Reg. ord. n. 203 del 2025 pubbl. su G.U. del 22/10/2025 n. 43

Ordinanza del Tribunale amministrativo regionale per la Campania  del 27/06/2025

Tra: M.R. R.  C/ Università degli Studi della Campania "Luigi Vanvitelli"



Oggetto:

Università e istituzioni di alta cultura – Professori universitari di ruolo – Sanzioni disciplinari – Sospensione dall’ufficio e dallo stipendio fino a un anno – Sanzione accessoria dell’ineleggibilità alle cariche di rettore di Università o di direttore di Istituzione universitaria per dieci anni – Riconoscimento all’organo titolare del potere disciplinare della possibilità, sulla base di una valutazione di proporzionalità, di non applicare la sanzione o di graduarne la durata in base alla gravità della condotta e dei suoi effetti (nel caso di specie: sanzione della sospensione dall’ufficio e dallo stipendio per un mese) – Omessa previsione – Denunciata applicazione di una sanzione ad effetto automatico e di durata predeterminata significativamente lunga – Contrasto con i principi di proporzionalità e ragionevolezza – Lesione dell’aspirazione professionale allo sviluppo della carriera come espressione della personalità dell’individuo che si esplica nell’esercizio dell’attività lavorativa – Difetto di proporzionalità della sanzione accessoria anche sotto il profilo della tutela del buon andamento dell’attività amministrativa.

Norme impugnate:

regio decreto  del 31/08/1933  Num. 1592  Art. 89  Co. 2



Parametri costituzionali:

Costituzione  Art.  Co.  

Costituzione  Art.  Co.  

Costituzione  Art.  Co.  

Costituzione  Art. 35   Co.  




Testo dell'ordinanza

                        N. 203 ORDINANZA (Atto di promovimento) 27 giugno 2025

Ordinanza del 27 giugno 2025 del Tribunale  amministrativo  regionale
per la Campania sul ricorso proposto da M.R.  R.  contro  Universita'
degli studi della Campania «Luigi Vanvitelli» . 
 
Universita' e istituzioni di alta cultura -  Professori  universitari
  di ruolo - Sanzioni disciplinari - Sospensione dall'ufficio e dallo
  stipendio fino a un anno - Sanzione accessoria dell'ineleggibilita'
  alle  cariche  di  rettore  di  Universita'  o  di   direttore   di
  Istituzione  universitaria  per   dieci   anni   -   Riconoscimento
  all'organo titolare del  potere  disciplinare  della  possibilita',
  sulla base di una valutazione di proporzionalita', di non applicare
  la sanzione o di graduarne la durata in base  alla  gravita'  della
  condotta e dei suoi effetti - Omessa previsione. 
- Regio decreto 31 agosto 1933, n. 1592 (Approvazione del testo unico
  delle leggi sull'istruzione superiore),  art.  89,  secondo  comma,
  secondo periodo. 


(GU n. 43 del 22-10-2025)

 
        IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE DELLA CAMPANIA 
                           Sezione seconda 
 
    Ha  pronunciato  la  presente  sentenza  sul  ricorso  numero  di
registro generale  1617  del  2024,  integrato  da  motivi  aggiunti,
proposto da ... M. R.  R.,  rappresentata  e  difesa  dagli  avvocati
Giovanni Leone e Benedetta Leone, con domicilio digitale come da  PEC
da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Giovanni
Leone in Napoli, viale Gramsci, 23; 
    Contro Universita' degli studi della Campania «Luigi  Vanvitelli»
di  Napoli,  rappresentata  e  difesa  dall'Avvocatura   Distrettuale
Napoli, domiciliataria ex lege in Napoli, via Diaz 11; 
    Per l'annullamento: 
        Per quanto riguarda il ricorso introduttivo: 
          1)  della  delibera  del   Consiglio   di   amministrazione
dell'Universita' degli studi della Campania «Luigi Vanvitelli» n. ...
del ..., comunicata con nota del  rettore,  con  la  quale  e'  stata
comminata alla ricorrente  la  sospensione  dalle  funzioni  e  dallo
stipendio per mesi uno con decorrenza ..., la conseguenziale  perdita
dell'anzianita' per tutto il periodo della sua durata, nonche'  dalla
nomina  «per  anni  solari  dieci,  alle  funzioni  di   rettore   di
universita' o direttore di istituzione  universitaria  (Direttore  di
Dipartimento, Direttore di centro, presidente di scuola e similari)»; 
          2) degli atti (verbali) del  Collegio  di  disciplina  rese
nelle sedute del ............... e, in particolare, del  parere  reso
con tale ultimo verbale che ha proposto l'irrogazione della  sanzione
della sospensione in questione; 
          3) della  nota  del  Rettore  prot.  ...  in  data  ...  di
«attivazione del Collegio di disciplina»; 
          4) della nota rettorale prot. ... dell'... di  convocazione
del Collegio di disciplina; 
          5) della nota rettorale prot. ... dell'... di contestazione
degli addebiti alla ricorrente; 
          6) nonche' di  tutti  gli  atti  anteriori,  preordinati  e
conseguenziali. 
    Per quanto riguarda i motivi aggiunti presentati da R. M. R. il 4
aprile 2024: 
        per l'annullamento, previo rilascio di misure cautelari: 
          1)  della  delibera  del   Consiglio   di   amministrazione
dell'Universita' degli studi della Campania «Luigi Vanvitelli» n. ...
del ..., comunicata con nota del  Rettore,  con  la  quale  e'  stata
comminata alla ricorrente  la  sospensione  dalle  funzioni  e  dallo
stipendio per mesi uno con decorrenza ..., la conseguenziale  perdita
dell'anzianita' per tutto il periodo della sua durata, nonche'  dalla
nomina  «per  anni  solari  dieci,  alle  funzioni  di   rettore   di
universita' o ... direttore di istituzione  universitaria  (Direttore
di  Dipartimento,  Direttore  di  centro,  presidente  di  scuola   e
similari)»; 
          2) degli atti (verbali) del  Collegio  di  disciplina  rese
nelle sedute del ............... ed, in particolare, del parere  reso
con tale ultimo verbale che ha proposto l'irrogazione della  sanzione
della sospensione in questione; 
          3) della  nota  del  Rettore  prot.  ...  in  data  ...  di
«attivazione del Collegio di disciplina»; 
          4) della nota rettorale prot. ... dell'... di  convocazione
del Collegio di disciplina; 
          5) della nota rettorale prot. ... dell'... di contestazione
degli addebiti alla ricorrente; 
          6) nonche' di  tutti  gli  atti  anteriori,  preordinati  e
conseguenziali. 
    Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati; 
    Visto l'atto di costituzione in giudizio  dell'Universita'  degli
studi della Campania Luigi Vanvitelli Napoli; 
    Visti tutti gli atti della causa; 
    Relatore nell'udienza pubblica del  giorno  22  gennaio  2025  la
dott.ssa Mariagiovanna Amorizzo e uditi per le parti i difensori come
specificato nel verbale; 
    Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. 
 
