Reg. ord. n. 192 del 2025 pubbl. su G.U. del 15/10/2025 n. 42
Ordinanza del Corte di Giustizia Tributaria di primo grado di Napoli del 13/06/2025
Tra: Mario Michelino C/ Municipia spa
Oggetto:
Tributi – Imposta municipale propria (IMU) – Previsione che per adeguare la disciplina relativa all'Albo di cui all'art. 53 del d. lgs. n. 446 del 1997, anche alla normativa dell'Unione europea direttamente applicabile, si procede alla revisione del regolamento di cui al decreto del Ministro dell'economia e delle finanze n. 101 del 2022, con regolamento da emanare entro centottanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto-legge n. 202 del 2024 – Previsione che, a tal fine, le disposizioni di cui agli artt. 52, comma 5, lett. b), n. 1), e 53, comma 1, del d. lgs. n. 446 del 1997, conformemente alla normativa dell'Unione europea direttamente applicabile, si interpretano nel senso che le società di scopo, di cui all'art. 194 del codice dei contratti pubblici, di cui al decreto legislativo n. 36 del 2023, o di progetto, di cui al previgente art. 184 del codice dei contratti pubblici, di cui al decreto legislativo n. 50 del 2016, costituite per svolgere attività di accertamento e di riscossione o attività di supporto a esse propedeutiche, non sono iscritte nell'Albo di cui all'art. 53 del d. lgs. n. 446 del 1997, laddove la società aggiudicataria del bando di gara per l'affidamento del servizio di accertamento e di riscossione delle entrate degli enti locali, socia della stessa società di scopo risulti già iscritta nel predetto Albo – Previsione che gli atti di accertamento e di riscossione emessi dalle società di scopo sono da considerare legittimi in quanto emessi in luogo dell'aggiudicatario, comunque tenuto a garantire in solido l'adempimento di tutte le prestazioni erogate direttamente dalle predette società – Denunciata norma che non opera alcuna proroga dei termini dell’iscrizione, perché a monte, stabilisce il venir meno dell’obbligo dell’iscrizione all’Albo nel caso di società aggiudicatarie che presentino le indicate condizioni – Eccesso di delega per eccentricità dell’oggetto della norma rispetto al decreto-legge – Legislatore che interviene con una norma dichiaratamente interpretativa sui requisiti per l’iscrizione all’Albo ex art. 553 del d. lgs. n. 446 del 1997 prevedendo, al contempo, che tali requisiti siano oggetto di una revisione in virtù di un futuro regolamento, dando luogo a un ossimoro normativo – Previsione che nulla statuisce in riferimento all’ipotesi in cui il socio iscritto trasferisca ad altri la sua partecipazione – Tenore letterale della norma che, da un lato ,richiama il concetto di obbligazione solidale e, dall’altro, riferisce tale concetto all’esecuzione della prestazione, non permettendo di comprendere quale utilità potrebbe avere la società partecipante a partecipare alla procedura di affidamento con società terza da essa partecipata, qualora fosse tenuta a eseguire le stesse prestazioni della società partecipata – Disposizione che non contiene alcuna indicazione specifica della normativa europea alla quale intende fare riferimento – Disciplina incerta sotto il profilo interpretativo atteso il duplice riferimento alle società di progetto e di scopo, effettuato, in particolare, richiamando una disposizione attualmente vigente, vale a dire l’art. 194 del nuovo codice dei contratti pubblici e una non più vigente ossia l’art. 184 di tale codice nella precedente versione – Oscurità e indeterminatezza della norma – Violazione dei principi di uguaglianza e ragionevolezza – Lesione dei principi di legalità, tassatività e determinatezza – Introduzione di un regime differenziato dei requisiti previsti per le società di riscossione irragionevole e ingiustificato, con gravi ripercussioni sulla parità di concorrenza delle imprese – Contrasto con il principio di imparzialità e buon andamento dell’amministrazione – Violazione della tutela del legittimo affidamento delle altre imprese che hanno partecipato alla gara, ritenendo necessario il possesso dei requisiti previsti dalla legge e in particolare di quelli a cui è condizionata l’iscrizione all’Albo di cui all’art. 53, del decreto legislativo n. 446 del 1997, delle società partecipanti – Previsione che permette alle società già affidatarie del servizio di moltiplicare le loro possibilità di partecipazione, con esito positivo, a gare, avvalendosi della costituzione di società di progetto – Abuso di posizione dominante – Lesione della libertà di iniziativa economica privata – Violazione del diritto della concorrenza tutelato dalla normativa europea di riferimento – Introduzione di una norma di carattere retroattivo, in assenza di imperative ragioni di interesse generale che incide su un giudizio in corso – Disposizione sopravvenuta, funzionale a superare un orientamento giurisprudenziale consolidato a mente del quale l’iscrizione all’Albo è stata sempre ritenuta indispensabile per la legittimazione del concessionario – Intervento legislativo che si colloca a notevole distanza temporale dalle disposizioni oggetto di interpretazione – Violazione del principio della parità delle armi processuali e del giusto processo.
Norme impugnate:
decreto-legge del 27/12/2024 Num. 202 Art. 3 Co. 14
legge del 21/02/2025 Num. 15
Parametri costituzionali:
Costituzione Art. 3 Co.
Costituzione Art. 25 Co.
Costituzione Art. 41 Co.
Costituzione Art. 76 Co.
Costituzione Art. 97 Co.
Costituzione Art. 111 Co.
Convenzione per la salvaguardia diritti dell'uomo e libertà fondamentali Art. 6 Co.
legge Art. 3 Co.
Testo dell'ordinanza
N. 192 ORDINANZA (Atto di promovimento) 13 giugno 2025
Ordinanza del 13 giugno 2025 della Corte di giustizia tributaria di
primo grado di Napoli sul ricorso proposto da Mario Michelino contro
Municipia spa.
Tributi - Imposta municipale propria (IMU) - Previsione che per
adeguare la disciplina relativa all'albo di cui all'art. 53 del
d.lgs. n. 446 del 1997 anche alla normativa dell'Unione europea
direttamente applicabile, si procede alla revisione del regolamento
di cui al decreto del Ministro dell'economia e delle finanze n. 101
del 2022, con regolamento da emanare entro centottanta giorni dalla
data di entrata in vigore della legge di conversione del
decreto-legge n. 202 del 2024 - Previsione che, a tal fine, le
disposizioni di cui agli artt. 52, comma 5, lettera b), numero 1),
e 53, comma 1, del d.lgs. n. 446 del 1997, conformemente alla
normativa dell'Unione europea direttamente applicabile, si
interpretano nel senso che le societa' di scopo, di cui all'art.
194 del codice dei contratti pubblici, di cui al d.lgs. n. 36 del
2023, o di progetto, di cui al previgente art. 184 del codice dei
contratti pubblici, di cui al d.lgs. n. 50 del 2016, costituite per
svolgere attivita' di accertamento e di riscossione o attivita' di
supporto a esse propedeutiche, non sono iscritte nell'albo di cui
all'art. 53 del d.lgs. n. 446 del 1997, laddove la societa'
aggiudicataria del bando di gara per l'affidamento del servizio di
accertamento e di riscossione delle entrate degli enti locali,
socia della stessa societa' di scopo, risulti gia' iscritta nel
predetto albo - Previsione che gli atti di accertamento e di
riscossione emessi dalle societa' di scopo sono da considerare
legittimi in quanto emessi in luogo dell'aggiudicatario, comunque
tenuto a garantire in solido l'adempimento di tutte le prestazioni
erogate direttamente dalle predette societa'.
- Legge 21 febbraio 2025, n. 15, art. 3, comma 14-septies (recte:
decreto-legge 27 dicembre 2024, n. 202 (Disposizioni urgenti in
materia di termini normativi), convertito, con modificazioni, nella
legge 21 febbraio 2025, n. 15, art. 3, comma 14-septies).
(GU n. 42 del 15-10-2025)
LA CORTE DI GIUSTIZIA TRIBUTARIA DI I GRADO DI NAPOLI
Sezione 1
Riunita in udienza il 15 maggio 2025 alle ore 9,30, in
composizione monocratica:
Caputo Luca, Giudice monocratico
in data 15 maggio 2025 ha pronunciato la seguente ordinanza sul
ricorso n. 24547/2024 depositato il 19 dicembre 2024 proposto da
Mario Michelino - MCHMRA70E29F839Y, difeso da Mario Michelino -
MCHMRA70E29F839Y ed elettivamente domiciliato presso
mario@pec.studiomichelino.it
Contro Municipia Spa - 01973900838 difeso da Fabio Russo -
RSSFBA73D22B963I ed elettivamente domiciliato presso
ferconsulting@pec.it
Avente ad oggetto l'impugnazione di: SOLL_PAGAMENTO n.
20240002140650089459979 TARI 2020 a seguito di discussione in Camera
di consiglio e visto il dispositivo n. 9421/2025 depositato il 20
maggio 2025
Elementi in fatto e diritto
Premesso:
che con ricorso notificato il 10 dicembre 2024 e depositato
il 19 dicembre 2024, il ricorrente avv. Michelino Mario ha impugnato
il sollecito di pagamento relativo alla Tari dovuta nell'anno 2020 n.
20240002140650089459979 del 24 settembre 2024, notificato in data 4
novembre 2024, emesso da Napoli Obiettivo Valore s.r.l. e Municipia
S.p.a., dell'importo complessivo di euro 768,45;
che, come primo motivo di ricorso, ha dedotto, la nullita'
dell'atto impugnato perche' emesso da Napoli Obiettivo Valore s.r.l.,
soggetto non iscritto all'albo di cui all'art. 53, decreto
legislativo 15 dicembre 1997, n. 446 (soggetti abilitati alla
concessione di attivita' di accertamento e riscossione dei tributi
locali), ne' nella sezione separata dell'albo introdotta dall'art. 1,
comma 805, legge 27 dicembre 2019, n. 160 (soggetti che svolgono
esclusivamente attivita' di supporto a quelle di accertamento e
riscossione);
che ha dedotto, inoltre, la nullita' dell'atto perche' non
accompagnato dall'allegazione dell'atto di accertamento sottostante,
atto che non sarebbe mai stato notificato;
che Municipia S.p.a., costituitasi in giudizio, ha eccepito
l'infondatezza del ricorso e, in particolare, quanto alla pretesa
nullita' dell'atto impugnato, che «nessun dubbio» sussista «sulla
legittimazione del concessionario ex legge n. 15/2025 e
Cass.14335/25», avendo «L'intervento della Corte (...) chiarito
definitivamente ogni dubbio sulla legittimita' dell'operato della
NOV, quale societa' di progetto di Municipia, riconoscendo la natura
di interpretazione autentica e dunque l'efficacia retroattiva della
norma intervenuta, per porre fine ad di una situazione di grave
incertezza che si era verificata»;
che, inoltre, Municipia S.p.a. ha eccepito l'infondatezza del
ricorso, per intervenuta notifica dell'avviso di accertamento
pregresso, che non sarebbe stato impugnato;
che il ricorrente, con memoria illustrativa, oltre a eccepire
la tardivita' della costituzione in giudizio di Municipia S.p.a. per
violazione dei termini ex art. 23, comma 3, decreto legislativo n.
