Reg. ord. n. 199 del 2025 pubbl. su G.U. del 22/10/2025 n. 43
Ordinanza del Tribunale di La Spezia del 13/03/2025
Tra: H. B.
Oggetto:
Processo penale – Sospensione del procedimento con messa alla prova – Reati di cui all’art. 73, comma 5, del d.P.R. n. 309 del 1990 (reati di “piccolo spaccio”) – Mancato inserimento nel novero dei reati di cui all'art. 550, comma 2, lettera c), cod. proc. pen. (casi di citazione diretta a giudizio), ai fini della possibilità di chiedere la sospensione del procedimento con messa alla prova - Disparità di trattamento rispetto a fattispecie analoghe - Violazione dei principi di uguaglianza e di ragionevolezza - Violazione del principio della finalità rieducativa della pena.
Norme impugnate:
codice di procedura penale
del
Num.
Art. 168
codice di procedura penale
del
Num.
Art. 550
decreto del Presidente della Repubblica
del 09/10/1990
Num. 309
Art. 73
Co. 5
Parametri costituzionali:
Costituzione
Art. 3
Co.
Costituzione
Art. 27
Co. 3
Testo dell'ordinanza
N. 199 ORDINANZA (Atto di promovimento) 13 marzo 2025
Ordinanza del 13 marzo 2025 del Tribunale di La Spezia nel
procedimento penale a carico di H. B..
Processo penale - Sospensione del procedimento con messa alla prova -
Reati di cui all'art. 73, comma 5, del d.P.R. n. 309 del 1990
(reati di "piccolo spaccio") - Mancato inserimento nel novero dei
reati di cui all'art. 550, comma 2, lettera c), cod. proc. pen.
(casi di citazione diretta a giudizio), ai fini della possibilita'
di chiedere la sospensione del procedimento con messa alla prova.
- Codice penale, art. 168-bis, in combinato disposto con l'art. 550
del codice di procedura penale e con l'art. 73, comma 5, del d.P.R.
9 ottobre 1990, n. 309 (Testo unico delle leggi in materia di
disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione,
cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza).
(GU n. 43 del 22-10-2025)
TRIBUNALE ORDINARIO DELLA SPEZIA
Sezione penale
Il giudice dott.ssa Carolina Gagliano, a scioglimento della
riserva assunta all'udienza del 19 settembre 2024 sull'eccezione di
costituzionalita' proposta dalla difesa dell'imputato B... H..., in
atti meglio generalizzato, imputato nell'ambito del procedimento
indicato in epigrafe, reiterata all'udienza del 13 marzo 2025;
Pronuncia la seguente ordinanza
di rimessione della questione di legittimita' costituzionale del
combinato disposto degli articoli 168-bis del codice penale, 550 del
codice di procedura penale e 73, comma quinto, decreto del Presidente
della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309.
Motivi
l. Fatto e processo a quo.
All'udienza del 26 agosto 2024, il p.m. presso il Tribunale della
Spezia presentava l'imputato B H per la convalida dell'arresto
eseguito nei suoi confronti dai Carabinieri del nucleo radiomobile di
... in relazione al delitto previsto all'art. 73, comma quarto
decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990.
Alla citata udienza, questo giudice convalidava l'arresto ma,
ritenuta l'insussistenza di esigenze cautelari in considerazione
dello stato di incensuratezza dell'imputato, dell'occasionalita' e
dell'episodicita' della fattispecie contestatagli e della sussistenza
dei presupposti per una prognosi positiva di ravvedimento e di
concessione all'esito del giudizio del beneficio della sospensione
condizionale, disponeva la sua immediata liberazione, senza disporre
l'applicazione di alcuna misura cautelare.
All'udienza del 19 settembre 2024, il p.m., in considerazione del
quantitativo di sostanza stupefacente rinvenuto nella disponibilita'
del B H riqualificava l'originaria contestazione, contestando la piu'
lieve ipotesi di reato ex art. 73, comma quinto decreto del
Presidente della Repubblica n. 309 del 1990 e l'imputato chiedeva
personalmente che il giudizio a suo carico venisse definito a mezzo
del rito alternativo della messa alla prova. Conseguentemente, la
difesa sollevava questione di legittimita' costituzionale dell'art.
73, comma quinto, decreto del Presidente della Repubblica n. 309,
come novellato dal decreto-legge n. l23 del 2023, rispetto ai
parametri costituzionali dettati dagli articoli 3 e 27 della
Costituzione. All'udienza del 13 marzo 2025, la difesa dell'imputato
reiterava la menzionata eccezione di costituzionalita'. Orbene, con
riferimento alla dedotta illegittimita' costituzionale,
Osserva
Questo giudice ravvisa la rilevanza della questione e la non
manifesta infondatezza della medesima nei termini che verranno di
seguito precisati - del combinato disposto degli articoli 73, comma
quinto, decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, come
modificato dal decreto-legge n. 123 del 2023, 168-bis codice penale e
550 codice di procedura penale per violazione degli articoli 3 e 27
della Costituzione in ragione del mancato inserimento dell'art. 73,
comma quinto, decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990
nel novero dei delitti contemplati nel disposto dell'art. 550, comma
secondo, in particolare alla lettera c), codice eli procedura penale
ovvero, in ogni caso, dell'art. 4, comma terzo, del decreto-legge 123
del 2023, nella parte in cui impedisce, quale risvolto processuale
della modificazione della cornice edittale della fattispecie fissando
il massimo edittale della pena a «cinque anni di reclusione»,
l'accesso dei soggetti a cui e' contestata la fattispecie delittuosa
eli cui al citato art. 73, comma quinto, al rito premiale della messa
alla prova e al conseguente effetto estintivo del reato ex art.
168-bis del codice di procedura penale.
2. L'individuazione del petitum.
Il contrasto della disposizione dell'art. 550, comma secondo,
codice di procedura penale rispetto al dettato costituzionale si
appunta sulla rilevata violazione degli articoli 3 e 27 della
Costituzione nella parte in cui la citata norma del codice di rito,
alla lettera c), non contempla, unitamente al reato di cui all'art.
82 del decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, anche
la previsione del delitto ex art. 73, comma quinto, del medesimo
testo normativo.
La violazione dei menzionati parametri di legittimita'
costituzionale, ritenuta sussitente da questo giudice, non discende
direttamente dall'impossibilita' di esercizio dell'azione penale in
relazione al delitto ex art. 73, comma quinto, decreto del Presidente
della Repubblica n. 309 del 1900 in luogo di forme di esercizio
ordinario della stessa, bensi', in considerazione dell'effetto
processuale scaturito dal combinato disposto degli articoli 168-bis,
comma primo, codice penale, e 550, comma secondo, codice di procedura
penale, dalla preclusione dell'effetto estintivo dell'art. 168-bis
del codice penale nei confronti dei soggetti a cui venga ascritta la
menzionata fattispecie delittuosa successivamente al 15 novembre
2023, ovvero in seguito all'entrata in vigore della legge del 13
novembre del 2023, n. 159, con cui e' stata disposta la conversione
del decreto-legge 15 settembre del 2023, n. 123.
La conseguente esclusione delle ipotesi di «lieve entita'» in
materia di stupefacenti dall'ambito applicativo della messa alla
prova appare confliggente con la ratio «acceleratoria» che permea
l'istituto di cui all'art. 550 del codice di procedura penale, che,
invero, consente di evitare la celebrazione dell'udienza preliminare
allorche' vengano contestati reati di agevole accertamento.
La rilevata irragionevolezza dell'eccettuazione del delitto ex
art. 73, comma quinto, decreto del Presidente della Repubblica n. 309
del 1990 dall'alveo dei reati nominalmente indicati dal comma secondo
della summenzionata norma del codice di rito si appalesa in modo
ancor piu' manifesto se si considera l'intervento normativa
modificativo dell'elenco nominativo di cui all'art. 550, comma
secondo, del codice di procedura penale.
Difatti, come noto, il decreto legislativo n. 150 del 2022, in
attuazione della legge di delega n. l34 del 2022, entrato in vigore
in data 30 dicembre 2022, ha esteso il novero dei reati per i quali
e' possibile procedere con decreto di citazione diretta alla luce di
due criteri: in primo luogo, il parametro formale di delitti per i
quali e' previsto un trattamento sanzionatorio compreso nel massimo
edittale tra quattro e sei anni di pena detentiva, anche se congiunto
alla pena della multa (trattasi, quindi, di fattispecie per cui e'
prevista una pena edittale piu' severa rispetto a quella contemplata
con riferimento ai delitti nel primo comma della disposto dell'art.