                                Fatto 
 
    La ricorrente e' professoressa ordinaria di medicina interna  dal
... presso il Dipartimento di scienze mediche e chirurgiche  avanzate
dell'Universita' degli studi della Campania «Luigi Vanvitelli» e  dal
... al ... e'  stata  coordinatrice  e  direttrice  della  scuola  di
specializzazione in .... 
    Con il ricorso  in  trattazione  ha  impugnato  la  delibera  del
Consiglio di amministrazione n. ... del ... con la quale le e'  stata
irrogata la sanzione disciplinare della  sospensione  dall'ufficio  e
dallo stipendio per mesi uno,  oltre  che  l'esonero  dalle  funzioni
accademiche e la perdita dell'anzianita' per tutto il  periodo  della
sua durata, a decorrere dal ..., ai sensi degli articoli nn. 87 e  89
del regio decreto n. 1592/1993, dell'art. 36 dello statuto di  Ateneo
e dell'art. 10 della legge n. 240/2010. 
    L'applicazione della suddetta sanzione ha  comportato,  ai  sensi
dell'art. 89, comma secondo, regio  decreto  n.  1592/1933  anche  la
preclusione alla nomina a rettore di universita', o  a  direttore  di
istituzione universitaria per dieci anni. 
    Il procedimento disciplinare e' stato avviato con nota  prot.  n.
... dell'... in seguito  alla  pubblicazione  sulla  pagina  facebook
dell'associazione di specializzandi denominata ..., di  un  messaggio
diffuso  dalla  ricorrente  sul  gruppo   WhatsApp   degli   studenti
specializzandi, con il quale la direttrice sollecitava i  membri  del
gruppo alla compilazione  dei  questionari  CINECA  con  le  seguenti
parole: «Cari...come sapete il questionario e' "segreto" ... ma non x
me!!! Cortesemente siate benevoli...Grazie a tutti». 
    Il questionario al quale si  riferisce  il  messaggio  e'  quello
relativo alla qualita' della formazione specialistica che annualmente
il Consorzio interuniversitario CINECA sottopone agli studenti  delle
scuole di  specializzazione  in  forma  anonima  per  la  valutazione
dell'offerta  formativa  e  che  rileva,   tra   l'altro,   ai   fini
dell'assegnazione  alle  singole  scuole  di   specializzazione   del
contingente dei posti disponibili. 
    Il   collegio   di   disciplina   docenti-I   fascia,   all'esito
dell'audizione della  ricorrente  e  del  delegato  dal  Rettore,  ha
ritenuto rilevante sotto il profilo disciplinare  la  condotta  della
prof.ssa R. poiche' integrante la violazione degli articoli 3, 4 e 10
del Codice etico e di comportamento di Ateneo  di  cui  al  D.Rs.  n.
406/2020 e ha irrogato la sanzione della sospensione  dall'ufficio  e
dallo  stipendio  per  un  mese,   che   ha   comportato,   altresi',
l'applicazione della  sanzione  accessoria  (dovuta  ex  lege)  della
sospensione per dieci anni dagli incarichi direttivi. 
    Ritenendo illegittima la sanzione irrogata,  la  ricorrente  l'ha
impugnata articolando i seguenti motivi: 
        A) con un primo gruppo di censure la ricorrente ha  impugnato
il decreto del Rettore di avvio del procedimento  disciplinare  (nota
prot. ... dell'...), ritenuto affetto dai seguenti vizi: 
          1) violazione dell'art. 10, commi 2 e  3,  della  legge  30
dicembre 2010, n. 240, eccesso di potere per carenza di  istruttoria,
ovvero istruttoria  apparente,  motivazione  carente,  illegittimita'
derivata. 
    Il Rettore avrebbe violato la normativa sopra  richiamata  avendo
omesso di formulare una «motivata proposta» di sanzione  al  Collegio
di disciplina, essendosi limitato a riportare  i  fatti  e  le  norme
violate (il Codice etico e il D.I. n. 402/2017), senza esprimersi ne'
in merito alla loro rilevanza disciplinare, ne'  sulla  misura  della
sanzione da irrogare. 
    Vi sarebbe stata un'inversione procedimentale, poiche' il Rettore
avrebbe  prima  convocato  il  Consiglio   di   disciplina   e   solo
successivamente  inviato  l'atto   di   contestazione   dell'illecito
disciplinare alla ricorrente. 
          2) stessi motivi di cui alla precedente censura, violazione
dell'art. 10, commi 2 e 3, della legge  30  dicembre  2010,  n.  240,
eccesso di potere per  carenza  di  istruttoria,  ovvero  istruttoria
apparente, motivazione carente, illegittimita' derivata. 
    L'atto  di  avvio  del  procedimento  conterrebbe  un'indicazione
generica  delle  norme  ritenute   violate,   senza   una   specifica
correlazione tra la condotta contestata e i doveri trasgrediti. 
    Sotto  altro  profilo  e'  dedotto  il  vizio   di   difetto   di
istruttoria, poiche' il Rettore si sarebbe limitato  a  riportare  il
«messaggio» tratto dalla pagina facebook dell'associazione di  medici
specializzandi, senza tener conto del tono «amichevole» dello  stesso
e senza  acquisire  direttamente  presso  i  partecipanti  al  gruppo
WhatsApp informazioni circa i dubbi e i  sospetti  che  il  messaggio
avrebbe insinuato. Non avrebbe, inoltre, verificato se effettivamente
la ricorrente fosse in grado di conoscere l'identita' dei compilatori
dei singoli questionari, ne' se i medici  si  fossero  effettivamente
convinti della possibilita' per la stessa di violare l'anonimato. 
    Sarebbe stato violato il principio di cui all'art. 112, comma  5,
lettera b), del T.U. n. 3/57, non risultando  che  i  presidenti  del
consiglio di disciplina e del consiglio di  amministrazione  avessero
raccolto «i voti cominciando dal componente di qualifica meno elevata
od a parita' di qualifica dal componente  meno  anziano  e  vota  per
ultimo». 
        B)  Con  un  secondo  gruppo  di  motivi,  la  ricorrente  ha
censurato il decreto del Rettore di contestazione degli addebiti,  il
parere del Collegio di disciplina e  la  delibera  del  Consiglio  di
amministrazione (rispettivamente del ... e del ...) che  ha  proposto
(il primo) ed elevato (il secondo) la  sanzione  disciplinare  di  un
mese di sospensione e di preclusione della  nomina,  per  dieci  anni
accademici,  alle  funzioni  di  Rettore,  direttore  di  istituzioni
universitarie, e similari. 
          3) violazione degli articoli 87 e 89 del regio  decreto  31
agosto 1993, n. 1592, violazione e falsa applicazione degli  articoli
3,4,10 e 29 del Codice etico e di comportamento di Ateneo emanato con
decreto rettorale n. 406 del 10 giugno 2020, nonche'  del  codice  di
comportamento dei  dipendenti  pubblici  approvato  dal  decreto  del
Presidente della Repubblica 16 aprile 2013,  n.  62,  modificato  dal
decreto del Presidente  della  Repubblica  13  giugno  2023,  n.  81,
eccesso  di  potere  per  travisamento  dei  fatti,  per  motivazione
carente,  incongrua,  irragionevole  e  contradditoria,  carenza   di
istruttoria, violazione dell'art. 112 del testo unico n. 3 del 1957. 
    Alla ricorrente e' stata irrogata la sanzione  della  sospensione
dal servizio per un mese per  aver  posto  in  essere  atti  ritenuti
lesivi della «dignita' o l'onore del professore». 
    Parte ricorrente afferma che non vi  sarebbe  corrispondenza  tra
l'atto di contestazione degli addebiti del Rettore ed il  parere  del
Collegio di disciplina. 
    Vi  sarebbe  un'intrinseca  contraddittorieta'  nel  parere   del
Collegio di disciplina laddove, da un lato afferma che  il  contenuto
del messaggio era «formulato con tono "amichevole"  e  dall'altro  lo
ritiene "interpretabile come tentativo di  coartare  la  liberta'  di
espressione degli specializzandi"». La ricorrente afferma che nessuna
minaccia avrebbe  potuto  essere  percepita  dagli  studenti  essendo
notorio che i questionari sono anonimi e gestiti a  livello  centrale
dal CINECA. Inoltre i questionari CINECA non avrebbero portato  alcun
vantaggio  personale  alla  ricorrente,  ma  solo  alla   scuola   di
specializzazione, alla quale avrebbero potuto  essere  attribuiti  un
numero maggiore di posti. 
    Non sarebbe neppure possibile affermare che la ricorrente si  sia
comportata in  modo  negligente  avendo  perfetta  conoscenza  che  i
questionari sono anonimi, mentre l'intento perseguito era solo quello
di sollecitarne la redazione da parte degli studenti, che  spesso  in
passato si erano sottratti a tale incombenza. 
          4) Eccesso di potere per mancata valutazione sugli  effetti
della  sanzione  della  sospensione  -  violazione  dei  principi  di
ragionevolezza,  gradualita'  e  proporzionalita'  -   illegittimita'
derivata. 
    La  sanzione   irrogata   non   rispetterebbe   i   principi   di
ragionevolezza,   gradualita'   e   proporzionalita'.   Il   Collegio
disciplinare,   che   pur   aveva   escluso   l'intenzionalita'   del
comportamento, rilevando  la  mancanza  di  precedenti  contestazioni
disciplinari e  le  costanti  valutazioni  positive  circa  l'impegno
didattico, di ricerca e  gestionale  della  ricorrente,  non  avrebbe
valutato che una sanzione lieve rispetto al massimo della  previsione
normativa, avrebbe comportato anche l'applicazione  automatica  della
sanzione  accessoria  (ostativa  alla  eleggibilita'   alle   cariche
universitarie) di cui al comma 2 dell'art. 89. 
    Si e' costituita l'Universita' degli studi della Campania  «Luigi
Vanvitelli» per chiedere il rigetto del ricorso. 
    Con ordinanza n. 965/2024 del 9 maggio 2024 la domanda  cautelare
e' stata  accolta  «limitatamente  alla  previsione  del  divieto  di
eleggibilita', onde consentire alla ricorrente la partecipazione, con
riserva, alle prossime elezioni per  la  designazione  del  Direttore
della scuola di specializzazione in geriatria,  essendo  le  relative
votazioni previste per i giorni ...». 
    Con ricorso per motivi aggiunti depositato in data 4 aprile 2024,
la ricorrente, approfondendo le censure articolate nel quarto  motivo
del  ricorso  introduttivo,  ha  formulato  un  ulteriore  motivo  di
ricorso, censurando la sanzione accessoria del divieto  di  ricoprire
cariche direttive per dieci anni, in quanto irrogata in  applicazione
dell'art. 89, comma 2, del regio decreto 31  agosto  1993,  n.  1592,
norma ritenuta incostituzionale, per  contrasto  con  i  principi  di
ragionevolezza e proporzionalita'. 
    Osserva parte ricorrente, sulla  scorta  dei  principi  affermati
dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 51 del  28  marzo  2024,
che la previsione del divieto di elettorato passivo  per  un  periodo
prestabilito di dieci anni quale sanzione  accessoria  per  qualsiasi
violazione che abbia dato luogo  all'irrogazione  di  ciascuna  delle
altre  sanzioni  previste  dall'art.  89  del  R.D.  si  porrebbe  in
contrasto con  l'art.  3  della  Costituzione,  non  consentendo  una
graduazione della sanzione in  base  alla  effettiva  gravita'  della
condotta  tenuta,  con  conseguente   illogicita'   del   trattamento
sanzionatorio  complessivo,  che  finirebbe  per  trattare  con  pari
severita' fattispecie di gravita' anche notevolmente  differenti.  Ha
chiesto, dunque, sollevarsi questione di legittimita'  costituzionale
della suddetta previsione. 
    All'esito dell'udienza pubblica del 22 gennaio 2025, la causa  e'
stata trattenuta in decisione. 
 
