individuo che si esplica nell’esercizio dell’attività lavorativa – Difetto di proporzionalità della sanzione accessoria anche sotto il profilo della tutela del buon andamento dell’attività amministrativa.
Norme impugnate:
regio decreto del 31/08/1933 Num. 1592 Art. 89 Co. 2
Parametri costituzionali:
Costituzione Art. 3 Co.
Costituzione Art. 2 Co.
Costituzione Art. 4 Co.
Costituzione Art. 35 Co.
Testo dell'ordinanza
N. 203 ORDINANZA (Atto di promovimento) 27 giugno 2025
Ordinanza del 27 giugno 2025 del Tribunale amministrativo regionale
per la Campania sul ricorso proposto da M.R. R. contro Universita'
degli studi della Campania «Luigi Vanvitelli» .
Universita' e istituzioni di alta cultura - Professori universitari
di ruolo - Sanzioni disciplinari - Sospensione dall'ufficio e dallo
stipendio fino a un anno - Sanzione accessoria dell'ineleggibilita'
alle cariche di rettore di Universita' o di direttore di
Istituzione universitaria per dieci anni - Riconoscimento
all'organo titolare del potere disciplinare della possibilita',
sulla base di una valutazione di proporzionalita', di non applicare
la sanzione o di graduarne la durata in base alla gravita' della
condotta e dei suoi effetti - Omessa previsione.
- Regio decreto 31 agosto 1933, n. 1592 (Approvazione del testo unico
delle leggi sull'istruzione superiore), art. 89, secondo comma,
secondo periodo.
(GU n. 43 del 22-10-2025)
IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE DELLA CAMPANIA
Sezione seconda
Ha pronunciato la presente sentenza sul ricorso numero di
registro generale 1617 del 2024, integrato da motivi aggiunti,
proposto da ... M. R. R., rappresentata e difesa dagli avvocati
Giovanni Leone e Benedetta Leone, con domicilio digitale come da PEC
da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Giovanni
Leone in Napoli, viale Gramsci, 23;
Contro Universita' degli studi della Campania «Luigi Vanvitelli»
di Napoli, rappresentata e difesa dall'Avvocatura Distrettuale
Napoli, domiciliataria ex lege in Napoli, via Diaz 11;
Per l'annullamento:
Per quanto riguarda il ricorso introduttivo:
1) della delibera del Consiglio di amministrazione
dell'Universita' degli studi della Campania «Luigi Vanvitelli» n. ...
del ..., comunicata con nota del rettore, con la quale e' stata
comminata alla ricorrente la sospensione dalle funzioni e dallo
stipendio per mesi uno con decorrenza ..., la conseguenziale perdita
dell'anzianita' per tutto il periodo della sua durata, nonche' dalla
nomina «per anni solari dieci, alle funzioni di rettore di
universita' o direttore di istituzione universitaria (Direttore di
Dipartimento, Direttore di centro, presidente di scuola e similari)»;
2) degli atti (verbali) del Collegio di disciplina rese
nelle sedute del ............... e, in particolare, del parere reso
con tale ultimo verbale che ha proposto l'irrogazione della sanzione
della sospensione in questione;
3) della nota del Rettore prot. ... in data ... di
«attivazione del Collegio di disciplina»;
4) della nota rettorale prot. ... dell'... di convocazione
del Collegio di disciplina;
5) della nota rettorale prot. ... dell'... di contestazione
degli addebiti alla ricorrente;
6) nonche' di tutti gli atti anteriori, preordinati e
conseguenziali.
Per quanto riguarda i motivi aggiunti presentati da R. M. R. il 4
aprile 2024:
per l'annullamento, previo rilascio di misure cautelari:
1) della delibera del Consiglio di amministrazione
dell'Universita' degli studi della Campania «Luigi Vanvitelli» n. ...
del ..., comunicata con nota del Rettore, con la quale e' stata
comminata alla ricorrente la sospensione dalle funzioni e dallo
stipendio per mesi uno con decorrenza ..., la conseguenziale perdita
dell'anzianita' per tutto il periodo della sua durata, nonche' dalla
nomina «per anni solari dieci, alle funzioni di rettore di
universita' o ... direttore di istituzione universitaria (Direttore
di Dipartimento, Direttore di centro, presidente di scuola e
similari)»;
2) degli atti (verbali) del Collegio di disciplina rese
nelle sedute del ............... ed, in particolare, del parere reso
con tale ultimo verbale che ha proposto l'irrogazione della sanzione
della sospensione in questione;
3) della nota del Rettore prot. ... in data ... di
«attivazione del Collegio di disciplina»;
4) della nota rettorale prot. ... dell'... di convocazione
del Collegio di disciplina;
5) della nota rettorale prot. ... dell'... di contestazione
degli addebiti alla ricorrente;
6) nonche' di tutti gli atti anteriori, preordinati e
conseguenziali.
Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio dell'Universita' degli
studi della Campania Luigi Vanvitelli Napoli;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 22 gennaio 2025 la
dott.ssa Mariagiovanna Amorizzo e uditi per le parti i difensori come
specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
Fatto
La ricorrente e' professoressa ordinaria di medicina interna dal
... presso il Dipartimento di scienze mediche e chirurgiche avanzate
dell'Universita' degli studi della Campania «Luigi Vanvitelli» e dal
... al ... e' stata coordinatrice e direttrice della scuola di
specializzazione in ....
Con il ricorso in trattazione ha impugnato la delibera del
Consiglio di amministrazione n. ... del ... con la quale le e' stata
irrogata la sanzione disciplinare della sospensione dall'ufficio e
dallo stipendio per mesi uno, oltre che l'esonero dalle funzioni
accademiche e la perdita dell'anzianita' per tutto il periodo della
sua durata, a decorrere dal ..., ai sensi degli articoli nn. 87 e 89
del regio decreto n. 1592/1993, dell'art. 36 dello statuto di Ateneo
e dell'art. 10 della legge n. 240/2010.
L'applicazione della suddetta sanzione ha comportato, ai sensi
dell'art. 89, comma secondo, regio decreto n. 1592/1933 anche la
preclusione alla nomina a rettore di universita', o a direttore di
istituzione universitaria per dieci anni.
Il procedimento disciplinare e' stato avviato con nota prot. n.
... dell'... in seguito alla pubblicazione sulla pagina facebook
dell'associazione di specializzandi denominata ..., di un messaggio
diffuso dalla ricorrente sul gruppo WhatsApp degli studenti
specializzandi, con il quale la direttrice sollecitava i membri del
gruppo alla compilazione dei questionari CINECA con le seguenti
parole: «Cari...come sapete il questionario e' "segreto" ... ma non x
me!!! Cortesemente siate benevoli...Grazie a tutti».
Il questionario al quale si riferisce il messaggio e' quello
relativo alla qualita' della formazione specialistica che annualmente
il Consorzio interuniversitario CINECA sottopone agli studenti delle
scuole di specializzazione in forma anonima per la valutazione
dell'offerta formativa e che rileva, tra l'altro, ai fini
dell'assegnazione alle singole scuole di specializzazione del
contingente dei posti disponibili.
Il collegio di disciplina docenti-I fascia, all'esito
dell'audizione della ricorrente e del delegato dal Rettore, ha
ritenuto rilevante sotto il profilo disciplinare la condotta della
prof.ssa R. poiche' integrante la violazione degli articoli 3, 4 e 10
del Codice etico e di comportamento di Ateneo di cui al D.Rs. n.
406/2020 e ha irrogato la sanzione della sospensione dall'ufficio e
dallo stipendio per un mese, che ha comportato, altresi',
l'applicazione della sanzione accessoria (dovuta ex lege) della
sospensione per dieci anni dagli incarichi direttivi.
Ritenendo illegittima la sanzione irrogata, la ricorrente l'ha
impugnata articolando i seguenti motivi:
A) con un primo gruppo di censure la ricorrente ha impugnato
il decreto del Rettore di avvio del procedimento disciplinare (nota
prot. ... dell'...), ritenuto affetto dai seguenti vizi:
1) violazione dell'art. 10, commi 2 e 3, della legge 30
dicembre 2010, n. 240, eccesso di potere per carenza di istruttoria,
ovvero istruttoria apparente, motivazione carente, illegittimita'
derivata.
Il Rettore avrebbe violato la normativa sopra richiamata avendo
omesso di formulare una «motivata proposta» di sanzione al Collegio
di disciplina, essendosi limitato a riportare i fatti e le norme
violate (il Codice etico e il D.I. n. 402/2017), senza esprimersi ne'
in merito alla loro rilevanza disciplinare, ne' sulla misura della
sanzione da irrogare.
Vi sarebbe stata un'inversione procedimentale, poiche' il Rettore
avrebbe prima convocato il Consiglio di disciplina e solo
successivamente inviato l'atto di contestazione dell'illecito
disciplinare alla ricorrente.
2) stessi motivi di cui alla precedente censura, violazione
dell'art. 10, commi 2 e 3, della legge 30 dicembre 2010, n. 240,
eccesso di potere per carenza di istruttoria, ovvero istruttoria
apparente, motivazione carente, illegittimita' derivata.
L'atto di avvio del procedimento conterrebbe un'indicazione
generica delle norme ritenute violate, senza una specifica
correlazione tra la condotta contestata e i doveri trasgrediti.
Sotto altro profilo e' dedotto il vizio di difetto di
istruttoria, poiche' il Rettore si sarebbe limitato a riportare il
«messaggio» tratto dalla pagina facebook dell'associazione di medici
specializzandi, senza tener conto del tono «amichevole» dello stesso
e senza acquisire direttamente presso i partecipanti al gruppo
WhatsApp informazioni circa i dubbi e i sospetti che il messaggio
avrebbe insinuato. Non avrebbe, inoltre, verificato se effettivamente
la ricorrente fosse in grado di conoscere l'identita' dei compilatori
dei singoli questionari, ne' se i medici si fossero effettivamente
convinti della possibilita' per la stessa di violare l'anonimato.
Sarebbe stato violato il principio di cui all'art. 112, comma 5,
lettera b), del T.U. n. 3/57, non risultando che i presidenti del
consiglio di disciplina e del consiglio di amministrazione avessero
raccolto «i voti cominciando dal componente di qualifica meno elevata
od a parita' di qualifica dal componente meno anziano e vota per
ultimo».