546/92, ha ribadito l'illegittimita' dell'atto per assenza del potere
impositivo in capo a Napoli Obiettivo Valore s.r.l., deducendo che
«la medesima carenza di potere e' ravvisabile anche e viepiu' in capo
a Municipia S.p.a. Vero e' che tale societa' per azioni e'
aggiudicataria, in forza della determinazione dirigenziale n.
K1086/002 del 20 marzo 2023, della concessione (tra l'altro) delle
attivita' di accertamento in favore del Comune di Napoli, ma e' vero
altrettanto che, nel concreto, il contratto di concessione con detto
ente locale non e' stato stipulato dalla aggiudicataria Municipia
S.p.a., ma dalla sua «societa' di progetto» Napoli Obiettivo Valore
S.r.l. (...) ha di fatto comportato la cessazione di ogni effetto
giuridico dell'originario rapporto intercorrente tra Municipia S.p.a.
e il Comune di Napoli»;
che con ordinanza del 23 maggio 2024, resa nel giudizio n.
6529/24 r.g., la Corte di Giustizia Tributaria di primo grado di
Napoli ha disposto il rinvio pregiudiziale degli atti alla Corte di
cassazione, ai sensi dell'art. 363-bis codice di procedura civile,
per la risoluzione della seguente questione di diritto: «dica la
Corte di cassazione se, in materia tributaria, secondo la lettura
costituzionalmente orientata dell'art. 184 del decreto legislativo n.
50/2016 (codice degli appalti), sia validamente ed efficacemente
costituita una «societa' di progetto» avente ad oggetto
l'accertamento e la riscossione fiscale, non iscritta (perche'
impossibilitata a farlo) sia nell'albo previsto dall'art. 53 decreto
legislato n. 446/1997, che nella relativa sezione separata dell'art.
1, comma 805, legge 27 dicembre 2019, n. 160, sul presupposto che
essa mutui dalla societa' aggiudicataria (iscritta nell'albo predetto
e socia unica della societa' di progetto) i requisiti prescritti per
legge».
che, con decreto del 23 luglio 2024, la Prima Presidente
della Corte di cassazione ha dichiarato ammissibile la devoluzione
della questione alla Suprema Corte, in quanto relativa a fattispecie
suscettibile di essere dedotta in un contenzioso vasto e diffuso,
assegnandola alla Sezione Tributaria per l'enunciazione del principio
di diritto;
che, con ordinanza del 13 marzo 2025, preso atto del fatto
che tra le questioni oggetto di ricorso vi era anche quella
concernente la legittimita' dell'attivita' posta in essere da Napoli
Obiettivo Valore s.r.l. e dell'imminenza della decisione della Corte
di cassazione, che in data 22 gennaio 2025 aveva trattato la
questione oggetto di rinvio pregiudiziale, il procedimento era
rinviato a nuovo ruolo «al fine di consentire, anche per assicurare
il rispetto del principio di nomofilachia, che sulla questione
concernente la legittimazione di Napoli Obiettivo Valore si pronunci
la Suprema Corte»;
che con legge 21 febbraio 2025, n. 15, pubblicata in Gazzetta
Ufficiale del 24 febbraio 2025, n. 45, di conversione del
decreto-legge 27 dicembre 2024, n. 202 (c.d. decreto «milleproroghe
2025»), e' stato previsto, all'art. 3 comma 14-septies, che «Per
l'anno 2025, il termine del 31 marzo, di cui all'art. 12, comma 1,
lettera a), del regolamento di cui al decreto del Ministro
dell'economia e delle finanze 13 aprile 2022, n. 101, e' prorogato al
30 settembre 2025.
Al fine di adeguare la disciplina relativa all'albo di cui
all'art. 53 del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446, anche
alla normativa dell'Unione europea direttamente applicabile, si
procede alla revisione del regolamento di cui al decreto del Ministro
dell'economia e delle finanze 13 aprile 2022, n. 101, con regolamento
da emanare entro centottanta giorni dalla data di entrata in vigore
della legge di conversione del presente decreto. A tal fine, le
disposizioni di cui agli articoli 52, comma 5, lettera b), numero 1),
e 53, comma 1, del decreto legislativo n. 446 del 1997, conformemente
alla disciplina recata dalla normativa dell'Unione europea
direttamente applicabile, si interpretano nel senso che le societa'
di scopo, di cui all'art. 194 del codice dei contratti pubblici, di
cui al decreto legislativo 31 marzo 2023, n. 36, o di progetto, di
cui al previgente art. 184 del codice dei contratti pubblici, di cui
al decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50, costituite per svolgere
attivita' di accertamento e di riscossione o attivita' di supporto ad
esse propedeutiche, non sono iscritte nell'albo di cui all'art. 53
del decreto legislativo n. 446 del 1997, laddove la societa'
aggiudicataria del bando di gara per l'affidamento del servizio di
accertamento e di riscossione delle entrate degli enti locali, socia
della stessa societa' di scopo risulti gia' iscritta nel predetto
albo. Gli atti di accertamento e di riscossione emessi dalle societa'
di scopo di cui al precedente periodo sono da considerare legittimi
in quanto emessi in luogo dell'aggiudicatario, comunque tenuto a
garantire in solido l'adempimento di tutte le prestazioni erogate
direttamente dalle predette societa'»;
che, con sentenza n. 7495 del 20 marzo 2025, la Corte di
cassazione, Sezione tributaria, ha dichiarato inammissibile il rinvio
pregiudiziale proprio in conseguenza dell'entrata in vigore della
citata disposizione; infatti, dopo averla richiamata, la Corte di
cassazione ha osservato che «Il legislatore e' dunque direttamente
intervenuto, con norma dichiaratamente interpretativa, a chiarire il
significato e la portata della disposizione oggetto di rinvio
pregiudiziale, in modo tale che quest'ultimo risulta privo, per
effetto dello jus superveniens, di uno dei suoi presupposti tipici ed
essenziali, costituito dalla presenza, nella questione dedotta, di
«gravi difficolta' interpretative» ex art. 363-bis, primo comma, n.
2) codice procedura civile»; sulla base di cio', quindi, la Suprema
Corte ha dichiarato l'inammissibilita' del rinvio pregiudiziale
medesimo, restituendo gli atti al giudice remittente;
Considerato:
che il sollecito di pagamento impugnato nel giudizio e' stato
emesso sia da Napoli Obiettivo Valore s.r.l. che da Municpia S.p.a.;
che il sollecito di pagamento e' impugnabile innanzi al
giudice tributario in virtu' della previsione espressa contenuta
nell'art. 19, comma 1, lettera e), decreto legislativo n. 546/92;
che l'avviso di accertamento esecutivo Tari - anno 2020 per
omesso/parziale versamento prot. n. 965/19565 del 20 novembre 2023, a
cui si riferisce il sollecito di pagamento impugnato, risulta emesso
e notificato esclusivamente da Napoli Obiettivo Valore s.r.l., come
si evince agevolmente dall'esame dell'atto, e in particolare
dall'intestazione e dalla sottoscrizione dello stesso;
che, nel presente giudizio si chiede in via principale che
l'adita Corte di giustizia tributaria dichiari la
nullita'/illegittimita' dell'atto impugnato perche' emesso da
soggetto, la Napoli Obiettivo Valore s.r.l. non iscritto nell'albo di
cui all'art. 53, decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446
(soggetti abilitati alla concessione di attivita' di accertamento e
riscossione dei tributi locali), ne' nella sezione separata dell'albo
introdotta dall'art. 1, comma 805, legge 27 dicembre 2019, n. 160
(soggetti che svolgono esclusivamente attivita' di supporto a quelle
di accertamento e riscossione);
che, in ogni caso, aldila' della validita' o meno del
sollecito di pagamento impugnato, che risulta emesso congiuntamente
da Napoli Obiettivo Valore s.r.l. e Municipia S.p.a., e' rilevante e
decisiva la questione concernente la validita' o meno dell'atto di
accertamento sotteso al sollecito di pagamento, atteso che e'
specifico motivo di ricorso la mancata emissione e notifica di valido
avviso di accertamento;
che l'atto di accertamento sotteso al sollecito impugnato,
come evidenziato, risulta emesso e notificato esclusivamente da
Napoli Obiettivo Valore s.r.l.;
che anche dopo il deposito di tale atto, parte ricorrente ha
insistito nell'accoglimento del ricorso ribadendo, secondo la sua
prospettazione, la nullita'/illegittimita' dell'attivita' di
accertamento e riscossione posta in essere da Napoli Obiettivo Valore
s.r.l.;
che, quindi, la questione concernente la validita' o meno
dell'attivita' di riscossione svolta da Napoli Obiettivo Valore
s.r.l. e' certamente rilevante nel caso di specie, atteso che dalla
relativa interpretazione dipende l'esito della controversia;
Considerato che, pertanto, nel presente giudizio trova
applicazione l'art. 3, comma 14-septies della legge n. 15 del 21
febbraio 2025 - il cui contenuto si e' innanzi integralmente
trascritto - e che tale disposizione presenti piu' profili di
possibile illegittimita' costituzionale;
Ritenuto
che, piu' specificatamente, l'art. 3, comma 14-septies della
legge n. 15 del 21 febbraio 2025 presenti profili di dubbia
costituzionalita' per i motivi di seguito esposti:
1 - Violazione art. 76 della Costituzione - Eccesso di delega sub
specie di eccentricita' dell'oggetto della norma rispetto al decreto
milleproroghe
1a) Com'e' noto, l'incostituzionalita' delle leggi per eccesso di
delega rappresenta uno dei vizi piu' significativi nel controllo di
costituzionalita' degli atti normativi del Governo emanati in forza
di delegazione legislativa.
L'eccesso di delega trova il suo fondamento nell'art. 76 della
Costituzione, secondo cui «l'esercizio della funzione legislativa non
puo' essere delegato al Governo se non con determinazione di principi
e criteri direttivi e soltanto per tempo limitato e per oggetti
definiti».