550 del codice di procedura penale) e, in secondo luogo, il criterio
sostanziale della non complessita' di accertamento.
Posto che astrattamente l'esclusione del delitto ex art. 73,
comma quinto, del decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del
1990 dall'ambito applicativo dell'art. 550 del codice di procedura
penale potrebbe rinvenire giustificazione in esigenze di accertamento
processuale quali, a tiolo esemplificativo, l'efficacia drogante
della sostanza stupefacente detenuta o ceduta, cio' non comporta
l'indeterminatezza del petitum sottoposto allo scrutinio di
legittimita' della Corte, avendo quest'ultima un autonomo potere di
valutazione della legittimita' costituzionale del disposto di cui
all'art. 168-bis del codice penale nella parte in cui non prevede che
possa accedere al rito speciale il soggetto a cui e' contestata la
fattispecie tipizzata dall'art. 73, comma quinto, decreto del
Presidente della Repubblica n. 309 del 1990.
3. La rilevanza della questione di legittimita' costituzionale.
La rilevanza della questione e' disvelata dalla circostanza che
la positiva valutazione compiuta dallo scrivente giudicante circa la
sussistenza dei presupposti applicativi del rito speciale della messa
alla prova incontra l'ostacolo normativa discendente dalla novella di
cui all'art. 4, comma terzo, del decreto-legge 20 marzo 2023, n. 123,
convertito dalla legge 13 novembre 2023, n. 159, che ha investito il
comma quinto dell'art. 73 del decreto del Presidente della Repubblica
n. 309 del 1990.
Difatti, nell'orizzonte valutativo del giudice investito della
richiesta di accesso al rito estintivo della sospensione del
procedimento con messa alla prova, disciplinato dalla legge del 28
aprile 2014, n. 67, si iscrive la possibilita' per il prevenuto di
ottenere l'estinzione dell'ipotesi contestata ponendo in essere
condotte finalizzate all'eliminazione delle conseguenze dannose
dell'illecito, risarcendo il danno provocato dal fatto rilevante ed
effettuando lavori di pubblica utilita' ovvero attivita' di rilevanza
sociale.
L'accesso a tale istituto si dipana attraverso un preliminare
processo valutativo incombente sul giudice investito della richiesta
di accesso al rito che si articola nel vaglio prescritto dal disposto
di cui all'art. 464-quater, comma terzo, del codice di procedura
penale circa l'assenza di evidenti cause di proscioglimento di cui
all'art. 129 del codice di rito e, in secondo luogo, nella
valutazione prognostica favorevole all'imputato di futura astensione
dalla commissione di ulteriori reati.
Nella fattispecie in esame, a fronte dell'esclusione da parte di
questo giudice di elementi che possano fondare l'emissione di una
sentenza di proscioglimento, si ritiene, per contro, possibile
formulare una prognosi favorevole al B...: rispetto all'astensione
dalla perpetrazione di altre fattispecie antigiuridiche: invero, si
osserva che l'imputato e', allo stato, incensurato e che non risulta
essere mai stato segnalato o indagato e che tali dati, unitamente
alla sua giovanissima eta', consentono di ritenere improbabile che
commettera' altri episodi delittuosi.
Nonostante l'esito positivo del menzionato scrutinio, il
prosieguo dell'attivita' valutati va del giudicante ai fini
dell'ammissione al rito della messa alla prova viene
irrimediabilmente compromesso dallo sbarramento normativa frapposto
dalla novella di cui all'art. 4, comma terzo, del decreto-legge 20
marzo 2023, n. 123, convertito dalla legge del 13 novembre 2023, n.
159, che ha investito il contestato quinto comma dell'art. 73,
decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990,
rideterminando il limite massimo edittale da quattro anni a cinque
anni di reclusione.
Orbene, a dispetto della valutazione favorevole al B... innanzi
sommariamente esposta, l'intervento normativa in parola impedirebbe
all'imputato di accedere all'istituto di cui all'art. 168-bis del
codice penale consentendolo, invero, ai soli reati puniti con la
«pena edittale detentiva non superiore nel massimo a quattro anni,
sola, congiunta o alternativa alla pena pecuniaria» oppure per i
«delitti indicati nel secondo comma dell'articolo 550 del codice di
procedura penale», ovvero i delitti per i quali al pubblico ministero
e' consentito l'esercizio dell'azione penale nelle forme della
citazione diretta a giudizio.
Conseguentemente, l'inasprimento del limite massimo edittale
della cornice sanzionatoria della violazione prevista dall'art. 73,
comma quinto, decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990
ha comportato che il delitto de quo e' sfuggito all'ambito
applicativo dell'istituto estintivo interessato dalla richiesta
avanzata dall'imputato.
Ne consegue l'evidente inerenza della disposizione censurata
all'area decisionale dello scrivente giudicante e la concreta
incidenza dell'eventuale decisione di accoglimento sul processo a
carico dell'imputato, configurandosi, nel caso di specie, in
considerazione delle circostanze appena rappresentate, un concreto ed
effettivo rapporto di strumentalita' e nesso di pregiudizialita' fra
la risoluzione della questione di legittimita' costituzionale e la
definizione del giudizio in corso a carico del B....
Difatti, l'isolamento normativa della fattispecie delittuosa
rispetto al novero dei delitti ammessi all'accesso al rito della
messa alla prova (e cio' anche allorquando si tratta di fattispecie,
come quelle previste dall'art. 550, comma secondo, del codice di
procedura penale, che, a seguito dell'intervento della legge delega
n. 134 del 2021, presentano un trattamento sanzionatorio compreso nel
massimo tra i quattro e i sei anni), unitamente alla gia' menzionata
positiva valutazione in ordine alla ricorrenza dei presupposti di
meritevolezza dell'imputato con riferimento all'ammissibilita'
dell'istanza, e' sufficiente a dimostrare la rilevanza della presente
questione di legittimita' costituzionale rispetto all'adozione della
decisione endoprocedimentale di ammissione dell'imputato al rito
richiesto e, dunque, dell'impossibilita' per questo giudice
rimettente di definire la controversia a quo indipendentemente dalla
risoluzione di tale questione incidentale.
4) Le norme che si assumono violate.
4.a) La paventata violazione dell'art. 3 della costituzione:
prinicipio di ugualianza e ragionevolezza.
L'esclusione del delitto di cui al comma quinto dell'art. 73 del
decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990 dall'accesso
al rito premiale della messa alla prova appare urtare con il
principio di ragionevolezza inteso come corollario del principio di
uguaglianza di cui all'art. 3 della Costituzione e canone di
«razionalita' pratica» che modera la discrezionalita' del Legislatore
e che consente alla consulta di accertare che "la legge, senza un
ragionevole motivo, faccia un trattamento diverso ai cittadini che si
trovano in situazione eguale (cfr. Corte costituzionale, ordinanza n.
15 del 1960), verificando l'eguaglianza ovvero la differenza delle
situazioni comparate e, quindi, la «giustificatezza» della disciplina
delle stessa, anche tenendo conto degli scopi della legge.
Orbene, a questo giudice rimettente non sfugge la
condivisibilita' dell'orientamento manifestato dalla Corte
costituzionale in punto di insindacabilita' sotto il profilo
costituzionale delle disposizioni normative foriere di preclusioni
dell'accesso, per alcune tipologie di reati, ai cosiddetti «riti
premiali» allorquando viene statuito che «in tali ipotesi,
l'individuazione delle fattispecie criminose da assoggettare al
trattamento piu' rigoroso - proprio in quanto basata su apprezzamenti
di politica criminale, connessi specialmente all'allarme sociale
generato dai singoli reati, il quale non e' necessariamente correlato
al mero livello della pena edittale - resta affidata alla
discrezionalita' del legislatore e le relative scelte possono venir
sindacate dalla Corte solo in rapporto alle mere disarmonie del
catalogo legislativo, allorche' la sperequazione normativa tra figure
omogenee di reati assuma aspetti e dimensioni tali da non potersi
considerare sorretto da alcuna ragionevole giustificazione» (Corte
costituzionale, ordinanza n. 455 del 2006).
Nondimeno, tenendo conto del carattere «aperto» del canone di
ragionevolezza e della necessita' che lo scrutinio del merito delle
scelte legislative sia adatti alla specificita' del caso concreto e
non si risolva in un mero raffronto tra due disposizioni normative ma
nella concreta verifica della capacita' di una data disciplina
normativa di attuare i valori costituzionali, si osserva che
l'esclusione del delitto di cui al menzionato art. 73, comma quinto,
dall'accesso al rito della messa alla prova non appare espressione di
una puntuale scelta di politica criminale ne' manifestazione della
discrezionalita' del Legislatore rispetto al soddisfacimento e
perseguimento di determinate finalita' o esigenze obiettive, quanto,
piuttosto, una conseguenza indiretta di un disallineamento tra la
normativa processuale e la fattispecie criminosa novellata.