B) Con un secondo gruppo di motivi, la ricorrente ha
censurato il decreto del Rettore di contestazione degli addebiti, il
parere del Collegio di disciplina e la delibera del Consiglio di
amministrazione (rispettivamente del ... e del ...) che ha proposto
(il primo) ed elevato (il secondo) la sanzione disciplinare di un
mese di sospensione e di preclusione della nomina, per dieci anni
accademici, alle funzioni di Rettore, direttore di istituzioni
universitarie, e similari.
3) violazione degli articoli 87 e 89 del regio decreto 31
agosto 1993, n. 1592, violazione e falsa applicazione degli articoli
3,4,10 e 29 del Codice etico e di comportamento di Ateneo emanato con
decreto rettorale n. 406 del 10 giugno 2020, nonche' del codice di
comportamento dei dipendenti pubblici approvato dal decreto del
Presidente della Repubblica 16 aprile 2013, n. 62, modificato dal
decreto del Presidente della Repubblica 13 giugno 2023, n. 81,
eccesso di potere per travisamento dei fatti, per motivazione
carente, incongrua, irragionevole e contradditoria, carenza di
istruttoria, violazione dell'art. 112 del testo unico n. 3 del 1957.
Alla ricorrente e' stata irrogata la sanzione della sospensione
dal servizio per un mese per aver posto in essere atti ritenuti
lesivi della «dignita' o l'onore del professore».
Parte ricorrente afferma che non vi sarebbe corrispondenza tra
l'atto di contestazione degli addebiti del Rettore ed il parere del
Collegio di disciplina.
Vi sarebbe un'intrinseca contraddittorieta' nel parere del
Collegio di disciplina laddove, da un lato afferma che il contenuto
del messaggio era «formulato con tono "amichevole" e dall'altro lo
ritiene "interpretabile come tentativo di coartare la liberta' di
espressione degli specializzandi"». La ricorrente afferma che nessuna
minaccia avrebbe potuto essere percepita dagli studenti essendo
notorio che i questionari sono anonimi e gestiti a livello centrale
dal CINECA. Inoltre i questionari CINECA non avrebbero portato alcun
vantaggio personale alla ricorrente, ma solo alla scuola di
specializzazione, alla quale avrebbero potuto essere attribuiti un
numero maggiore di posti.
Non sarebbe neppure possibile affermare che la ricorrente si sia
comportata in modo negligente avendo perfetta conoscenza che i
questionari sono anonimi, mentre l'intento perseguito era solo quello
di sollecitarne la redazione da parte degli studenti, che spesso in
passato si erano sottratti a tale incombenza.
4) Eccesso di potere per mancata valutazione sugli effetti
della sanzione della sospensione - violazione dei principi di
ragionevolezza, gradualita' e proporzionalita' - illegittimita'
derivata.
La sanzione irrogata non rispetterebbe i principi di
ragionevolezza, gradualita' e proporzionalita'. Il Collegio
disciplinare, che pur aveva escluso l'intenzionalita' del
comportamento, rilevando la mancanza di precedenti contestazioni
disciplinari e le costanti valutazioni positive circa l'impegno
didattico, di ricerca e gestionale della ricorrente, non avrebbe
valutato che una sanzione lieve rispetto al massimo della previsione
normativa, avrebbe comportato anche l'applicazione automatica della
sanzione accessoria (ostativa alla eleggibilita' alle cariche
universitarie) di cui al comma 2 dell'art. 89.
Si e' costituita l'Universita' degli studi della Campania «Luigi
Vanvitelli» per chiedere il rigetto del ricorso.
Con ordinanza n. 965/2024 del 9 maggio 2024 la domanda cautelare
e' stata accolta «limitatamente alla previsione del divieto di
eleggibilita', onde consentire alla ricorrente la partecipazione, con
riserva, alle prossime elezioni per la designazione del Direttore
della scuola di specializzazione in geriatria, essendo le relative
votazioni previste per i giorni ...».
Con ricorso per motivi aggiunti depositato in data 4 aprile 2024,
la ricorrente, approfondendo le censure articolate nel quarto motivo
del ricorso introduttivo, ha formulato un ulteriore motivo di
ricorso, censurando la sanzione accessoria del divieto di ricoprire
cariche direttive per dieci anni, in quanto irrogata in applicazione
dell'art. 89, comma 2, del regio decreto 31 agosto 1993, n. 1592,
norma ritenuta incostituzionale, per contrasto con i principi di
ragionevolezza e proporzionalita'.
Osserva parte ricorrente, sulla scorta dei principi affermati
dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 51 del 28 marzo 2024,
che la previsione del divieto di elettorato passivo per un periodo
prestabilito di dieci anni quale sanzione accessoria per qualsiasi
violazione che abbia dato luogo all'irrogazione di ciascuna delle
altre sanzioni previste dall'art. 89 del R.D. si porrebbe in
contrasto con l'art. 3 della Costituzione, non consentendo una
graduazione della sanzione in base alla effettiva gravita' della
condotta tenuta, con conseguente illogicita' del trattamento
sanzionatorio complessivo, che finirebbe per trattare con pari
severita' fattispecie di gravita' anche notevolmente differenti. Ha
chiesto, dunque, sollevarsi questione di legittimita' costituzionale
della suddetta previsione.
All'esito dell'udienza pubblica del 22 gennaio 2025, la causa e'
stata trattenuta in decisione.
Diritto
1. Con il primo motivo, parte ricorrente lamenta l'insufficiente
motivazione della proposta di sanzione formulata dal Rettore, essendo
costui venuto meno al suo dovere, sancito dall'art. 10 della legge n.
240 del 2010, di formulare al Collegio di disciplina «una proposta
motivata» che dovrebbe riguardare sia la rilevanza disciplinare dei
fatti contestati, sia il tipo e la misura della sanzione da irrogare.
Il motivo non e' fondato. L'art. 10 sopra citato definisce le
competenze degli organi che sono coinvolti nel procedimento
disciplinare, attribuendo al Rettore il potere di proposta delle
sanzioni piu' gravi della censura, al Collegio di disciplina, il
compito di svolgere l'istruttoria procedimentale e di esprimere un
parere conclusivo vincolante e, infine al Consiglio di
amministrazione la competenza ad irrogare la sanzione o archiviare il
procedimento.
La norma ai commi 2, 3 e 4 cosi' recita: «2. L'avvio del
procedimento disciplinare spetta al rettore che, per ogni fatto che
possa dar luogo all'irrogazione di una sanzione piu' grave della
censura tra quelle previste dall'art. 87 del testo unico delle leggi
sull'istruzione superiore di cui al regio decreto 31 agosto 1933, n.
1592, entro trenta giorni dal momento della conoscenza dei fatti,
trasmette gli atti al collegio di disciplina, formulando motivata
proposta.
3. Il collegio di disciplina, uditi il rettore ovvero un suo
delegato, nonche' il professore o il ricercatore sottoposto ad azione
disciplinare, eventualmente assistito da un difensore di fiducia,
entro trenta giorni esprime parere sulla proposta avanzata dal
rettore sia in relazione alla rilevanza dei fatti sul piano
disciplinare sia in relazione al tipo di sanzione da irrogare e
trasmette gli atti al consiglio di amministrazione per l'assunzione
delle conseguenti deliberazioni. Il procedimento davanti al collegio
resta disciplinato dalla normativa vigente.
4. Entro trenta giorni dalla ricezione del parere, il consiglio
di amministrazione, senza la rappresentanza degli studenti, infligge
la sanzione ovvero dispone l'archiviazione del procedimento,
conformemente al parere vincolante espresso dal collegio di
disciplina.».
Il Rettore, nella nota del ... prot. n. ... di contestazione
degli addebiti alla ricorrente cosi' si e' espresso: «Risulta a
questo Ateneo, come da nota prot. n. ... del ..., che sui
social-media dell'associazione "..." in data ... sono state segnalate
condotte tenute dalla S.V., docente di I fascia in regime di tempo
pieno presso il Dipartimento di scienze mediche e chirurgiche
avanzate, nella sua qualita' di' direttore della scuola di
specializzazione in ..., in violazione delle disposizioni del Codice
etico e di comportamento di Ateneo di cui al d.r. n. 406/2020,
nonche' delle procedure di cui al decreto interministeriale n. 402
del 2017.
Nello specifico la S.V. in qualita' di responsabile della citata
scuola di specializzazione, con riferimento alla compilazione dei
questionari per il monitoraggio della qualita' della formazione
specialistica, ha trasmesso, a tutti gli specializzandi, mediante
messaggistica istantanea (whatsapp) la seguente comunicazione:
"Cari...come sapete il questionario e' 'segreto'... ..ma non
x me!!! Cortesemente siate 'benevoli'...Grazie a tutti".
Tale condotta comporta la violazione delle disposizioni di
seguito indicate:
Artt. 3, 4, 10 del citato Codice etico di comportamento di
Ateneo di cui al d.r. n. 406/2020 sotto riportati: "Gli obbligati
conformano la propria condotta ai principi di buon andamento e
imparzialita' dell'azione amministrativa e svolgono i propri compiti
nel rispetto della legge, perseguendo l'interesse pubblico, senza
abusare della posizione o dei poteri di cui sono titolari.
Gli obbligati rispettano, altresi', i principi di onesta',
integrita', correttezza, buona fede, imparzialita', proporzionalita',
obiettivita', trasparenza, equita', ragionevolezza, valorizzazione
del merito, professionalita', leale collaborazione, astenendosi in
caso di conflitto di interessi.
Gli obbligati concorrono al perseguimento delle finalita'
istituzionali e degli obiettivi strategici dell'ateneo secondo il
grado di responsabilita' previsto per le funzioni a loro attribuite.
Gli obbligati non usano a fini privati le informazioni di cui
dispongono per ragioni di ufficio, evitano situazioni e comportamenti
che possano ostacolare il corretto adempimento dei compiti o nuocere
agli interessi o all'immagine dell'Ateneo ... omissis ..."(Art. 3).
"Nessun componente dell'Ateneo puo' utilizzare, direttamente o
indirettamente, il proprio ruolo o ufficio al fine di determinare
comportamenti non coerenti con le funzioni istituzionali proprie e
altrui, quali definite da norme e disposizioni di rango legislativo
regolamentare.
