Reg. ord. n. 192 del 2025 pubbl. su G.U. del 15/10/2025 n. 42

Ordinanza del Corte di Giustizia Tributaria di primo grado di Napoli  del 13/06/2025

Tra: Mario Michelino  C/ Municipia spa



Oggetto:

Tributi – Imposta municipale propria (IMU) – Previsione che per adeguare la disciplina relativa all'Albo di cui all'art. 53 del d. lgs. n. 446 del 1997, anche alla normativa dell'Unione europea direttamente applicabile, si procede alla revisione del regolamento di cui al decreto del Ministro dell'economia e delle finanze n. 101 del 2022, con regolamento da emanare entro centottanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto-legge n. 202 del 2024 – Previsione che, a tal fine, le disposizioni di cui agli artt. 52, comma 5, lett. b), n. 1), e 53, comma 1, del d. lgs. n. 446 del 1997, conformemente alla normativa dell'Unione europea direttamente applicabile, si interpretano nel senso che le società di scopo, di cui all'art. 194 del codice dei contratti pubblici, di cui al decreto legislativo n. 36 del 2023, o di progetto, di cui al previgente art. 184 del codice dei contratti pubblici, di cui al decreto legislativo n. 50 del 2016, costituite per svolgere attività di accertamento e di riscossione o attività di supporto a esse propedeutiche, non sono iscritte nell'Albo di cui all'art. 53 del d. lgs. n. 446 del 1997, laddove la società aggiudicataria del bando di gara per l'affidamento del servizio di accertamento e di riscossione delle entrate degli enti locali, socia della stessa società di scopo risulti già iscritta nel predetto Albo – Previsione che gli atti di accertamento e di riscossione emessi dalle società di scopo sono da considerare legittimi in quanto emessi in luogo dell'aggiudicatario, comunque tenuto a garantire in solido l'adempimento di tutte le prestazioni erogate direttamente dalle predette società – Denunciata norma che non opera alcuna proroga dei termini dell’iscrizione, perché a monte, stabilisce il venir meno dell’obbligo dell’iscrizione all’Albo nel caso di società aggiudicatarie che presentino le indicate condizioni – Eccesso di delega per eccentricità dell’oggetto della norma rispetto al decreto-legge – Legislatore che interviene con una norma dichiaratamente interpretativa sui requisiti per l’iscrizione all’Albo ex art. 553 del d. lgs. n. 446 del 1997 prevedendo, al contempo, che tali requisiti siano oggetto di una revisione in virtù di un futuro regolamento, dando luogo a un ossimoro normativo – Previsione che nulla statuisce in riferimento all’ipotesi in cui il socio iscritto trasferisca ad altri la sua partecipazione – Tenore letterale della norma che, da un lato ,richiama il concetto di obbligazione solidale e, dall’altro, riferisce tale concetto all’esecuzione della prestazione, non permettendo di comprendere quale utilità potrebbe avere la società partecipante a partecipare alla procedura di affidamento con società terza da essa partecipata, qualora fosse tenuta a eseguire le stesse prestazioni della società partecipata – Disposizione che non contiene alcuna indicazione specifica della normativa europea alla quale intende fare riferimento – Disciplina incerta sotto il profilo interpretativo atteso il duplice riferimento alle società di progetto e di scopo, effettuato, in particolare, richiamando una disposizione attualmente vigente, vale a dire l’art. 194 del nuovo codice dei contratti pubblici e una non più vigente ossia l’art. 184 di tale codice nella precedente versione – Oscurità e indeterminatezza della norma – Violazione dei principi di uguaglianza e ragionevolezza – Lesione dei principi di legalità, tassatività e determinatezza – Introduzione di un regime differenziato dei requisiti previsti per le società di riscossione irragionevole e ingiustificato, con gravi ripercussioni sulla parità di concorrenza delle imprese – Contrasto con il principio di imparzialità e buon andamento dell’amministrazione – Violazione della tutela del legittimo affidamento delle altre imprese che hanno partecipato alla gara, ritenendo necessario il possesso dei requisiti previsti dalla legge e in particolare di quelli a cui è condizionata l’iscrizione all’Albo di cui all’art. 53, del decreto legislativo n. 446 del 1997, delle società partecipanti – Previsione che permette alle società già affidatarie del servizio di moltiplicare le loro possibilità di partecipazione, con esito positivo, a gare, avvalendosi della costituzione di società di progetto – Abuso di posizione dominante – Lesione della libertà di iniziativa economica privata – Violazione del diritto della concorrenza tutelato dalla normativa europea di riferimento – Introduzione di una norma di carattere retroattivo, in assenza di imperative ragioni di interesse generale che incide su un giudizio in corso – Disposizione sopravvenuta, funzionale a superare un orientamento giurisprudenziale consolidato a mente del quale l’iscrizione all’Albo è stata sempre ritenuta indispensabile per la legittimazione del concessionario – Intervento legislativo che si colloca a notevole distanza temporale dalle disposizioni oggetto di interpretazione – Violazione del principio della parità delle armi processuali e del giusto processo.