Pertanto, la menzionata preclusione normativa discendente
dall'innalzamento del massimo edittale del delitto di cui al comma
quinto, dell'art. 73 del decreto del Presidente della Repubblica n.
309 del 1990 e dal mancato inserimento di tale fattispecie
nell'elenco di reati contemplato dal secondo capoverso dell'art. 550
del codice di procedura penale (pur a seguito dell'intervento
normativa della legge n. 134 del 2021) risultano difficilmente
compatibili con il principio di ragionevolezza e, come tale,
portatori di esiti applicativi discriminatori in termini di
trattamenti sperequanti rispetto a situazioni, tuttavia, omogenee.
4.A.I) Ordinanza 24 maggio 2024 - Tribunale di Padova (Gazzetta
Ufficiale I Serie speciale n. 35 del 28 agosto 2024)
La violazione dell'art. 3 della Costituzione si coglie con
particolare chiarezza aderendo alle argomentazioni fatte proprie
dall'estensore dell'ordinanza n. 149 emessa il 24 maggio 2024 dal
Tribunale di Padova (nella persona del giudice monocratico dott.ssa
Laura Chillemi) -pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 35 del 28
agosto 2024 - che afferma come «quanto al principio di uguaglianza e
di ragionevolezza di cui all'art. 3 della Costituzione, infatti, si
evidenzia che la recente riforma introdotta con decreto legislativo
n. 150 del 2022 aveva ampliato il novero dei reati per i quali puo'
essere disposta la sospensione del procedimento con messa alla prova,
tra l'altro inserendo alla lettera c) del secondo comma dell'art. 550
del codice di procedura penale (casi di citazione diretta a giudizio)
la fattispecie prevista dall'art. 82, primo comma, decreto del
Presidente della Repubblica n. 309/1990, proprio in materia di
delitti concernenti le sostanze stupefacenti. Il delitto previsto dal
primo comma del citato art. 82 punisce la condotta di chi
«pubblicamente istiga all'uso illecito di sostanze stupefacenti o
psicotrope, ovvero svolge, anche in privato, attivita' di
proselitismo per tale uso delle predette sostanze, ovvero induce una
persona all'uso medesimo» con la pena della reclusione da uno a sei
anni, oltre alla multa. Ebbene e' di immediata evidenza come la
disposizione teste' citata preveda una condotta lesiva dello stesso
bene giuridico di cui alle condotte sanzionate dal comma quinto
dell'art. 73 del medesimo testo unico sugli stupefacenti, in quanto
si tratta di un 'attivita' di persuasione all'uso di sostanze
stupefacenti o psicotrope, a fronte di condotte di produzione, di
immissione nel mercato e di cessione o di detenzione ai fini di
cessione delle medesime sostanze. Eppure, colui che e' accusato di
aver commesso il reato di cui al primo comma dell'art. 82 decreto del
Presidente della Repubblica n. 309/1990 e' ammesso allo speciale rito
della messa alla prova e cio', nonostante il delitto in parola sia
punito con la pena della reclusione da uno a sei anni, ovvero con
pena superiore nel minimo e nel massimo a quella dell'art. 73, comma
quinto, del medesimo testo normativo. Ne discende l'evidente
disparita' di trattamento tra le due fattispecie: benche' aventi ad
oggetto identico bene giuridico e nonostante lo stesso legislatore
abbia ritenuto piu' grave il delitto di cui all'art. 82 decreto del
Presidente della Repubblica citato, sanzionandolo con pena edittale
maggiore, solo per quest'ultimo e' possibile accedere all'istituto
della messa alla prova. Detto irragionevole trattamento differenziato
potrebbe costituire una conseguenza non contemplata dall'intervento
legislativo che ha innalzato la pena massima del delitto de quo: per
quanto si ricava dai lavori preparatori (cfr. pag. 31 del dossier n.
155 - legislatura 19a del servizio studi del Senato della
Repubblica), questa e' stata modificata al fine di consentire
l'applicazione della misura cautelare della custodia in carcere
(prima esclusa ai sensi dell'art. 280 del codice di procedura
penale), senza che siano stati espressamente considerati i risvolti
che tale novella comporta in relazione all'applicazione di altre
disposizioni. Si osserva, infatti, che prima della riforma del 2023
il delitto di cui all'art. 73, comma quinto, decreto del Presidente
della Repubblica n. 309/1990 rientrava nelle ipotesi di citazione
diretta a giudizio da parte del pubblico ministero, in quanto
ricompreso per pena massima edittale (allora di quattro anni) nelle
ipotesi di cui al primo comma dell'art. 550 del codice di procedura
penale e dunque per un rinvio ad poenam e dunque automatico, senza
menzione espressa della fattispecie. A seguito dell'ultima riforma,
invece, l'ipotesi delittuosa di cui al citato art. 73 sfugge alla
previsione dell'art. 550 del codice di procedura penale, primo e
secondo comma, in quanto esorbita i limiti di pena per il primo comma
e non e' previsto nominativamente nell'elenco di cui al secondo
comma. Si tratta dunque di un effetto della riforma non
immediatamente evidente, in quanto mero riflesso dell'aumento della
pena edittale massima. Tuttavia, quand'anche l'esclusione della
fattispecie di cui si discute dal novero dei reati per i quali e'
prevista la citazione diretta del pubblico ministero e dei reati per
i quali e' consentita la sospensione del procedimento con messa alla
prova dell'imputato fosse frutto di una precisa e consapevole scelta
del legislatore, si osserva che, a mente del principio di
ragionevolezza e di uguaglianza di cui all'art. 3 della Costituzione,
tale scelta sarebbe ugualmente incostituzionale, in quanto si
tratterebbe di una scelta arbitraria e non gia' discrezionale. Non si
intravvedono motivi, infatti, per cui il responsabile (o colui che si
assume tale) del piu' grave delitto di istigazione, proselitismo e
induzione al reato di persona minore, di cui all'art. 82 del decreto
del Presidente della Repubblica n. 309/1990, debba godere della
possibilita' di estinguere il reato a seguito di sospensione del
procedimento con messa alla prova, mentre colui che si assume abbia
commesso il delitto -meno grave - di cui all'art. 73, comma quinto
del medesimo decreto si veda preclusa tale possibilita(...). Si
precisa, infine, che non e' possibile una diversa interpretazione
delle disposizioni in senso conforme a Costituzione, in quanto da un
lato non e' possibile in via interpretativa aumentare arbitrariamente
i limiti edittali dell'art. 168-bis del codice penale per la
sospensione con messa alla prova dell'imputato, dal momento che il
legislatore ha ritenuto - in tal caso, legittimamente - di limitare
lo speciale rito premiale ai soli reati considerati meno gravi, in
quanto puniti con pena massima al di sotto della soglia dei quattro
anni di pena detentiva e tale soglia non appare irragionevole,
dall'altro non e' possibile interpretare diversamente l'art. 550 del
codice di procedura penale, in quanto si tratta di un elenco
tassativo.».
Orbene, a seguito della disamina dell'elenco dei reati indicati
nel secondo capoverso dell'art. 550 del codice di procedura penale
(peraltro esteso sulla base dei criteri direttivi della legge delega
n. l34/2021), a sua volta evocato dal disposto di cui al comma primo
dell'art. 168-bis del codice penale, si osserva che le ipotesi
delittuose eccettuate dall'ambito applicativo del rito estintivo
appaiono, seppur certamente spiccatamente eterogenee, connotate da un
medesimo tratto distintivo, ovvero da un'eccezionale gravita'
criminale, estranea, per contro, alla fattispecie di cui al V comma
dell'art. 73 del decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del
1990, ontologicamente deputato a sanzionare ipotesi di lieve entita'
in materia di stupefacenti. Se, infatti, il profilo di
irragionevolezza di soluzioni normative tese ad assoggettare a regimi
processuali sperequati sulla base della gravita' astratta del reato,
desunta dalla misura della pena, e' stato gia' esaminato dalla Corte
costituzionale (cfr., ex pluribus, Corte costituzionale, sentenza n.