E' vietata qualsiasi forma di abuso compiute nei confronti di
persone in condizione di subordinazione o comunque di soggezione
psicologica omissis ... l'Ateneo vieta qualsiasi comportamento che
pregiudichi il regolare e corretto andamento dei rapporti umani e
professionali ... omissis ....
Il personale tutto, insieme agli studenti, cura e rispetta
l'immagine dell'Ateneo.
L'Ateneo vieta qualsiasi comportamento che pregiudichi il
regolare e corretto andamento dei rapporti umani e professionali"
(Art. 4).
"Il rapporto tra docenti e studenti deve ispirarsi a principi di
integrita', fiducia, collaborazione, e correttezza reciproca,
rispetto della persona, pari opportunita' e assenza di ogni
discriminazione, sia diretta che indiretta ... omissis"(Art. 10).
Decreto interministeriale n. 402 del 2017 con riferimento alle
procedure di accreditamento che si basano anche sull'esito dei
questionari somministrati previsti dall'art. 6 "Possesso e
monitoraggio degli standard, dei requisiti e degli indicatori per il
miglioramento continuo della qualita' della formazione specialistica
erogata". Si richiama, infine, l'art. 29 del Codice etico che al
comma 4 dispone "la violazione delle norme contenute nel presente
Codice, applicabili, al personale in regime di diritto pubblico, di
cui all'art. 3, comma 2, del decreto legislativo 30 settembre 2001,
n. 165 (docenti e ricercatori) e le relative sanzioni sono valutate,
caso per caso, dal collegio di disciplina ai sensi dell'art. 10 della
legge 30 dicembre 2010, n. 240, salvo diverse disposizioni".
Si contesta, pertanto, sul piano disciplinare, che il
comportamento risultante da tutto quanto su riportato costituisce
violazione degli articoli 3, 4 e 10 del Codice etico di Ateneo di cui
al d.r. n. 406/2020 nonche' delle disposizioni di cui al D.I. n.
402/2017 e si concretizza in atti, in genere, che comunque ledono la
dignita' o l'onore del professore ai sensi dell'art. 89, comma 1,
lettera d) del testo unico n. 1592 del 31 agosto 1933.
Il Collegio di disciplina di questo Ateneo, nominato con d.r. n.
1241/2021 rettificato con d.r. n. 936/2022, ai sensi dell'art. 10
della legge n. 240/2010 e dell'art. 36 del vigente Statuto di Ateneo
e' competente a svolgere la fase istruttoria dei procedimenti
disciplinari e ad esprimere parere conclusivo in merito procedendo
all'accertamento delle violazioni contestate ed alla determinazione
delle sanzioni previste dall'art. 87 in combinato disposto con l'art.
89 del Regio decreto n. 1592/1933.
Con riferimento al caso di specie la sanzione relativa alla
condotta contestata consiste nella sospensione dall'ufficio e dallo
stipendio fino ad un anno.
In ogni caso il Collegio di disciplina ai fini della
determinazione e quantificazione della sanzione terra' conto dei
criteri di gradualita' e proporzionalita' nonche'
dell'intenzionalita' del comportamento, grado di negligenza e
rilevanza degli obblighi violati nonche' della sussistenza di
circostanze aggravanti e attenuanti.».
In relazione al grado di sviluppo del procedimento, la proposta
del Rettore appare sufficientemente motivata sia riguardo alla
rilevanza disciplinare della condotta contestata, avendo il Rettore
esplicitato le norme che compendiano i doveri di diligenza
professionale ritenuti violati, sia la sanzione applicabile in
astratto in relazione al tipo di condotta.
La circostanza che non abbia proposto anche la misura della
sanzione non costituisce circostanza sufficiente ad inficiare la
legittimita' della sanzione stessa, atteso che, da un lato, l'art.
10, comma 2, legge n. 240/2010 non prevede che il Rettore formuli una
proposta di sanzione che ne definisca anche l'esatta misura,
dall'altro, l'irrogazione delle sanzioni piu' gravi della censura
sono di competenza del Consiglio di amministrazione, che provvede
sulla base del parere vincolante del Collegio di disciplina.
Il Rettore non ha ne' competenze in materia di istruttoria, ne'
sulla valutazione in concreto dei fatti contestati, essendo titolare
di un mero potere di proposta, la cui fondatezza in punto di fatto e
di diritto, e' oggetto della successiva fase istruttoria. Pertanto,
e' nella fase successiva dell'elaborazione del parere e della
conclusione del procedimento, di competenza rispettivamente del
Collegio di disciplina e del Consiglio di amministrazione, che gli
oneri motivazionali in merito alla rilevanza disciplinare della
condotta ed alla sanzione applicabile in concreto si approfondiscono.
Tenuto conto delle modalita' con cui l'universita' ha avuto
notizia dei fatti, risulta anche sufficientemente chiara la
motivazione relativa all'astratta configurabilita' di una lesione
della dignita' e dell'onore del professore, avendo la notizia avuto
risalto sui social media.
Non risulta, inoltre, alcuna inversione procedimentale, atteso
che la convocazione del Collegio di disciplina e' avvenuta nella
medesima data nella quale e' stata effettuata la contestazione degli
addebiti.
Ne discende l'infondatezza di tutte le censure articolate nel
primo motivo.
2. Anche il secondo motivo e' infondato.
2.1. La contestazione che l'universita' ha mosso alla ricorrente
risiede nell'aver inviato agli studenti un messaggio che, nella sua
ambiguita', avrebbe potuto essere interpretato come un tentativo di
coartazione della volonta' degli specializzandi, attraverso la
prospettazione della possibilita' da parte della Direttrice della
scuola di conoscere l'identita' degli autori dei questionari («I
questionari sono anonimi...ma non per me»).
Tale messaggio e' stato ritenuto «inadeguato ed equivoco» e
dunque violativo delle regole di diligenza, declinabili negli
obblighi di correttezza e fiducia nei confronti degli studenti, cui
e' tenuto ogni docente in forza del Codice etico dell'Ateneo.
Tali elementi emergevano in modo chiaro dalla contestazione degli
addebiti inviata alla professoressa, nonostante l'ampiezza del novero
delle disposizioni richiamate, che, tuttavia, a ben guardare
contemplano null'altro che le differenti declinazioni degli obblighi
di diligenza e correttezza nei rapporti con gli studenti ai quali e'
tenuto il personale docente.
Va rimarcato, in proposito, che, per costante giurisprudenza, «I
fatti addebitati devono essere individuati con sufficiente precisione
in modo che vi sia certezza sulle questioni per le quali
l'interessato e' chiamato a difendersi. La mancata precisazione e/o
omessa indicazione di uno o di piu' elementi di fatto determina
un'insuperabile incertezza nell'individuazione del fatto da cui trae
origine la contestazione, tale da pregiudicare il diritto di difesa
dell'incolpato. In particolare, in tema di sanzioni disciplinari, la
contestazione dell'addebito ha lo scopo di consentire al lavoratore
incolpato l'immediata difesa e deve, conseguentemente, rivestire il
carattere della specificita', senza l'osservanza di schemi
prestabiliti e rigidi, purche' siano fornite al lavoratore le
indicazioni 6 necessarie per individuare, nella sua materialita', il
fatto o i fatti addebitati.» (Cons. Stato, Sez. VI, 18 gennaio 2021,
n. 560).
La contestazione, per come formulata, soddisfa i canoni di
specificita' richiesti dalla disciplina in materia, avendo consentito
alla ricorrente di comprendere sia i fatti contestati, che le norme
di diligenza ritenute violate, cosi' da metterla in grado di
approntare un'approfondita difesa nel procedimento disciplinare.
L'atto di contestazione individua anche la sanzione applicabile
in astratto, rimettendo al Collegio di disciplina la determinazione
della sua misura concreta, sulla base di criteri espressamente
richiamati (gradualita', proporzionalita', intenzionalita' del
comportamento, grado di negligenza e rilevanza degli obblighi
violati, sussistenza di circostanze aggravanti e attenuanti).
Il motivo, dunque, sotto tale profilo non e' fondato.
2.2. Neppure fondato e' l'ulteriore profilo di censura relativo
alla presunta carenza di istruttoria.
La contestazione che l'universita' ha mosso alla ricorrente
risiede nell'aver inviato agli studenti un messaggio che mirava a
sollecitare l'espressione di giudizi favorevoli nella compilazione
dei questionari CINECA («siate benevoli»), sui quali si fonda
l'accreditamento della scuola di specializzazione, insinuando il
dubbio che i questionari fossero anonimi («i questionari sono anonimi
... ma non per me»).
Tale messaggio e' stato ritenuto «inadeguato ed equivoco», sia
perche' suscettibile di essere interpretato come un tentativo di
coartare la liberta' di giudizio degli studenti, sia perche' idoneo
ad ingenerare dubbi sulla corretta gestione del sistema di
valutazione delle scuole di specializzazione, che si fonda
sull'anonimato dei questionari CINECA.
Nonostante la riconosciuta non intenzionalita' del comportamento,
e', dunque, l'ambiguita' del testo diffuso tra gli specializzandi a
costituire l'oggetto della contestazione disciplinare, essendosi con
esso integrata la violazione delle regole di correttezza che devono
improntare i rapporti con gli studenti, nonche' l'obbligo di non
tenere comportamenti idonei ad arrecare pregiudizio alla reputazione
dell'Ateneo.
Ai fini dell'irrogazione della sanzione, non era, dunque,
necessario verificare se effettivamente la ricorrente avesse potuto
accedere all'identita' degli specializzandi che hanno redatto i
questionari, o se il messaggio avesse effettivamente indotto gli
studenti a ritenere che i questionari non fossero anonimi, poiche' a
determinare il vulnus alle regole di condotta era la stessa
ambiguita' del testo diffuso. In altre parole, non e', l'effettiva
coazione della volonta' degli studenti ad essere contestata, quanto
l'opportunita' sul piano formale del testo diffuso.
Non risulta, dunque, fondato il vizio di eccesso di potere per
difetto di istruttoria dedotto nel secondo motivo.
2.3. Neppure risulta provato l'ulteriore profilo di censura
contenuto nel secondo motivo, laddove si afferma la violazione
dell'art. 112, comma 5, lettera b), del T.U. n. 3 cit. che prevede
che i voti siano raccolti «cominciando dal componente di qualifica
meno elevata od a parita' di qualifica dal componente meno anziano e
vota per ultimo». L'assenza di verbalizzazione di tale attivita' non
costituisce indice univoco della circostanza che tale regola non sia
stata seguita.