La ratio dell'eccesso di delega e' strettamente connessa al fatto
che la delega legislativa costituisce un'eccezione rispetto al
principio generale secondo cui la funzione legislativa e' riservata
alle Camere, in conformita' con quanto previsto dall'art. 77 della
Costituzione; cio' allo scopo di assicurare il rispetto del principio
democratico e della separazione dei poteri, garantendo che le scelte
legislative fondamentali siano riservate al Parlamento.
Come ha osservato la Corte costituzionale nella sentenza n. 22
del 2024, infatti, «la delegazione legislativa, possibilita' prevista
in Costituzione, si pone come deroga del canone opposto secondo cui,
in generale, l'esercizio della funzione legislativa non puo' essere
delegato al Governo».
Passando piu' specificamente a individuare i possibili limiti che
incontra la legislazione delegata secondo la ricostruzione operata
dalla Corte costituzionale, si e' osservato che «il sindacato
costituzionale sulla delega legislativa deve svolgersi attraverso un
confronto tra gli esiti di due processi ermeneutici paralleli,
riguardanti, da un lato, le disposizioni che determinano l'oggetto, i
principi e i criteri direttivi indicati dalla legge di delegazione e,
dall'altro, le disposizioni stabilite dal legislatore delegato, da
interpretarsi nel significato compatibile con i principi e i criteri
direttivi della delega» (Corte costituzionale, sentenza n. 149/2024);
ancora piu' specificamente, con riferimento alle modalita' in base
alle quali deve svolgersi questo confronto, la Corte costituzionale
ha osservato che «il controllo sul superamento dei limiti posti dalla
legge di delega va operato partendo dal dato letterale per poi
procedere ad una indagine sistematica e teleologica per verificare se
l'attivita' del legislatore delegato, nell'esercizio del margine di
discrezionalita' che gli compete nell'attuazione della legge di
delega, si sia inserito in modo coerente nel complessivo quadro
normativo, rispettando la ratio della norma delegante» (Corte
costituzionale, sentenza n. 7/2024).
Quanto alla discrezionalita' di cui gode il legislatore delegato,
la Corte costituzionale, pur riconoscendo la sussistenza di uno
spazio per l'attivita' di «riempimento normativo», ha precisato che
il legislatore delegato non gode di una discrezionalita' illimitata,
dovendo quest'ultima, e il relativo grado di minore o maggiore
ampiezza, essere valutati in relazione al grado di specificita' dei
criteri fissati nella legge delega (Corte costituzionale, sentenza n.
166/2023); occorrendo, in particolare, per verificare se la norma
delegata risulti o meno coerente con la legge delega, accertare in
via preliminare la ratio di quest'ultima.
Inoltre, risulta particolarmente rilevante quanto affermato dalla
giurisprudenza della Corte costituzionale secondo cui, in sede di
conversione di un decreto-legge, il Governo non puo' inserire
emendamenti che siano del tutto avulsi dell'originario decreto,
sottraendo cosi' alla normale dialettica e confronto parlamentare
l'innovazione legislativa.
Cosi', tra le altre, Corte costituzionale, sentenza n. 2 del
2012, che ha statuito che «E' costituzionalmente illegittimo l'art.
2, comma 2-quater, del decreto-legge 29 dicembre 2010, n. 225,
convertito in legge, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della
legge 26 febbraio 2011, n. 10, nella parte in cui introduce comma
5-quinquies, primo periodo, nell'art. 5 della legge 24 febbraio 1992,
n. 225 che, per effetto di emendamenti approvati in sede di
conversione, non facevano parte del testo originario del
decreto-legge sottoposto alla firma del Presidente della Repubblica,
regolando i rapporti finanziari tra Stato e Regioni in materia di
protezione civile non con riferimento ad uno o piu' specifici eventi
calamitosi, o in relazione a situazioni gia' esistenti e bisognose di
urgente intervento normativo, ma in via generale e ordinamentale per
tutti i casi futuri di possibili eventi calamitosi, di cui all'art.
2, comma 1, lettera c), della legge n. 225 del 1992, e dunque una
normativa «a regime», del tutto slegata da contingenze particolari,
inserita tuttavia nella legge di conversione di un decreto-legge
denominato «Proroga di termini previsti da disposizioni legislative e
di interventi urgenti in materia tributaria e di sostegno alle
imprese e alle famiglie», con palese estraneita' delle norme
impugnate rispetto all'oggetto e alle finalita' del decreto-legge
cosiddetto «milleproroghe», trattandosi di un frammento, relativo ai
rapporti finanziari, della disciplina generale e sistematica, tuttora
mancante, del riparto delle funzioni e degli oneri tra Stato e
Regioni in materia di protezione civile; con il che' l'inserimento
delle norme denunciate, stante il loro carattere di eterogeneita'
rispetto all'oggetto o alla finalita' del decreto spezza il legame
logico-giuridico tra la valutazione fatta dal Governo dell'urgenza
del provvedere ed «i provvedimenti provvisori con forza di legge», di
cui al secondo comma dell'art. 77 della Costituzione, il quale impone
il collegamento dell'intero decreto-legge al caso straordinario di
necessita' e urgenza, che ha indotto il Governo ad avvalersi
dell'eccezionale potere di esercitare la funzione legislativa senza
previa delegazione da parte del Parlamento. In definitiva, l'innesto
nell'iter di conversione dell'ordinaria funzione legislativa puo'
certamente essere effettuato, per ragioni di economia procedimentale,
a patto di non spezzare il legame essenziale tra decretazione
d'urgenza e potere di conversione; ne discende che se tale legame
viene interrotto, la violazione dell'art. 77, secondo comma,
Costituzione, non deriva dalla mancanza dei presupposti di necessita'
e urgenza per le norme eterogenee aggiunte, che, proprio per essere
estranee e inserite successivamente, non possono collegarsi a tali
condizioni preliminari, ma per l'uso improprio, da parte del
Parlamento, di un potere che la Costituzione gli attribuisce, con
speciali modalita' di procedura, allo scopo tipico di convertire, o
non, in legge un decreto-legge».
1b) Cio' posto sul piano generale, deve osservarsi che nel caso
di specie la norma in esame e' stata inserita in sede di conversione
del decreto-legge 27 dicembre 2024, n. 202, recante «Disposizioni
urgenti in materia di termini normativi» (c.d. Milleproroghe),
decreto adottato in via d'urgenza nel presupposto della «(...)
straordinaria necessita' e urgenza di provvedere alla proroga, alla
revisione o all'abrogazione di termini di prossima scadenza al fine
di garantire la continuita' dell'azione amministrativa, nonche' di
adottare misure essenziali per l'efficienza e l'efficacia dell'azione
delle pubbliche amministrazioni».
Come evidenziato, la norma in questione interviene, per la parte
che rileva in questa sede, sulla disciplina dei requisiti che devono
possedere le societa' iscritte all'albo di cui al decreto legislativo
n. 446/97, prevedendo, con una disposizione dichiaratamente
interpretativa, ma in realta' palesemente innovativa, che determinati
soggetti non debbano essere iscritte al suddetto albo «laddove la
societa' aggiudicataria del bando di gara per l'affidamento del
servizio di accertamento e di riscossione delle entrate degli enti
locali, socia della stessa societa' di scopo risulti gia' iscritta
nel predetto albo».
E' evidente, quindi, che la norma in questione non opera alcuna
proroga dei termini dell'iscrizione, perche', anzi, a monte,
stabilisce il venir meno dell'obbligo dell'iscrizione all'albo nel
caso di societa' aggiudicatarie che presentino le condizioni
indicate.
Si tratta, quindi, di una norma che non presenta alcuna attinenza
con il presupposto stesso, e quindi con l'oggetto della legge delega,
oltre che con le finalita' perseguite da quest'ultima.
2 - Violazione degli articoli 3, 25, 76 e 97 della Costituzione -
Oscurita' e indeterminatezza della norma
2a) La norma in questione presenta profili di incostituzionalita'
anche in termini di oscurita' e indeterminatezza della stessa.
Com'e' noto, la possibilita' di dichiarare l'incostituzionalita'
delle leggi per oscurita' della norma coinvolge principi cardine
dello Stato di diritto e in particolare quello della certezza
giuridica.
Dall'esame della giurisprudenza costituzionale e di legittimita'
emerge la sussistenza di un orientamento consolidato che riconosce
nell'oscurita' normativa un vizio di legittimita' costituzionale.
Il principio di determinatezza delle norme giuridiche trova il
suo fondamento costituzionale negli articoli 3, 25, secondo comma, e
97 della Costituzione e nell'art. 7 della Convenzione europea dei
diritti dell'uomo.
Ancora, il quadro normativo di riferimento include l'art. 76
della Costituzione, che richiede la determinazione di principi e
criteri direttivi per la delega legislativa, e l'art. 1 del codice
penale, che sancisce il principio di legalita' penale. Inoltre,
l'art. 2 dello Statuto del contribuente stabilisce specifici obblighi
di chiarezza e trasparenza per le disposizioni tributarie.
In particolare, la Corte costituzionale ha affermato che «una
disposizione normativa radicalmente oscura e inintelligibile nel suo
significato precettivo si pone in contrasto con il principio di
ragionevolezza di cui all'art. 3 della Costituzione» (Corte
costituzionale, sentenza n. 110/2023).
Piu' specificamente, con tale decisione il giudice delle leggi ha
dichiarato costituzionalmente illegittimo, per violazione dell'art. 3
della Costituzione, l'art. 7, comma 18, della legge regionale Molise
n. 8 del 2022, disposizione che in materia edilizia consente
determinati interventi «previa V.A.», in quanto «costituita da un
enunciato affetto da radicale oscurita', in quanto caratterizzata
dall'abbondanza di termini imprecisi, senza che si colleghi ad alcun
corpo normativo preesistente, impedendo la possibilita' di utilizzare
lo strumento dell'interpretazione sistematica, riferendosi a una
procedura identificata con un acronimo incomprensibile, il predetto
"V.A.", oggetto di due diverse letture da parte della stessa difesa
regionale».