164 del 2021) che, invece, valorizzato la ragionevolezza della
disparita' di trattamento processuale di titoli di reati disomogenei,
non e' agevole, allora, comprendere alla luce di quale criterio
logico il delitto di cui al citato art. 73, comma quinto, pura fronte
del regime di assoluta omogeneita' ai delitti per i quali e'
possibili accedere al rito estintivo, sia, nondimeno, ricompreso
nell'alveo dei reati pretermessi, rispetto ai quali e' icto oculi
evidente la disparita' di disvalore.
4.A.II) La sperequazione tra applicabilita' del criterio di
giudizio di cui all'art. 131-bis del codice penale e contestuale
esclusione dell'accesso al rito estintivo della messa alla prova.
L'irragionevolezza della normativa processuale di cui all'art.
550 del codice di procedura penale e all'art. 168-bis del codice
penale discendente dal disallineamento rispetto all'inasprimento
della cornice sanzionatoria dell'art. 73, comma quinto, del decreto
del Presidente della Repubblica 309 del 1990, come novellato dal
decreto-legge n. 123 del 2023, oltre ad emergere in termini di
disparita' di trattamento di tale fattispecie delittuosa rispetto a
titoli di reato di analogo disvalore ammessi al rito estintivo, si
manifesta come irragionevolezza «intrinseca» della stessa.
Tale ampliamento dello scrutinio di ragionevolezza che interessa
l'attuale formulazione del citato art. 73, comma quinto, discende dal
rilievo di un difetto di coordinamento tra l'impossibilita', allo
stato attuale, per gli imputati cui venga contestato tale delitto di
accedere al rito estintivo della messa alla prova e, per contro, la
sussistenza della possibilita' che, a fronte della stessa
imputazione, venga pronunciata una sentenza di proscioglimento ai
sensi dell'art. 131-bis del codice penale e che, dunque, la stessa
fattispecie, pur quando aggravata dalla circostanza di cui all'art.
80, del decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990,
possa essere ritenuta di «particolare tenuita'».
L'irragionevolezza sistematica discendente dal disallineamento
tra la normativa ostativa all'accesso al rito della messa alla prova
rispetto al delitto previsto dal menzionato comma V dell'art. 73 e la
disciplina relativa alla possibilita' di dichiarare la non
punibilita' del medesimo fatto in considerazione della particolare
tenuita' della sua offensivita' si appalesa - come, peraltro, gia'
rilevato dal Tribunale di Parma con sentenza n. 687 dell'8 maggio del
2024, dep. 31 maggio 2024, Pres. dott.ssa Paola Artusi - contraria al
principio di razionalita' cui all'art. 3 della Costituzione e
all'esigenza di conformita' dell'ordinamento a valori di giustizia e
di equita': invero, l'art. 73, comma V, decreto del Presidente della
Repubblica n. 309/1990, nella nuova formulazione, da un lato,
impedisce aprioristicamente all'imputato cui tale fattispecie sia
stata contestata il conseguimento della declaratoria di estinzione
del reato per superamento della messa alla prova ex art. 168-ter del
codice penale mentre, dall'altro, consente che il medesimo imputato,
per lo stesso fatto, quand'anche aggravato (e, come tale,
potenzialmente punibile con una pena irrogabile da nove mesi a sette
anni e sei mesi, n. d.r.), possa beneficiare della causa di non
punibilita' della particolare tenuita' del fatto ex art. 131-bis del
codice penale.
4.B) La paventata violazione dell'articolo 27 della Costituzione.
L'irragionevole pretermissione del reato di cui al citato art.
73, comma quinto, dal novero dei delitti per i quali e' ammissibile
l'istanza di accesso al rito estintivo della messa alla prova appare,
inoltre, contrastante con la finalita' rieducativa della sanzione
penale, scolpita dal principio costituzionale previsto dall'art. 27
della Costituzione, che costituisce «una delle qualita' essenziali e
generali che caratterizzano la pena nel suo contenuto antologico, e
l'accompagnano da quando nasce, nell'astratta previsione normativa,
fino a quando in concreto si estingue» (Corte Cost. sentenza n.
313/1990 e n. 129/2008).
Nel caso in esame, il bilanciamento operato dal giudice
nell'irrogazione della pena tra le finalita' di prevenzione generale
e difesa sociale della sanzione (con i correlati profili di
afflittivita' e retributivita' della stessa) e le istanze di
prevenzione speciale e di rieducazione risulta vulnerato dalla
preclusione normativa della possibilita' di valutare concretamente la
meritevolezza dell'imputato di accedere ad un rito di natura
premiale, espressivo dell'obiettivo di risocializzazione del reo (in
particolare nell'ipotesi in cui sia possibile formulare una prognosi
favorevole al prevenuto di astensione dalla commissione di altri
reati) e della finalita' rieducativa della pena consacrata dal
paradigma costituzionale.
Pertanto, all'asserzione di gravita', non giustificata, della
fattispecie di cui all'art. 73, comma quinto, del decreto del
Presidente della Repubblica n. 309 del 1990 e alla sua irrazionale
esclusione dall'accesso all'istituto della messa alla prova consegue
un'effettiva conculcazione delle potenzialita' rieducative e
risocializzanti della pena.
La pretermissione del reato di cui ci si occupa dall'ambito
applicativo della messa alla prova contrasta, dunque, con il
finalismo rieducativo della pena, poiche' non consente all'imputato
cui sia stata ascritta tale fattispecie e che, tuttavia, si trova in
una condizione di meritevolezza essendo disposto a porre in essere
condotte riparatorie rispetto all'illecito commesso (mediante un
programma che, ove il B... fosse ammesso al rito estintivo della
messa alla prova, sarebbe elaborato di concerto con l'Ufficio Locale
dell'esecuzione penale esterna) di poter accedere ad un istituto
processuale che, mediante l'espletamento dei lavori di pubblica
utilita', realizza plasticamente e radicalmente la funzione
rieducativa della reazione penale e di special-prevenzione della
stessa, riducendo il pericolo di reiterazione di altre condotte
penalmente rilevanti.
5) Non manifesta infondatezza della questione di legittimita'
costituzionale
Con riferimento alla non manifesta infondatezza della questione
che si intende sottoporre al giudizio incidentale della Consulta, si
osserva che, come ben noto, sul Giudice rimettente non incombe la
valutazione di fondatezza ovvero di infondatezza della eccezione di
costituzionalita' proposta dalla parte (essendo tale vaglio di
competenza esclusiva della Consulta), ma, in virtu' delle
disposizioni di cui agli articoli l della legge costituzionale n. l
del 1948 e 23 della legge 87 del 1953, una valutazione sommaria tesa
a verificare la sussistenza di un dubbio plausibile sulla
costituzionalita' della disposizione che il giudice intende
applicare; ne discende che, qualora tale profilo di opacita'
sussista, il giudice a qua ha l'obbligo di rimettere la questione di
costituzionalita' alla Corte costituzionale con ordinanza di rinvio.
Nella fattispecie in esame, si ritiene che l'eccezione di
costituzionalita' sollevata dalla difesa non sia manifestamente
infondata, ritenendosi, per contro, evidente e cogente l'astratta
collisione della disciplina derivante dal combinato disposto degli
articoli 168-bis del codice penale, 550, comma secondo, del codice di
procedura penale e 73, comma quinto, del decreto del Presidente della
Repubblica n. 309 del 1990 con i menzionati parametri costituzionali.
P.Q.M.
Visti gli articoli 134 della Costituzione, l legge costituzionale
n. 1/1948 e 23 ss. legge n. 87/1953, ritenuta la questione rilevante
e non manifestamente infondata,
Solleva
questione di legittimita' costituzionale in relazione al
combinato disposto degli articoli 168-bis del codice penale, 550 del
codice di procedura penale e 73, comma quinto, decreto del Presidente
della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, per la violazione degli
articoli 3 e 27, comma terzo della Costituzione, in particolare per
il mancato inserimento alla lettera c) del comma I, dell'art. 550 del
codice di procedura penale (casi di citazione diretta a giudizio)
della fattispecie di cui all'art. 73, comma quinto, decreto del
Presidente della Repubblica n. 309/1990.
Sospende
il giudizio in corso nei confronti dell'imputato e il relativo
termine di prescrizione, fino alla definizione del giudizio
incidentale di legittimita' costituzionale, con restituzione degli
atti al giudice procedente,
Dispone
l'immediata trasmissione degli atti del procedimento alla Corte
costituzionale,
Manda
alla cancelleria per la notificazione della presente ordinanza al
Presidente del Consiglio dei ministri, nonche' per la comunicazione
ai Presidenti della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica
c per la successiva trasmissione del fascicolo processuale alla Corte
costituzionale.