Per costante indirizzo giurisprudenziale, ove non sussista una
specifica previsione di legge che imponga la verbalizzazione
analitica di tutte le operazioni svolte, l'omessa indicazione nel
verbale riassuntivo dell'espletamento di una determinata attivita'
non costituisce prova inconfutabile del suo non espletamento
(Consiglio di Stato sez. III, 13 marzo 2019, n. 1671).
3. E', altresi', infondato il primo profilo di censura contenuto
nel terzo motivo di ricorso, nel quale si lamenta un difetto di
corrispondenza tra la contestazione degli addebiti da parte del
Rettore e l'atto irrogativo di sanzione.
3.1. Come si e' gia' avuto modo di precisare con riferimento al
secondo motivo di ricorso (sovrapponibile in parte a quello in
trattazione) la contestazione evidenziava in modo chiaro i profili di
contrasto della condotta con le norme richiamate, avendo l'Ateneo
ritenuto violati gli obblighi di correttezza, imparzialita' e fiducia
che devono improntare l'operato dei docenti nei rapporti con gli
studenti e con l'Ateneo.
3.2. Infondati sono anche gli altri rilievi contenuti nel terzo
motivo, con i quali la ricorrente tenta di affermare l'assenza di
negligenza nella condotta tenuta - e, dunque, l'insussistenza del
contestato illecito disciplinare - poiche' un tale addebito sarebbe
stato configurabile solo se il messaggio avesse dato luogo ad
un'interpretazione univoca, se i destinatari non fossero stati in
grado di sapere che gli autori delle risposte non erano
riconoscibili, se i destinatari, che ignoravano la disciplina
dell'anonimato dei questionari, si fossero sentiti negativamente
condizionati dal messaggio, tutte circostanze non comprovate.
Si tratta di argomentazioni che non persuadono. Il ruolo che la
ricorrente ricopriva le imponeva, con tutta evidenza, di evitare
comportamenti che potessero essere male interpretati dagli studenti o
da terzi e potessero esporre se stessa e l'istituzione a critiche sia
in relazione alla gestione dei rapporti con gli studenti che delle
procedure di valutazione.
La condotta non diligente e, dunque, violativa delle regole di
correttezza, imparzialita' e fiducia richiamate nell'atto di
contestazione degli addebiti e' da ricondurre al tenore ambiguo del
messaggio, poiche' suscettibile di ingenerare dubbi sulla correttezza
dell'operato dell'Ateneo.
Tanto prescinde dallo stato soggettivo di buona fede della
direttrice, avendo ella, comunque, redatto un messaggio dal testo
oggettivamente suscettibile di fraintendimenti, di cui la stessa, per
il ruolo che ricopriva, non poteva non percepire l'inopportunita'.
Ne deriva l'infondatezza dei profili di censura evidenziati nel
terzo motivo, non potendosi ravvisare alcuna contraddittorieta' tra
l'affermato tono amichevole del messaggio e la sua formulazione
oggettivamente ambigua. Ne' rileva la conoscenza o conoscibilita' da
parte degli specializzandi della natura anonima dei questionari
CINECA. Altro e' considerare il meccanismo di tutela dell'anonimato
previsto in linea astratta dalla normativa che regola un determinato
strumento, altro e' il suo concreto funzionamento ed e' evidente che
l'affermazione da parte della direttrice della scuola della
possibilita' di venire a conoscenza dell'identita' dei redattori dei
singoli questionari ben puo' essere percepita come veritiera da parte
degli studenti, i quali plausibilmente non hanno diretta conoscenza
dell'efficacia degli strumenti di tutela dell'anonimato predisposti
dall'Ateneo. L'ambiguita' del messaggio, come piu' volte gia'
osservato, integra ex se la violazione degli obblighi di correttezza
che incombono al docente senza che possa rilevare un principio di
favor rei nell'interpretazione del senso delle parole utilizzate.
4. Non e' fondato neppure il quarto motivo, nel quale si censura
il difetto di proporzionalita' della sanzione applicata per non avere
il Collegio di disciplina tenuto conto degli effetti complessivi
della stessa e, in particolare, della circostanza che la sanzione
della sospensione dal servizio, anche nella misura minima, irrogata
per l'invio di un messaggio dal tenore ambiguo, avrebbe comportato,
come conseguenza indefettibile, il divieto di assunzione delle
cariche di Rettore e di Direttore di istituzioni universitarie per
dieci anni.
Ritiene il Collegio che la sanzione della sospensione per un mese
dal servizio irrogata alla ricorrente non sia affetta da manifesta
irragionevolezza o difetto di proporzionalita', tenuto conto dei
vincoli normativi previsti per l'irrogazione della piu' tenue
sanzione della censura.
Il regio decreto 31 agosto 1933, n. 1592 recante «Approvazione
del testo unico delle leggi sull'istruzione superiori», agli articoli
da 87 a 89 detta la disciplina delle sanzioni disciplinari irrogabili
nei confronti dei professori universitari di ruolo.
L'art. 87 elenca le differenti tipologie di sanzioni applicabili
secondo un criterio di gradualita' rispetto alle violazioni
accertate: «Ai professori di ruolo possono essere inflitte, secondo
la gravita' delle mancanze, le seguenti punizioni disciplinari:
1) la censura;
2) la sospensione dall'ufficio e dallo stipendio ad un anno;
3) la revocazione;
4) la destituzione senza perdita del diritto a pensione o ad
assegni;
5) la destituzione con perdita del diritto a pensione o ad
assegni.».
L'art. 88 detta la disciplina della sanzione della censura,
prevedendo che «La censura e' una dichiarazione di biasimo per
mancanze ai doveri d'ufficio o per irregolare condotta, che non
costituiscano grave insubordinazione e che non siano tali da ledere
la dignita' e l'onore del professore.».
L'art. 89 detta, invece, la disciplina delle sanzioni di maggiore
gravita', prevedendo: «Le punizioni, di cui ai nn. 2, 3, 4 e 5
dell'art. 87, si applicano secondo i casi e le circostanze, per le
seguenti mancanze:
a) grave insubordinazione;
b) abituale mancanza ai doveri di ufficio;
c) abituale irregolarita' di condotta;
d) atti in genere, che comunque ledano la dignita' o l'onore
del professore.
La punizione di cui al n. 2 importa, oltre la perdita degli
emolumenti, l'esonero dall'insegnamento, dalle funzioni accademiche e
da quelle ad esse connesse, e la perdita ad ogni effetto,
dell'anzianita' per tutto il tempo della sua durata. Il professore
che sia incorso nella punizione medesima non puo' per dieci anni
solari essere nominato rettore di universita' o direttore di
istituzione universitaria.».
Dal combinato disposto degli art. 88 e 89, comma 1, lettera d)
R.D. n. 1592/1933 emerge che la sanzione della censura non puo'
essere irrogata nel caso in cui la condotta sia tale «da ledere la
dignita' e l'onore del professore.». Cio' emerge sia dal tenore
letterale dell'art. 88, che esclude l'applicazione della censura
anche in caso di mancanze ai doveri d'ufficio o irregolare condotta
che «siano tali da ledere la dignita' e l'onore del professore.», sia
dall'art. 89, che prevede l'applicazione delle sanzioni piu' gravi
della censura, tra gli altri casi, ove siano stati posti in essere
«d) atti in genere, che comunque ledano la dignita' o l'onore del
professore». L'utilizzo dell'avverbio «comunque», posto dopo
l'elencazione delle altre tipologie di infrazioni che possono
determinare l'applicazione delle sanzioni di cui all'art. 87, rende
manifesto che, nel caso in cui la condotta contestata sia ritenuta
lesiva della «dignita'» e dell'«onore» del professore, la sanzione
disciplinare non potra' essere inferiore alla sospensione dal
servizio per un mese, indipendentemente dalla gravita'
dell'inadempimento agli obblighi gravanti sul professore.
La condotta contestata alla ricorrente, seppur non intenzionale e
comunque di non rilevante gravita' sul piano della trasgressione agli
obblighi indicati nel Codice etico, e' certamente idonea a ledere «la
dignita' e l'onore del professore», poiche' il suo tenore ambiguo si
prestava ad essere interpretato, - come poi e' effettivamente
avvenuto con conseguente clamore mediatico - come volto ad esercitare
una forma di pressione sugli studenti nella redazione dei questionari
CINECA, peraltro, attraverso la diffusione di una notizia (la
negazione dell'anonimita' dei questionari), idonea a mettere in
dubbio la corretta modalita' di gestione della procedura di
valutazione che deve garantire l'anonimato degli studenti. Il
messaggio, dunque, ha esposto prima la docente e poi l'Ateneo a
critiche che sono state riportate anche dalla stampa. Appare, quindi,
corretta la valutazione operata dall'Ateneo di non applicare la piu'
tenue sanzione della censura, essendo la condotta della ricorrente
idonea ad arrecare una lesione al suo prestigio e a quello
dell'istituzione.
La sanzione della censura, dunque, non poteva essere irrogata,
ostandovi il chiaro disposto dell'art. 88 regio decreto n. 1592/1933.
Ne discende la non palese irragionevolezza (sotto il profilo
della proporzionalita') della sanzione principale prevista e in
concreto applicata (sospensione dal servizio per un mese).
5. Tuttavia, la stessa sanzione, nonostante sia graduabile,
comporta a carico del professore che ne sia destinatario, quale
conseguenza necessaria ed indipendente dalla gravita' e volontarieta'
della condotta sanzionata, il divieto di elettorato passivo per le
cariche universitarie di vertice nella misura fissa di dieci anni, ai
sensi di quanto previsto dall'art. 98, comma secondo («La punizione
di cui al n. 2 importa, oltre la perdita degli emolumenti, l'esonero
dall'insegnamento, dalle funzioni accademiche e da quelle ad esse
connesse, e la perdita ad ogni effetto, dell'anzianita' per tutto il
tempo della sua durata. Il professore che sia incorso nella punizione
medesima non puo' per dieci anni solari essere nominato rettore di
universita' o direttore di istituzione universitaria»).