                               Diritto 
 
    1. Con il primo motivo, parte ricorrente lamenta  l'insufficiente
motivazione della proposta di sanzione formulata dal Rettore, essendo
costui venuto meno al suo dovere, sancito dall'art. 10 della legge n.
240 del 2010, di formulare al Collegio di  disciplina  «una  proposta
motivata» che dovrebbe riguardare sia la rilevanza  disciplinare  dei
fatti contestati, sia il tipo e la misura della sanzione da irrogare. 
    Il motivo non e' fondato. L'art. 10  sopra  citato  definisce  le
competenze  degli  organi  che  sono   coinvolti   nel   procedimento
disciplinare, attribuendo al Rettore  il  potere  di  proposta  delle
sanzioni piu' gravi della censura,  al  Collegio  di  disciplina,  il
compito di svolgere l'istruttoria procedimentale e  di  esprimere  un
parere   conclusivo   vincolante   e,   infine   al   Consiglio    di
amministrazione la competenza ad irrogare la sanzione o archiviare il
procedimento. 
    La norma ai commi  2,  3  e  4  cosi'  recita:  «2.  L'avvio  del
procedimento disciplinare spetta al rettore che, per ogni  fatto  che
possa dar luogo all'irrogazione di  una  sanzione  piu'  grave  della
censura tra quelle previste dall'art. 87 del testo unico delle  leggi
sull'istruzione superiore di cui al regio decreto 31 agosto 1933,  n.
1592, entro trenta giorni dal momento  della  conoscenza  dei  fatti,
trasmette gli atti al collegio  di  disciplina,  formulando  motivata
proposta. 
    3. Il collegio di disciplina, uditi  il  rettore  ovvero  un  suo
delegato, nonche' il professore o il ricercatore sottoposto ad azione
disciplinare, eventualmente assistito da  un  difensore  di  fiducia,
entro trenta  giorni  esprime  parere  sulla  proposta  avanzata  dal
rettore  sia  in  relazione  alla  rilevanza  dei  fatti  sul   piano
disciplinare sia in relazione al  tipo  di  sanzione  da  irrogare  e
trasmette gli atti al consiglio di amministrazione  per  l'assunzione
delle conseguenti deliberazioni. Il procedimento davanti al  collegio
resta disciplinato dalla normativa vigente. 
    4. Entro trenta giorni dalla ricezione del parere,  il  consiglio
di amministrazione, senza la rappresentanza degli studenti,  infligge
la  sanzione  ovvero  dispone   l'archiviazione   del   procedimento,
conformemente  al  parere  vincolante  espresso   dal   collegio   di
disciplina.». 
    Il Rettore, nella nota del ...  prot.  n.  ...  di  contestazione
degli addebiti alla ricorrente  cosi'  si  e'  espresso:  «Risulta  a
questo  Ateneo,  come  da  nota  prot.  n.  ...  del  ...,  che   sui
social-media dell'associazione "..." in data ... sono state segnalate
condotte tenute dalla S.V., docente di I fascia in  regime  di  tempo
pieno  presso  il  Dipartimento  di  scienze  mediche  e  chirurgiche
avanzate,  nella  sua  qualita'  di'  direttore   della   scuola   di
specializzazione in ..., in violazione delle disposizioni del  Codice
etico e di comportamento di  Ateneo  di  cui  al  d.r.  n.  406/2020,
nonche' delle procedure di cui al decreto  interministeriale  n.  402
del 2017. 
    Nello specifico la S.V. in qualita' di responsabile della  citata
scuola di specializzazione, con  riferimento  alla  compilazione  dei
questionari per  il  monitoraggio  della  qualita'  della  formazione
specialistica, ha trasmesso, a  tutti  gli  specializzandi,  mediante
messaggistica istantanea (whatsapp) la seguente comunicazione: 
        "Cari...come sapete il questionario e' 'segreto'... ..ma  non
x me!!! Cortesemente siate 'benevoli'...Grazie a tutti". 
    Tale  condotta  comporta  la  violazione  delle  disposizioni  di
seguito indicate: 
        Artt. 3, 4, 10 del citato Codice etico  di  comportamento  di
Ateneo di cui al d.r. n. 406/2020  sotto  riportati:  "Gli  obbligati
conformano la propria  condotta  ai  principi  di  buon  andamento  e
imparzialita' dell'azione amministrativa e svolgono i propri  compiti
nel rispetto della legge,  perseguendo  l'interesse  pubblico,  senza
abusare della posizione o dei poteri di cui sono titolari. 
    Gli  obbligati  rispettano,  altresi',  i  principi  di  onesta',
integrita', correttezza, buona fede, imparzialita', proporzionalita',
obiettivita', trasparenza,  equita',  ragionevolezza,  valorizzazione
del merito, professionalita', leale  collaborazione,  astenendosi  in
caso di conflitto di interessi. 
    Gli  obbligati  concorrono  al  perseguimento   delle   finalita'
istituzionali e degli obiettivi  strategici  dell'ateneo  secondo  il
grado di responsabilita' previsto per le funzioni a loro attribuite. 
    Gli obbligati non usano a fini privati  le  informazioni  di  cui
dispongono per ragioni di ufficio, evitano situazioni e comportamenti
che possano ostacolare il corretto adempimento dei compiti o  nuocere
agli interessi o all'immagine dell'Ateneo ... omissis ..."(Art. 3). 
    "Nessun componente dell'Ateneo puo'  utilizzare,  direttamente  o
indirettamente, il proprio ruolo o ufficio  al  fine  di  determinare
comportamenti non coerenti con le funzioni  istituzionali  proprie  e
altrui, quali definite da norme e disposizioni di  rango  legislativo
regolamentare. 
    E' vietata qualsiasi forma di abuso  compiute  nei  confronti  di
persone in condizione di  subordinazione  o  comunque  di  soggezione
psicologica omissis ... l'Ateneo vieta  qualsiasi  comportamento  che
pregiudichi il regolare e corretto andamento  dei  rapporti  umani  e
professionali ... omissis .... 
    Il personale  tutto,  insieme  agli  studenti,  cura  e  rispetta
l'immagine dell'Ateneo. 
    L'Ateneo  vieta  qualsiasi  comportamento  che   pregiudichi   il
regolare e corretto andamento dei  rapporti  umani  e  professionali"
(Art. 4). 
    "Il rapporto tra docenti e studenti deve ispirarsi a principi  di
integrita',  fiducia,  collaborazione,   e   correttezza   reciproca,
rispetto  della  persona,  pari  opportunita'  e  assenza   di   ogni
discriminazione, sia diretta che indiretta ... omissis"(Art. 10). 
    Decreto interministeriale n. 402 del 2017  con  riferimento  alle
procedure di  accreditamento  che  si  basano  anche  sull'esito  dei
questionari  somministrati   previsti   dall'art.   6   "Possesso   e
monitoraggio degli standard, dei requisiti e degli indicatori per  il
miglioramento continuo della qualita' della formazione  specialistica
erogata". Si richiama, infine, l'art. 29  del  Codice  etico  che  al
comma 4 dispone "la violazione delle  norme  contenute  nel  presente
Codice, applicabili, al personale in regime di diritto  pubblico,  di
cui all'art. 3, comma 2, del decreto legislativo 30  settembre  2001,
n. 165 (docenti e ricercatori) e le relative sanzioni sono  valutate,
caso per caso, dal collegio di disciplina ai sensi dell'art. 10 della
legge 30 dicembre 2010, n. 240, salvo diverse disposizioni". 
    Si  contesta,  pertanto,   sul   piano   disciplinare,   che   il
comportamento risultante da tutto  quanto  su  riportato  costituisce
violazione degli articoli 3, 4 e 10 del Codice etico di Ateneo di cui
al d.r. n. 406/2020 nonche' delle disposizioni  di  cui  al  D.I.  n.
402/2017 e si concretizza in atti, in genere, che comunque ledono  la
dignita' o l'onore del professore ai sensi  dell'art.  89,  comma  1,
lettera d) del testo unico n. 1592 del 31 agosto 1933. 
    Il Collegio di disciplina di questo Ateneo, nominato con d.r.  n.
1241/2021 rettificato con d.r. n. 936/2022,  ai  sensi  dell'art.  10
della legge n. 240/2010 e dell'art. 36 del vigente Statuto di  Ateneo
e'  competente  a  svolgere  la  fase  istruttoria  dei  procedimenti
disciplinari e ad esprimere parere conclusivo  in  merito  procedendo
all'accertamento delle violazioni contestate ed  alla  determinazione
delle sanzioni previste dall'art. 87 in combinato disposto con l'art.
89 del Regio decreto n. 1592/1933. 
    Con riferimento al caso  di  specie  la  sanzione  relativa  alla
condotta contestata consiste nella sospensione dall'ufficio  e  dallo
stipendio fino ad un anno. 
    In  ogni  caso  il  Collegio  di   disciplina   ai   fini   della
determinazione e quantificazione  della  sanzione  terra'  conto  dei
criteri     di     gradualita'     e     proporzionalita'     nonche'
dell'intenzionalita'  del  comportamento,  grado  di   negligenza   e
rilevanza  degli  obblighi  violati  nonche'  della  sussistenza   di
circostanze aggravanti e attenuanti.». 
    In relazione al grado di sviluppo del procedimento,  la  proposta
del  Rettore  appare  sufficientemente  motivata  sia  riguardo  alla
rilevanza disciplinare della condotta contestata, avendo  il  Rettore
esplicitato  le  norme  che  compendiano  i   doveri   di   diligenza
professionale  ritenuti  violati,  sia  la  sanzione  applicabile  in
astratto in relazione al tipo di condotta. 
    La circostanza che non  abbia  proposto  anche  la  misura  della
sanzione non costituisce  circostanza  sufficiente  ad  inficiare  la
legittimita' della sanzione stessa, atteso che, da  un  lato,  l'art.
10, comma 2, legge n. 240/2010 non prevede che il Rettore formuli una
proposta  di  sanzione  che  ne  definisca  anche  l'esatta   misura,
dall'altro, l'irrogazione delle sanzioni  piu'  gravi  della  censura
sono di competenza del Consiglio  di  amministrazione,  che  provvede
sulla base del parere vincolante del Collegio di disciplina. 
    Il Rettore non ha ne' competenze in materia di  istruttoria,  ne'
sulla valutazione in concreto dei fatti contestati, essendo  titolare
di un mero potere di proposta, la cui fondatezza in punto di fatto  e
di diritto, e' oggetto della successiva fase  istruttoria.  Pertanto,
e'  nella  fase  successiva  dell'elaborazione  del  parere  e  della
conclusione  del  procedimento,  di  competenza  rispettivamente  del
Collegio di disciplina e del Consiglio di  amministrazione,  che  gli
oneri motivazionali  in  merito  alla  rilevanza  disciplinare  della
condotta ed alla sanzione applicabile in concreto si approfondiscono. 
    Tenuto conto delle  modalita'  con  cui  l'universita'  ha  avuto
notizia  dei  fatti,  risulta  anche   sufficientemente   chiara   la
motivazione relativa all'astratta  configurabilita'  di  una  lesione
della dignita' e dell'onore del professore, avendo la  notizia  avuto
risalto sui social media. 
    Non risulta, inoltre, alcuna  inversione  procedimentale,  atteso
che la convocazione del Collegio  di  disciplina  e'  avvenuta  nella
medesima data nella quale e' stata effettuata la contestazione  degli
addebiti. 
    Ne discende l'infondatezza di tutte  le  censure  articolate  nel
primo motivo. 
    2. Anche il secondo motivo e' infondato. 
    2.1. La contestazione che l'universita' ha mosso alla  ricorrente
risiede nell'aver inviato agli studenti un messaggio che,  nella  sua
ambiguita', avrebbe potuto essere interpretato come un  tentativo  di
coartazione  della  volonta'  degli  specializzandi,  attraverso   la
prospettazione della possibilita' da  parte  della  Direttrice  della
scuola di conoscere l'identita'  degli  autori  dei  questionari  («I
questionari sono anonimi...ma non per me»). 
    Tale messaggio e'  stato  ritenuto  «inadeguato  ed  equivoco»  e
dunque  violativo  delle  regole  di  diligenza,  declinabili   negli
obblighi di correttezza e fiducia nei confronti degli  studenti,  cui
e' tenuto ogni docente in forza del Codice etico dell'Ateneo. 
    Tali elementi emergevano in modo chiaro dalla contestazione degli
addebiti inviata alla professoressa, nonostante l'ampiezza del novero
delle  disposizioni  richiamate,  che,  tuttavia,  a   ben   guardare
contemplano null'altro che le differenti declinazioni degli  obblighi
di diligenza e correttezza nei rapporti con gli studenti ai quali  e'
tenuto il personale docente. 
    Va rimarcato, in proposito, che, per costante giurisprudenza,  «I
fatti addebitati devono essere individuati con sufficiente precisione
in  modo  che  vi  sia  certezza  sulle  questioni   per   le   quali
l'interessato e' chiamato a difendersi. La mancata  precisazione  e/o
omessa indicazione di uno o  di  piu'  elementi  di  fatto  determina
un'insuperabile incertezza nell'individuazione del fatto da cui  trae
origine la contestazione, tale da pregiudicare il diritto  di  difesa
dell'incolpato. In particolare, in tema di sanzioni disciplinari,  la
contestazione dell'addebito ha lo scopo di consentire  al  lavoratore
incolpato l'immediata difesa e deve, conseguentemente,  rivestire  il
carattere  della   specificita',   senza   l'osservanza   di   schemi
prestabiliti  e  rigidi,  purche'  siano  fornite  al  lavoratore  le
indicazioni 6 necessarie per individuare, nella sua materialita',  il
fatto o i fatti addebitati.» (Cons. Stato, Sez. VI, 18 gennaio  2021,
n. 560). 
    La contestazione,  per  come  formulata,  soddisfa  i  canoni  di
specificita' richiesti dalla disciplina in materia, avendo consentito
alla ricorrente di comprendere sia i fatti contestati, che  le  norme
di  diligenza  ritenute  violate,  cosi'  da  metterla  in  grado  di
approntare un'approfondita difesa nel procedimento disciplinare. 
    L'atto di contestazione individua anche la  sanzione  applicabile
in astratto, rimettendo al Collegio di disciplina  la  determinazione
della sua  misura  concreta,  sulla  base  di  criteri  espressamente
richiamati  (gradualita',   proporzionalita',   intenzionalita'   del
comportamento,  grado  di  negligenza  e  rilevanza  degli   obblighi