La Spezia, 13 marzo 2025
Il giudice: Gagliano
Oggetto:
Processo penale – Sospensione del procedimento con messa alla prova – Reati di cui all’art. 73, comma 5, del d.P.R. n. 309 del 1990 (reati di “piccolo spaccio”) – Mancato inserimento nel novero dei reati di cui all'art. 550, comma 2, lettera c), cod. proc. pen. (casi di citazione diretta a giudizio), ai fini della possibilità di chiedere la sospensione del procedimento con messa alla prova - Disparità di trattamento rispetto a fattispecie analoghe - Violazione dei principi di uguaglianza e di ragionevolezza - Violazione del principio della finalità rieducativa della pena.
Norme impugnate:
codice di procedura penale del Num. Art. 168
codice di procedura penale del Num. Art. 550
decreto del Presidente della Repubblica del 09/10/1990 Num. 309 Art. 73 Co. 5
Parametri costituzionali:
Costituzione Art. 3 Co.
Costituzione Art. 27 Co. 3
Testo dell'ordinanza
N. 199 ORDINANZA (Atto di promovimento) 13 marzo 2025
Ordinanza del 13 marzo 2025 del Tribunale di La Spezia nel
procedimento penale a carico di H. B..
Processo penale - Sospensione del procedimento con messa alla prova -
Reati di cui all'art. 73, comma 5, del d.P.R. n. 309 del 1990
(reati di "piccolo spaccio") - Mancato inserimento nel novero dei
reati di cui all'art. 550, comma 2, lettera c), cod. proc. pen.
(casi di citazione diretta a giudizio), ai fini della possibilita'
di chiedere la sospensione del procedimento con messa alla prova.
- Codice penale, art. 168-bis, in combinato disposto con l'art. 550
del codice di procedura penale e con l'art. 73, comma 5, del d.P.R.
9 ottobre 1990, n. 309 (Testo unico delle leggi in materia di
disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione,
cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza).
(GU n. 43 del 22-10-2025)
TRIBUNALE ORDINARIO DELLA SPEZIA
Sezione penale
Il giudice dott.ssa Carolina Gagliano, a scioglimento della
riserva assunta all'udienza del 19 settembre 2024 sull'eccezione di
costituzionalita' proposta dalla difesa dell'imputato B... H..., in
atti meglio generalizzato, imputato nell'ambito del procedimento
indicato in epigrafe, reiterata all'udienza del 13 marzo 2025;
Pronuncia la seguente ordinanza
di rimessione della questione di legittimita' costituzionale del
combinato disposto degli articoli 168-bis del codice penale, 550 del
codice di procedura penale e 73, comma quinto, decreto del Presidente
della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309.
Motivi
l. Fatto e processo a quo.
All'udienza del 26 agosto 2024, il p.m. presso il Tribunale della
Spezia presentava l'imputato B H per la convalida dell'arresto
eseguito nei suoi confronti dai Carabinieri del nucleo radiomobile di
... in relazione al delitto previsto all'art. 73, comma quarto
decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990.
Alla citata udienza, questo giudice convalidava l'arresto ma,
ritenuta l'insussistenza di esigenze cautelari in considerazione
dello stato di incensuratezza dell'imputato, dell'occasionalita' e
dell'episodicita' della fattispecie contestatagli e della sussistenza
dei presupposti per una prognosi positiva di ravvedimento e di
concessione all'esito del giudizio del beneficio della sospensione
condizionale, disponeva la sua immediata liberazione, senza disporre
l'applicazione di alcuna misura cautelare.
All'udienza del 19 settembre 2024, il p.m., in considerazione del
quantitativo di sostanza stupefacente rinvenuto nella disponibilita'
del B H riqualificava l'originaria contestazione, contestando la piu'
lieve ipotesi di reato ex art. 73, comma quinto decreto del
Presidente della Repubblica n. 309 del 1990 e l'imputato chiedeva
personalmente che il giudizio a suo carico venisse definito a mezzo
del rito alternativo della messa alla prova. Conseguentemente, la
difesa sollevava questione di legittimita' costituzionale dell'art.
73, comma quinto, decreto del Presidente della Repubblica n. 309,
come novellato dal decreto-legge n. l23 del 2023, rispetto ai
parametri costituzionali dettati dagli articoli 3 e 27 della
Costituzione. All'udienza del 13 marzo 2025, la difesa dell'imputato
reiterava la menzionata eccezione di costituzionalita'. Orbene, con
riferimento alla dedotta illegittimita' costituzionale,
Osserva
Questo giudice ravvisa la rilevanza della questione e la non
manifesta infondatezza della medesima nei termini che verranno di
seguito precisati - del combinato disposto degli articoli 73, comma
quinto, decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, come
modificato dal decreto-legge n. 123 del 2023, 168-bis codice penale e
550 codice di procedura penale per violazione degli articoli 3 e 27
della Costituzione in ragione del mancato inserimento dell'art. 73,
comma quinto, decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990
nel novero dei delitti contemplati nel disposto dell'art. 550, comma
secondo, in particolare alla lettera c), codice eli procedura penale
ovvero, in ogni caso, dell'art. 4, comma terzo, del decreto-legge 123
del 2023, nella parte in cui impedisce, quale risvolto processuale
della modificazione della cornice edittale della fattispecie fissando
il massimo edittale della pena a «cinque anni di reclusione»,
l'accesso dei soggetti a cui e' contestata la fattispecie delittuosa
eli cui al citato art. 73, comma quinto, al rito premiale della messa
alla prova e al conseguente effetto estintivo del reato ex art.
168-bis del codice di procedura penale.
2. L'individuazione del petitum.
Il contrasto della disposizione dell'art. 550, comma secondo,
codice di procedura penale rispetto al dettato costituzionale si
appunta sulla rilevata violazione degli articoli 3 e 27 della
Costituzione nella parte in cui la citata norma del codice di rito,
alla lettera c), non contempla, unitamente al reato di cui all'art.
82 del decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, anche
la previsione del delitto ex art. 73, comma quinto, del medesimo
testo normativo.
La violazione dei menzionati parametri di legittimita'
costituzionale, ritenuta sussitente da questo giudice, non discende
direttamente dall'impossibilita' di esercizio dell'azione penale in
relazione al delitto ex art. 73, comma quinto, decreto del Presidente
della Repubblica n. 309 del 1900 in luogo di forme di esercizio
ordinario della stessa, bensi', in considerazione dell'effetto
processuale scaturito dal combinato disposto degli articoli 168-bis,
comma primo, codice penale, e 550, comma secondo, codice di procedura
penale, dalla preclusione dell'effetto estintivo dell'art. 168-bis
del codice penale nei confronti dei soggetti a cui venga ascritta la
menzionata fattispecie delittuosa successivamente al 15 novembre
2023, ovvero in seguito all'entrata in vigore della legge del 13
novembre del 2023, n. 159, con cui e' stata disposta la conversione
del decreto-legge 15 settembre del 2023, n. 123.
La conseguente esclusione delle ipotesi di «lieve entita'» in
materia di stupefacenti dall'ambito applicativo della messa alla
prova appare confliggente con la ratio «acceleratoria» che permea
l'istituto di cui all'art. 550 del codice di procedura penale, che,
invero, consente di evitare la celebrazione dell'udienza preliminare
allorche' vengano contestati reati di agevole accertamento.
La rilevata irragionevolezza dell'eccettuazione del delitto ex
art. 73, comma quinto, decreto del Presidente della Repubblica n. 309
del 1990 dall'alveo dei reati nominalmente indicati dal comma secondo
della summenzionata norma del codice di rito si appalesa in modo
ancor piu' manifesto se si considera l'intervento normativa
modificativo dell'elenco nominativo di cui all'art. 550, comma
secondo, del codice di procedura penale.
Difatti, come noto, il decreto legislativo n. 150 del 2022, in
attuazione della legge di delega n. l34 del 2022, entrato in vigore
in data 30 dicembre 2022, ha esteso il novero dei reati per i quali
e' possibile procedere con decreto di citazione diretta alla luce di
due criteri: in primo luogo, il parametro formale di delitti per i
quali e' previsto un trattamento sanzionatorio compreso nel massimo
edittale tra quattro e sei anni di pena detentiva, anche se congiunto
alla pena della multa (trattasi, quindi, di fattispecie per cui e'
prevista una pena edittale piu' severa rispetto a quella contemplata
con riferimento ai delitti nel primo comma della disposto dell'art.
550 del codice di procedura penale) e, in secondo luogo, il criterio
sostanziale della non complessita' di accertamento.