Norme impugnate:

decreto-legge  del 27/12/2024  Num. 202  Art. 3  Co. 14

legge  del 21/02/2025  Num. 15



Parametri costituzionali:

Costituzione  Art.  Co.  

Costituzione  Art. 25   Co.  

Costituzione  Art. 41   Co.  

Costituzione  Art. 76   Co.  

Costituzione  Art. 97   Co.  

Costituzione  Art. 111   Co.  

Convenzione per la salvaguardia diritti dell'uomo e libertà fondamentali  Art.  Co.  

legge  Art.  Co.  




Testo dell'ordinanza

                        N. 192 ORDINANZA (Atto di promovimento) 13 giugno 2025

Ordinanza del 13 giugno 2025 della Corte di giustizia  tributaria  di
primo grado di Napoli sul ricorso proposto da Mario Michelino  contro
Municipia spa. 
 
Tributi - Imposta municipale  propria  (IMU)  -  Previsione  che  per
  adeguare la disciplina relativa all'albo di  cui  all'art.  53  del
  d.lgs. n. 446 del 1997 anche  alla  normativa  dell'Unione  europea
  direttamente applicabile, si procede alla revisione del regolamento
  di cui al decreto del Ministro dell'economia e delle finanze n. 101
  del 2022, con regolamento da emanare entro centottanta giorni dalla
  data  di  entrata  in  vigore  della  legge  di   conversione   del
  decreto-legge n. 202 del 2024 - Previsione  che,  a  tal  fine,  le
  disposizioni di cui agli artt. 52, comma 5, lettera b), numero  1),
  e 53, comma 1, del d.lgs.  n.  446  del  1997,  conformemente  alla
  normativa  dell'Unione   europea   direttamente   applicabile,   si
  interpretano nel senso che le societa' di scopo,  di  cui  all'art.
  194 del codice dei contratti pubblici, di cui al d.lgs. n.  36  del
  2023, o di progetto, di cui al previgente art. 184 del  codice  dei
  contratti pubblici, di cui al d.lgs. n. 50 del 2016, costituite per
  svolgere attivita' di accertamento e di riscossione o attivita'  di
  supporto a esse propedeutiche, non sono iscritte nell'albo  di  cui
  all'art. 53 del  d.lgs.  n.  446  del  1997,  laddove  la  societa'
  aggiudicataria del bando di gara per l'affidamento del servizio  di
  accertamento e di riscossione  delle  entrate  degli  enti  locali,
  socia della stessa societa' di scopo,  risulti  gia'  iscritta  nel
  predetto albo - Previsione  che  gli  atti  di  accertamento  e  di
  riscossione emessi dalle societa'  di  scopo  sono  da  considerare
  legittimi in quanto emessi in luogo  dell'aggiudicatario,  comunque
  tenuto a garantire in solido l'adempimento di tutte le  prestazioni
  erogate direttamente dalle predette societa'. 
- Legge 21 febbraio 2025, n. 15, art.  3,  comma  14-septies  (recte:
  decreto-legge 27 dicembre 2024, n.  202  (Disposizioni  urgenti  in
  materia di termini normativi), convertito, con modificazioni, nella
  legge 21 febbraio 2025, n. 15, art. 3, comma 14-septies). 