violati, sussistenza di circostanze aggravanti e attenuanti). 
    Il motivo, dunque, sotto tale profilo non e' fondato. 
    2.2. Neppure fondato e' l'ulteriore profilo di  censura  relativo
alla presunta carenza di istruttoria. 
    La contestazione  che  l'universita'  ha  mosso  alla  ricorrente
risiede nell'aver inviato agli studenti un  messaggio  che  mirava  a
sollecitare l'espressione di giudizi  favorevoli  nella  compilazione
dei  questionari  CINECA  («siate  benevoli»),  sui  quali  si  fonda
l'accreditamento della  scuola  di  specializzazione,  insinuando  il
dubbio che i questionari fossero anonimi («i questionari sono anonimi
... ma non per me»). 
    Tale messaggio e' stato ritenuto «inadeguato  ed  equivoco»,  sia
perche' suscettibile di essere  interpretato  come  un  tentativo  di
coartare la liberta' di giudizio degli studenti, sia  perche'  idoneo
ad  ingenerare  dubbi  sulla  corretta  gestione   del   sistema   di
valutazione  delle  scuole  di   specializzazione,   che   si   fonda
sull'anonimato dei questionari CINECA. 
    Nonostante la riconosciuta non intenzionalita' del comportamento,
e', dunque, l'ambiguita' del testo diffuso tra gli  specializzandi  a
costituire l'oggetto della contestazione disciplinare, essendosi  con
esso integrata la violazione delle regole di correttezza  che  devono
improntare i rapporti con gli  studenti,  nonche'  l'obbligo  di  non
tenere comportamenti idonei ad arrecare pregiudizio alla  reputazione
dell'Ateneo. 
    Ai  fini  dell'irrogazione  della  sanzione,  non  era,   dunque,
necessario verificare se effettivamente la ricorrente  avesse  potuto
accedere all'identita'  degli  specializzandi  che  hanno  redatto  i
questionari, o se il  messaggio  avesse  effettivamente  indotto  gli
studenti a ritenere che i questionari non fossero anonimi, poiche'  a
determinare  il  vulnus  alle  regole  di  condotta  era  la   stessa
ambiguita' del testo diffuso. In altre parole,  non  e',  l'effettiva
coazione della volonta' degli studenti ad essere  contestata,  quanto
l'opportunita' sul piano formale del testo diffuso. 
    Non risulta, dunque, fondato il vizio di eccesso  di  potere  per
difetto di istruttoria dedotto nel secondo motivo. 
    2.3. Neppure  risulta  provato  l'ulteriore  profilo  di  censura
contenuto nel  secondo  motivo,  laddove  si  afferma  la  violazione
dell'art. 112, comma 5, lettera b), del T.U. n. 3  cit.  che  prevede
che i voti siano raccolti «cominciando dal  componente  di  qualifica
meno elevata od a parita' di qualifica dal componente meno anziano  e
vota per ultimo». L'assenza di verbalizzazione di tale attivita'  non
costituisce indice univoco della circostanza che tale regola non  sia
stata seguita. 
    Per costante indirizzo giurisprudenziale, ove  non  sussista  una
specifica  previsione  di  legge  che  imponga   la   verbalizzazione
analitica di tutte le operazioni  svolte,  l'omessa  indicazione  nel
verbale riassuntivo dell'espletamento di  una  determinata  attivita'
non  costituisce  prova  inconfutabile  del  suo   non   espletamento
(Consiglio di Stato sez. III, 13 marzo 2019, n. 1671). 
    3. E', altresi', infondato il primo profilo di censura  contenuto
nel terzo motivo di ricorso, nel  quale  si  lamenta  un  difetto  di
corrispondenza tra la  contestazione  degli  addebiti  da  parte  del
Rettore e l'atto irrogativo di sanzione. 
    3.1. Come si e' gia' avuto modo di precisare con  riferimento  al
secondo motivo di  ricorso  (sovrapponibile  in  parte  a  quello  in
trattazione) la contestazione evidenziava in modo chiaro i profili di
contrasto della condotta con le  norme  richiamate,  avendo  l'Ateneo
ritenuto violati gli obblighi di correttezza, imparzialita' e fiducia
che devono improntare l'operato dei  docenti  nei  rapporti  con  gli
studenti e con l'Ateneo. 
    3.2. Infondati sono anche gli altri rilievi contenuti  nel  terzo
motivo, con i quali la ricorrente tenta  di  affermare  l'assenza  di
negligenza nella condotta tenuta -  e,  dunque,  l'insussistenza  del
contestato illecito disciplinare - poiche' un tale  addebito  sarebbe
stato configurabile  solo  se  il  messaggio  avesse  dato  luogo  ad
un'interpretazione univoca, se i destinatari  non  fossero  stati  in
grado  di  sapere  che  gli   autori   delle   risposte   non   erano
riconoscibili,  se  i  destinatari,  che  ignoravano  la   disciplina
dell'anonimato dei  questionari,  si  fossero  sentiti  negativamente
condizionati dal messaggio, tutte circostanze non comprovate. 
    Si tratta di argomentazioni che non persuadono. Il ruolo  che  la
ricorrente ricopriva le imponeva,  con  tutta  evidenza,  di  evitare
comportamenti che potessero essere male interpretati dagli studenti o
da terzi e potessero esporre se stessa e l'istituzione a critiche sia
in relazione alla gestione dei rapporti con gli  studenti  che  delle
procedure di valutazione. 
    La condotta non diligente e, dunque, violativa  delle  regole  di
correttezza,  imparzialita'  e  fiducia   richiamate   nell'atto   di
contestazione degli addebiti e' da ricondurre al tenore  ambiguo  del
messaggio, poiche' suscettibile di ingenerare dubbi sulla correttezza
dell'operato dell'Ateneo. 
    Tanto prescinde  dallo  stato  soggettivo  di  buona  fede  della
direttrice, avendo ella, comunque, redatto  un  messaggio  dal  testo
oggettivamente suscettibile di fraintendimenti, di cui la stessa, per
il ruolo che ricopriva, non poteva non percepire l'inopportunita'. 
    Ne deriva l'infondatezza dei profili di censura  evidenziati  nel
terzo motivo, non potendosi ravvisare alcuna  contraddittorieta'  tra
l'affermato tono amichevole  del  messaggio  e  la  sua  formulazione
oggettivamente ambigua. Ne' rileva la conoscenza o conoscibilita'  da
parte degli  specializzandi  della  natura  anonima  dei  questionari
CINECA. Altro e' considerare il meccanismo di  tutela  dell'anonimato
previsto in linea astratta dalla normativa che regola un  determinato
strumento, altro e' il suo concreto funzionamento ed e' evidente  che
l'affermazione  da  parte  della  direttrice   della   scuola   della
possibilita' di venire a conoscenza dell'identita' dei redattori  dei
singoli questionari ben puo' essere percepita come veritiera da parte
degli studenti, i quali plausibilmente non hanno  diretta  conoscenza
dell'efficacia degli strumenti di tutela  dell'anonimato  predisposti
dall'Ateneo.  L'ambiguita'  del  messaggio,  come  piu'  volte   gia'
osservato, integra ex se la violazione degli obblighi di  correttezza
che incombono al docente senza che possa  rilevare  un  principio  di
favor rei nell'interpretazione del senso delle parole utilizzate. 
    4. Non e' fondato neppure il quarto motivo, nel quale si  censura
il difetto di proporzionalita' della sanzione applicata per non avere
il Collegio di disciplina  tenuto  conto  degli  effetti  complessivi
della stessa e, in particolare, della  circostanza  che  la  sanzione
della sospensione dal servizio, anche nella misura  minima,  irrogata
per l'invio di un messaggio dal tenore ambiguo,  avrebbe  comportato,
come  conseguenza  indefettibile,  il  divieto  di  assunzione  delle
cariche di Rettore e di Direttore di  istituzioni  universitarie  per
dieci anni. 
    Ritiene il Collegio che la sanzione della sospensione per un mese
dal servizio irrogata alla ricorrente non sia  affetta  da  manifesta
irragionevolezza o difetto  di  proporzionalita',  tenuto  conto  dei
vincoli  normativi  previsti  per  l'irrogazione  della  piu'   tenue
sanzione della censura. 
    Il regio decreto 31 agosto 1933, n.  1592  recante  «Approvazione
del testo unico delle leggi sull'istruzione superiori», agli articoli
da 87 a 89 detta la disciplina delle sanzioni disciplinari irrogabili
nei confronti dei professori universitari di ruolo. 
    L'art. 87 elenca le differenti tipologie di sanzioni  applicabili
secondo  un  criterio  di  gradualita'   rispetto   alle   violazioni
accertate: «Ai professori di ruolo possono essere  inflitte,  secondo
la gravita' delle mancanze, le seguenti punizioni disciplinari: 
        1) la censura; 
        2) la sospensione dall'ufficio e dallo stipendio ad un anno; 
        3) la revocazione; 
        4) la destituzione senza perdita del diritto a pensione o  ad
assegni; 
        5) la destituzione con perdita del diritto a  pensione  o  ad
assegni.». 
    L'art. 88 detta  la  disciplina  della  sanzione  della  censura,
prevedendo che «La  censura  e'  una  dichiarazione  di  biasimo  per
mancanze ai doveri d'ufficio  o  per  irregolare  condotta,  che  non
costituiscano grave insubordinazione e che non siano tali  da  ledere
la dignita' e l'onore del professore.». 
    L'art. 89 detta, invece, la disciplina delle sanzioni di maggiore
gravita', prevedendo: «Le punizioni, di cui  ai  nn.  2,  3,  4  e  5
dell'art. 87, si applicano secondo i casi e le  circostanze,  per  le
seguenti mancanze: 
        a) grave insubordinazione; 
        b) abituale mancanza ai doveri di ufficio; 
        c) abituale irregolarita' di condotta; 
        d) atti in genere, che comunque ledano la dignita' o  l'onore
del professore. 
    La punizione di cui al n.  2  importa,  oltre  la  perdita  degli
emolumenti, l'esonero dall'insegnamento, dalle funzioni accademiche e
da  quelle  ad  esse  connesse,  e  la  perdita  ad   ogni   effetto,
dell'anzianita' per tutto il tempo della sua  durata.  Il  professore
che sia incorso nella punizione medesima  non  puo'  per  dieci  anni
solari  essere  nominato  rettore  di  universita'  o  direttore   di
istituzione universitaria.». 
    Dal combinato disposto degli art. 88 e 89, comma  1,  lettera  d)
R.D. n. 1592/1933 emerge che  la  sanzione  della  censura  non  puo'
essere irrogata nel caso in cui la condotta sia tale  «da  ledere  la
dignita' e l'onore del  professore.».  Cio'  emerge  sia  dal  tenore
letterale dell'art. 88,  che  esclude  l'applicazione  della  censura
anche in caso di mancanze ai doveri d'ufficio o  irregolare  condotta
che «siano tali da ledere la dignita' e l'onore del professore.», sia
dall'art. 89, che prevede l'applicazione delle  sanzioni  piu'  gravi
della censura, tra gli altri casi, ove siano stati  posti  in  essere
«d) atti in genere, che comunque ledano la  dignita'  o  l'onore  del
professore».  L'utilizzo   dell'avverbio   «comunque»,   posto   dopo
l'elencazione  delle  altre  tipologie  di  infrazioni  che   possono
determinare l'applicazione delle sanzioni di cui all'art.  87,  rende
manifesto che, nel caso in cui la condotta  contestata  sia  ritenuta
lesiva della «dignita'» e dell'«onore» del  professore,  la  sanzione
disciplinare  non  potra'  essere  inferiore  alla  sospensione   dal
servizio   per   un   mese,    indipendentemente    dalla    gravita'
dell'inadempimento agli obblighi gravanti sul professore. 
    La condotta contestata alla ricorrente, seppur non intenzionale e
comunque di non rilevante gravita' sul piano della trasgressione agli
obblighi indicati nel Codice etico, e' certamente idonea a ledere «la
dignita' e l'onore del professore», poiche' il suo tenore ambiguo  si
prestava  ad  essere  interpretato,  -  come  poi  e'  effettivamente
avvenuto con conseguente clamore mediatico - come volto ad esercitare
una forma di pressione sugli studenti nella redazione dei questionari
CINECA,  peraltro,  attraverso  la  diffusione  di  una  notizia  (la
negazione dell'anonimita'  dei  questionari),  idonea  a  mettere  in
dubbio  la  corretta  modalita'  di  gestione  della   procedura   di
valutazione  che  deve  garantire  l'anonimato  degli  studenti.   Il
messaggio, dunque, ha esposto prima  la  docente  e  poi  l'Ateneo  a
critiche che sono state riportate anche dalla stampa. Appare, quindi,
corretta la valutazione operata dall'Ateneo di non applicare la  piu'
tenue sanzione della censura, essendo la  condotta  della  ricorrente
idonea  ad  arrecare  una  lesione  al  suo  prestigio  e  a   quello
dell'istituzione. 
    La sanzione della censura, dunque, non  poteva  essere  irrogata,
ostandovi il chiaro disposto dell'art. 88 regio decreto n. 1592/1933. 
    Ne discende la non  palese  irragionevolezza  (sotto  il  profilo
della proporzionalita')  della  sanzione  principale  prevista  e  in
concreto applicata (sospensione dal servizio per un mese). 
    5. Tuttavia,  la  stessa  sanzione,  nonostante  sia  graduabile,
comporta a carico del  professore  che  ne  sia  destinatario,  quale
conseguenza necessaria ed indipendente dalla gravita' e volontarieta'
della condotta sanzionata, il divieto di elettorato  passivo  per  le
cariche universitarie di vertice nella misura fissa di dieci anni, ai
sensi di quanto previsto dall'art. 98, comma secondo  («La  punizione
di cui al n. 2 importa, oltre la perdita degli emolumenti,  l'esonero
dall'insegnamento, dalle funzioni accademiche e  da  quelle  ad  esse
connesse, e la perdita ad ogni effetto, dell'anzianita' per tutto  il
tempo della sua durata. Il professore che sia incorso nella punizione
medesima non puo' per dieci anni solari essere  nominato  rettore  di
universita' o direttore di istituzione universitaria»). 
    In  adesione  alle  censure  formulate  nel  ricorso  per  motivi
aggiunti (con il quale la sanzione accessoria  e'  fatta  oggetto  di
censura per difetto di  ragionevolezza  e  proporzionalita'  derivata
dall'illegittimita' costituzionale della norma  che  la  prevede)  il