Posto che astrattamente l'esclusione del delitto ex art. 73,
comma quinto, del decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del
1990 dall'ambito applicativo dell'art. 550 del codice di procedura
penale potrebbe rinvenire giustificazione in esigenze di accertamento
processuale quali, a tiolo esemplificativo, l'efficacia drogante
della sostanza stupefacente detenuta o ceduta, cio' non comporta
l'indeterminatezza del petitum sottoposto allo scrutinio di
legittimita' della Corte, avendo quest'ultima un autonomo potere di
valutazione della legittimita' costituzionale del disposto di cui
all'art. 168-bis del codice penale nella parte in cui non prevede che
possa accedere al rito speciale il soggetto a cui e' contestata la
fattispecie tipizzata dall'art. 73, comma quinto, decreto del
Presidente della Repubblica n. 309 del 1990.
3. La rilevanza della questione di legittimita' costituzionale.
La rilevanza della questione e' disvelata dalla circostanza che
la positiva valutazione compiuta dallo scrivente giudicante circa la
sussistenza dei presupposti applicativi del rito speciale della messa
alla prova incontra l'ostacolo normativa discendente dalla novella di
cui all'art. 4, comma terzo, del decreto-legge 20 marzo 2023, n. 123,
convertito dalla legge 13 novembre 2023, n. 159, che ha investito il
comma quinto dell'art. 73 del decreto del Presidente della Repubblica
n. 309 del 1990.
Difatti, nell'orizzonte valutativo del giudice investito della
richiesta di accesso al rito estintivo della sospensione del
procedimento con messa alla prova, disciplinato dalla legge del 28
aprile 2014, n. 67, si iscrive la possibilita' per il prevenuto di
ottenere l'estinzione dell'ipotesi contestata ponendo in essere
condotte finalizzate all'eliminazione delle conseguenze dannose
dell'illecito, risarcendo il danno provocato dal fatto rilevante ed
effettuando lavori di pubblica utilita' ovvero attivita' di rilevanza
sociale.
L'accesso a tale istituto si dipana attraverso un preliminare
processo valutativo incombente sul giudice investito della richiesta
di accesso al rito che si articola nel vaglio prescritto dal disposto
di cui all'art. 464-quater, comma terzo, del codice di procedura
penale circa l'assenza di evidenti cause di proscioglimento di cui
all'art. 129 del codice di rito e, in secondo luogo, nella
valutazione prognostica favorevole all'imputato di futura astensione
dalla commissione di ulteriori reati.
Nella fattispecie in esame, a fronte dell'esclusione da parte di
questo giudice di elementi che possano fondare l'emissione di una
sentenza di proscioglimento, si ritiene, per contro, possibile
formulare una prognosi favorevole al B...: rispetto all'astensione
dalla perpetrazione di altre fattispecie antigiuridiche: invero, si
osserva che l'imputato e', allo stato, incensurato e che non risulta
essere mai stato segnalato o indagato e che tali dati, unitamente
alla sua giovanissima eta', consentono di ritenere improbabile che
commettera' altri episodi delittuosi.
Nonostante l'esito positivo del menzionato scrutinio, il
prosieguo dell'attivita' valutati va del giudicante ai fini
dell'ammissione al rito della messa alla prova viene
irrimediabilmente compromesso dallo sbarramento normativa frapposto
dalla novella di cui all'art. 4, comma terzo, del decreto-legge 20
marzo 2023, n. 123, convertito dalla legge del 13 novembre 2023, n.
159, che ha investito il contestato quinto comma dell'art. 73,
decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990,
rideterminando il limite massimo edittale da quattro anni a cinque
anni di reclusione.
Orbene, a dispetto della valutazione favorevole al B... innanzi
sommariamente esposta, l'intervento normativa in parola impedirebbe
all'imputato di accedere all'istituto di cui all'art. 168-bis del
codice penale consentendolo, invero, ai soli reati puniti con la
«pena edittale detentiva non superiore nel massimo a quattro anni,
sola, congiunta o alternativa alla pena pecuniaria» oppure per i
«delitti indicati nel secondo comma dell'articolo 550 del codice di
procedura penale», ovvero i delitti per i quali al pubblico ministero
e' consentito l'esercizio dell'azione penale nelle forme della
citazione diretta a giudizio.
Conseguentemente, l'inasprimento del limite massimo edittale
della cornice sanzionatoria della violazione prevista dall'art. 73,
comma quinto, decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990
ha comportato che il delitto de quo e' sfuggito all'ambito
applicativo dell'istituto estintivo interessato dalla richiesta
avanzata dall'imputato.
Ne consegue l'evidente inerenza della disposizione censurata
all'area decisionale dello scrivente giudicante e la concreta
incidenza dell'eventuale decisione di accoglimento sul processo a
carico dell'imputato, configurandosi, nel caso di specie, in
considerazione delle circostanze appena rappresentate, un concreto ed
effettivo rapporto di strumentalita' e nesso di pregiudizialita' fra
la risoluzione della questione di legittimita' costituzionale e la
definizione del giudizio in corso a carico del B....
Difatti, l'isolamento normativa della fattispecie delittuosa
rispetto al novero dei delitti ammessi all'accesso al rito della
messa alla prova (e cio' anche allorquando si tratta di fattispecie,
come quelle previste dall'art. 550, comma secondo, del codice di
procedura penale, che, a seguito dell'intervento della legge delega
n. 134 del 2021, presentano un trattamento sanzionatorio compreso nel
massimo tra i quattro e i sei anni), unitamente alla gia' menzionata
positiva valutazione in ordine alla ricorrenza dei presupposti di
meritevolezza dell'imputato con riferimento all'ammissibilita'
dell'istanza, e' sufficiente a dimostrare la rilevanza della presente
questione di legittimita' costituzionale rispetto all'adozione della
decisione endoprocedimentale di ammissione dell'imputato al rito
richiesto e, dunque, dell'impossibilita' per questo giudice
rimettente di definire la controversia a quo indipendentemente dalla
risoluzione di tale questione incidentale.
4) Le norme che si assumono violate.
4.a) La paventata violazione dell'art. 3 della costituzione:
prinicipio di ugualianza e ragionevolezza.
L'esclusione del delitto di cui al comma quinto dell'art. 73 del
decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990 dall'accesso
al rito premiale della messa alla prova appare urtare con il
principio di ragionevolezza inteso come corollario del principio di
uguaglianza di cui all'art. 3 della Costituzione e canone di
«razionalita' pratica» che modera la discrezionalita' del Legislatore
e che consente alla consulta di accertare che "la legge, senza un
ragionevole motivo, faccia un trattamento diverso ai cittadini che si
trovano in situazione eguale (cfr. Corte costituzionale, ordinanza n.
15 del 1960), verificando l'eguaglianza ovvero la differenza delle
situazioni comparate e, quindi, la «giustificatezza» della disciplina
delle stessa, anche tenendo conto degli scopi della legge.
Orbene, a questo giudice rimettente non sfugge la
condivisibilita' dell'orientamento manifestato dalla Corte
costituzionale in punto di insindacabilita' sotto il profilo
costituzionale delle disposizioni normative foriere di preclusioni
dell'accesso, per alcune tipologie di reati, ai cosiddetti «riti
premiali» allorquando viene statuito che «in tali ipotesi,
l'individuazione delle fattispecie criminose da assoggettare al
trattamento piu' rigoroso - proprio in quanto basata su apprezzamenti
di politica criminale, connessi specialmente all'allarme sociale
generato dai singoli reati, il quale non e' necessariamente correlato
al mero livello della pena edittale - resta affidata alla
discrezionalita' del legislatore e le relative scelte possono venir
sindacate dalla Corte solo in rapporto alle mere disarmonie del
catalogo legislativo, allorche' la sperequazione normativa tra figure
omogenee di reati assuma aspetti e dimensioni tali da non potersi
considerare sorretto da alcuna ragionevole giustificazione» (Corte
costituzionale, ordinanza n. 455 del 2006).
Nondimeno, tenendo conto del carattere «aperto» del canone di
ragionevolezza e della necessita' che lo scrutinio del merito delle
scelte legislative sia adatti alla specificita' del caso concreto e
non si risolva in un mero raffronto tra due disposizioni normative ma
nella concreta verifica della capacita' di una data disciplina
normativa di attuare i valori costituzionali, si osserva che
l'esclusione del delitto di cui al menzionato art. 73, comma quinto,
dall'accesso al rito della messa alla prova non appare espressione di
una puntuale scelta di politica criminale ne' manifestazione della
discrezionalita' del Legislatore rispetto al soddisfacimento e
perseguimento di determinate finalita' o esigenze obiettive, quanto,
piuttosto, una conseguenza indiretta di un disallineamento tra la
normativa processuale e la fattispecie criminosa novellata.