(GU n. 42 del 15-10-2025)

 
        LA CORTE DI GIUSTIZIA TRIBUTARIA DI I GRADO DI NAPOLI 
                              Sezione 1 
 
    Riunita  in  udienza  il 15  maggio  2025  alle  ore   9,30,   in
composizione monocratica: 
         Caputo Luca, Giudice monocratico 
    in data 15 maggio 2025 ha pronunciato la seguente  ordinanza  sul
ricorso n. 24547/2024 depositato il  19  dicembre  2024  proposto  da
Mario Michelino -  MCHMRA70E29F839Y,  difeso  da  Mario  Michelino  -
MCHMRA70E29F839Y     ed     elettivamente     domiciliato      presso
mario@pec.studiomichelino.it 
    Contro Municipia  Spa -  01973900838  difeso  da  Fabio  Russo  -
RSSFBA73D22B963I     ed     elettivamente     domiciliato      presso
ferconsulting@pec.it 
    Avente  ad   oggetto   l'impugnazione   di:   SOLL_PAGAMENTO   n.
20240002140650089459979 TARI 2020 a seguito di discussione in  Camera
di consiglio e visto il dispositivo n.  9421/2025  depositato  il  20
maggio 2025 
 
                     Elementi in fatto e diritto 
 
    Premesso: 
        che con ricorso notificato il 10 dicembre 2024  e  depositato
il 19 dicembre 2024, il ricorrente avv. Michelino Mario ha  impugnato
il sollecito di pagamento relativo alla Tari dovuta nell'anno 2020 n.
20240002140650089459979 del 24 settembre 2024, notificato in  data  4
novembre 2024, emesso da Napoli Obiettivo Valore s.r.l.  e  Municipia
S.p.a., dell'importo complessivo di euro 768,45; 
        che, come primo motivo di ricorso, ha  dedotto,  la  nullita'
dell'atto impugnato perche' emesso da Napoli Obiettivo Valore s.r.l.,
soggetto  non  iscritto  all'albo  di  cui   all'art.   53,   decreto
legislativo  15  dicembre  1997,  n.  446  (soggetti  abilitati  alla
concessione di attivita' di accertamento e  riscossione  dei  tributi
locali), ne' nella sezione separata dell'albo introdotta dall'art. 1,
comma 805, legge 27 dicembre 2019,  n.  160  (soggetti  che  svolgono
esclusivamente attivita' di  supporto  a  quelle  di  accertamento  e
riscossione); 
        che ha dedotto, inoltre, la nullita'  dell'atto  perche'  non
accompagnato dall'allegazione dell'atto di accertamento  sottostante,
atto che non sarebbe mai stato notificato; 
        che Municipia S.p.a., costituitasi in giudizio,  ha  eccepito
l'infondatezza del ricorso e, in  particolare,  quanto  alla  pretesa
nullita' dell'atto impugnato, che  «nessun  dubbio»  sussista  «sulla
legittimazione   del   concessionario   ex   legge   n.   15/2025   e
Cass.14335/25»,  avendo  «L'intervento  della  Corte  (...)  chiarito
definitivamente ogni dubbio  sulla  legittimita'  dell'operato  della
NOV, quale societa' di progetto di Municipia, riconoscendo la  natura
di interpretazione autentica e dunque l'efficacia  retroattiva  della
norma intervenuta, per porre fine  ad  di  una  situazione  di  grave
incertezza che si era verificata»; 
        che, inoltre, Municipia S.p.a. ha eccepito l'infondatezza del
ricorso,  per  intervenuta  notifica  dell'avviso   di   accertamento
pregresso, che non sarebbe stato impugnato; 
        che il ricorrente, con memoria illustrativa, oltre a eccepire
la tardivita' della costituzione in giudizio di Municipia S.p.a.  per
violazione dei termini ex art. 23, comma 3,  decreto  legislativo  n.
546/92, ha ribadito l'illegittimita' dell'atto per assenza del potere
impositivo in capo a Napoli Obiettivo Valore  s.r.l.,  deducendo  che
«la medesima carenza di potere e' ravvisabile anche e viepiu' in capo
a  Municipia  S.p.a.  Vero  e'  che  tale  societa'  per  azioni   e'
aggiudicataria,  in  forza  della  determinazione   dirigenziale   n.
K1086/002 del 20 marzo 2023, della concessione  (tra  l'altro)  delle
attivita' di accertamento in favore del Comune di Napoli, ma e'  vero
altrettanto che, nel concreto, il contratto di concessione con  detto
ente locale non e' stato  stipulato  dalla  aggiudicataria  Municipia