Collegio dubita  della  legittimita'  costituzionale  della  suddetta
disposizione, nella parte in cui, prevedendo il divieto di elettorato
passivo per cariche direttive universitarie in misura fissa per dieci
anni quale conseguenza obbligatoria della sanzione  di  cui  all'art.
87, primo comma, n. 2  regio  decreto  n.  1592/1933,  anche  per  le
condotte non gravi che siano lesive della dignita' e  dell'onore  del
professore sembra porsi in contrasto con  i  principi  di  necessaria
proporzionalita' del trattamento sanzionatorio rispetto  al  fatto  e
alle sue conseguenze, e di congruita' della sanzione rispetto al fine
perseguito e, dunque, con  il  principio  di  ragionevolezza  di  cui
all'art. 3 della Costituzione, in combinato disposto con gli articoli
2, 4 e 35 della Costituzione. 
    5.1.   Sulla   rilevanza   della   questione   di    legittimita'
costituzionale. 
    L'infondatezza dei motivi  articolati  nel  ricorso  introduttivo
proposti avverso il provvedimento  in  epigrafe,  con  cui  e'  stata
irrogata la sanzione della sospensione per un mese dal  servizio,  ai
sensi di quanto previsto dall'art. 87, n. 2, r.d. n. 1592/1933, rende
rilevante la questione di legittimita' costituzionale  dell'art.  89,
comma secondo, regio decreto n. 1592/1933 rispetto all'art.  3  della
Costituzione, che il  ricorrente  ha  chiesto  di  sollevare  con  il
ricorso per motivi aggiunti, per  dimostrare  l'illegittimita'  della
sanzione accessoria irrogata per contrasto con i medesimi principi. 
    Tale   sanzione,   come   si   e'   detto,   consegue   ex   lege
dall'applicazione della sanzione disciplinare della  sospensione  dal
servizio, prevista dall'art. 87, comma 1, n. 2,  R.D.  n.  1592/1933,
senza possibilita' per l'organo titolare del potere sanzionatorio  di
valutare la concreta offensivita' della condotta e la graduazione del
trattamento sanzionatorio complessivo. 
    Con  il  ricorso  per  motivi  aggiunti  la  sanzione  accessoria
irrogata  viene  censurata  per   difetto   di   proporzionalita'   e
ragionevolezza quali vizi derivati dal contrasto della norma  che  la
prevede con l'art. 3 della Costituzione. 
    Ove l'art. 89, comma secondo, regio decreto  n.  1592/1933  fosse
dichiarato costituzionalmente illegittimo nella parte in cui  prevede
come obbligatoria e non graduabile la  sanzione  accessoria  da  esso
prevista, ne deriverebbe l'annullamento del  provvedimento  impugnato
nella parte in cui stabilisce la preclusione  per  dieci  anni  della
nomina alle funzioni di rettore di  universita'  e  di  direttore  di
istituzione universitaria, con  conseguente  restituzione  all'organo
titolare  del  potere   disciplinare   della   valutazione   relativa
all'applicabilita'  e/o  della  durata  della  sanzione   stessa   in
relazione alla gravita' del fatto. 
    5.2.  Sulla  non  manifesta  infondatezza  della   questione   di
legittimita' costituzionale. 
    Il Collegio ritiene la questione non manifestamente infondata per
le ragioni che di seguito di espongono. 
    5.2.1.  Il  regio  decreto  31  agosto  1933,  n.  1592   recante
«Approvazione del testo unico delle leggi sull'istruzione superiori»,
agli  articoli  da  87  a  89  detta  la  disciplina  delle  sanzioni
disciplinari irrogabili nei confronti dei professori universitari  di
ruolo. 
    L'art. 87 elenca le differenti tipologie di sanzioni applicabili,
graduate in ordine crescente  di  afflittivita':  «Ai  professori  di
ruolo possono essere inflitte, secondo la gravita' delle mancanze, le
seguenti punizioni disciplinari: 
        1) la censura; 
        2) la sospensione dall'ufficio e dallo stipendio ad un anno; 
        3) la revocazione; 
        4) la destituzione senza perdita del diritto a pensione o  ad
assegni; 
        5) la destituzione con perdita del diritto a  pensione  o  ad
assegni.». 
    L'art. 88 disciplina la sanzione della  censura,  prevedendo  che
«La censura e' una dichiarazione di biasimo per  mancanze  ai  doveri
d'ufficio o per irregolare  condotta,  che  non  costituiscano  grave
insubordinazione e che non siano tali da ledere la dignita' e l'onore
del professore.». 
    L'art. 89 detta, invece, la disciplina delle sanzioni di maggiore
gravita', prevedendo che: «Le punizioni, di cui ai nn. 2, 3,  4  e  5
dell'art. 87, si applicano secondo i casi e le  circostanze,  per  le
seguenti mancanze: 
        a) grave insubordinazione; 
        b) abituale mancanza ai doveri di ufficio; 
        c) abituale irregolarita' di condotta; 
        d) atti in genere, che comunque ledano la dignita' o  l'onore
del professore. 
    La punizione di cui al n.  2  importa,  oltre  la  perdita  degli
emolumenti, l'esonero dall'insegnamento, dalle funzioni accademiche e
da  quelle  ad  esse  connesse,  e  la  perdita  ad   ogni   effetto,
dell'anzianita' per tutto il tempo della sua  durata.  Il  professore
che sia incorso nella punizione medesima  non  puo'  per  dieci  anni
solari  essere  nominato  rettore  di  universita'  o  direttore   di
istituzione universitaria.». 
    Come si  e'  gia'  evidenziato,  ove  con  una  propria  condotta
violativa  degli  obblighi  connessi  all'esercizio   delle   proprie
funzioni, il professore abbia «comunque»  arrecato  pregiudizio  alla
propria dignita' o onore, puo' incorrere - a seconda  della  gravita'
della condotta e delle  sue  conseguenze  -  in  una  delle  sanzioni
previste dall'art. 87,  nn.  2,  3,  4  e  5,  non  potendo,  invece,
soggiacere  alla  sanzione  della  censura,  ostandovi  il   disposto
dell'art. 88 regio decreto n. 1592/1933. 
    In ogni caso, ove sia irrogata la sanzione della sospensione  dal
servizio fino a un anno,  al  professore  -  indipendentemente  dalla
gravita' del comportamento tenuto e dalla  durata  della  sospensione
dal servizio prevista - e' preclusa ex lege la nomina alle cariche di
Rettore e direttore di istituzioni universitarie per dieci anni. 
    Una siffatta sanzione si pone in potenziale conflitto  -  per  le
ragioni che si esporranno in seguito - con i principi  di  necessaria
proporzionalita' della sanzione e congruita' della stessa rispetto al
fine perseguito che  la  giurisprudenza  costituzionale  ha  ritenuti
applicabili anche con riguardo alle sanzioni accessorie  correlate  a
sanzioni disciplinari. 
    5.2.2. Il Collegio non ignora che la Corte di cassazione, Sezione
lavoro, nella sentenza del 25 maggio 2012, n. 8304, ha dichiarato  la
manifesta infondatezza della questione di legittimita' costituzionale
della suddetta norma, affermando che la misura di  cui  all'art.  87,
secondo comma, secondo periodo regio decreto n.  1592/1933,  non  sia
assoggettata al principio di necessaria proporzionalita', trattandosi
di sanzione  accessoria  a  carattere  prevalentemente  «preventivo»,
prevista al fine di  evitare  la  reiterazione  della  condotta  («La
durata della sanzione accessoria e' dunque predeterminata e  consegue
alla semplice applicazione della sanzione principale,  a  prescindere
dalla effettiva durata di questa secondo la specifica  determinazione
adottata dall'organismo disciplinare. Il meccanismo  non  puo'  dirsi
atipico, nell'ambito delle sanzioni accessorie temporanee,  la'  dove
la durata puo' essere fissata in modo particolare dalla legge  e,  in
mancanza di tale previsione, puo' avere una durata  uguale  a  quella
della sanzione principale inflitta. La diversita'  e  la  modulazione
delle  sanzioni  accessorie   rispondono,   infatti,   al   carattere
essenzialmente  preventivo,  anziche'  meramente  retributivo,  delle
medesime, la cui funzione e' quella di evitare la possibilita' che la
grave condotta - sanzionata in via principale - possa reiterarsi  con
ulteriore pregiudizio per il bene tutelato; e cio' spiega,  altresi',
che alla predeterminazione della  durata  possa  accompagnarsi,  come
nella specie, la obbligatorieta'  della  sanzione  accessoria,  quale
effetto automatico che accede alla sanzione  a  prescindere  da  ogni
potere  discrezionale  in  ordine  alla  necessita',  o  meno,  della
ulteriore inflizione. 
    3-3-3 - Con queste premesse, si rivela  manifestamente  infondato
il dubbio di illegittimita' costituzionale avanzato  dal  ricorrente,
poiche' il criterio della proporzionalita' e' connesso a  sanzioni  a
carattere retributivo, in cui l'entita' della sanzione non  puo'  che
dipendere  dalla  modalita'  della  condotta   e   dalla   intensita'
dell'elemento soggettivo, mentre le sanzioni a  carattere  preventivo
sono riferite alla gravita  oggettiva  della  sanzione  principale  e
conseguono semplicemente alla avvenuta inflizione, ben potendo essere
rimessa al legislatore  la  scelta  di  prefissare  la  durata  della
sanzione accessoria,  a  prescindere  dalla  entita'  della  sanzione
concretamente inflitta in via principale, in ragione  della  distinta
esigenza  di  prevenire  il  rischio  del  ripetersi  della  condotta
sanzionata.»). 
    Tuttavia, il Collegio ritiene che la motivazione che  ha  indotto
la  Suprema  Corte  a  dichiarare  la  manifesta  infondatezza  della
sanzione non esaurisca le ragioni di contrasto della norma con l'art.
3,  in  combinato  disposto  con  gli  articoli  2,4   e   35   della
Costituzione, anche alla  luce  della  giurisprudenza  costituzionale
intervenuta  successivamente  alla  stregua  della  quale  anche   le
sanzioni accessorie non aventi natura  esclusivamente  punitiva  sono
assoggettate al vaglio di proporzionalita' e adeguatezza. 
    5.2.3. In effetti il sindacato di  proporzionalita'  sulle  norme
sanzionatorie e' stato ammesso in prima battuta con riferimento  alle
sanzioni penali, riguardo alle  quali,  la  Corte  ha  affermato  che
«l'individualizzazione della pena - che si ottiene con  l'indicazione
di una forbice edittale, che consenta al giudice di  determinarla  in
base alle  specificita'  della  fattispecie  concreta  -  costituisca
"naturale attuazione e sviluppo di principi costituzionali, tanto  di
ordine   generale   (principio   d'uguaglianza)   quanto    attinenti
direttamente alla materia penale" (sentenza n. 50 del 1980).  In  via
di principio, percio', "previsioni sanzionatorie rigide non  appaiono
in linea con il 'volto costituzionale' del sistema  penale",  potendo
il dubbio di illegittimita' costituzionale essere  superato  solo  "a
condizione che, per la  natura  dell'illecito  sanzionato  e  per  la
misura della sanzione prevista, quest'ultima  appaia  ragionevolmente
'proporzionata'   rispetto   all'intera   gamma   di    comportamenti
riconducibili allo specifico tipo di reato" (sentenze n. 222 del 2018
e, nello stesso senso, n. 50 del 1980)». 
    La Corte ha, tuttavia, esteso  i  medesimi  principi  anche  alle
sanzioni amministrative, anzitutto  a  quelle  c.d.  punitive  (ossia
quelle previste quali reazioni alla commissione di un illecito), alle
quali sono state ritenute estensibili talune delle garanzie  previste
per gli illeciti penali (cfr. Corte costituzionale n. 223  del  2018,
n. 68 del 2017, n. 276 del 2016, n. 104 del 2014 e n. 196 del 2010). 
     Successivamente la Corte ha ritenuto assoggettabili al sindacato
di proporzionalita'  anche  le  sanzioni  amministrative  non  aventi
carattere punitivo e alle norme sanzionatorie in generale (cfr. Corte
costituzionale n. 112/2019: «non puo' dubitarsi che il  principio  di
proporzionalita' della sanzione rispetto alla gravita'  dell'illecito
sia applicabile anche alla generalita' delle sanzioni amministrative.
Come  anticipato,  questa  Corte  ha  gia',  in  numerose  occasioni,
invocato tale principio - anche in relazione  a  misure  delle  quali
veniva espressamente negata  la  natura  "punitiva"  (come  nel  caso
deciso dalla sentenza n. 22 del 2018) - a fondamento di dichiarazioni
di  illegittimita'  costituzionale   di   automatismi   sanzionatori,
ritenuti non conformi al principio in questione proprio perche'  esso
postula "l'adeguatezza della sanzione al caso concreto";  adeguatezza
che  "non  puo'  essere  raggiunta  se  non  attraverso  la  concreta
valutazione  degli  specifici  comportamenti  messi  in  atto   nella
commissione dell'illecito" (sentenza n. 161 del  2018;  nello  stesso
senso, ex multis, sentenze n. 268 del 2016 e n. 170 del 2015). 
    8.2.3.  -  Il  principio  di  proporzionalita'   della   sanzione
possiede,   peraltro,   potenzialita'   applicative   che    eccedono
l'orizzonte degli automatismi legislativi, come dimostra  proprio  la
giurisprudenza relativa alla materia penale appena  rammentata,  e  i
cui principali approdi sono  estensibili  anche  alla  materia  delle
sanzioni  amministrative,  rispetto  alla  quale  -  peraltro  -   il
principio in parola non trae la propria base normativa dal  combinato
disposto degli articoli 3 e 27 della Costituzione, bensi' dall'art. 3
della Costituzione in combinato disposto con le norme  costituzionali
che tutelano i diritti di volta in volta incisi dalla sanzione.»). 
    E', dunque, per l'intera materia sanzionatoria che  la  Corte  ha
affermato in linea di  principio  la  contrarieta'  delle  previsioni
sanzionatorie rigide al principio di proporzionalita' (Corte Cost. n.
40/2023: «le previsioni  sanzionatorie  rigide,  "che  colpiscono  in
egual modo, e quindi equiparano, fatti in qualche misura  differenti,
debb[o]no rispondere al principio di ragionevolezza" (sentenza n. 212
del 2019). Di qui l'esigenza di verificare che la  sanzione  non  sia