In adesione alle censure formulate nel ricorso per motivi
aggiunti (con il quale la sanzione accessoria e' fatta oggetto di
censura per difetto di ragionevolezza e proporzionalita' derivata
dall'illegittimita' costituzionale della norma che la prevede) il
Collegio dubita della legittimita' costituzionale della suddetta
disposizione, nella parte in cui, prevedendo il divieto di elettorato
passivo per cariche direttive universitarie in misura fissa per dieci
anni quale conseguenza obbligatoria della sanzione di cui all'art.
87, primo comma, n. 2 regio decreto n. 1592/1933, anche per le
condotte non gravi che siano lesive della dignita' e dell'onore del
professore sembra porsi in contrasto con i principi di necessaria
proporzionalita' del trattamento sanzionatorio rispetto al fatto e
alle sue conseguenze, e di congruita' della sanzione rispetto al fine
perseguito e, dunque, con il principio di ragionevolezza di cui
all'art. 3 della Costituzione, in combinato disposto con gli articoli
2, 4 e 35 della Costituzione.
5.1. Sulla rilevanza della questione di legittimita'
costituzionale.
L'infondatezza dei motivi articolati nel ricorso introduttivo
proposti avverso il provvedimento in epigrafe, con cui e' stata
irrogata la sanzione della sospensione per un mese dal servizio, ai
sensi di quanto previsto dall'art. 87, n. 2, r.d. n. 1592/1933, rende
rilevante la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 89,
comma secondo, regio decreto n. 1592/1933 rispetto all'art. 3 della
Costituzione, che il ricorrente ha chiesto di sollevare con il
ricorso per motivi aggiunti, per dimostrare l'illegittimita' della
sanzione accessoria irrogata per contrasto con i medesimi principi.
Tale sanzione, come si e' detto, consegue ex lege
dall'applicazione della sanzione disciplinare della sospensione dal
servizio, prevista dall'art. 87, comma 1, n. 2, R.D. n. 1592/1933,
senza possibilita' per l'organo titolare del potere sanzionatorio di
valutare la concreta offensivita' della condotta e la graduazione del
trattamento sanzionatorio complessivo.
Con il ricorso per motivi aggiunti la sanzione accessoria
irrogata viene censurata per difetto di proporzionalita' e
ragionevolezza quali vizi derivati dal contrasto della norma che la
prevede con l'art. 3 della Costituzione.
Ove l'art. 89, comma secondo, regio decreto n. 1592/1933 fosse
dichiarato costituzionalmente illegittimo nella parte in cui prevede
come obbligatoria e non graduabile la sanzione accessoria da esso
prevista, ne deriverebbe l'annullamento del provvedimento impugnato
nella parte in cui stabilisce la preclusione per dieci anni della
nomina alle funzioni di rettore di universita' e di direttore di
istituzione universitaria, con conseguente restituzione all'organo
titolare del potere disciplinare della valutazione relativa
all'applicabilita' e/o della durata della sanzione stessa in
relazione alla gravita' del fatto.
5.2. Sulla non manifesta infondatezza della questione di
legittimita' costituzionale.
Il Collegio ritiene la questione non manifestamente infondata per
le ragioni che di seguito di espongono.
5.2.1. Il regio decreto 31 agosto 1933, n. 1592 recante
«Approvazione del testo unico delle leggi sull'istruzione superiori»,
agli articoli da 87 a 89 detta la disciplina delle sanzioni
disciplinari irrogabili nei confronti dei professori universitari di
ruolo.
L'art. 87 elenca le differenti tipologie di sanzioni applicabili,
graduate in ordine crescente di afflittivita': «Ai professori di
ruolo possono essere inflitte, secondo la gravita' delle mancanze, le
seguenti punizioni disciplinari:
1) la censura;
2) la sospensione dall'ufficio e dallo stipendio ad un anno;
3) la revocazione;
4) la destituzione senza perdita del diritto a pensione o ad
assegni;
5) la destituzione con perdita del diritto a pensione o ad
assegni.».
L'art. 88 disciplina la sanzione della censura, prevedendo che
«La censura e' una dichiarazione di biasimo per mancanze ai doveri
d'ufficio o per irregolare condotta, che non costituiscano grave
insubordinazione e che non siano tali da ledere la dignita' e l'onore
del professore.».
L'art. 89 detta, invece, la disciplina delle sanzioni di maggiore
gravita', prevedendo che: «Le punizioni, di cui ai nn. 2, 3, 4 e 5
dell'art. 87, si applicano secondo i casi e le circostanze, per le
seguenti mancanze:
a) grave insubordinazione;
b) abituale mancanza ai doveri di ufficio;
c) abituale irregolarita' di condotta;
d) atti in genere, che comunque ledano la dignita' o l'onore
del professore.
La punizione di cui al n. 2 importa, oltre la perdita degli
emolumenti, l'esonero dall'insegnamento, dalle funzioni accademiche e
da quelle ad esse connesse, e la perdita ad ogni effetto,
dell'anzianita' per tutto il tempo della sua durata. Il professore
che sia incorso nella punizione medesima non puo' per dieci anni
solari essere nominato rettore di universita' o direttore di
istituzione universitaria.».
Come si e' gia' evidenziato, ove con una propria condotta
violativa degli obblighi connessi all'esercizio delle proprie
funzioni, il professore abbia «comunque» arrecato pregiudizio alla
propria dignita' o onore, puo' incorrere - a seconda della gravita'
della condotta e delle sue conseguenze - in una delle sanzioni
previste dall'art. 87, nn. 2, 3, 4 e 5, non potendo, invece,
soggiacere alla sanzione della censura, ostandovi il disposto
dell'art. 88 regio decreto n. 1592/1933.
In ogni caso, ove sia irrogata la sanzione della sospensione dal
servizio fino a un anno, al professore - indipendentemente dalla
gravita' del comportamento tenuto e dalla durata della sospensione
dal servizio prevista - e' preclusa ex lege la nomina alle cariche di
Rettore e direttore di istituzioni universitarie per dieci anni.
Una siffatta sanzione si pone in potenziale conflitto - per le
ragioni che si esporranno in seguito - con i principi di necessaria
proporzionalita' della sanzione e congruita' della stessa rispetto al
fine perseguito che la giurisprudenza costituzionale ha ritenuti
applicabili anche con riguardo alle sanzioni accessorie correlate a
sanzioni disciplinari.
5.2.2. Il Collegio non ignora che la Corte di cassazione, Sezione
lavoro, nella sentenza del 25 maggio 2012, n. 8304, ha dichiarato la
manifesta infondatezza della questione di legittimita' costituzionale
della suddetta norma, affermando che la misura di cui all'art. 87,
secondo comma, secondo periodo regio decreto n. 1592/1933, non sia
assoggettata al principio di necessaria proporzionalita', trattandosi
di sanzione accessoria a carattere prevalentemente «preventivo»,
prevista al fine di evitare la reiterazione della condotta («La
durata della sanzione accessoria e' dunque predeterminata e consegue
alla semplice applicazione della sanzione principale, a prescindere
dalla effettiva durata di questa secondo la specifica determinazione
adottata dall'organismo disciplinare. Il meccanismo non puo' dirsi
atipico, nell'ambito delle sanzioni accessorie temporanee, la' dove
la durata puo' essere fissata in modo particolare dalla legge e, in
mancanza di tale previsione, puo' avere una durata uguale a quella
della sanzione principale inflitta. La diversita' e la modulazione
delle sanzioni accessorie rispondono, infatti, al carattere
essenzialmente preventivo, anziche' meramente retributivo, delle
medesime, la cui funzione e' quella di evitare la possibilita' che la
grave condotta - sanzionata in via principale - possa reiterarsi con
ulteriore pregiudizio per il bene tutelato; e cio' spiega, altresi',
che alla predeterminazione della durata possa accompagnarsi, come
nella specie, la obbligatorieta' della sanzione accessoria, quale
effetto automatico che accede alla sanzione a prescindere da ogni
potere discrezionale in ordine alla necessita', o meno, della
ulteriore inflizione.
3-3-3 - Con queste premesse, si rivela manifestamente infondato
il dubbio di illegittimita' costituzionale avanzato dal ricorrente,
poiche' il criterio della proporzionalita' e' connesso a sanzioni a
carattere retributivo, in cui l'entita' della sanzione non puo' che
dipendere dalla modalita' della condotta e dalla intensita'
dell'elemento soggettivo, mentre le sanzioni a carattere preventivo
sono riferite alla gravita oggettiva della sanzione principale e
conseguono semplicemente alla avvenuta inflizione, ben potendo essere
rimessa al legislatore la scelta di prefissare la durata della
sanzione accessoria, a prescindere dalla entita' della sanzione
concretamente inflitta in via principale, in ragione della distinta
esigenza di prevenire il rischio del ripetersi della condotta
sanzionata.»).
Tuttavia, il Collegio ritiene che la motivazione che ha indotto
la Suprema Corte a dichiarare la manifesta infondatezza della
sanzione non esaurisca le ragioni di contrasto della norma con l'art.
3, in combinato disposto con gli articoli 2,4 e 35 della
Costituzione, anche alla luce della giurisprudenza costituzionale
intervenuta successivamente alla stregua della quale anche le
sanzioni accessorie non aventi natura esclusivamente punitiva sono
assoggettate al vaglio di proporzionalita' e adeguatezza.
5.2.3. In effetti il sindacato di proporzionalita' sulle norme
sanzionatorie e' stato ammesso in prima battuta con riferimento alle
sanzioni penali, riguardo alle quali, la Corte ha affermato che
«l'individualizzazione della pena - che si ottiene con l'indicazione
di una forbice edittale, che consenta al giudice di determinarla in
base alle specificita' della fattispecie concreta - costituisca
"naturale attuazione e sviluppo di principi costituzionali, tanto di
ordine generale (principio d'uguaglianza) quanto attinenti
direttamente alla materia penale" (sentenza n. 50 del 1980). In via
di principio, percio', "previsioni sanzionatorie rigide non appaiono
in linea con il 'volto costituzionale' del sistema penale", potendo
il dubbio di illegittimita' costituzionale essere superato solo "a
condizione che, per la natura dell'illecito sanzionato e per la
misura della sanzione prevista, quest'ultima appaia ragionevolmente
'proporzionata' rispetto all'intera gamma di comportamenti
riconducibili allo specifico tipo di reato" (sentenze n. 222 del 2018
e, nello stesso senso, n. 50 del 1980)».