S.p.a., ma dalla sua «societa' di progetto» Napoli  Obiettivo  Valore
S.r.l. (...) ha di fatto comportato la  cessazione  di  ogni  effetto
giuridico dell'originario rapporto intercorrente tra Municipia S.p.a.
e il Comune di Napoli»; 
        che con ordinanza del 23 maggio 2024, resa  nel  giudizio  n.
6529/24 r.g., la Corte di Giustizia  Tributaria  di  primo  grado  di
Napoli ha disposto il rinvio pregiudiziale degli atti alla  Corte  di
cassazione, ai sensi dell'art. 363-bis codice  di  procedura  civile,
per la risoluzione della seguente  questione  di  diritto:  «dica  la
Corte di cassazione se, in materia  tributaria,  secondo  la  lettura
costituzionalmente orientata dell'art. 184 del decreto legislativo n.
50/2016 (codice degli  appalti),  sia  validamente  ed  efficacemente
costituita   una   «societa'   di   progetto»   avente   ad   oggetto
l'accertamento  e  la  riscossione  fiscale,  non  iscritta  (perche'
impossibilitata a farlo) sia nell'albo previsto dall'art. 53  decreto
legislato n. 446/1997, che nella relativa sezione separata  dell'art.
1, comma 805, legge 27 dicembre 2019, n.  160,  sul  presupposto  che
essa mutui dalla societa' aggiudicataria (iscritta nell'albo predetto
e socia unica della societa' di progetto) i requisiti prescritti  per
legge». 
        che, con decreto del 23  luglio  2024,  la  Prima  Presidente
della Corte di cassazione ha dichiarato  ammissibile  la  devoluzione
della questione alla Suprema Corte, in quanto relativa a  fattispecie
suscettibile di essere dedotta in un  contenzioso  vasto  e  diffuso,
assegnandola alla Sezione Tributaria per l'enunciazione del principio
di diritto; 
        che, con ordinanza del 13 marzo 2025, preso  atto  del  fatto
che  tra  le  questioni  oggetto  di  ricorso  vi  era  anche  quella
concernente la legittimita' dell'attivita' posta in essere da  Napoli
Obiettivo Valore s.r.l. e dell'imminenza della decisione della  Corte
di cassazione,  che  in  data  22  gennaio  2025  aveva  trattato  la
questione  oggetto  di  rinvio  pregiudiziale,  il  procedimento  era
rinviato a nuovo ruolo «al fine di consentire, anche  per  assicurare
il rispetto  del  principio  di  nomofilachia,  che  sulla  questione
concernente la legittimazione di Napoli Obiettivo Valore si  pronunci
la Suprema Corte»; 
        che con legge 21 febbraio 2025, n. 15, pubblicata in Gazzetta
Ufficiale  del  24  febbraio  2025,  n.  45,   di   conversione   del
decreto-legge 27 dicembre 2024, n. 202 (c.d.  decreto  «milleproroghe
2025»), e' stato previsto, all'art.  3  comma  14-septies,  che  «Per
l'anno 2025, il termine del 31 marzo, di cui all'art.  12,  comma  1,
lettera  a),  del  regolamento  di  cui  al  decreto   del   Ministro
dell'economia e delle finanze 13 aprile 2022, n. 101, e' prorogato al
30 settembre 2025. 
    Al fine di  adeguare  la  disciplina  relativa  all'albo  di  cui
all'art. 53 del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n.  446,  anche
alla  normativa  dell'Unione  europea  direttamente  applicabile,  si
procede alla revisione del regolamento di cui al decreto del Ministro
dell'economia e delle finanze 13 aprile 2022, n. 101, con regolamento
da emanare entro centottanta giorni dalla data di entrata  in  vigore
della legge di conversione del  presente  decreto.  A  tal  fine,  le
disposizioni di cui agli articoli 52, comma 5, lettera b), numero 1),
e 53, comma 1, del decreto legislativo n. 446 del 1997, conformemente
alla  disciplina   recata   dalla   normativa   dell'Unione   europea
direttamente applicabile, si interpretano nel senso che  le  societa'
di scopo, di cui all'art. 194 del codice dei contratti  pubblici,  di
cui al decreto legislativo 31 marzo 2023, n. 36, o  di  progetto,  di
cui al previgente art. 184 del codice dei contratti pubblici, di  cui
al decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50, costituite per svolgere
attivita' di accertamento e di riscossione o attivita' di supporto ad
esse propedeutiche, non sono iscritte nell'albo di  cui  all'art.  53
del  decreto  legislativo  n.  446  del  1997,  laddove  la  societa'
aggiudicataria del bando di gara per l'affidamento  del  servizio  di
accertamento e di riscossione delle entrate degli enti locali,  socia
della stessa societa' di scopo risulti  gia'  iscritta  nel  predetto
albo. Gli atti di accertamento e di riscossione emessi dalle societa'
di scopo di cui al precedente periodo sono da  considerare  legittimi
in quanto emessi in  luogo  dell'aggiudicatario,  comunque  tenuto  a
garantire in solido l'adempimento di  tutte  le  prestazioni  erogate
direttamente dalle predette societa'»; 
        che, con sentenza n. 7495 del 20  marzo  2025,  la  Corte  di
cassazione, Sezione tributaria, ha dichiarato inammissibile il rinvio
pregiudiziale proprio in conseguenza  dell'entrata  in  vigore  della
citata disposizione; infatti, dopo averla  richiamata,  la  Corte  di
cassazione ha osservato che «Il legislatore  e'  dunque  direttamente
intervenuto, con norma dichiaratamente interpretativa, a chiarire  il
significato  e  la  portata  della  disposizione  oggetto  di  rinvio
pregiudiziale, in modo  tale  che  quest'ultimo  risulta  privo,  per
effetto dello jus superveniens, di uno dei suoi presupposti tipici ed
essenziali, costituito dalla presenza, nella  questione  dedotta,  di
«gravi difficolta' interpretative» ex art. 363-bis, primo  comma,  n.
2) codice procedura civile»; sulla base di cio', quindi,  la  Suprema
Corte  ha  dichiarato  l'inammissibilita'  del  rinvio  pregiudiziale
medesimo, restituendo gli atti al giudice remittente; 
    Considerato: 
        che il sollecito di pagamento impugnato nel giudizio e' stato
emesso sia da Napoli Obiettivo Valore s.r.l. che da Municpia S.p.a.; 
        che il sollecito  di  pagamento  e'  impugnabile  innanzi  al
giudice tributario in  virtu'  della  previsione  espressa  contenuta
nell'art. 19, comma 1, lettera e), decreto legislativo n. 546/92; 
        che l'avviso di accertamento esecutivo Tari - anno  2020  per
omesso/parziale versamento prot. n. 965/19565 del 20 novembre 2023, a
cui si riferisce il sollecito di pagamento impugnato, risulta  emesso
e notificato esclusivamente da Napoli Obiettivo Valore  s.r.l.,  come
si  evince  agevolmente  dall'esame  dell'atto,  e   in   particolare
dall'intestazione e dalla sottoscrizione dello stesso; 
        che, nel presente giudizio si chiede in  via  principale  che
l'adita    Corte    di    giustizia    tributaria     dichiari     la
nullita'/illegittimita'  dell'atto  impugnato   perche'   emesso   da
soggetto, la Napoli Obiettivo Valore s.r.l. non iscritto nell'albo di
cui all'art.  53,  decreto  legislativo  15  dicembre  1997,  n.  446
(soggetti abilitati alla concessione di attivita' di  accertamento  e
riscossione dei tributi locali), ne' nella sezione separata dell'albo
introdotta dall'art. 1, comma 805, legge 27  dicembre  2019,  n.  160
(soggetti che svolgono esclusivamente attivita' di supporto a  quelle
di accertamento e riscossione); 
        che, in  ogni  caso,  aldila'  della  validita'  o  meno  del
sollecito di pagamento impugnato, che risulta  emesso  congiuntamente
da Napoli Obiettivo Valore s.r.l. e Municipia S.p.a., e' rilevante  e
decisiva la questione concernente la validita' o  meno  dell'atto  di
accertamento  sotteso  al  sollecito  di  pagamento,  atteso  che  e'
specifico motivo di ricorso la mancata emissione e notifica di valido
avviso di accertamento; 
        che l'atto di accertamento sotteso  al  sollecito  impugnato,
come evidenziato,  risulta  emesso  e  notificato  esclusivamente  da
Napoli Obiettivo Valore s.r.l.; 