Pertanto, la menzionata preclusione normativa discendente
dall'innalzamento del massimo edittale del delitto di cui al comma
quinto, dell'art. 73 del decreto del Presidente della Repubblica n.
309 del 1990 e dal mancato inserimento di tale fattispecie
nell'elenco di reati contemplato dal secondo capoverso dell'art. 550
del codice di procedura penale (pur a seguito dell'intervento
normativa della legge n. 134 del 2021) risultano difficilmente
compatibili con il principio di ragionevolezza e, come tale,
portatori di esiti applicativi discriminatori in termini di
trattamenti sperequanti rispetto a situazioni, tuttavia, omogenee.
4.A.I) Ordinanza 24 maggio 2024 - Tribunale di Padova (Gazzetta
Ufficiale I Serie speciale n. 35 del 28 agosto 2024)
La violazione dell'art. 3 della Costituzione si coglie con
particolare chiarezza aderendo alle argomentazioni fatte proprie
dall'estensore dell'ordinanza n. 149 emessa il 24 maggio 2024 dal
Tribunale di Padova (nella persona del giudice monocratico dott.ssa
Laura Chillemi) -pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 35 del 28
agosto 2024 - che afferma come «quanto al principio di uguaglianza e
di ragionevolezza di cui all'art. 3 della Costituzione, infatti, si
evidenzia che la recente riforma introdotta con decreto legislativo
n. 150 del 2022 aveva ampliato il novero dei reati per i quali puo'
essere disposta la sospensione del procedimento con messa alla prova,
tra l'altro inserendo alla lettera c) del secondo comma dell'art. 550
del codice di procedura penale (casi di citazione diretta a giudizio)
la fattispecie prevista dall'art. 82, primo comma, decreto del
Presidente della Repubblica n. 309/1990, proprio in materia di
delitti concernenti le sostanze stupefacenti. Il delitto previsto dal
primo comma del citato art. 82 punisce la condotta di chi
«pubblicamente istiga all'uso illecito di sostanze stupefacenti o
psicotrope, ovvero svolge, anche in privato, attivita' di
proselitismo per tale uso delle predette sostanze, ovvero induce una
persona all'uso medesimo» con la pena della reclusione da uno a sei
anni, oltre alla multa. Ebbene e' di immediata evidenza come la
disposizione teste' citata preveda una condotta lesiva dello stesso
bene giuridico di cui alle condotte sanzionate dal comma quinto
dell'art. 73 del medesimo testo unico sugli stupefacenti, in quanto
si tratta di un 'attivita' di persuasione all'uso di sostanze
stupefacenti o psicotrope, a fronte di condotte di produzione, di
immissione nel mercato e di cessione o di detenzione ai fini di
cessione delle medesime sostanze. Eppure, colui che e' accusato di
aver commesso il reato di cui al primo comma dell'art. 82 decreto del
Presidente della Repubblica n. 309/1990 e' ammesso allo speciale rito
della messa alla prova e cio', nonostante il delitto in parola sia
punito con la pena della reclusione da uno a sei anni, ovvero con
pena superiore nel minimo e nel massimo a quella dell'art. 73, comma
quinto, del medesimo testo normativo. Ne discende l'evidente
disparita' di trattamento tra le due fattispecie: benche' aventi ad
oggetto identico bene giuridico e nonostante lo stesso legislatore
abbia ritenuto piu' grave il delitto di cui all'art. 82 decreto del
Presidente della Repubblica citato, sanzionandolo con pena edittale
maggiore, solo per quest'ultimo e' possibile accedere all'istituto
della messa alla prova. Detto irragionevole trattamento differenziato
potrebbe costituire una conseguenza non contemplata dall'intervento
legislativo che ha innalzato la pena massima del delitto de quo: per
quanto si ricava dai lavori preparatori (cfr. pag. 31 del dossier n.
155 - legislatura 19a del servizio studi del Senato della
Repubblica), questa e' stata modificata al fine di consentire
l'applicazione della misura cautelare della custodia in carcere
(prima esclusa ai sensi dell'art. 280 del codice di procedura
penale), senza che siano stati espressamente considerati i risvolti
che tale novella comporta in relazione all'applicazione di altre
disposizioni. Si osserva, infatti, che prima della riforma del 2023
il delitto di cui all'art. 73, comma quinto, decreto del Presidente
della Repubblica n. 309/1990 rientrava nelle ipotesi di citazione
diretta a giudizio da parte del pubblico ministero, in quanto
ricompreso per pena massima edittale (allora di quattro anni) nelle
ipotesi di cui al primo comma dell'art. 550 del codice di procedura
penale e dunque per un rinvio ad poenam e dunque automatico, senza
menzione espressa della fattispecie. A seguito dell'ultima riforma,
invece, l'ipotesi delittuosa di cui al citato art. 73 sfugge alla
previsione dell'art. 550 del codice di procedura penale, primo e
secondo comma, in quanto esorbita i limiti di pena per il primo comma
e non e' previsto nominativamente nell'elenco di cui al secondo
comma. Si tratta dunque di un effetto della riforma non
immediatamente evidente, in quanto mero riflesso dell'aumento della
pena edittale massima. Tuttavia, quand'anche l'esclusione della
fattispecie di cui si discute dal novero dei reati per i quali e'
prevista la citazione diretta del pubblico ministero e dei reati per
i quali e' consentita la sospensione del procedimento con messa alla
prova dell'imputato fosse frutto di una precisa e consapevole scelta
del legislatore, si osserva che, a mente del principio di
ragionevolezza e di uguaglianza di cui all'art. 3 della Costituzione,
tale scelta sarebbe ugualmente incostituzionale, in quanto si
tratterebbe di una scelta arbitraria e non gia' discrezionale. Non si
intravvedono motivi, infatti, per cui il responsabile (o colui che si
assume tale) del piu' grave delitto di istigazione, proselitismo e
induzione al reato di persona minore, di cui all'art. 82 del decreto
del Presidente della Repubblica n. 309/1990, debba godere della
possibilita' di estinguere il reato a seguito di sospensione del
procedimento con messa alla prova, mentre colui che si assume abbia
commesso il delitto -meno grave - di cui all'art. 73, comma quinto
del medesimo decreto si veda preclusa tale possibilita(...). Si
precisa, infine, che non e' possibile una diversa interpretazione
delle disposizioni in senso conforme a Costituzione, in quanto da un
lato non e' possibile in via interpretativa aumentare arbitrariamente
i limiti edittali dell'art. 168-bis del codice penale per la
sospensione con messa alla prova dell'imputato, dal momento che il
legislatore ha ritenuto - in tal caso, legittimamente - di limitare
lo speciale rito premiale ai soli reati considerati meno gravi, in
quanto puniti con pena massima al di sotto della soglia dei quattro
anni di pena detentiva e tale soglia non appare irragionevole,
dall'altro non e' possibile interpretare diversamente l'art. 550 del
codice di procedura penale, in quanto si tratta di un elenco
tassativo.».
Orbene, a seguito della disamina dell'elenco dei reati indicati
nel secondo capoverso dell'art. 550 del codice di procedura penale
(peraltro esteso sulla base dei criteri direttivi della legge delega
n. l34/2021), a sua volta evocato dal disposto di cui al comma primo
dell'art. 168-bis del codice penale, si osserva che le ipotesi
delittuose eccettuate dall'ambito applicativo del rito estintivo
appaiono, seppur certamente spiccatamente eterogenee, connotate da un
medesimo tratto distintivo, ovvero da un'eccezionale gravita'
criminale, estranea, per contro, alla fattispecie di cui al V comma
dell'art. 73 del decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del
1990, ontologicamente deputato a sanzionare ipotesi di lieve entita'
in materia di stupefacenti. Se, infatti, il profilo di
irragionevolezza di soluzioni normative tese ad assoggettare a regimi
processuali sperequati sulla base della gravita' astratta del reato,
desunta dalla misura della pena, e' stato gia' esaminato dalla Corte
costituzionale (cfr., ex pluribus, Corte costituzionale, sentenza n.