In tale occasione la Corte costituzionale ha osservato che
«Sebbene ogni enunciato normativo presenti margini piu' o meno ampi
di incertezza circa il suo ambito di applicazione, senza che cio'
comporti, di per se', la sua illegittimita' costituzionale (e non
possa, ugualmente, ritenersi contrario all'art. 3 della Costituzione
il ricorso da parte della legge a clausole generali,
programmaticamente aperte a processi di specificazione e di
concretizzazione giurisprudenziale o il ricorso a concetti tecnici o
di difficile comprensione per chi non possieda speciali competenze
tecniche), nel caso in cui il significato delle espressioni
utilizzate in una disposizione, nonostante ogni sforzo
interpretativo, compiuto sulla base di tutti i comuni canoni
ermeneutici, rimanga del tutto oscuro, con il risultato di rendere
impossibile all'interprete identificare anche solo un nucleo centrale
di ipotesi riconducibili con ragionevole certezza alla fattispecie
normativa astratta, si determina un contrasto con i requisiti minimi
di razionalita' dell'azione legislativa necessari alla tutela della
liberta' e della sicurezza dei cittadini. In tal caso, l'assoluta
indeterminatezza dei contorni e i contenuti vaghi e imprecisi pongono
il destinatario nell'impossibilita' di rendersi conto del
comportamento doveroso cui attenersi per evitare di soggiacere alle
conseguenze della sua inosservanza, impedendo all'interprete di
esprimere un giudizio di corrispondenza sorretto da un fondamento
controllabile nella operazione ermeneutica di riconduzione della
fattispecie concreta alla previsione normativa e minando l'obbligo
imposto al legislatore di formulare norme concettualmente precise
sotto il profilo semantico della chiarezza e della intellegibilita'
dei termini impiegati. Alla stregua di quanto avviene in materia
penale e in linea con quanto riconosciuto in altri ordinamenti, una
disposizione, statale o regionale, che presenti indeterminatezza dei
suoi presupposti applicativi, non rimediabile tramite gli strumenti
dell'interpretazione, non fornisce alcun affidabile criterio guida
nella valutazione, da parte della pubblica amministrazione, se
assentire o meno un dato intervento richiesto dal privato, in
contrasto con il principio di legalita' dell'azione amministrativa e
con esigenze minime di eguaglianza di trattamento tra i consociati.
In questo modo, si rende arduo al privato lo stesso esercizio del
diritto di difesa in giudizio contro l'eventuale provvedimento
negativo della pubblica amministrazione, in ragione
dell'indeterminatezza dei presupposti della legge che dovrebbe
assicurargli tutela contro l'uso arbitrario della discrezionalita'
amministrativa».
La Corte costituzionale, in sintesi, ha chiarito che, sebbene sia
fisiologica la presenza negli enunciati normativi di margini di
incertezza interpretativa e sia consentito il ricorso a clausole
generali e a concetti tecnici, una norma il cui significato rimanga
del tutto incomprensibile nonostante ogni sforzo ermeneutico viola i
requisiti minimi di razionalita' dell'azione legislativa.
Tale limite, come emerge dalla richiamata decisione n. 110 del
2023 e' sostanzialmente riconducibile a tre ordini di ragioni:
la necessita' di garantire il diritto dei consociati a
conoscere ex ante e in modo ragionevolmente affidabile i limiti entro
cui i loro diritti e interessi trovano tutela;
la necessita' di assicurare il rispetto del principio di
legalita' e di separazione dei poteri, perche' una norma radicalmente
oscura vincola solo in maniera apparente il potere amministrativo e
giudiziario, violando il principio di legalita' e la separazione dei
poteri;
la necessita' di assicurare il rispetto del principio di
parita' di trattamento, perche' l'indeterminatezza della norma crea
le condizioni per un'applicazione diseguale della stessa.
Si tratta di un principio/limite che trova certamente le maggiori
applicazioni nell'ambito del diritto penale, in cui si ricollega al
principio di legalita' e tassativita' di cui all'art. 25, secondo
comma, Costituzione; cio' e' stato ribadito, anche recentemente, con
la sentenza n. 54/2024 della Corte costituzionale, con cui si e'
affermata la necessita' di assicurare il rispetto dei requisiti
minimi di chiarezza e precisione che debbono possedere le
disposizioni incriminatrici, «in forza - in particolare - del
principio di legalita' e tassativita' di cui all'art. 25, secondo
comma, Costituzione», da cui deriva un «imperativo costituzionale,
rivolto al legislatore, di formulare norme concettualmente precise
sotto il profilo semantico della chiarezza e dell'intellegibilita'
dei termini impiegati».
Del resto, esso trova richiami costanti anche nella
giurisprudenza di legittimita': la Corte di cassazione, Sezioni
Unite, con la sentenza n. 36258 del 2012 ha affermato che
«l'indeterminatezza normativa del legislatore costringe il giudice a
una inevitabile "tautologia interpretativa"», con la conseguenza che
precetti penali cosi' aspecificamente formulati finiscono con
l'entrare in conflitto anche con l'art. 54 della Costituzione, comma
1, poiche' non e' possibile osservare leggi che non siano chiare e
comprensibili nel loro contenuto.
Ancora, nella sentenza della Corte di cassazione - Quinta sezione
penale n. 8190/2019 si e' affermato che la violazione delle
prescrizioni generiche di «vivere onestamente» e di «rispettare le
leggi» non configura reato, in quanto «il difetto di determinatezza e
tassativita' di tali prescrizioni generiche le rende inidonee a
influire sul comportamento del destinatario e a fondare un addebito
di colpevolezza».
Non mancano, inoltre, applicazioni di questo principio anche in
materia tributaria, nella quale la giurisprudenza ha sviluppato il
concetto di «incertezza normativa oggettiva» come causa di esenzione
dalle sanzioni amministrative. Come chiarito dalla recente decisione
n. 791/2025 della Corte di cassazione, Sezione tributaria,
l'incertezza normativa oggettiva e' caratterizzata dalla
impossibilita' di individuare con sicurezza ed univocamente la norma
giuridica nel cui ambito il caso di specie e' sussumibile.
La Corte di cassazione ha individuato specifici «indici»
rivelatori dell'incertezza normativa, tra cui: la difficolta' di
individuazione delle disposizioni normative; la difficolta' di
determinazione del significato della formula dichiarativa; la
mancanza di informazioni amministrative o la loro contraddittorieta';
l'assenza di una prassi amministrativa o la contraddittorieta' delle
circolari; la mancanza di precedenti giurisprudenziali; l'esistenza
di orientamenti giurisprudenziali contrastanti.
2b) Cio' posto sul piano generale, e' opportuno richiamare il
dato testuale dell'art. 3, comma 14-septies della legge 21 febbraio
2025; quest'ultimo prevede, per un verso, che, «Al fine di adeguare
la disciplina relativa all'albo di cui all'art. 53 del decreto
legislativo 15 dicembre 1997, n. 446, anche alla normativa
dell'Unione europea direttamente applicabile, si procede alla
revisione del regolamento di cui al decreto del Ministro
dell'economia e delle finanze 13 aprile 2022, n. 101, con regolamento
da emanare entro centottanta giorni dalla data di entrata in vigore
della legge di conversione del presente decreto» e, per altro verso,
contestualmente dispone che «A tal fine, le disposizioni di cui agli
articoli 52, comma 5, lettera b), numero 1), e 53, comma 1, del
decreto legislativo n. 446 del 1997, conformemente alla disciplina
recata dalla normativa dell'Unione europea direttamente applicabile,
si interpretano nel senso che (...)».
Con la disposizione in esame, quindi, il legislatore, da un lato,
rinvia ad un futuro regolamento ai fini della revisione della
disciplina concernente l'albo di cui all'art. 53 del decreto
legislativo n. 15 dicembre 1997, n. 446, anche per adeguarla alla
normativa dell'Unione europea direttamente applicabile e, dall'altro
lato, prevede, contestualmente, con una disposizione dichiaratamente
interpretativa che, come tale, certamente non puo' necessitare
dell'adozione di regolamenti ad hoc per poter avere efficacia, che la
medesima disciplina di cui all'art. 53 del decreto legislativo n.
446/1997 vada interpretata in un determinato modo, ossia nel senso
della non necessita' dell'iscrizione all'albo per determinate
societa' in presenza delle condizioni previste dalla legge medesima.
E' evidente che si e' in presenza di una palese contraddizione in
termini, di una sorta di «ossimoro normativo», laddove il legislatore
interviene con una norma dichiaratamente interpretativa sui requisiti
per l'iscrizione all'albo ex art. 553 del decreto legislativo n.
446/97 prevedendo, al contempo, che tali requisiti siano oggetto di
una revisione in virtu' di un regolamento che, al momento
dell'entrata in vigore della norma, e' aldila' da venire; si tratta
di una situazione di conflitto «interno» al dato letterale che appare
irrisolvibile in via interpretativa e che determina, quindi, una
situazione di assoluta incertezza normativa.
Inoltre, contribuisce all'incertezza normativa il fatto che nulla
e' stato statuito in riferimento all'ipotesi in cui il socio iscritto
trasferisca ad altri la sua partecipazione; il che potrebbe, almeno
astrattamente, avvenire in favore di societa' non iscritte e alle
conseguenze che deriverebbero in questi casi; potendosi ipotizzare,
ad esempio, che si configuri un problema di nullita' sopravvenuta
degli atti posti in essere dalla societa' di riscossione risultata
non piu' iscritta, neanche indirettamente, all'albo istituito presso
il MEF.
Ancora, risulta parimenti generica la previsione secondo cui il
socio iscritto e' «tenuto a garantire in solido l'adempimento di
tutte le prestazioni erogate direttamente dalle predette societa'»:
per un verso, infatti, il tenore letterale della norma richiama il
concetto di obbligazione solidale e, per altro verso, riferisce pero'
tale concetto all'esecuzione della prestazione. Non e' dato
comprendere, quindi, sotto questo profilo, quale utilita' potrebbe
avere per la societa' partecipante, partecipare alla procedura di
affidamento con societa' terza da essa partecipata se si considerasse
tenuta a eseguire le medesime prestazioni della societa' partecipata;
diversamente, se si interpretasse la norma nel senso di prevedere una
forma di garanzia delle obbligazioni scaturenti dall'esecuzione delle
prestazioni dovute e non gia' come coobbligata ad eseguire queste
ultime, allora dovrebbe ipotizzarsi che la societa' partecipante
iscritta sia garante non rispetto alla posizione dei contribuenti
che, almeno sul piano teorico, potrebbero vantare pretese
risarcitorie per un utilizzo illecito del potere di
accertamento/riscossione di una societa' da parte di una societa' non
iscritta; societa' che, alla luce di quanto evidenziato, risulterebbe
sottratta a forme di controllo diretto e non in possesso, ad esempio,
dei requisiti finanziari come la presenza di un capitale sociale
adeguato, previsto anche a tutela dei contribuenti medesimi.