        che anche dopo il deposito di tale atto, parte ricorrente  ha
insistito nell'accoglimento del ricorso  ribadendo,  secondo  la  sua
prospettazione,   la   nullita'/illegittimita'   dell'attivita'    di
accertamento e riscossione posta in essere da Napoli Obiettivo Valore
s.r.l.; 
        che, quindi, la questione concernente  la  validita'  o  meno
dell'attivita' di  riscossione  svolta  da  Napoli  Obiettivo  Valore
s.r.l. e' certamente rilevante nel caso di specie, atteso  che  dalla
relativa interpretazione dipende l'esito della controversia; 
    Considerato  che,   pertanto,   nel   presente   giudizio   trova
applicazione l'art. 3, comma 14-septies della  legge  n.  15  del  21
febbraio  2025  -  il  cui  contenuto  si  e'  innanzi  integralmente
trascritto -  e  che  tale  disposizione  presenti  piu'  profili  di
possibile illegittimita' costituzionale; 
    Ritenuto 
        che, piu' specificatamente, l'art. 3, comma 14-septies  della
legge  n.  15  del  21  febbraio  2025  presenti  profili  di  dubbia
costituzionalita' per i motivi di seguito esposti: 
1 - Violazione art. 76 della Costituzione -  Eccesso  di  delega  sub
specie di eccentricita' dell'oggetto della norma rispetto al  decreto
milleproroghe 
    1a) Com'e' noto, l'incostituzionalita' delle leggi per eccesso di
delega rappresenta uno dei vizi piu' significativi nel  controllo  di
costituzionalita' degli atti normativi del Governo emanati  in  forza
di delegazione legislativa. 
    L'eccesso di delega trova il suo fondamento  nell'art.  76  della
Costituzione, secondo cui «l'esercizio della funzione legislativa non
puo' essere delegato al Governo se non con determinazione di principi
e criteri direttivi e soltanto  per  tempo  limitato  e  per  oggetti
definiti». 
    La ratio dell'eccesso di delega e' strettamente connessa al fatto
che  la  delega  legislativa  costituisce  un'eccezione  rispetto  al
principio generale secondo cui la funzione legislativa  e'  riservata
alle Camere, in conformita' con quanto previsto  dall'art.  77  della
Costituzione; cio' allo scopo di assicurare il rispetto del principio
democratico e della separazione dei poteri, garantendo che le  scelte
legislative fondamentali siano riservate al Parlamento. 
    Come ha osservato la Corte costituzionale nella  sentenza  n.  22
del 2024, infatti, «la delegazione legislativa, possibilita' prevista
in Costituzione, si pone come deroga del canone opposto secondo  cui,
in generale, l'esercizio della funzione legislativa non  puo'  essere
delegato al Governo». 
    Passando piu' specificamente a individuare i possibili limiti che
incontra la legislazione delegata secondo  la  ricostruzione  operata
dalla  Corte  costituzionale,  si  e'  osservato  che  «il  sindacato
costituzionale sulla delega legislativa deve svolgersi attraverso  un
confronto tra  gli  esiti  di  due  processi  ermeneutici  paralleli,
riguardanti, da un lato, le disposizioni che determinano l'oggetto, i
principi e i criteri direttivi indicati dalla legge di delegazione e,
dall'altro, le disposizioni stabilite dal  legislatore  delegato,  da
interpretarsi nel significato compatibile con i principi e i  criteri
direttivi della delega» (Corte costituzionale, sentenza n. 149/2024);
ancora piu' specificamente, con riferimento alle  modalita'  in  base
alle quali deve svolgersi questo confronto, la  Corte  costituzionale
ha osservato che «il controllo sul superamento dei limiti posti dalla
legge di delega va  operato  partendo  dal  dato  letterale  per  poi
procedere ad una indagine sistematica e teleologica per verificare se
l'attivita' del legislatore delegato, nell'esercizio del  margine  di
discrezionalita' che  gli  compete  nell'attuazione  della  legge  di
delega, si sia inserito  in  modo  coerente  nel  complessivo  quadro
normativo,  rispettando  la  ratio  della  norma  delegante»   (Corte