La Corte ha, tuttavia, esteso i medesimi principi anche alle
sanzioni amministrative, anzitutto a quelle c.d. punitive (ossia
quelle previste quali reazioni alla commissione di un illecito), alle
quali sono state ritenute estensibili talune delle garanzie previste
per gli illeciti penali (cfr. Corte costituzionale n. 223 del 2018,
n. 68 del 2017, n. 276 del 2016, n. 104 del 2014 e n. 196 del 2010).
Successivamente la Corte ha ritenuto assoggettabili al sindacato
di proporzionalita' anche le sanzioni amministrative non aventi
carattere punitivo e alle norme sanzionatorie in generale (cfr. Corte
costituzionale n. 112/2019: «non puo' dubitarsi che il principio di
proporzionalita' della sanzione rispetto alla gravita' dell'illecito
sia applicabile anche alla generalita' delle sanzioni amministrative.
Come anticipato, questa Corte ha gia', in numerose occasioni,
invocato tale principio - anche in relazione a misure delle quali
veniva espressamente negata la natura "punitiva" (come nel caso
deciso dalla sentenza n. 22 del 2018) - a fondamento di dichiarazioni
di illegittimita' costituzionale di automatismi sanzionatori,
ritenuti non conformi al principio in questione proprio perche' esso
postula "l'adeguatezza della sanzione al caso concreto"; adeguatezza
che "non puo' essere raggiunta se non attraverso la concreta
valutazione degli specifici comportamenti messi in atto nella
commissione dell'illecito" (sentenza n. 161 del 2018; nello stesso
senso, ex multis, sentenze n. 268 del 2016 e n. 170 del 2015).
8.2.3. - Il principio di proporzionalita' della sanzione
possiede, peraltro, potenzialita' applicative che eccedono
l'orizzonte degli automatismi legislativi, come dimostra proprio la
giurisprudenza relativa alla materia penale appena rammentata, e i
cui principali approdi sono estensibili anche alla materia delle
sanzioni amministrative, rispetto alla quale - peraltro - il
principio in parola non trae la propria base normativa dal combinato
disposto degli articoli 3 e 27 della Costituzione, bensi' dall'art. 3
della Costituzione in combinato disposto con le norme costituzionali
che tutelano i diritti di volta in volta incisi dalla sanzione.»).
E', dunque, per l'intera materia sanzionatoria che la Corte ha
affermato in linea di principio la contrarieta' delle previsioni
sanzionatorie rigide al principio di proporzionalita' (Corte Cost. n.
40/2023: «le previsioni sanzionatorie rigide, "che colpiscono in
egual modo, e quindi equiparano, fatti in qualche misura differenti,
debb[o]no rispondere al principio di ragionevolezza" (sentenza n. 212
del 2019). Di qui l'esigenza di verificare che la sanzione non sia
manifestamente sproporzionata anche in relazione alle condotte meno
gravi (sentenze n. 95 del 2022, n. 185 del 2021 e n. 112 del 2019)»).
Pertanto, si e' affermato che «Pure "per le sanzioni
amministrative si prospetta, dunque, l'esigenza che non venga
manifestamente meno un rapporto di congruita' tra la sanzione e la
gravita' dell'illecito sanzionato" (sentenza n. 185 del 2021). Cio'
discende, appunto, dal dovere di assicurare l'attuazione del
principio di proporzionalita', il quale, in questo ambito, trae il
proprio fondamento nell'art. 3 della Costituzione in combinato
disposto con le norme costituzionali che tutelano i diritti di volta
in volta incisi dalla sanzione (sentenze n. 112 e n. 88 del 2019).
Laddove il trattamento sanzionatorio previsto dal legislatore "si
riveli manifestamente irragionevole a causa della sua evidente
sproporzione rispetto alla gravita' del fatto", dunque, "un
intervento correttivo del giudice delle leggi e' possibile a
condizione che il trattamento sanzionatorio medesimo possa essere
sostituito sulla base di 'precisi punti di riferimento, gia'
rinvenibili nel sistema legislativo', intesi quali 'soluzioni gia'
esistenti, idonee a eliminare o ridurre la manifesta irragionevolezza
lamentata'" (sentenze n. 222 del 2018, n. 236 del 2016; nello stesso
senso, sentenza n. 40 del 2019)» (ancora cosi' Corte costituzionale
n. 40/2023).
5.2.4. La tematica del sindacato di proporzionalita' e' stata
approfondita, quanto alle sanzioni non punitive, anche in relazione
alle finalita' extra-retributive che esse tipicamente perseguono.
Tali sanzioni, infatti, mirano anche alla tutela di specifici
beni-interessi, suscettibili di essere lesi dalla condotta illecita.
Tale tutela viene perseguita calibrando la risposta punitiva non
soltanto alla gravita' del fatto, ma alla finalita' preventiva avuta
di mira, ad esempio attraverso una misura sanzionatoria
particolarmente elevata, in funzione dissuasiva, ovvero mediante
l'imposizione di sospensioni o divieti di esercizio di diritti o
liberta' volti a scongiurare l'approfondimento della lesione arrecata
all'ordinamento con la condotta illecita.
Orbene, anche tale tipologia di sanzioni, secondo la
giurisprudenza costituzionale piu' recente soggiace ad un sindacato
di proporzionalita', piu' spesso declinato in termini di
congruita'/idoneita' della risposta sanzionatoria rispetto alla
finalita' extraretributiva e di non eccessiva gravosita' della stessa
rispetto all'esercizio di diritti e liberta' costituzionalmente
garantite, talvolta sulla base di uno schema argomentativo che
ricalca la c.d. struttura tri-fasica del giudizio di proporzionalita'
di derivazione tedesca ed eurounitaria.
Con la sentenza n. 170/2015, la Corte ha dichiarato
costituzionalmente illegittima la sanzione dell'obbligatorio
trasferimento ad altra sede del magistrato che sia stato sanzionato
per l'ipotesi di cui all'art. 2, comma 1, lettera a) decreto
legislativo n. 109/2006 (ossia per comportamenti che «a) fatto salvo
quanto previsto dalle lettere b), c), g) e m) ..., violando i doveri
di cui all'art. 1, arrecano ingiusto danno o indebito vantaggio ad
una delle parti»).
La Corte, ha ritenuto anche la suddetta sanzione - alla quale
viene espressamente riconosciuta natura non esclusivamente
retributiva, essendo volta anche a preservare il buon andamento
dell'attivita' giurisdizionale nella sede di servizio - sia
assoggettabile al vaglio di proporzionalita'.
Ha evidenziato, infatti, come, secondo il proprio costante
orientamento, «il "principio di proporzione", fondamento della
razionalita' che domina "il principio di eguaglianza", postuli
l'adeguatezza della sanzione al caso concreto; e come tale
adeguatezza non possa essere raggiunta se non attraverso la concreta
valutazione degli specifici comportamenti messi in atto nella
commissione dell'illecito, valutazione che soltanto il procedimento
disciplinare consente (sentenze n. 447 del 1995, n. 197 del 1993, n.
16 del 1991, n. 40 del 1990 e n. 971 del 1988).» e che, pertanto,
«Ferma, dunque, restando la discrezionalita' del legislatore di
prevedere l'indefettibile adozione di sanzioni accessorie, quando
cio' sia giustificato dalla peculiarita' della situazione fattuale
generatrice dell'illecito, nonche' dalla sussistente correlazione tra
tale situazione e la gravita' della sanzione (sentenza n. 112 del
2014), l'ordinamento e' orientato verso la tendenziale esclusione di
previsioni sanzionatorie rigide, la cui applicazione non sia
conseguenza di un riscontrato confacente rapporto di adeguatezza col
caso concreto, e rispetto alle quali l'indispensabile gradualita'
applicativa non sia oggetto di specifica valutazione nel naturale
contesto del procedimento giurisdizionale (ex plurimis, sentenze n. 7
del 2013, n. 31 del 2012 e n. 363 del 1996) ovvero in quello
disciplinare (ex plurimis, sentenze n. 329 del 2007, n. 212 e n. 195
del 1998, n. 363 del 1996).».
Anche in tale ipotesi la Corte costituzionale, pur riconoscendo
la natura non esclusivamente retributiva della sanzione l'ha ritenuta
contrastante con i principi di proporzionalita' e adeguatezza in
quanto suscettibile di essere applicata obbligatoriamente nonostante
l'assenza di una connotazione di particolare gravita' dei
comportamenti contestati (tenuto conto dell'ampio e variegato
ventaglio di condotte sussumibili entro il paradigma dell'art. 2,
comma 1, lettera a), e in quanto svincolata da un controllo di
congruita' della misura con il fine, ulteriore e diverso rispetto a
quello repressivo dello specifico illecito disciplinare, da essa
perseguito.
La Corte, dunque, ha ritenuto che anche le sanzioni accessorie
non aventi natura esclusivamente retributiva soggiacciano al
principio di proporzionalita', con la precisazione che il vaglio di
legittimita' costituzionale sotto tale profilo dovra' riguardare sia
la gravita' della sanzione, che la sua congruita' rispetto alla
finalita' ulteriore (rispetto a quella retributiva) perseguita.
5.2.5. Tanto premesso, dalla giurisprudenza costituzionale
pronunciatasi nella materia emergono le seguenti coordinate
ermeneutiche.
Si e' affermato che le sanzioni (anche disciplinari) stabilite in
misura fissa si pongono in un rapporto di potenziale conflitto con i
principi di ragionevolezza e proporzionalita' rispetto alla gravita'
dell'illecito.
Pertanto esse sono da ritenersi in contrasto con l'art. 3 della
Costituzione, salvo che la sanzione non risulti non manifestamente
irragionevole rispetto all'intera gamma delle condotte alle quali la
sanzione stessa e' destinata ad applicarsi. (cfr. sentenza n. 51 del
2024, in cui la Corte ha affermato: «Quanto alla proporzionalita'
della sanzione disciplinare, il requisito puo', normalmente, essere
soddisfatto soltanto da una valutazione individualizzata della
gravita' dell'illecito, alla quale la risposta sanzionatoria deve
essere calibrata (su questo corollario del principio di
proporzionalita' rispetto a ogni tipologia di sanzione, sentenza n.