Inoltre, la norma in esame risulta particolarmente vaga nella
parte in cui prevede che «Al fine di adeguare la disciplina relativa
all'albo di cui all'art. 53 del decreto legislativo 15 dicembre 1997,
n. 446, anche alla normativa dell'Unione europea direttamente
applicabile (...)»; essa, infatti, non contiene alcuna indicazione
specifica della normativa europea alla quale intende fare
riferimento, il che non consente neanche di comprendere con
precisione a quale specifica finalita' si intenda riferire il
legislatore nel richiamare la disciplina europea.
Il riferimento alla normativa europea risulta ancora piu' oscuro
se si considera, come si osservera' da qui a breve, che la norma
richiama l'art. 184 del codice dei contratti pubblici nella
formulazione introdotta dal decreto legislativo n. 50/2016, in
relazione al quale, con riferimento alla previsione di termini minimi
per la ricezione delle domande di partecipazione e delle offerte
nelle procedure a fasi successive, si e' posto un problema di
compatibilita' con i termini minimi stabiliti dalla direttiva
2014/23/UE, che la norma italiana e' tenuta a rispettare; tant'e' che
la nuova formulazione dell'art. 184 ad opera del nuovo codice dei
contratti pubblici (decreto legislativo n. 30/2023) fa ora espresso
riferimento ai «termini minimi stabiliti ai paragrafi 3 e 4 dell'art.
39 della direttiva 2014/23/UE», prevedendo, in questo modo, un
riferimento diretto alla disciplina comunitaria.
Inoltre, risulta estremamente problematico sul piano
interpretativo e applicativo anche il duplice riferimento, contenuto
nella norma in esame, alle societa' di progetto e di scopo,
effettuato in particolare richiamando una disposizione attualmente
vigente (l'art. 194 del nuovo codice dei contratti pubblici) e una
non piu' vigente (l'art. 184 del codice dei contratti pubblici nella
previgente formulazione).
Il legislatore, infatti, fa contestualmente riferimento alle
societa' di scopo, cosi' denominate attualmente dall'art. 194 del
codice dei contratti pubblici (decreto legislativo n. 36/23) - che al
primo comma, prevede che «1. Per gli affidamenti superiori alla
soglia di cui all'art. 14, comma 1, lettera a), il bando di gara per
l'affidamento di una concessione nella forma della finanza di
progetto prevede che l'aggiudicatario costituisca una societa' di
scopo in forma di societa' per azioni o a responsabilita' limitata,
anche consortile.» - e alle societa' di progetto, richiamando la
formulazione dell'art. 184 ex decreto legislativo n. 50/2016 ora
abrogata - secondo cui «Il bando di gara per l'affidamento di una
concessione per la realizzazione e/o gestione di una infrastruttura o
di un nuovo servizio di pubblica utilita' deve prevedere che
l'aggiudicatario ha la facolta', dopo l'aggiudicazione, di costituire
una societa' di progetto in forma di societa' per azioni o a
responsabilita' limitata, anche consortile».
3 - Violazione articoli 3 e 97 della Costituzione - Disparita' di
trattamento tra societa' partecipate e non partecipate e tutela della
concorrenza
3a) La norma in esame presenta altresi' profili di
incostituzionalita' in relazione agli articoli 3 e 97 della
Costituzione nella misura in cui determina una disparita' di
trattamento con violazione anche del principio di tutela della
concorrenza.
Sul punto e' opportuno premettere che la Corte costituzionale ha
affermato il rilievo centrale della tutela della concorrenza, cui e'
connesso e funzionale il principio di parita' di trattamento, nella
premessa che si tratti di materia di competenza esclusiva dello Stato
ai sensi dell'art. 117, secondo comma, lettera e), Costituzione.
In particolare, e' particolarmente rilevante quanto affermato
nella sentenza n. 4/2022 della Corte costituzionale - con cui e'
stato dichiarato costituzionalmente illegittimo, per violazione
dell'art. 117, secondo comma, lettera e), Costituzione, l'art. 75
della legge regionale Piemonte n. 15 del 2020, che fino al termine
dello stato di emergenza epidemiologica da COVID-19, e comunque fino
al 31 dicembre 2020, attribuisce punteggi premiali a coloro che, nel
presentare offerte nelle pubbliche gare, si impegnino a utilizzare in
misura prevalente la manodopera o il personale nel territorio
regionale - con particolare riferimento a quanto osservato in ordine
alla stretta interconnessione tra la nozione di concorrenza interna e
quella europea.
Piu' specificamente, nella citata decisione si osserva che «La
nozione di "concorrenza" di cui al secondo comma, lettera e),
dell'art. 117 della Costituzione non puo' non riflettere quella
operante in ambito europeo. Essa comprende, pertanto, sia le misure
legislative di tutela in senso proprio, intese a contrastare gli atti
e i comportamenti delle imprese che incidono negativamente
sull'assetto concorrenziale dei mercati, sia le misure legislative di
promozione, volte a eliminare limiti e vincoli alla libera
esplicazione della capacita' imprenditoriale e della competizione tra
imprese (concorrenza "nel mercato"), ovvero a prefigurare procedure
concorsuali di garanzia che assicurino la piu' ampia apertura del
mercato a tutti gli operatori economici (concorrenza "per il
mercato"). In questa seconda accezione, attraverso la tutela della
concorrenza, vengono perseguite finalita' di ampliamento dell'area di
libera scelta dei cittadini e delle imprese, queste ultime anche
quali fruitrici, a loro volta, di beni e di servizi».
Ancora piu' rilevante risulta, nel caso di specie, quanto
osservato con riferimento alle procedure di gara; afferma la Corte
costituzionale, infatti, che «La disciplina delle procedure di gara,
la regolamentazione della qualificazione e selezione dei concorrenti,
delle procedure di affidamento e dei criteri di aggiudicazione mirano
a garantire che le medesime si svolgano nel rispetto delle regole
concorrenziali e dei principi comunitari della libera circolazione
delle merci, della libera prestazione dei servizi, della liberta' di
stabilimento, nonche' dei principi costituzionali di trasparenza e
parita' di trattamento, sicche' tali discipline, in quanto volte a
consentire la piena apertura del mercato nel settore degli appalti,
sono riconducibili all'ambito della tutela della concorrenza (in
particolare: "per il mercato"), di esclusiva competenza del
legislatore statale, costituendo esse uno strumento indispensabile
per tutelare e promuovere la concorrenza in modo uniforme sull'intero
territorio nazionale. Solo allo Stato spetta la facolta' di adottare,
in esito al bilanciamento tra l'interesse alla concorrenza e altri
interessi pubblici e nell'ambito di una disciplina uniforme per
l'intero territorio nazionale, eccezionali restrizioni al libero
accesso degli operatori economici al mercato, che, ove disposte da
differenti normative regionali, sarebbero suscettibili di creare
dislivelli di regolazione, produttivi di barriere territoriali. Allo
Stato, spetta, in generale, nell'esercizio della sua competenza
esclusiva in materia di tutela della concorrenza, definire il punto
di equilibrio tra essa e la tutela di altri interessi pubblici con
esso interferenti».
La citata decisione, quindi, nel ribadire la competenza esclusiva
del legislatore statale della disciplina in materia di tutela della
concorrenza (su cui anche Corte costituzionale, sentenza n. 98/2020),
appare particolarmente rilevante perche' mette in luce il ruolo
nevralgico della tutela della concorrenza, ancora di piu' nella
prospettiva europea; il che, in correlazione con il principio di buon
andamento e imparzialita' dell'azione amministrativa sancito
dall'art. 97 della Costituzione, impone il divieto di introdurre
clausole discriminatorie che, pur apparentemente neutre, finiscano
per avvantaggiare ingiustificatamente alcuni operatori economici a
discapito di altri, garantendo, al contempo, che tutti gli operatori
economici siano posti sullo stesso piano nella competizione per
l'aggiudicazione di contratti pubblici.
3b) Cio' posto sul piano generale, nel caso di specie la norma in
esame presenta elementi di incostituzionalita' anche in relazione
agli articoli 3 e 97 della Costituzione, in quanto introduce, di
fatto, un regime differenziato dei requisiti previsti per le societa'
di riscossione che appare irragionevole e ingiustificato, con gravi
ripercussioni sulla parita' di concorrenza delle imprese.
Invero, l'art. 53 decreto legislativo n. 446/97, rubricato «Albo
per l'accertamento e riscossione delle entrate degli enti locali»
dispone che:
«1. Presso il Ministero delle finanze e' istituito l'albo dei
soggetti privati abilitati ad effettuare attivita' di liquidazione e
di accertamento dei tributi e quelle di riscossione dei tributi e di
altre entrate delle province e dei comuni. Sono escluse le attivita'
di incasso diretto da parte dei soggetti di cui all'art. 52, comma 5,
lettera b), numeri 1), 2) e 4).
2. L'esame delle domande di iscrizione, la revisione
periodica, la cancellazione e la sospensione dall'albo, la revoca e
la decadenza della gestione sono effettuate da una apposita
commissione in cui sia prevista una adeguata rappresentanza dell'ANCI
e dell'UPI.
3. Con decreti del Ministro delle finanze, da emanare ai
sensi dell'art. 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400,
tenuto conto delle esigenze di trasparenza e di tutela del pubblico
interesse, sentita la Conferenza Stato-citta', sono definiti le
condizioni ed i requisiti per l'iscrizione nell'albo, al fine di
assicurare il possesso di adeguati requisiti tecnici e finanziari, la
sussistenza di sufficienti requisiti morali e l'assenza di cause di
incompatibilita' da parte degli iscritti, ed emanate disposizioni in
ordine alla composizione, al funzionamento e alla durata in carica
dei componenti della commissione di cui al comma 2, alla tenuta
dell'albo, alle modalita' per l'iscrizione e la verifica dei
presupposti per la sospensione e la cancellazione dall'albo nonche'
ai casi di revoca e decadenza della gestione. Per i soggetti
affidatari di servizi di liquidazione, accertamento e riscossione di
tributi e altre entrate degli enti locali, che svolgano i predetti
servizi almeno dal 1° gennaio 1997, puo' essere stabilito un periodo
transitorio, non superiore a due anni, per l'adeguamento alle
condizioni e ai requisiti per l'iscrizione nell'albo suddetto».