manifestamente sproporzionata anche in relazione alle  condotte  meno
gravi (sentenze n. 95 del 2022, n. 185 del 2021 e n. 112 del 2019)»). 
    Pertanto,  si  e'  affermato   che   «Pure   "per   le   sanzioni
amministrative  si  prospetta,  dunque,  l'esigenza  che  non   venga
manifestamente meno un rapporto di congruita' tra la  sanzione  e  la
gravita' dell'illecito sanzionato" (sentenza n. 185 del  2021).  Cio'
discende,  appunto,  dal  dovere  di  assicurare   l'attuazione   del
principio di proporzionalita', il quale, in questo  ambito,  trae  il
proprio  fondamento  nell'art.  3  della  Costituzione  in  combinato
disposto con le norme costituzionali che tutelano i diritti di  volta
in volta incisi dalla sanzione (sentenze n. 112 e n. 88 del 2019). 
    Laddove il trattamento sanzionatorio previsto dal legislatore "si
riveli  manifestamente  irragionevole  a  causa  della  sua  evidente
sproporzione  rispetto  alla  gravita'  del   fatto",   dunque,   "un
intervento  correttivo  del  giudice  delle  leggi  e'  possibile   a
condizione che il trattamento  sanzionatorio  medesimo  possa  essere
sostituito  sulla  base  di  'precisi  punti  di  riferimento,   gia'
rinvenibili nel sistema legislativo', intesi  quali  'soluzioni  gia'
esistenti, idonee a eliminare o ridurre la manifesta irragionevolezza
lamentata'" (sentenze n. 222 del 2018, n. 236 del 2016; nello  stesso
senso, sentenza n. 40 del 2019)» (ancora cosi'  Corte  costituzionale
n. 40/2023). 
    5.2.4. La tematica del sindacato  di  proporzionalita'  e'  stata
approfondita, quanto alle sanzioni non punitive, anche  in  relazione
alle finalita' extra-retributive  che  esse  tipicamente  perseguono.
Tali  sanzioni,  infatti,  mirano  anche  alla  tutela  di  specifici
beni-interessi, suscettibili di essere lesi dalla condotta  illecita.
Tale tutela viene perseguita  calibrando  la  risposta  punitiva  non
soltanto alla gravita' del fatto, ma alla finalita' preventiva  avuta
di   mira,   ad   esempio   attraverso   una   misura   sanzionatoria
particolarmente elevata,  in  funzione  dissuasiva,  ovvero  mediante
l'imposizione di sospensioni o divieti  di  esercizio  di  diritti  o
liberta' volti a scongiurare l'approfondimento della lesione arrecata
all'ordinamento con la condotta illecita. 
    Orbene,  anche   tale   tipologia   di   sanzioni,   secondo   la
giurisprudenza costituzionale piu' recente soggiace ad  un  sindacato
di  proporzionalita',   piu'   spesso   declinato   in   termini   di
congruita'/idoneita'  della  risposta  sanzionatoria  rispetto   alla
finalita' extraretributiva e di non eccessiva gravosita' della stessa
rispetto  all'esercizio  di  diritti  e  liberta'  costituzionalmente
garantite, talvolta  sulla  base  di  uno  schema  argomentativo  che
ricalca la c.d. struttura tri-fasica del giudizio di proporzionalita'
di derivazione tedesca ed eurounitaria. 
    Con  la  sentenza   n.   170/2015,   la   Corte   ha   dichiarato
costituzionalmente   illegittima   la   sanzione    dell'obbligatorio
trasferimento ad altra sede del magistrato che sia  stato  sanzionato
per l'ipotesi  di  cui  all'art.  2,  comma  1,  lettera  a)  decreto
legislativo n. 109/2006 (ossia per comportamenti che «a) fatto  salvo
quanto previsto dalle lettere b), c), g) e m) ..., violando i  doveri
di cui all'art. 1, arrecano ingiusto danno o  indebito  vantaggio  ad
una delle parti»). 
    La Corte, ha ritenuto anche la suddetta  sanzione  -  alla  quale
viene   espressamente   riconosciuta   natura   non    esclusivamente
retributiva, essendo volta  anche  a  preservare  il  buon  andamento
dell'attivita'  giurisdizionale  nella  sede  di   servizio   -   sia
assoggettabile al vaglio di proporzionalita'. 
    Ha  evidenziato,  infatti,  come,  secondo  il  proprio  costante
orientamento,  «il  "principio  di  proporzione",  fondamento   della
razionalita'  che  domina  "il  principio  di  eguaglianza",  postuli
l'adeguatezza  della  sanzione  al  caso  concreto;   e   come   tale
adeguatezza non possa essere raggiunta se non attraverso la  concreta
valutazione  degli  specifici  comportamenti  messi  in  atto   nella
commissione dell'illecito, valutazione che soltanto  il  procedimento
disciplinare consente (sentenze n. 447 del 1995, n. 197 del 1993,  n.
16 del 1991, n. 40 del 1990 e n. 971 del  1988).»  e  che,  pertanto,
«Ferma, dunque,  restando  la  discrezionalita'  del  legislatore  di
prevedere l'indefettibile adozione  di  sanzioni  accessorie,  quando
cio' sia giustificato dalla peculiarita'  della  situazione  fattuale
generatrice dell'illecito, nonche' dalla sussistente correlazione tra
tale situazione e la gravita' della sanzione  (sentenza  n.  112  del
2014), l'ordinamento e' orientato verso la tendenziale esclusione  di
previsioni  sanzionatorie  rigide,  la  cui  applicazione   non   sia
conseguenza di un riscontrato confacente rapporto di adeguatezza  col
caso concreto, e rispetto  alle  quali  l'indispensabile  gradualita'
applicativa non sia oggetto di  specifica  valutazione  nel  naturale
contesto del procedimento giurisdizionale (ex plurimis, sentenze n. 7
del 2013, n. 31 del  2012  e  n.  363  del  1996)  ovvero  in  quello
disciplinare (ex plurimis, sentenze n. 329 del 2007, n. 212 e n.  195
del 1998, n. 363 del 1996).». 
    Anche in tale ipotesi la Corte costituzionale,  pur  riconoscendo
la natura non esclusivamente retributiva della sanzione l'ha ritenuta
contrastante con i principi  di  proporzionalita'  e  adeguatezza  in
quanto suscettibile di essere applicata obbligatoriamente  nonostante
l'assenza  di  una   connotazione   di   particolare   gravita'   dei
comportamenti  contestati  (tenuto  conto  dell'ampio   e   variegato
ventaglio di condotte sussumibili entro  il  paradigma  dell'art.  2,
comma 1, lettera a), e  in  quanto  svincolata  da  un  controllo  di
congruita' della misura con il fine, ulteriore e diverso  rispetto  a
quello repressivo dello  specifico  illecito  disciplinare,  da  essa
perseguito. 
    La Corte, dunque, ha ritenuto che anche  le  sanzioni  accessorie
non  aventi  natura  esclusivamente   retributiva   soggiacciano   al
principio di proporzionalita', con la precisazione che il  vaglio  di
legittimita' costituzionale sotto tale profilo dovra' riguardare  sia
la gravita' della sanzione,  che  la  sua  congruita'  rispetto  alla
finalita' ulteriore (rispetto a quella retributiva) perseguita. 
    5.2.5.  Tanto  premesso,  dalla   giurisprudenza   costituzionale
pronunciatasi  nella  materia   emergono   le   seguenti   coordinate
ermeneutiche. 
    Si e' affermato che le sanzioni (anche disciplinari) stabilite in
misura fissa si pongono in un rapporto di potenziale conflitto con  i
principi di ragionevolezza e proporzionalita' rispetto alla  gravita'
dell'illecito. 
    Pertanto esse sono da ritenersi in contrasto con l'art.  3  della
Costituzione, salvo che la sanzione non  risulti  non  manifestamente
irragionevole rispetto all'intera gamma delle condotte alle quali  la
sanzione stessa e' destinata ad applicarsi. (cfr. sentenza n. 51  del
2024, in cui la Corte ha  affermato:  «Quanto  alla  proporzionalita'
della sanzione disciplinare, il requisito puo',  normalmente,  essere
soddisfatto  soltanto  da  una  valutazione  individualizzata   della
gravita' dell'illecito, alla quale  la  risposta  sanzionatoria  deve
essere   calibrata   (su   questo   corollario   del   principio   di
proporzionalita' rispetto a ogni tipologia di sanzione,  sentenza  n.
112 del 2019, punto 8.1.4. del Considerato in diritto, nonche'  -  in
materia penale - sentenza n. 197 del 2023, punti 5.2.1. e 5.5.1.  del
Considerato  in  diritto).  Le  sanzioni  fisse  sono,  per   contro,
tendenzialmente in contrasto con questo principio, a meno che -  come
questa Corte ha ritenuto nel caso deciso con la sentenza n.  197  del
2018 (punto 8 del  Considerato  in  diritto)  -  esse  risultino  non
manifestamente   sproporzionate   rispetto   all'intera   gamma   dei
comportamenti riconducibili alla fattispecie  astratta  dell'illecito
sanzionato (ancora in materia penale, sentenze n. 195 del 2023, punto
6.1. del Considerato in  diritto;  n.  94  del  2023,  punto  13  del
Considerato in diritto; n. 222 del 2018, punto 7.1.  del  Considerato
in diritto; nonche', in materia di sanzioni amministrative,  sentenze
n. 40 del 2023, punto 5.2. del Considerato in  diritto;  n.  266  del
2022, punto 5.4.3. del Considerato in diritto; n. 185 del 2021, punto
6 del Considerato in diritto). 
    Al di fuori di questa ipotesi, che presuppone un certo  grado  di
omogeneita'  della  fattispecie  astratta  sotto  il  profilo   della
gravita'  delle  condotte  a  essa   riconducibili,   il   corollario
dell'individualizzazione della sanzione esige una  gradualita'  della
risposta,  affinche'  essa  possa  risultare  adeguata  al   concreto
disvalore della condotta.»). 
    Con riguardo al rispetto del principio  di  ragionevolezza  e  di
uguaglianza, nella  sentenza  n.  197/2018,  la  Corte  ha,  inoltre,
affermato che esso  risulta  rispettato  laddove  la  fattispecie  di
illecito meno grave tra quelle che  comportano  l'applicazione  della
sanzione, sia connotata da un grado di disvalore tale da rendere  non
manifestamente sproporzionata la comminatoria della sanzione  stessa,
nonche'  quando  possa  ritenersi  sussistente  un  certo  grado   di
omogeneita' tra le fattispecie sanzionate («Essenziale e  sufficiente
a garantire il rispetto del principio  di  eguaglianza  e',  in  tali
ipotesi, che anche la fattispecie di illecito meno grave  tra  quelle
che comportano l'applicazione della  sanzione  massima  prevista  dai
diversi rami  dell'ordinamento,  isolatamente  considerata,  sia  pur
sempre connotata da un grado di disvalore tale da rendere  (sotto  il
profilo   "intrinseco")   non   manifestamente   sproporzionata    la
comminatoria della sanzione massima. A prescindere, dunque, dalla sua
eventuale minore gravita' rispetto alle altre fattispecie  accomunate
dalla medesima sanzione massima. 
    Ove risulti, invece, impredicabile un simile giudizio  o  perche'
la  sanzione  risulta  manifestamente  sproporzionata  rispetto  alla
gravita'  della  condotta,  o   perche'   le   condotte   sussumibili
all'interno della fattispecie sanzionatoria astratta sono eterogenee,
la sanzione  e'  stata  ritenuta  contrastante  con  l'art.  3  della
Costituzione poiche' non consente al giudice disciplinare di graduare
la risposta sanzionatoria in relazione  alla  concreta  gravita'  dei
molteplici casi di specie suscettibili  di  essere  ricondotti  sotto
l'astratta previsione normativa.»). 
    Nel caso analogo a quello oggetto del giudizio a quo (Corte cost.
sentenza 23 giugno 2015, n. 170), nel quale la Corte si  e'  occupata
della  legittimita'  costituzionale  di   una   sanzione   accessoria
(l'obbligatorio trasferimento ad altra sede del  magistrato  che  sia
stato sanzionato per l'ipotesi di cui all'art. 2, comma 1,  lett.  a)
decreto legislativo n. 109/2006 (ossia  l'aver  tenuto  comportamenti
che «violando  i  doveri  di  imparzialita',  correttezza,  diligenza
laboriosita' ed equilibrio  e  di  rispetto  per  la  dignita'  della
persona, arrechi ingiusto danno o indebito  vantaggio  ad  una  delle
parti»), la questione e' stata dichiarata fondata, proprio perche' la
sanzione del trasferimento d'ufficio ad altra sede era prevista  come
obbligatoria anche in caso di condotte non connotate  da  particolare
gravita' e in assenza di ogni valutazione di congruita' della  misura
rispetto al perseguimento della funzione ulteriore (rispetto a quella
retributivo-disciplinare) da essa perseguito («evitare che,  data  la
condotta tenuta dal magistrato, la sua permanenza nella stessa sede o
ufficio   appaia    in    contrasto    con    il    buon    andamento
dell'amministrazione della giustizia.»). 
    La Corte, inoltre, in talune ipotesi ha  fatto  applicazione  del
c.d. test di proporzionalita' di elaborazione tedesca ed eurounitaria
per operare la propria valutazione. La giurisprudenza  costituzionale
ha  chiarito  che  «in  presenza  di  una  questione  concernente  il
bilanciamento tra due diritti, il giudizio  di  ragionevolezza  sulle
scelte legislative  si  avvale  del  test  di  proporzionalita',  che
richiede di valutare se la norma oggetto di scrutinio, con la  misura
e le modalita' di applicazione stabilite, sia necessaria e idonea  al
conseguimento di obiettivi legittimamente perseguiti, in quanto,  tra
piu'  misure  appropriate,  prescriva  quella  meno  restrittiva  dei
diritti a confronto e stabilisca oneri non sproporzionati rispetto al
perseguimento di detti obiettivi (ex plurimis, sentenze  n.  260  del
2021, n. 20 del 2019 e n. 137  del  2018).»  (cosi'  Corte  cost.  n.
88/2023). 
    5.2.6. Compendiando i  parametri  ermeneutici  sopra  richiamati,
dunque, il Collegio ritiene che la sanzione accessoria «automatica» e
«fissa» possa  superare  il  vaglio  di  costituzionalita'  sotto  il
profilo del rispetto del principio di necessaria proporzionalita'  se
risultino soddisfatte le due seguenti condizioni: 
        se tutte le condotte alle  quali  la  misura  e'  applicabile
siano connotate da un grado di disvalore minimo tale che la  sanzione
non possa ritenersi manifestamente  sproporzionata  per  ciascuna  di
esse (il che implica che, ove le condotte siano graduabili in termini