112 del 2019, punto 8.1.4. del Considerato in diritto, nonche' - in
materia penale - sentenza n. 197 del 2023, punti 5.2.1. e 5.5.1. del
Considerato in diritto). Le sanzioni fisse sono, per contro,
tendenzialmente in contrasto con questo principio, a meno che - come
questa Corte ha ritenuto nel caso deciso con la sentenza n. 197 del
2018 (punto 8 del Considerato in diritto) - esse risultino non
manifestamente sproporzionate rispetto all'intera gamma dei
comportamenti riconducibili alla fattispecie astratta dell'illecito
sanzionato (ancora in materia penale, sentenze n. 195 del 2023, punto
6.1. del Considerato in diritto; n. 94 del 2023, punto 13 del
Considerato in diritto; n. 222 del 2018, punto 7.1. del Considerato
in diritto; nonche', in materia di sanzioni amministrative, sentenze
n. 40 del 2023, punto 5.2. del Considerato in diritto; n. 266 del
2022, punto 5.4.3. del Considerato in diritto; n. 185 del 2021, punto
6 del Considerato in diritto).
Al di fuori di questa ipotesi, che presuppone un certo grado di
omogeneita' della fattispecie astratta sotto il profilo della
gravita' delle condotte a essa riconducibili, il corollario
dell'individualizzazione della sanzione esige una gradualita' della
risposta, affinche' essa possa risultare adeguata al concreto
disvalore della condotta.»).
Con riguardo al rispetto del principio di ragionevolezza e di
uguaglianza, nella sentenza n. 197/2018, la Corte ha, inoltre,
affermato che esso risulta rispettato laddove la fattispecie di
illecito meno grave tra quelle che comportano l'applicazione della
sanzione, sia connotata da un grado di disvalore tale da rendere non
manifestamente sproporzionata la comminatoria della sanzione stessa,
nonche' quando possa ritenersi sussistente un certo grado di
omogeneita' tra le fattispecie sanzionate («Essenziale e sufficiente
a garantire il rispetto del principio di eguaglianza e', in tali
ipotesi, che anche la fattispecie di illecito meno grave tra quelle
che comportano l'applicazione della sanzione massima prevista dai
diversi rami dell'ordinamento, isolatamente considerata, sia pur
sempre connotata da un grado di disvalore tale da rendere (sotto il
profilo "intrinseco") non manifestamente sproporzionata la
comminatoria della sanzione massima. A prescindere, dunque, dalla sua
eventuale minore gravita' rispetto alle altre fattispecie accomunate
dalla medesima sanzione massima.
Ove risulti, invece, impredicabile un simile giudizio o perche'
la sanzione risulta manifestamente sproporzionata rispetto alla
gravita' della condotta, o perche' le condotte sussumibili
all'interno della fattispecie sanzionatoria astratta sono eterogenee,
la sanzione e' stata ritenuta contrastante con l'art. 3 della
Costituzione poiche' non consente al giudice disciplinare di graduare
la risposta sanzionatoria in relazione alla concreta gravita' dei
molteplici casi di specie suscettibili di essere ricondotti sotto
l'astratta previsione normativa.»).
Nel caso analogo a quello oggetto del giudizio a quo (Corte cost.
sentenza 23 giugno 2015, n. 170), nel quale la Corte si e' occupata
della legittimita' costituzionale di una sanzione accessoria
(l'obbligatorio trasferimento ad altra sede del magistrato che sia
stato sanzionato per l'ipotesi di cui all'art. 2, comma 1, lett. a)
decreto legislativo n. 109/2006 (ossia l'aver tenuto comportamenti
che «violando i doveri di imparzialita', correttezza, diligenza
laboriosita' ed equilibrio e di rispetto per la dignita' della
persona, arrechi ingiusto danno o indebito vantaggio ad una delle
parti»), la questione e' stata dichiarata fondata, proprio perche' la
sanzione del trasferimento d'ufficio ad altra sede era prevista come
obbligatoria anche in caso di condotte non connotate da particolare
gravita' e in assenza di ogni valutazione di congruita' della misura
rispetto al perseguimento della funzione ulteriore (rispetto a quella
retributivo-disciplinare) da essa perseguito («evitare che, data la
condotta tenuta dal magistrato, la sua permanenza nella stessa sede o
ufficio appaia in contrasto con il buon andamento
dell'amministrazione della giustizia.»).
La Corte, inoltre, in talune ipotesi ha fatto applicazione del
c.d. test di proporzionalita' di elaborazione tedesca ed eurounitaria
per operare la propria valutazione. La giurisprudenza costituzionale
ha chiarito che «in presenza di una questione concernente il
bilanciamento tra due diritti, il giudizio di ragionevolezza sulle
scelte legislative si avvale del test di proporzionalita', che
richiede di valutare se la norma oggetto di scrutinio, con la misura
e le modalita' di applicazione stabilite, sia necessaria e idonea al
conseguimento di obiettivi legittimamente perseguiti, in quanto, tra
piu' misure appropriate, prescriva quella meno restrittiva dei
diritti a confronto e stabilisca oneri non sproporzionati rispetto al
perseguimento di detti obiettivi (ex plurimis, sentenze n. 260 del
2021, n. 20 del 2019 e n. 137 del 2018).» (cosi' Corte cost. n.
88/2023).
5.2.6. Compendiando i parametri ermeneutici sopra richiamati,
dunque, il Collegio ritiene che la sanzione accessoria «automatica» e
«fissa» possa superare il vaglio di costituzionalita' sotto il
profilo del rispetto del principio di necessaria proporzionalita' se
risultino soddisfatte le due seguenti condizioni:
se tutte le condotte alle quali la misura e' applicabile
siano connotate da un grado di disvalore minimo tale che la sanzione
non possa ritenersi manifestamente sproporzionata per ciascuna di
esse (il che implica che, ove le condotte siano graduabili in termini
di gravita', la sanzione deve apparire non manifestamente
sproporzionata in relazione alla condotta meno grave tra quelle alle
quali si applica);
se avuto riguardo a ciascuna delle condotte alle quali e'
applicabile, la misura risulti congrua rispetto al perseguimento del
fine ulteriore (e diverso da quello retributivo) da essa avuto di
mira;
se la restrizione apportata con l'applicazione della sanzione
ai diritti e alle liberta' protette dalla Costituzione risulti idonea
al perseguimento del fine avuto di mira, necessaria a tale scopo e
non eccessivamente restrittiva del diritto o della liberta'
compressa.
Nel caso della sanzione prevista dall'art. 89, secondo comma,
secondo periodo R.D. n. 1592/1933, nessuna delle suddette condizioni
appare soddisfatta e, pertanto, si configura un contrasto di tale
previsione con l'art. 3 in combinato disposto con gli artt. 2, 4 e 35
della Costituzione, essendo il divieto di assumere cariche di vertice
per dieci anni sproporzionato ed eccessivamente limitativo delle
prospettive di sviluppo professionale del professore quantomeno con
riguardo alle condotte di non rilevante gravita' «comune lesive del
prestigio e dell'onore del professore».
5.2.7 Quanto al primo profilo, il Collegio osserva che le
condotte soggette alla sanzione della sospensione fino a un anno
prevista dall'art. 87, primo comma, n. 2 regio decreto n. 1592/1933
sono di varia gravita' e natura e dunque tra loro non omogenee.
Le fattispecie di illecito alle quali essa e' applicabile non
sono predeterminate.
Fatto salvo quanto previsto per la censura dall'art. 88, il
legislatore ha rimesso alla discrezionalita' dell'Ateneo di
individuare, in base al principio di proporzionalita', le singole
condotte assoggettabili a ciascuna tipologia di sanzione, essendosi
limitato a definire le tipologie di sanzioni applicabili ai
professori, graduate in base al loro grado di afflittivita'.
Poiche' la sanzione della sospensione dal servizio fino a un anno
e' la meno grave tra le sanzioni diverse dalla censura, da una
lettura sinottica degli articoli 87, 88 e 89 R.D. n. 1592/1922, puo'
affermarsi che le condotte punibili con la sospensione sono quelle
meno gravi rientranti nelle categorie elencate all'art. 89 («a) grave
insubordinazione; b) abituale mancanza ai doveri di ufficio; c)
abituale irregolarita' di condotta; d) atti in genere, che comunque
ledano la dignita' o l'onore del professore.») per le quali non sia
applicabile la censura. Ai sensi dell'art. 88 regio decreto n.
1592/1933, la censura e' applicabile in caso di mere «mancanze ai
doveri d'ufficio o per irregolare condotta, che non costituiscano
grave insubordinazione e che non siano tali da ledere la dignita' e
l'onore del professore.».
La sanzione di cui all'art. 87, primo comma, n. 2, quindi, e'
applicabile ad un ampio ventaglio di fattispecie di illecito: da
mancanze gravi o abituali agli obblighi d'ufficio ad atti che, pur
non integrando una grave o abituale violazione dei suddetti obblighi,
siano idonei «comunque» a ledere la dignita' e l'onore del
professore.
Con specifico riguardo a tale ultima ipotesi, il novero delle
fattispecie rilevanti puo' essere molto ampio e variegato. La
fattispecie di illecito costituita dagli «atti comunque idonei a
ledere la dignita' e l'onore del professore» utilizzando una
categoria penalistica, puo' descriversi come «causalmente orientata»
ed e' suscettibile di comprendere al suo interno (attraverso
l'avverbio «comunque») anche condotte non intenzionali, o che, per le
circostanze del caso concreto (ad esempio, perche' contenuta in un
contesto circoscritto), possono ritenersi di lieve entita'.
In un siffatto contesto, la previsione di una sanzione ad effetto
automatico e di una durata predeterminata significativamente lunga,
appare manifestamente sproporzionata, poiche', anche a fronte di
condotte non connotate da particolare gravita', o con effetti lesivi
non rilevanti, preclude un significativo sviluppo della carriera del
professore per un notevole lasso di tempo senza che sia possibile,
per l'organo titolare del potere disciplinare, valutare la
proporzionalita' del divieto, ovvero graduarlo nel tempo in base alla
gravita' della condotta, e alla lesione concretamente arrecata al
bene interesse che la sanzione stessa intende tutelare.
Emblematico e' il caso di specie, in cui la ricorrente ha subito
la sanzione disciplinare della sospensione dal servizio (poiche' la
condotta e' stata ritenuta lesiva della dignita' e dell'onore del
professore) ma nella misura minima di un mese, proprio in
considerazione dell'entita' del fatto e della sua non
intenzionalita', ma soggiace ex lege al divieto per dieci anni di
assumere cariche di vertice, retrocedendo dal suo attuale status.