Quanto ai requisiti previsti ai fini dell'iscrizione all'albo,
essi sono individuati dal decreto del Ministero dell'economia e della
finanze 13 aprile 2022, n. 101, recante «Regolamento relativo alla
definizione dei criteri di iscrizione obbligatoria in sezione
separata dell'albo dei soggetti abilitati ad effettuare attivita' di
accertamento e di riscossione dei tributi e delle altre entrate delle
province e dei comuni, per i soggetti che svolgono esclusivamente le
funzioni e le attivita' di supporto propedeutiche all'accertamento e
alla riscossione delle entrate degli enti locali e delle societa' da
essi partecipate», che prevede, ai fini dell'iscrizione, in
conformita' a quanto previsto dall'art. 10 - secondo cui
«L'iscrizione nell'albo e' subordinata al riconoscimento da parte
della Commissione nei confronti degli organi societari e dei soci
delle societa' dei prescritti requisiti di onorabilita' e
professionalita' e dell'assenza di cause di incompatibilita' di cui
agli articoli 8 e 9, nonche', nei confronti delle societa',
dell'idoneita' finanziaria, tecnica e organizzativa alla gestione
delle attivita' di liquidazione e di accertamento dei tributi e di
quelle di riscossione dei tributi e di altre entrate degli enti
locali di cui agli articoli 6 e 7. L'iscrizione e' altresi'
subordinata alla verifica della sussistenza delle dichiarazioni di
cui all'art. 5» - il rispetto di determinati requisiti finanziari
(art. 6) e tecnici (art. 7), oltre che di requisiti di onorabilita' e
professionalita' (art. 8).
Con l'art. 3, comma 14-septies, della legge 21 febbraio 2025, n.
15 si deroga a tale obbligo e quindi alla necessaria sussistenza dei
requisiti per l'iscrizione all'albo, stabilendo che «(...) le
societa' di scopo, di cui all'art. 194 del codice dei contratti
pubblici, di cui al decreto legislativo 31 marzo 2023, n. 36, o di
progetto, di cui al previgente art. 184 del codice dei contratti
pubblici, di cui al decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50,
costituite per svolgere attivita' di accertamento e di riscossione o
attivita' di supporto ad esse propedeutiche, non sono iscritte
nell'albo di cui all'art. 53 del decreto legislativo n. 446 del 1997,
laddove la societa' aggiudicataria del bando di gara per
l'affidamento del servizio di accertamento e di riscossione delle
entrate degli enti locali, socia della stessa societa' di scopo
risulti gia' iscritta nel predetto albo. (...)».
Cio' comporta, quindi, che se per le societa' non partecipate i
requisiti per potersi iscrivere all'albo di cui all'art. 53, decreto
legislativo n. 446/97 continuano a essere quelli previsti
precedentemente, diversamente, invece, per effetto della norma in
esame, non e' necessario che le societa' di scopo o di progetto
partecipate da societa' iscritte all'albo presentino i requisiti
richiesti dalla citata norma, essendo sufficiente che questi ultimi
sussistano in capo alla societa' partecipante; il che determinerebbe,
nelle intenzioni del legislatore, una sorta di passaggio in via di
osmosi dei requisiti dalla societa' partecipante alla societa'
partecipata.
Tale previsione determina l'introduzione in concreto di un vero e
proprio doppio regime, - peraltro con efficacia retroattiva stante la
natura dichiaratamente interpretativa della norma -, che, per i
soggetti non partecipati da altra societa' iscritta all'albo, impone
il rispetto di una serie di condizioni, indispensabili per
l'iscrizione all'albo delle societa' concessionaria del servizio di
riscossione, laddove, invece, per i soggetti partecipati da societa'
iscritte all'albo dei concessionari non richiede requisiti
particolari, essendo questi ultimi, di fatto, assorbiti dalla
preventiva iscrizione del socio partecipante.
E' evidente, pero', che in questo modo si determina una forte e
ingiustificata alterazione del principio di parita' e di libera
concorrenza nel mercato perche' si consente, di fatto, alle societa'
che gia' risultano iscritte all'albo di prendere parte a nuove gare
per l'affidamento del servizio di riscossione dei tributi, tramite
societa' formalmente da esse distinte e totalmente partecipate, senza
che pero' queste ultime debbano essere iscritte all'albo delle
societa' concessionarie del servizio di riscossione e, quindi,
debbano rispettarne i relativi requisiti.
Ancora piu' irragionevole risulta la scelta del legislatore, se
si considera che la norma in questione e' dichiaratamente
interpretativa e tesa a operare retroattivamente tant'e' che richiama
le societa' di progetto «di cui al previgente art. 184 del codice dei
contratti pubblici»; infatti, la possibilita', introdotta dalla
norma, di consentire di acquisire alle societa' partecipante, di
riflesso, i requisiti richiesti per l'iscrizione all'albo dalla
societa' partecipante, non era conosciuta al momento
dell'introduzione della procedura di gara. La circostanza che tale
possibilita' non fosse conosciuta precedentemente, ma consentita di
fatto solo per effetto dell'intervento operato con la norma in esame
ha determinato, ex post, un'evidente alterazione a monte del processo
di formazione della volonta' di alcuni soggetti in relazione alla
scelta di partecipare alla procedura di affidamento: questi ultimi,
infatti, potrebbero aver consapevolmente desistito dalla
partecipazione alla gara, perche' non in possesso dei suddetti
requisiti, laddove, invece, avrebbero potuto optare per la
partecipazione alla gara qualora avessero conosciuto
l'interpretazione della legge operata dal legislatore.
Anche sotto tale profilo, quindi, e mettendo in correlazione il
principio di parita' di trattamento con quello della tutela
dell'affidamento, la norma in questione risulta irragionevole laddove
determina una lesione della concorrenza in termini di tutela del
legittimo affidamento delle altre imprese che hanno partecipato alla
gara di affidamento del servizio di riscossione nella consapevolezza
che fosse necessario il possesso dei requisiti previsti dalla legge e
in particolare di quelli a cui e' condizionata l'iscrizione all'albo
di cui all'art. 53, decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446
delle societa' partecipanti.
Sul punto, deve inoltre osservarsi, a conferma ulteriore della
non giustificatezza e dell'irrazionalita' del doppio regime
introdotto, che la norma in esame non ha chiarito come il MEF possa
esercitare il controllo sulla societa' di scopo che non e' iscritta,
con la conseguenza che, escludendo la necessita' che la societa'
partecipata da quella iscritta debba iscriversi all'albo, l'unica
forma di controllo che residuerebbe e' quella indiretto nei confronti
della societa' partecipante iscritta.
Anche sotto questo profilo e' evidente la disparita' di
trattamento, laddove si determina un'equiparazione tra due situazioni
notevolmente differenti e non assimilabili: in un caso, infatti,
quello della societa' non partecipata o anche partecipata ma non da
societa' gia' iscritta all'albo, il controllo e' esercitato
direttamente attraverso la verifica del possesso dei requisiti per
l'iscrizione all'albo; mentre nel caso della societa' non
partecipata, il controllo non viene esercitato su quest'ultima ma
solo sulla societa' partecipante.
4 - Violazione art. 41 della Costituzione in combinato disposto con
l'art. 102 Trattato sul funzionamento dell'Unione europea e con
l'art. 3, legge n. 287/1990 Tutela della concorrenza - Abuso di
posizione dominante
4a) La norma in esame presenta altresi' profili di
incostituzionalita' in relazione all'art. 41 della Costituzione,
laddove favorisce la possibilita' di dare luogo a una condizione
privilegiata per le societa' gia' concessionarie dei servizi di
riscossione dei tributi, iscritte all'albo di cui all'art. 53 decreto
legislativo n. 446/97 che partecipino a nuove procedure di
affidamento di tali servizi.
Com'e' noto, l'art. 41 della Costituzione rappresenta il pilastro
su cui si fonda l'ordinamento economico nazionale, stabilendo che
«l'iniziativa economica privata e' libera»; tale liberta' non e'
assoluta, ma trova precisi limiti nel secondo comma della stessa
disposizione, che prevede che essa «non puo' svolgersi in contrasto
con l'utilita' sociale o in modo da recare danno alla salute,
all'ambiente, alla sicurezza, alla liberta', alla dignita' umana»; il
terzo comma, infine, completa il quadro normativo stabilendo che «la
legge determina i programmi e i controlli opportuni perche'
l'attivita' economica pubblica e privata possa essere indirizzata e
coordinata a fini sociali e ambientali».
Come osservato dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 218
del 2021, la liberta' di iniziativa economica garantita dall'art. 41
della Costituzione deve essere necessariamente interpretata «anche
alla luce dei Trattati e, in generale, del diritto dell'Unione
europea», trovando nella tutela della concorrenza il suo fondamento
costituzionale. Ancora, sempre con riferimento alla stretta
correlazione tra limiti previsti all'iniziativa economica e tutela
della concorrenza, la Corte costituzionale, nella sentenza n.
393/2000 ha stabilito che «la liberta' di iniziativa economica, cui
il precetto costituzionale dell'art. 41 si riferisce, e' quella che
trova il suo normale svolgimento nell'esercizio dell'impresa»,
precisando che «anche l'autonomia negoziale e la liberta' di
iniziativa privata devono cedere di fronte a interessi di ordine
superiore, economici e sociali, rilevanti a livello costituzionale».
Con piu' specifico riferimento all'abuso di posizione dominante,
deve osservarsi che esso da' luogo ad una delle principali violazioni
del diritto della concorrenza, disciplinata a livello europeo
dall'art. 102 Trattato sul funzionamento dell'Unione europea e a
livello nazionale dall'art. 3 della legge n. 287/1990.
In particolare, si e' osservato che la posizione dominante non e'
di per se' illecita, divenendo tale nel momento in cui viene ad
essere esercitata in modo abusivo; cosi' in particolare, quanto alla
speciale posizione di responsabilita' che grava sull'impresa che
versi in posizione dominante, il Giudice amministrativo: «l'impresa
che detiene una posizione di monopolio legale in un determinato
mercato assume una "speciale responsabilita'" che le impone di
astenersi da comportamenti che, pur potendo corrispondere a scelte
imprenditoriali legittime per altri operatori, risultano fonte di
effetti anticoncorrenziali» (C.d.S. n. 2114/2023 e, in termini
analoghi, sulla «speciale responsabilita'» dell'impresa dominante
C.d.S. n. 9035/2022).
Quanto ai criteri per stabilire la sussistenza o meno di una
posizione dominante, il Consiglio di Stato, con la decisione n.
1580/2023, ha affermato che gli elementi costitutivi della violazione
sono: «a) la capacita' della pratica di produrre un effetto
escludente, rendendo piu' difficile la penetrazione o il mantenimento
dei concorrenti nel mercato; b) lo sfruttamento di mezzi diversi da
quelli propri di una concorrenza basata sui meriti».
4b) Cio' posto sul piano della disciplina generale, nel caso
della norma in esame non puo' non osservarsi che essa rischia
concretamente di dare luogo a situazioni di abuso della posizione
dominante.