di  gravita',  la   sanzione   deve   apparire   non   manifestamente
sproporzionata in relazione alla condotta meno grave tra quelle  alle
quali si applica); 
        se avuto riguardo a ciascuna delle  condotte  alle  quali  e'
applicabile, la misura risulti congrua rispetto al perseguimento  del
fine ulteriore (e diverso da quello retributivo)  da  essa  avuto  di
mira; 
        se la restrizione apportata con l'applicazione della sanzione
ai diritti e alle liberta' protette dalla Costituzione risulti idonea
al perseguimento del fine avuto di mira, necessaria a  tale  scopo  e
non  eccessivamente  restrittiva  del  diritto   o   della   liberta'
compressa. 
    Nel caso della sanzione prevista  dall'art.  89,  secondo  comma,
secondo periodo R.D. n. 1592/1933, nessuna delle suddette  condizioni
appare soddisfatta e, pertanto, si configura  un  contrasto  di  tale
previsione con l'art. 3 in combinato disposto con gli artt. 2, 4 e 35
della Costituzione, essendo il divieto di assumere cariche di vertice
per dieci anni  sproporzionato  ed  eccessivamente  limitativo  delle
prospettive di sviluppo professionale del professore  quantomeno  con
riguardo alle condotte di non rilevante gravita' «comune  lesive  del
prestigio e dell'onore del professore». 
    5.2.7 Quanto  al  primo  profilo,  il  Collegio  osserva  che  le
condotte soggette alla sanzione della  sospensione  fino  a  un  anno
prevista dall'art. 87, primo comma, n. 2 regio decreto  n.  1592/1933
sono di varia gravita' e natura e dunque tra loro non omogenee. 
    Le fattispecie di illecito alle quali  essa  e'  applicabile  non
sono predeterminate. 
    Fatto salvo quanto previsto  per  la  censura  dall'art.  88,  il
legislatore  ha  rimesso   alla   discrezionalita'   dell'Ateneo   di
individuare, in base al principio  di  proporzionalita',  le  singole
condotte assoggettabili a ciascuna tipologia di  sanzione,  essendosi
limitato  a  definire  le  tipologie  di  sanzioni   applicabili   ai
professori, graduate in base al loro grado di afflittivita'. 
    Poiche' la sanzione della sospensione dal servizio fino a un anno
e' la meno grave tra  le  sanzioni  diverse  dalla  censura,  da  una
lettura sinottica degli articoli 87, 88 e 89 R.D. n. 1592/1922,  puo'
affermarsi che le condotte punibili con la  sospensione  sono  quelle
meno gravi rientranti nelle categorie elencate all'art. 89 («a) grave
insubordinazione; b) abituale  mancanza  ai  doveri  di  ufficio;  c)
abituale irregolarita' di condotta; d) atti in genere,  che  comunque
ledano la dignita' o l'onore del professore.») per le quali  non  sia
applicabile la censura.  Ai  sensi  dell'art.  88  regio  decreto  n.
1592/1933, la censura e' applicabile in caso  di  mere  «mancanze  ai
doveri d'ufficio o per irregolare  condotta,  che  non  costituiscano
grave insubordinazione e che non siano tali da ledere la  dignita'  e
l'onore del professore.». 
    La sanzione di cui all'art. 87, primo comma,  n.  2,  quindi,  e'
applicabile ad un ampio ventaglio  di  fattispecie  di  illecito:  da
mancanze gravi o abituali agli obblighi d'ufficio ad  atti  che,  pur
non integrando una grave o abituale violazione dei suddetti obblighi,
siano  idonei  «comunque»  a  ledere  la  dignita'  e   l'onore   del
professore. 
    Con specifico riguardo a tale ultima  ipotesi,  il  novero  delle
fattispecie  rilevanti  puo'  essere  molto  ampio  e  variegato.  La
fattispecie di illecito costituita  dagli  «atti  comunque  idonei  a
ledere  la  dignita'  e  l'onore  del  professore»  utilizzando   una
categoria penalistica, puo' descriversi come «causalmente  orientata»
ed  e'  suscettibile  di  comprendere  al  suo  interno   (attraverso
l'avverbio «comunque») anche condotte non intenzionali, o che, per le
circostanze del caso concreto (ad esempio, perche'  contenuta  in  un
contesto circoscritto), possono ritenersi di lieve entita'. 
    In un siffatto contesto, la previsione di una sanzione ad effetto
automatico e di una durata predeterminata  significativamente  lunga,
appare manifestamente sproporzionata,  poiche',  anche  a  fronte  di
condotte non connotate da particolare gravita', o con effetti  lesivi
non rilevanti, preclude un significativo sviluppo della carriera  del
professore per un notevole lasso di tempo senza  che  sia  possibile,
per  l'organo  titolare  del   potere   disciplinare,   valutare   la
proporzionalita' del divieto, ovvero graduarlo nel tempo in base alla
gravita' della condotta, e alla  lesione  concretamente  arrecata  al
bene interesse che la sanzione stessa intende tutelare. 
    Emblematico e' il caso di specie, in cui la ricorrente ha  subito
la sanzione disciplinare della sospensione dal servizio  (poiche'  la
condotta e' stata ritenuta lesiva della  dignita'  e  dell'onore  del
professore)  ma  nella  misura  minima  di  un   mese,   proprio   in
considerazione   dell'entita'   del   fatto   e   della    sua    non
intenzionalita', ma soggiace ex lege al divieto  per  dieci  anni  di
assumere cariche di vertice, retrocedendo dal suo attuale status. 
    Non sembra potersi revocare in dubbio che il divieto di nomina  a
cariche direttive per dieci anni, pur rispondendo anche ad una logica
extra-disciplinare costituisca una misura particolarmente afflittiva,
specie nel caso in cui, in ragione dell'eta' anagrafica raggiunta  al
momento dell'irrogazione della sanzione, il professore abbia  davanti
a se' un periodo di servizio pari o inferiore a dieci  anni,  poiche'
in tal caso gli sarebbe definitivamente preclusa ogni prospettiva  di
aspirare  a  cariche  di  vertice.  L'applicazione  della   sanzione,
inoltre, puo' determinare finanche  un  arretramento  nello  sviluppo
della carriera,  per  quei  professori  che,  ricoprendo  al  momento
dell'irrogazione della sanzione, una delle cariche direttive  oggetto
di divieto, vedano necessariamente retrocedere il proprio status. 
    Da  cio'  emerge,  pertanto,  in  violazione  dell'art.  3  della
Costituzione,  l'ingiustificata  compressione  dell'aspirazione   del
professore allo sviluppo della propria carriera  la  quale,  pur  non
formando oggetto di  un  diritto  immediatamente  riconosciuto  dalla
Costituzione,  e'  da  essa  tutelato  in  quanto  espressione  della
personalita'   dell'individuo   che   si    esplica    nell'esercizio
dell'attivita' lavorativa,  nell'ambito  della  quale,  alla  stregua
dell'art. 35 della Costituzione,  la  Repubblica  cura  «l'elevazione
professionale». La norma, dunque, risulta in contrasto con l'art.  3,
in combinato disposto con gli articoli 2, 4 e 35 della Costituzione. 
    5.2.8. La sanzione di  cui  all'art.  89,  comma  secondo,  regio
decreto n. 1592/1933,  inoltre,  neppure  appare  proporzionata  (con
riguardo alle  condotte  di  non  particolare  gravita'  che  abbiano
«comunque»  arrecato  una  lesione  alla  dignita'  e  all'onore  del
professore) rispetto al «fine ulteriore» (rispetto a quello punitivo)
che ad essa e' correlato e che puo' essere identificato nella  tutela
del buon andamento  dell'attivita'  amministrativa,  suscettibile  di
essere leso nel caso in cui cariche di  vertice  siano  ricoperte  da
soggetti che si siano resi inadempienti agli obblighi derivanti dalla
funzione svolta, nonche' del prestigio dell'Ateneo,  suscettibile  di
subire pregiudizio nel caso in cui l'Istituzione sia rappresentata ai
propri vertici da professori destinatari di sanzioni  disciplinari  o
che con i loro comportamenti abbiano arrecato nocumento alla  propria
reputazione (la «dignita'» e l'«onore» del professore). 
    Il legislatore ha ritenuto che le condotte violative in forma non
lieve degli obblighi concernenti l'esercizio  delle  funzioni  ovvero
«comunque» lesive della dignita' e dell'onore del professore  possano
perdere  la  propria  attitudine  pregiudicante  decorsi  dieci  anni
dall'irrogazione della sanzione a prescindere  dalla  gravita'  della
condotta sanzionata. 
    Ha, dunque, riconosciuto al trascorrere del tempo  una  capacita'
«ripristinatoria» dell'«affidabilita' professionale» e del  prestigio
del docente e dell'Ateneo stesso. 
    Non ha,  tuttavia,  considerato  il  dato  di  comune  esperienza
secondo cui anche il lasso di tempo  necessario  alla  reintegrazione
«dell'affidabilita' professionale» e del «buon nome»  del  professore
(e di riflesso dell'Ateneo), a sua volta, puo' variare in  base  alla
minore  o  maggiore  gravita'  della  condotta,  nonche'  del  vulnus
arrecato al bene giuridico tutelato. 
    Un fatto non grave o che abbia  suscitato  un  clamore  mediatico
limitato quanto a intensita' e contesto sara' suscettibile di  essere
piu' rapidamente reintegrato per mezzo di condotte di segno opposto a
quelle censurate e «dimenticato» in  un  tempo  certamente  inferiore
rispetto a quello necessario a far cessare il clamore  per  un  fatto
grave che abbia assunto rilievo nazionale. 
    Il legislatore, invece, ha  previsto  il  divieto  di  elettorato
passivo in misura fissa per dieci anni quale  conseguenza  necessaria
dell'irrogazione della sanzione della sospensione del servizio fino a
un anno di cui all'art. 87, primo comma,  n.  2  R.D.  n.  1592/1933,
anche  per  condotte  non  connotate  da  rilevante  gravita'  e  non
suscettibili di arrecare un rilevante pregiudizio  della  reputazione
del professore o dell'Ateneo (sono sufficienti  atti  che  «comunque»
ledano il  prestigio  e  l'onore  del  professore)  senza  consentire
all'organo  titolare  del   potere   disciplinare   una   valutazione
improntata al principio di proporzionalita'. 
    Com'e' noto il c.d. test di proporzionalita' impone una  triplice
valutazione:  «l'idoneita'»  della  sanzione  rispetto  al  fine   da
perseguire, la «necessita'» della restrizione  per  il  perseguimento
del fine stesso (da intendersi come verifica che la sanzione irrogata
costituisca  il  rimedio  meno  restrittivo  tra  quelli   idonei   a
perseguire la finalita') e la proporzionalita' in senso stretto, ossi
la non manifesta sproporzione del mezzo rispetto al fine. 
    La sanzione accessoria in questione, essendo  obbligatoria  e  in
misura  fissa,  non   consente   all'organo   titolare   del   potere
disciplinare di valutare in relazione alla gravita'  della  condotta,
in special modo la «necessita'» della misura per  il  ripristino  del
«prestigio»  dell'Istituzione,  ne'  la   stretta   proporzionalita',
imponendo un divieto di dieci anni di  assumere  cariche  di  vertice
anche per condotte  che,  pur  presentando  un'idoneita'  lesiva  del
prestigio del professore, non  necessiterebbero  di  un  tempo  cosi'
lungo per consentirne il ripristino. 
    5.2.9. Ne' puo'  ritenersi  che  la  graduazione  della  sanzione
accessoria possa essere effettuata nell'ambito delle valutazioni  che
presiedono all'applicazione della  sanzione  principale  (sospensione
dal servizio fino ad un anno di cui all'art. 87, primo  comma,  n.  2
regio decreto n. 1592/1933). Come si e' gia' avuto modo di osservare,
la  sanzione  disciplinare  «principale»  meno   grave   tra   quelle
applicabili ai professori universitari e' costituita  dalla  censura,
che, tuttavia puo' essere irrogata solo  se  le  condotte  contestate
«non costituiscano grave  insubordinazione»  e  «non  siano  tali  da
ledere la dignita' e l'onore del professore».  Qualora  la  condotta,
dunque, non sia grave, ma  sia  «comunque  lesiva  della  dignita'  e
dell'onore  del  professore»  nessuna  sanzione  meno   grave   della
sospensione dal servizio e' irrogabile, con la conseguente necessaria
applicazione dell'ulteriore misura di divieto di conseguire incarichi
di vertice per dieci anni. 
    6. In conclusione, sulla  scorta  delle  coordinate  ermeneutiche
rinvenibili dalla giurisprudenza costituzionale sopra citata,  appare
non   manifestamente   infondata   la   questione   di   legittimita'
costituzionale dell'art. 89, secondo  comma,  secondo  periodo  regio
decreto n. 1592/1933 per contrasto con i principi di proporzionalita'
e ragionevolezza di cui all'art. 3 della Costituzione, nella parte in
cui fa  discendere  quale  conseguenza  necessaria  dell'applicazione
della sanzione di cui all'art. 87, primo comma, n. 2 regio decreto n.
1592/1933, ove essa  venga  irrogata  in  relazione  a  condotte  che
abbiano  compromesso  l'onore   e   la   dignita'   del   professore,
l'ineleggibilita' alle  cariche  di  Rettore  dell'universita'  o  di
direttore di istituzione universitaria per il periodo di  dieci  anni
senza attribuire all'organo titolare del  potere  disciplinare  alcun
potere  discrezionale  che  possa  consentire,  sulla  base  di   una
valutazione di proporzionalita', di non applicare la sanzione,  o  di
graduarne la durata in base alla gravita' della condotta e  dei  suoi
effetti. 
    7. In conclusione: 
        i motivi da uno a quattro articolati nel ricorso introduttivo
vanno dichiarati infondati; 
        per lo scrutinio del ricorso per motivi aggiunti il  processo
va sospeso ai sensi e per gli effetti degli articoli 79 e 80 c.p.a. e
295  del  codice  di  procedura   civile,   rimettendo   alla   Corte
costituzionale  la  questione  di  costituzionalita'  dell'art.   89,
secondo  comma,  secondo  periodo  regio  decreto  n.  1592/1933,  in
riferimento all'art. 3, in combinato disposto con gli articoli 2, 4 e
35 della Costituzione. 
    45.  Ogni  ulteriore  statuizione  e'  riservata  alla  decisione
definitiva. 