Non sembra potersi revocare in dubbio che il divieto di nomina a
cariche direttive per dieci anni, pur rispondendo anche ad una logica
extra-disciplinare costituisca una misura particolarmente afflittiva,
specie nel caso in cui, in ragione dell'eta' anagrafica raggiunta al
momento dell'irrogazione della sanzione, il professore abbia davanti
a se' un periodo di servizio pari o inferiore a dieci anni, poiche'
in tal caso gli sarebbe definitivamente preclusa ogni prospettiva di
aspirare a cariche di vertice. L'applicazione della sanzione,
inoltre, puo' determinare finanche un arretramento nello sviluppo
della carriera, per quei professori che, ricoprendo al momento
dell'irrogazione della sanzione, una delle cariche direttive oggetto
di divieto, vedano necessariamente retrocedere il proprio status.
Da cio' emerge, pertanto, in violazione dell'art. 3 della
Costituzione, l'ingiustificata compressione dell'aspirazione del
professore allo sviluppo della propria carriera la quale, pur non
formando oggetto di un diritto immediatamente riconosciuto dalla
Costituzione, e' da essa tutelato in quanto espressione della
personalita' dell'individuo che si esplica nell'esercizio
dell'attivita' lavorativa, nell'ambito della quale, alla stregua
dell'art. 35 della Costituzione, la Repubblica cura «l'elevazione
professionale». La norma, dunque, risulta in contrasto con l'art. 3,
in combinato disposto con gli articoli 2, 4 e 35 della Costituzione.
5.2.8. La sanzione di cui all'art. 89, comma secondo, regio
decreto n. 1592/1933, inoltre, neppure appare proporzionata (con
riguardo alle condotte di non particolare gravita' che abbiano
«comunque» arrecato una lesione alla dignita' e all'onore del
professore) rispetto al «fine ulteriore» (rispetto a quello punitivo)
che ad essa e' correlato e che puo' essere identificato nella tutela
del buon andamento dell'attivita' amministrativa, suscettibile di
essere leso nel caso in cui cariche di vertice siano ricoperte da
soggetti che si siano resi inadempienti agli obblighi derivanti dalla
funzione svolta, nonche' del prestigio dell'Ateneo, suscettibile di
subire pregiudizio nel caso in cui l'Istituzione sia rappresentata ai
propri vertici da professori destinatari di sanzioni disciplinari o
che con i loro comportamenti abbiano arrecato nocumento alla propria
reputazione (la «dignita'» e l'«onore» del professore).
Il legislatore ha ritenuto che le condotte violative in forma non
lieve degli obblighi concernenti l'esercizio delle funzioni ovvero
«comunque» lesive della dignita' e dell'onore del professore possano
perdere la propria attitudine pregiudicante decorsi dieci anni
dall'irrogazione della sanzione a prescindere dalla gravita' della
condotta sanzionata.
Ha, dunque, riconosciuto al trascorrere del tempo una capacita'
«ripristinatoria» dell'«affidabilita' professionale» e del prestigio
del docente e dell'Ateneo stesso.
Non ha, tuttavia, considerato il dato di comune esperienza
secondo cui anche il lasso di tempo necessario alla reintegrazione
«dell'affidabilita' professionale» e del «buon nome» del professore
(e di riflesso dell'Ateneo), a sua volta, puo' variare in base alla
minore o maggiore gravita' della condotta, nonche' del vulnus
arrecato al bene giuridico tutelato.
Un fatto non grave o che abbia suscitato un clamore mediatico
limitato quanto a intensita' e contesto sara' suscettibile di essere
piu' rapidamente reintegrato per mezzo di condotte di segno opposto a
quelle censurate e «dimenticato» in un tempo certamente inferiore
rispetto a quello necessario a far cessare il clamore per un fatto
grave che abbia assunto rilievo nazionale.
Il legislatore, invece, ha previsto il divieto di elettorato
passivo in misura fissa per dieci anni quale conseguenza necessaria
dell'irrogazione della sanzione della sospensione del servizio fino a
un anno di cui all'art. 87, primo comma, n. 2 R.D. n. 1592/1933,
anche per condotte non connotate da rilevante gravita' e non
suscettibili di arrecare un rilevante pregiudizio della reputazione
del professore o dell'Ateneo (sono sufficienti atti che «comunque»
ledano il prestigio e l'onore del professore) senza consentire
all'organo titolare del potere disciplinare una valutazione
improntata al principio di proporzionalita'.
Com'e' noto il c.d. test di proporzionalita' impone una triplice
valutazione: «l'idoneita'» della sanzione rispetto al fine da
perseguire, la «necessita'» della restrizione per il perseguimento
del fine stesso (da intendersi come verifica che la sanzione irrogata
costituisca il rimedio meno restrittivo tra quelli idonei a
perseguire la finalita') e la proporzionalita' in senso stretto, ossi
la non manifesta sproporzione del mezzo rispetto al fine.
La sanzione accessoria in questione, essendo obbligatoria e in
misura fissa, non consente all'organo titolare del potere
disciplinare di valutare in relazione alla gravita' della condotta,
in special modo la «necessita'» della misura per il ripristino del
«prestigio» dell'Istituzione, ne' la stretta proporzionalita',
imponendo un divieto di dieci anni di assumere cariche di vertice
anche per condotte che, pur presentando un'idoneita' lesiva del
prestigio del professore, non necessiterebbero di un tempo cosi'
lungo per consentirne il ripristino.
5.2.9. Ne' puo' ritenersi che la graduazione della sanzione
accessoria possa essere effettuata nell'ambito delle valutazioni che
presiedono all'applicazione della sanzione principale (sospensione
dal servizio fino ad un anno di cui all'art. 87, primo comma, n. 2
regio decreto n. 1592/1933). Come si e' gia' avuto modo di osservare,
la sanzione disciplinare «principale» meno grave tra quelle
applicabili ai professori universitari e' costituita dalla censura,
che, tuttavia puo' essere irrogata solo se le condotte contestate
«non costituiscano grave insubordinazione» e «non siano tali da
ledere la dignita' e l'onore del professore». Qualora la condotta,
dunque, non sia grave, ma sia «comunque lesiva della dignita' e
dell'onore del professore» nessuna sanzione meno grave della
sospensione dal servizio e' irrogabile, con la conseguente necessaria
applicazione dell'ulteriore misura di divieto di conseguire incarichi
di vertice per dieci anni.
6. In conclusione, sulla scorta delle coordinate ermeneutiche
rinvenibili dalla giurisprudenza costituzionale sopra citata, appare
non manifestamente infondata la questione di legittimita'
costituzionale dell'art. 89, secondo comma, secondo periodo regio
decreto n. 1592/1933 per contrasto con i principi di proporzionalita'
e ragionevolezza di cui all'art. 3 della Costituzione, nella parte in
cui fa discendere quale conseguenza necessaria dell'applicazione
della sanzione di cui all'art. 87, primo comma, n. 2 regio decreto n.
1592/1933, ove essa venga irrogata in relazione a condotte che
abbiano compromesso l'onore e la dignita' del professore,
l'ineleggibilita' alle cariche di Rettore dell'universita' o di
direttore di istituzione universitaria per il periodo di dieci anni
senza attribuire all'organo titolare del potere disciplinare alcun
potere discrezionale che possa consentire, sulla base di una
valutazione di proporzionalita', di non applicare la sanzione, o di
graduarne la durata in base alla gravita' della condotta e dei suoi
effetti.
7. In conclusione:
i motivi da uno a quattro articolati nel ricorso introduttivo
vanno dichiarati infondati;
per lo scrutinio del ricorso per motivi aggiunti il processo
va sospeso ai sensi e per gli effetti degli articoli 79 e 80 c.p.a. e
295 del codice di procedura civile, rimettendo alla Corte
costituzionale la questione di costituzionalita' dell'art. 89,
secondo comma, secondo periodo regio decreto n. 1592/1933, in
riferimento all'art. 3, in combinato disposto con gli articoli 2, 4 e
35 della Costituzione.
45. Ogni ulteriore statuizione e' riservata alla decisione
definitiva.
P.Q.M.
Il Tribunale amministrativo regionale della Campania (Sezione
seconda), non definitivamente pronunciando sul ricorso e sui motivi
aggiunti, come in epigrafe proposti:
respinge il ricorso introduttivo quanto ai motivi da 1 a 4
del ricorso introduttivo;
per la disamina delle censure contenute nel ricorso per
motivi aggiunti, visto l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87,
dichiara rilevante e non manifestamente infondata, ai sensi dell'art.
23 della legge 11 marzo 1953, n. 87, la questione di legittimita'
costituzionale dell'art. 89, secondo comma, secondo periodo R.D. n.
1592/1933 per violazione dell'art. 3, in combinato disposto con gli
articoli 2, 4 e 35 della Costituzione nei sensi di cui in
motivazione;
sospende il presente giudizio ai sensi dell'art. 79, comma 1
c.p.a.;
dispone, a cura della segreteria, l'immediata trasmissione
degli atti alla Corte costituzionale;
rinvia ogni ulteriore statuizione in rito, nel merito e sulle
spese di lite, all'esito del giudizio incidentale di
costituzionalita'.
Ordina che la presente ordinanza sia notificata, a cura della
segreteria, a tutte le parti in causa, e che sia comunicata al
Presidente del Senato della Repubblica, al Presidente della Camera
dei deputati e al Presidente del Consiglio dei ministri.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorita'
amministrativa.
Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'art. 52, commi 1
e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 (e degli articoli
5 e 6 del regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del
Consiglio del 27 aprile 2016), a tutela dei diritti o della dignita'
della parte interessata, manda alla segreteria di procedere
all'oscuramento delle generalita' della parte ricorrente e di ogni
dato atto a identificarla.
Cosi' deciso in Napoli nelle camere di consiglio dei giorni 22
gennaio 2025, 30 aprile 2025, con l'intervento dei magistrati:
Anna Pappalardo, Presidente;
Maria Barbara Cavallo, consigliere;
Mariagiovanna Amorizzo, Primo referendario, estensore;
Il Presidente: Pappalardo
L'estensore: Amorizzo