Essa, infatti, nel consentire alle societa' partecipate di
risultare affidatarie, all'esito della gara, del servizio di
accertamento e riscossione di tributi senza essere tenute
all'iscrizione all'albo di cui all'art. 53, decreto legislativo 15
dicembre 1997, n. 446 consente di favorire in concreto la posizione
della societa' aggiudicataria del bando di gara per l'affidamento del
servizio di accertamento e di riscossione delle entrate degli enti
locali, che sia gia' iscritta nel predetto albo e che sia socia della
societa' di progetto.
Il rischio concreto e', in altri termini, che le societa' gia'
affidatarie del servizio moltiplichino le loro possibilita' di
partecipazione, con esito positivo, a gare, proprio avvalendosi della
costituzione di societa' di progetto e realizzando in questo modo un
meccanismo che, specie se applicato reiteratamente - il che e' reso
agevole dalla mancanza di limitazioni individuate dal legislatore -,
potrebbe «sfavorire» nettamente le societa' non partecipate, che
potrebbero desistere dal partecipare a un meccanismo concorrenziale
che richiede solo ad esse, e non alle societa' partecipate, il
possesso dei requisiti necessari per l'iscrizione all'albo gestito
dal MEF.
E cio' senza considerare la possibilita' che le societa'
partecipate di societa' gia' iscritte all'albo presso il MEF si
avvalgano delle strutture della societa' madre e del relativo
personale, il che potrebbe determinare una posizione di ulteriore
«svantaggio» per le societa' non partecipate e favorire,
contestualmente, un utilizzo abusivo della posizione dominante.
Ne consegue, quindi, che anche sotto questo profilo la norma in
esame presenta un profilo di possibile illegittimita' costituzionale.
5 - Violazione dell'art. 111 della Costituzione in relazione all'art.
6 CEDU - violazione dei limiti posti alle norme di interpretazione
autentica anche alla luce dei principi affermati dalla CEDU.
5a) La norma in esame presenta, infine, un ulteriore profilo di
incostituzionalita' in considerazione della sua natura
dichiaratamente interpretativa con efficacia retroattiva.
Com'e' noto, il divieto di retroattivita' della legge costituisce
un fondamentale valore di civilta' giuridica.
Fatta eccezione per l'ambito del diritto penale, rispetto al
quale tale divieto trova esplicito riconoscimento costituzionale
nell'art. 25 della Costituzione, e' consentito al legislatore di
emanare norme retroattive, nonche' di interpretazione autentica,
purche' cio' sia giustificato da motivi imperativi di interesse
generale e sia rispettoso di alcuni limiti fondamentali. In questi
termini, in particolare, Corte costituzionale, sentenza n. 174/2019,
che, nel dichiarare costituzionalmente illegittima «(...) per
violazione degli articoli 111 e 117, primo comma, della Costituzione,
quest'ultimo in relazione all'art. 6 CEDU - l'art. 7, commi 28, 29 e
30, della legge reg. Friuli-Venezia Giulia n. 33 del 2015 che,
attraverso una interpretazione autentica degli articoli 142 e 143
della legge regionale Friuli-Venezia Giulia n. 53 del 1981, esclude
la valutazione, ai fini della liquidazione dell'indennita' di
buonuscita, del servizio prestato con rapporto di lavoro a tempo
determinato di diritto privato», ha statuito che «secondo costante
giurisprudenza costituzionale, il divieto di retroattivita' della
legge si erge a fondamentale valore di civilta' giuridica,
soprattutto nella materia penale (art. 25 della Costituzione). In
altri ambiti dell'ordinamento il legislatore e' libero di emanare
disposizioni retroattive, anche di interpretazione autentica, ma la
retroattivita' deve trovare adeguata giustificazione sul piano della
ragionevolezza, attraverso un puntuale bilanciamento tra le ragioni
che ne hanno motivato la previsione e i valori, costituzionalmente
tutelati, al contempo potenzialmente lesi dall'efficacia a ritroso
della norma adottata. I limiti posti alle leggi con efficacia
retroattiva si correlano cosi' alla salvaguardia dei principi
costituzionali dell'eguaglianza e della ragionevolezza, alla tutela
del legittimo affidamento, alla coerenza e alla certezza
dell'ordinamento giuridico, al rispetto delle funzioni
costituzionalmente riservate al potere giudiziario» (in questo senso,
Corte costituzionale, sentenze n. 73 del 2017, n. 127 del 2015, n.
170 del 2013 e n. 1 del 2011). E ancora, il giudice delle leggi ha
statuito, sempre nella citata decisione n. 174/2019, che «Secondo la
giurisprudenza costituzionale, i principi della preminenza del
diritto e dell'equo processo sono inscindibilmente connessi nel
sindacato sulle leggi retroattive, data la corrispondenza tra
principi costituzionali interni in materia di parita' delle parti in
giudizio e quelli convenzionali in punto di equo processo (art. 111
della Costituzione e art. 6 CEDU). I diritti riconosciuti dalla
Costituzione, infatti, non possono non interagire con quelli previsti
dalle fonti sovranazionali e internazionali, in un quadro di
reciproca integrazione e quindi di bilanciamento» (in questo senso,
Corte costituzionale, sentenze n. 12 del 2018, n. 127 del 2015, n.
191 del 2014, n. 264 del 2012, n. 303 del 2011, n. 317 del 2009 e n.
311 del 2009).
I limiti individuati dal giudice delle leggi, che deve osservare
il legislatore allorquando interviene con leggi interpretative,
concernono valori fondamentali del nostro ordinamento, come la
salvaguardia dei principi di ragionevolezza ed eguaglianza, la tutela
del legittimo affidamento dei cittadini, la coerenza e certezza
dell'ordinamento giuridico e il rispetto delle funzioni
costituzionalmente riservate al potere giudiziario.
In particolare, secondo la citata sentenza n. 174/2019 della
Corte costituzionale, sono considerati elementi sintomatici di un uso
distorto della funzione legislativa:
l'assenza di contrasti giurisprudenziali o incertezze
interpretative da risolvere;
la circostanza che l'intervento legislativo si collochi a
notevole distanza temporale dalle disposizioni oggetto di
interpretazione;
la circostanza che lo Stato o l'amministrazione pubblica
siano parti di un giudizio gia' sorto;
l'intento di influenzare l'esito di specifiche controversie
pendenti; sul punto, la Corte costituzionale, con sentenza n.
191/2014, ha affermato che il legislatore non puo' introdurre una
norma al solo fine di determinare l'esito di un giudizio in termini
favorevoli allo Stato o a un ente pubblico, in quanto cio'
costituirebbe eccesso di potere legislativo censurabile anche in
relazione all'art. 6 CEDU; in particolare osserva la Corte che
«Nell'interpretare l'art. 6 CEDU, la Corte europea dei diritti
dell'uomo (fra le molte, Corte EDU, sentenza 11 dicembre 2012, Anna
De Rosa e altri contro Italia, paragrafo 47) afferma che, in linea di
principio, non e' vietato al legislatore introdurre nella materia
civile disposizioni retroattive, che incidano su diritti attribuiti
da leggi in vigore. Tuttavia, se non vi sono motivi imperativi di
interesse generale, i principi di preminenza del diritto e la nozione
di giusto processo precludono l'ingerenza del potere legislativo
nell'amministrazione della giustizia, quando il fine evidente e'
quello di influenzare la soluzione di una controversia».
Deve ritenersi, quindi che non sia consentito «risolvere, con la
forma della legge, specifiche controversie», perche' cio'
determinerebbe, sempre secondo l'interpretazione dell'art. 6, CEDU da
parte della Corte europea dei diritti dell'uomo, una violazione della
«parita' delle armi», «che impone di assicurare a ogni parte la
possibilita' di presentare la propria causa senza trovarsi in una
situazione di svantaggio rispetto alla controparte» (Corte EDU,
sentenza 9 dicembre 1994, Raffineries grecques Stran e Stratis
Andreadis contro Grecia, paragrafo 46); il che, peraltro,
determinerebbe, in definitiva, una violazione dei principi relativi
ai rapporti tra potere legislativo e potere giurisdizionale;
l'assenza di motivi imperativi di interesse generale che
giustifichino l'intervento retroattivo; con riferimento a questi
ultimi, come affermato dalla sentenza n. 191/2014 della Corte
costituzionale, deve osservarsi che i motivi finanziari o di
contenimento della spesa pubblica non sono di per se' sufficienti a
giustificare un intervento legislativo retroattivo che incida su
giudizi in corso; e' necessario, infatti, che le circostanze addotte
per giustificare misure retroattive siano «trattate con la massima
circospezione possibile», specialmente quando l'intervento
legislativo finisca per alterare l'esito di una controversia;
la lesione della tutela dell'affidamento legittimo; come
osservato dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 108/2019,
l'affidamento del cittadino nella sicurezza giuridica e' un aspetto
fondamentale dello Stato di diritto, ma non e' tutelato in termini
assoluti; esso e' sottoposto al normale bilanciamento con altri
diritti e valori costituzionali, fermo restando che le disposizioni
retroattive non possono trasmodare in un regolamento irrazionale e
arbitrariamente incidere sulle situazioni sostanziali poste in essere
da leggi precedenti.
Ancora, al fine di valutare la legittimita' dell'intervento
normativo retroattivo sul piano della tutela del legittimo
affidamento, secondo la citata sentenza n. 108/2019, occorre
considerare: il tempo trascorso tra la regolazione originaria e la
modifica retroattiva; il grado di consolidamento delle situazioni
soggettive coinvolte; la prevedibilita' della modifica retroattiva;
la proporzionalita' dell'intervento legislativo.
Inoltre, sempre con riferimento ai criteri per stabilire se la
norma interpretativa retroattiva che agisca su giudizi in corso sia o
meno espressione di un «uso distorto della funzione legislativa», la
Corte costituzionale, con sentenza n. 4/2024, ha osservato che «A tal
fine, assumono rilievo - sulla scorta della giurisprudenza della
Corte europea dei diritti dell'uomo - alcuni "elementi, ritenuti
sintomatici dell'uso distorto della funzione legislativa» e
riferibili principalmente al «metodo e alla tempistica seguiti dal
legislatore"» (in questo senso, Corte costituzionale, sentenza n. 12
del 2018 e sentenze n. 145 del 2022 e n. 174 del 2019). Ancora,
sempre secondo la citata decisione n. 4/2024 «Occorre dunque
effettuare una verifica di legittimita' costituzionale che - in
maniera non dissimile dal sindacato sull'eccesso di potere
amministrativo mediante l'impiego di figure sintomatiche - assicuri
una particolare estensione e intensita' del controllo sul corretto
uso del potere legislativo. Tra gli elementi sintomatici dell'uso
distorto del potere legislativo, appare innanzitutto significativo il
fatto che «lo Stato o l'amministrazione pubblica» siano «parti di un
processo gia' radicato» e che l'intervento legislativo si collochi "a
notevole distanza dall'entrata in vigore delle disposizioni oggetto
di interpretazione autentica"» (in questo senso la gia' citata
sentenza della Corte costituzionale n. 174 del 2019).