 
                                P.Q.M. 
 
    Il Tribunale amministrativo  regionale  della  Campania  (Sezione
seconda), non definitivamente pronunciando sul ricorso e  sui  motivi
aggiunti, come in epigrafe proposti: 
        respinge il ricorso introduttivo quanto ai motivi da  1  a  4
del ricorso introduttivo; 
        per la disamina  delle  censure  contenute  nel  ricorso  per
motivi aggiunti, visto l'art. 23 della legge 11 marzo  1953,  n.  87,
dichiara rilevante e non manifestamente infondata, ai sensi dell'art.
23 della legge 11 marzo 1953, n. 87,  la  questione  di  legittimita'
costituzionale dell'art. 89, secondo comma, secondo periodo  R.D.  n.
1592/1933 per violazione dell'art. 3, in combinato disposto  con  gli
articoli  2,  4  e  35  della  Costituzione  nei  sensi  di  cui   in
motivazione; 
        sospende il presente giudizio ai sensi dell'art. 79, comma  1
c.p.a.; 
        dispone, a cura della  segreteria,  l'immediata  trasmissione
degli atti alla Corte costituzionale; 
        rinvia ogni ulteriore statuizione in rito, nel merito e sulle
spese   di   lite,   all'esito   del    giudizio    incidentale    di
costituzionalita'. 
    Ordina che la presente ordinanza sia  notificata,  a  cura  della
segreteria, a tutte le parti  in  causa,  e  che  sia  comunicata  al
Presidente del Senato della Repubblica, al  Presidente  della  Camera
dei deputati e al Presidente del Consiglio dei ministri. 
    Ordina che  la  presente  sentenza  sia  eseguita  dall'autorita'
amministrativa. 
    Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'art. 52, commi 1
e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 (e degli articoli
5 e 6 del regolamento (UE) 2016/679  del  Parlamento  europeo  e  del
Consiglio del 27 aprile 2016), a tutela dei diritti o della  dignita'
della  parte  interessata,  manda  alla   segreteria   di   procedere
all'oscuramento delle generalita' della parte ricorrente  e  di  ogni
dato atto a identificarla. 
    Cosi' deciso in Napoli nelle camere di consiglio  dei  giorni  22
gennaio 2025, 30 aprile 2025, con l'intervento dei magistrati: 
        Anna Pappalardo, Presidente; 
        Maria Barbara Cavallo, consigliere; 
        Mariagiovanna Amorizzo, Primo referendario, estensore; 
 
                      Il Presidente: Pappalardo 
 
 
                                                L'estensore: Amorizzo