164 del 2021) che, invece, valorizzato la ragionevolezza della
disparita' di trattamento processuale di titoli di reati disomogenei,
non e' agevole, allora, comprendere alla luce di quale criterio
logico il delitto di cui al citato art. 73, comma quinto, pura fronte
del regime di assoluta omogeneita' ai delitti per i quali e'
possibili accedere al rito estintivo, sia, nondimeno, ricompreso
nell'alveo dei reati pretermessi, rispetto ai quali e' icto oculi
evidente la disparita' di disvalore.
4.A.II) La sperequazione tra applicabilita' del criterio di
giudizio di cui all'art. 131-bis del codice penale e contestuale
esclusione dell'accesso al rito estintivo della messa alla prova.
L'irragionevolezza della normativa processuale di cui all'art.
550 del codice di procedura penale e all'art. 168-bis del codice
penale discendente dal disallineamento rispetto all'inasprimento
della cornice sanzionatoria dell'art. 73, comma quinto, del decreto
del Presidente della Repubblica 309 del 1990, come novellato dal
decreto-legge n. 123 del 2023, oltre ad emergere in termini di
disparita' di trattamento di tale fattispecie delittuosa rispetto a
titoli di reato di analogo disvalore ammessi al rito estintivo, si
manifesta come irragionevolezza «intrinseca» della stessa.
Tale ampliamento dello scrutinio di ragionevolezza che interessa
l'attuale formulazione del citato art. 73, comma quinto, discende dal
rilievo di un difetto di coordinamento tra l'impossibilita', allo
stato attuale, per gli imputati cui venga contestato tale delitto di
accedere al rito estintivo della messa alla prova e, per contro, la
sussistenza della possibilita' che, a fronte della stessa
imputazione, venga pronunciata una sentenza di proscioglimento ai
sensi dell'art. 131-bis del codice penale e che, dunque, la stessa
fattispecie, pur quando aggravata dalla circostanza di cui all'art.
80, del decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990,
possa essere ritenuta di «particolare tenuita'».
L'irragionevolezza sistematica discendente dal disallineamento
tra la normativa ostativa all'accesso al rito della messa alla prova
rispetto al delitto previsto dal menzionato comma V dell'art. 73 e la
disciplina relativa alla possibilita' di dichiarare la non
punibilita' del medesimo fatto in considerazione della particolare
tenuita' della sua offensivita' si appalesa - come, peraltro, gia'
rilevato dal Tribunale di Parma con sentenza n. 687 dell'8 maggio del
2024, dep. 31 maggio 2024, Pres. dott.ssa Paola Artusi - contraria al
principio di razionalita' cui all'art. 3 della Costituzione e
all'esigenza di conformita' dell'ordinamento a valori di giustizia e
di equita': invero, l'art. 73, comma V, decreto del Presidente della
Repubblica n. 309/1990, nella nuova formulazione, da un lato,
impedisce aprioristicamente all'imputato cui tale fattispecie sia
stata contestata il conseguimento della declaratoria di estinzione
del reato per superamento della messa alla prova ex art. 168-ter del
codice penale mentre, dall'altro, consente che il medesimo imputato,
per lo stesso fatto, quand'anche aggravato (e, come tale,
potenzialmente punibile con una pena irrogabile da nove mesi a sette
anni e sei mesi, n. d.r.), possa beneficiare della causa di non
punibilita' della particolare tenuita' del fatto ex art. 131-bis del
codice penale.
4.B) La paventata violazione dell'articolo 27 della Costituzione.
L'irragionevole pretermissione del reato di cui al citato art.
73, comma quinto, dal novero dei delitti per i quali e' ammissibile
l'istanza di accesso al rito estintivo della messa alla prova appare,
inoltre, contrastante con la finalita' rieducativa della sanzione
penale, scolpita dal principio costituzionale previsto dall'art. 27
della Costituzione, che costituisce «una delle qualita' essenziali e
generali che caratterizzano la pena nel suo contenuto antologico, e
l'accompagnano da quando nasce, nell'astratta previsione normativa,
fino a quando in concreto si estingue» (Corte Cost. sentenza n.
313/1990 e n. 129/2008).
Nel caso in esame, il bilanciamento operato dal giudice
nell'irrogazione della pena tra le finalita' di prevenzione generale
e difesa sociale della sanzione (con i correlati profili di
afflittivita' e retributivita' della stessa) e le istanze di
prevenzione speciale e di rieducazione risulta vulnerato dalla
preclusione normativa della possibilita' di valutare concretamente la
meritevolezza dell'imputato di accedere ad un rito di natura
premiale, espressivo dell'obiettivo di risocializzazione del reo (in
particolare nell'ipotesi in cui sia possibile formulare una prognosi
favorevole al prevenuto di astensione dalla commissione di altri
reati) e della finalita' rieducativa della pena consacrata dal
paradigma costituzionale.
Pertanto, all'asserzione di gravita', non giustificata, della
fattispecie di cui all'art. 73, comma quinto, del decreto del
Presidente della Repubblica n. 309 del 1990 e alla sua irrazionale
esclusione dall'accesso all'istituto della messa alla prova consegue
un'effettiva conculcazione delle potenzialita' rieducative e
risocializzanti della pena.
La pretermissione del reato di cui ci si occupa dall'ambito
applicativo della messa alla prova contrasta, dunque, con il
finalismo rieducativo della pena, poiche' non consente all'imputato
cui sia stata ascritta tale fattispecie e che, tuttavia, si trova in
una condizione di meritevolezza essendo disposto a porre in essere
condotte riparatorie rispetto all'illecito commesso (mediante un
programma che, ove il B... fosse ammesso al rito estintivo della
messa alla prova, sarebbe elaborato di concerto con l'Ufficio Locale
dell'esecuzione penale esterna) di poter accedere ad un istituto
processuale che, mediante l'espletamento dei lavori di pubblica
utilita', realizza plasticamente e radicalmente la funzione
rieducativa della reazione penale e di special-prevenzione della
stessa, riducendo il pericolo di reiterazione di altre condotte
penalmente rilevanti.
5) Non manifesta infondatezza della questione di legittimita'
costituzionale
Con riferimento alla non manifesta infondatezza della questione
che si intende sottoporre al giudizio incidentale della Consulta, si
osserva che, come ben noto, sul Giudice rimettente non incombe la
valutazione di fondatezza ovvero di infondatezza della eccezione di
costituzionalita' proposta dalla parte (essendo tale vaglio di
competenza esclusiva della Consulta), ma, in virtu' delle
disposizioni di cui agli articoli l della legge costituzionale n. l
del 1948 e 23 della legge 87 del 1953, una valutazione sommaria tesa
a verificare la sussistenza di un dubbio plausibile sulla
costituzionalita' della disposizione che il giudice intende
applicare; ne discende che, qualora tale profilo di opacita'
sussista, il giudice a qua ha l'obbligo di rimettere la questione di
costituzionalita' alla Corte costituzionale con ordinanza di rinvio.
Nella fattispecie in esame, si ritiene che l'eccezione di
costituzionalita' sollevata dalla difesa non sia manifestamente
infondata, ritenendosi, per contro, evidente e cogente l'astratta
collisione della disciplina derivante dal combinato disposto degli
articoli 168-bis del codice penale, 550, comma secondo, del codice di
procedura penale e 73, comma quinto, del decreto del Presidente della
Repubblica n. 309 del 1990 con i menzionati parametri costituzionali.
P.Q.M.
Visti gli articoli 134 della Costituzione, l legge costituzionale
n. 1/1948 e 23 ss. legge n. 87/1953, ritenuta la questione rilevante
e non manifestamente infondata,
Solleva
questione di legittimita' costituzionale in relazione al
combinato disposto degli articoli 168-bis del codice penale, 550 del
codice di procedura penale e 73, comma quinto, decreto del Presidente
della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, per la violazione degli
articoli 3 e 27, comma terzo della Costituzione, in particolare per
il mancato inserimento alla lettera c) del comma I, dell'art. 550 del
codice di procedura penale (casi di citazione diretta a giudizio)
della fattispecie di cui all'art. 73, comma quinto, decreto del
Presidente della Repubblica n. 309/1990.
Sospende
il giudizio in corso nei confronti dell'imputato e il relativo
termine di prescrizione, fino alla definizione del giudizio
incidentale di legittimita' costituzionale, con restituzione degli
atti al giudice procedente,
Dispone
l'immediata trasmissione degli atti del procedimento alla Corte
costituzionale,
Manda
alla cancelleria per la notificazione della presente ordinanza al
Presidente del Consiglio dei ministri, nonche' per la comunicazione
ai Presidenti della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica
c per la successiva trasmissione del fascicolo processuale alla Corte
costituzionale.
La Spezia, 13 marzo 2025
Il giudice: Gagliano