Ancora, osserva il Giudice delle Leggi sempre nella decisione n.
4/2024 che «(...) come evidenziato dalla giurisprudenza
costituzionale, la Corte EDU ha ritenuto compatibili con l'art. 6
CEDU alcuni interventi legislativi retroattivi incidenti su giudizi
in corso, la' dove "i soggetti ricorrenti avevano tentato di
approfittare dei difetti tecnici della legislazione (sentenza 23
ottobre 1997, National & Provincial Building Society e Yorkshire
Building Society contro Regno Unito, paragrafo 112), o avevano
cercato di ottenere vantaggi da una lacuna della legislazione
medesima, cui l'ingerenza del legislatore mirava a porre rimedio
(sentenza del 27 maggio 2004, OGIS-Institut Stanislas, OGEC Saint-Pie
X, Blanche de Castille e altri contro Francia, paragrafo 69)"
(sentenza n. 145 del 2022). In un altro caso, e' stato valorizzato il
fatto che l'intervento legislativo retroattivo mirava a risolvere una
serie piu' ampia di conflitti conseguenti alla riunificazione
tedesca, al fine di «assicurare in modo duraturo la pace e la
sicurezza giuridica in Germania» (20 febbraio 2003, ForrerNiedenthal
c. Germania, paragrafo 64)».
Particolarmente rilevante e' poi l'affermazione, contenuta sempre
nella decisione richiamata in questa sede, secondo cui «Le ragioni
finanziarie non sono ragioni sufficienti per giustificare una legge
innovativa retroattiva»; sul punto, infatti, si e' osservato che
«All'infuori di tali ragioni imperative di interesse generale, la
Corte EDU ha ritenuto che "le considerazioni finanziarie non possono,
da sole, autorizzare il potere legislativo a sostituirsi al giudice
nella definizione delle controversie" (sentenza 29 marzo 2006,
Scordino e altri contro Italia, paragrafo 132; sentenza 11 aprile
2006, Cabourdin c. Francia, paragrafo 37). Anche questa Corte ha
sottolineato che, in linea di principio, "i soli motivi finanziari,
volti a contenere la spesa pubblica o a reperire risorse per far
fronte a esigenze eccezionali, non bastano a giustificare un
intervento legislativo destinato a ripercuotersi sui giudizi in
corso» (in questi termini, Corte costituzionale, sentenze n. 174 e n.
108 del 2019, n. 170 del 2013 e n. 145 del 2022).
5b) Cosi' ricostruiti i principi in materia sul piano generale,
deve osservarsi che, nel caso di specie, la norma in esame presenta
elementi sintomatici di un utilizzo distorto dello strumento della
legge di interpretazione autentica.
Sul punto, deve in primo luogo premettersi che depone nettamente
nel senso dell'efficacia retroattiva della norma in questione il
fatto che essa si riferisce espressamente anche alle societa' di
progetto di cui alla formulazione dell'art. 184, decreto legislativo
n. 50/2016 non piu' vigente, quindi precedente rispetto alla riforma
di cui al decreto legislativo n. 36/2023, con la conseguenza che la
disposizione risulta specificamente destinata a regolare rapporti
pregressi alla sua entrata in vigore e ancora in corso.
In questa prospettiva, quindi, di necessaria applicazione ai
rapporti in corso - che peraltro e' specificamente invocata nella
fattispecie concreta posta all'esame di questo giudice, dalla difesa
di Municipia S.p.a. -, e' evidente allora che la relativa
applicazione ai giudizi in corso, proposti avverso atti emessi non
successivamente alla sua entrata in vigore, ma in epoca antecedente
alla stessa, laddove si contesti, come nel caso di specie, la
legittimita' dell'attivita' di riscossione proprio perche' posta in
essere da societa' non iscritta all'albo, risolverebbe il contenzioso
giurisdizionale in senso favorevole alla parte, per cosi' dire,
«pubblica», concessionaria della riscossione, violando, in questo
modo, il principio di «parita' delle armi processuali» e modificando,
quindi, il possibile esito del giudizio in cui e' applicato rispetto
a quello, eventuale, che sarebbe potuto derivare qualora tale norma
non fosse stata emessa. Il che da' luogo, in questo modo, a una
palese violazione del principio di «parita' delle armi processuali».
Altra circostanza rilevante e' rappresentata dal fatto che la
norma e' stata introdotta a notevolissima distanza di tempo, quasi
trent'anni, dall'entrata in vigore della disciplina che intende
interpretare, ossia l'art. 53 del decreto legislativo 15 dicembre
1997, n. 446; circostanza che risulta, per definizione, come chiarito
dalla stessa Corte costituzionale nelle decisioni innanzi richiamate
(cfr. in questo senso in particolare la gia' citata sentenza della
Corte costituzionale n. 174 del 2019), sintomatica di un utilizzo
«distorto» dello strumento legislativo.
Quanto alla sussistenza di un contrasto interpretativo da
risolvere, occorre evidenziare che, proprio al fine di prevenirlo e
risolverlo, la Corte di giustizia tributaria di primo grado di Napoli
aveva sollevato questione pregiudiziale, investendo, quindi, la Corte
di cassazione, mediante rinvio ai sensi dell'art. 363-bis codice di
procedura civile, della questione concernente la possibilita', in
materia tributaria, di ritenere validamente ed efficacemente
costituita, anche in base a una lettura costituzionalmente orientata
dell'art. 184 del decreto legislativo n. 50/2016 (codice degli
appalti), «una "societa' di progetto" avente ad oggetto
l'accertamento e la riscossione fiscale, non iscritta (perche'
impossibilitata a farlo) sia nell'albo previsto dall'art. 53 decreto
legislativo n. 446/1997, che nella relativa sezione separata
dell'art. 1, comma 805, legge 27 dicembre 2019, n. 160, sul
presupposto che essa mutui dalla societa' aggiudicataria (iscritta
nell'albo predetto e socia unica della societa' di progetto) i
requisiti prescritti per legge» (cfr. ordinanza della Corte di
giustizia tributaria di primo grado di Napoli del 23 maggio 2024,
resa nel giudizio n. 6529/24 r.g.).
In ordine a tale profilo non puo' non evidenziarsi, a conferma
del fatto che con la norma in esame si e' in presenza di una
ingerenza non consentita del potere legislativo nei giudizi in corso,
l'assoluta peculiarita' di quanto accaduto sul piano della scansione
cronologica degli eventi: infatti, al momento dell'approvazione della
legge di conversione (21 febbraio 2025) era gia' stata calendarizzata
e celebrata l'udienza presso la Corte di cassazione (infatti
l'originaria Camera di consiglio e' datata 22 gennaio 2025 poi
riconvocata successivamente in data 13 marzo 2025), chiamata a
pronunciarsi, come evidenziato, proprio ai sensi dell'art. 363-bis
del codice di procedura civile sulla questione concernente la
possibilita' per le societa' di scopo non iscritte all'albo dei
concessionari di effettuare attivita' di riscossione di tributi.
Non puo', quindi, in questa sede non evidenziarsi l'assoluta
anomalia di un intervento normativo che, nelle intenzioni dichiarate
dal legislatore, puo' incidere sull'esito del contenzioso attualmente
pendente innanzi al giudice tributario, oltre ad aver di fatto gia'
inciso, per effetto della sua entrata in vigore, sull'esito del
procedimento per rinvio pregiudiziale ex art. 363-bis del codice di
procedura civile innanzi alla Corte di cassazione, conclusosi con una
pronuncia di inammissibilita' sopravvenuta della questione sottoposta
al suo esame motivata proprio dall'entrata in vigore della norma in
questione.
Considerato:
che, ai sensi dell'art. 134 della Costituzione, la Corte
costituzionale giudica sulle controversie relative alla legittimita'
costituzionale delle leggi e degli atti aventi forza di legge dello
Stato e delle Regioni;
che, alla luce dei motivi innanzi evidenziati, la questione
di legittimita' costituzionale della norma astrattamente applicabile
nel presente giudizio non appare manifestamente infondata;
che, inoltre, la questione di legittimita' costituzionale
della norma in questione e' rilevante nel presente giudizio in virtu'
di quanto osservato in premessa, in quanto l'eventuale declaratoria
di illegittimita' o di legittimita' della stessa potrebbe determinare
un esito favorevole per la parte ricorrente e sfavorevole per la
parte resistente o viceversa;
Ritenuto che, pertanto, la questione di legittimita'
costituzionale dell'art. all'art. 3, comma 14-septies della legge 21
febbraio 2025, n. 15 appare rilevante e non manifestamente infondata
in riferimento agli articoli 76 della Costituzione, 3, 25, 76 e 97
della Costituzione, 3 e 97 della Costituzione, 41 della Costituzione
in combinato disposto con l'art. 102 Trattato sul funzionamento
dell'Unione europea e con l'art. 3, legge n. 287/1990, e all'art. 111
della Costituzione in combinato disposto con l'art. 6 CEDU;
Visto l'art. 137 della Costituzione;
P. Q. M.
1. Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione
di legittimita' costituzionale dell'art. 3, comma 14-septies della
legge 21 febbraio 2025, n. 15 in riferimento agli articoli 76 della
Costituzione, 3, 25, 76 e 97 della Costituzione, 3 e 97 della
Costituzione, 41 della Costituzione, quest'ultimo in combinato
disposto con l'art. 102 Trattato sul funzionamento dell'Unione
europea e con l'art. 3, legge n. 287/1990, e all'art. 111 della
Costituzione in combinato disposto con l'art. 6 CEDU;
2. Dispone l'immediata trasmissione degli atti alla Corte
costituzionale;
3. Sospende il presente giudizio fino alla decisione della Corte
costituzionale;
4. Dispone che, a cura della segreteria:
la presente ordinanza sia notificata alle parti in causa e al
Presidente del Consiglio dei ministri;
sia comunicata ai Presidenti delle due Camere del Parlamento;
gli atti siano trasmessi alla Corte costituzionale.
Cosi' deciso in Napoli il 15 maggio - 13 giugno 2025
Il giudice: Caputo