costituzionale, sentenza n. 7/2024). 
    Quanto alla discrezionalita' di cui gode il legislatore delegato,
la Corte costituzionale,  pur  riconoscendo  la  sussistenza  di  uno
spazio per l'attivita' di «riempimento normativo», ha  precisato  che
il legislatore delegato non gode di una discrezionalita'  illimitata,
dovendo quest'ultima, e  il  relativo  grado  di  minore  o  maggiore
ampiezza, essere valutati in relazione al grado di  specificita'  dei
criteri fissati nella legge delega (Corte costituzionale, sentenza n.
166/2023); occorrendo, in particolare, per  verificare  se  la  norma
delegata risulti o meno coerente con la legge  delega,  accertare  in
via preliminare la ratio di quest'ultima. 
    Inoltre, risulta particolarmente rilevante quanto affermato dalla
giurisprudenza della Corte costituzionale secondo  cui,  in  sede  di
conversione  di  un  decreto-legge,  il  Governo  non  puo'  inserire
emendamenti che  siano  del  tutto  avulsi  dell'originario  decreto,
sottraendo cosi' alla normale  dialettica  e  confronto  parlamentare
l'innovazione legislativa. 
    Cosi', tra le altre, Corte  costituzionale,  sentenza  n.  2  del
2012, che ha statuito che «E' costituzionalmente  illegittimo  l'art.
2, comma 2-quater,  del  decreto-legge  29  dicembre  2010,  n.  225,
convertito in legge, con modificazioni, dall'art. 1, comma  1,  della
legge 26 febbraio 2011, n. 10, nella parte  in  cui  introduce  comma
5-quinquies, primo periodo, nell'art. 5 della legge 24 febbraio 1992,
n.  225  che,  per  effetto  di  emendamenti  approvati  in  sede  di
conversione,  non   facevano   parte   del   testo   originario   del
decreto-legge sottoposto alla firma del Presidente della  Repubblica,
regolando i rapporti finanziari tra Stato e  Regioni  in  materia  di
protezione civile non con riferimento ad uno o piu' specifici  eventi
calamitosi, o in relazione a situazioni gia' esistenti e bisognose di
urgente intervento normativo, ma in via generale e ordinamentale  per
tutti i casi futuri di possibili eventi calamitosi, di  cui  all'art.
2, comma 1, lettera c), della legge n. 225 del  1992,  e  dunque  una
normativa «a regime», del tutto slegata da  contingenze  particolari,
inserita tuttavia nella legge  di  conversione  di  un  decreto-legge
denominato «Proroga di termini previsti da disposizioni legislative e
di interventi urgenti  in  materia  tributaria  e  di  sostegno  alle
imprese  e  alle  famiglie»,  con  palese  estraneita'  delle   norme
impugnate rispetto all'oggetto e  alle  finalita'  del  decreto-legge
cosiddetto «milleproroghe», trattandosi di un frammento, relativo  ai
rapporti finanziari, della disciplina generale e sistematica, tuttora
mancante, del riparto delle  funzioni  e  degli  oneri  tra  Stato  e
Regioni in materia di protezione civile; con  il  che'  l'inserimento
delle norme denunciate, stante il  loro  carattere  di  eterogeneita'
rispetto all'oggetto o alla finalita' del decreto  spezza  il  legame
logico-giuridico tra la valutazione fatta  dal  Governo  dell'urgenza
del provvedere ed «i provvedimenti provvisori con forza di legge», di
cui al secondo comma dell'art. 77 della Costituzione, il quale impone
il collegamento dell'intero decreto-legge al  caso  straordinario  di
necessita'  e  urgenza,  che  ha  indotto  il  Governo  ad  avvalersi
dell'eccezionale potere di esercitare la funzione  legislativa  senza
previa delegazione da parte del Parlamento. In definitiva,  l'innesto
nell'iter di conversione  dell'ordinaria  funzione  legislativa  puo'
certamente essere effettuato, per ragioni di economia procedimentale,
a patto  di  non  spezzare  il  legame  essenziale  tra  decretazione
d'urgenza e potere di conversione; ne discende  che  se  tale  legame
viene  interrotto,  la  violazione  dell'art.  77,   secondo   comma,
Costituzione, non deriva dalla mancanza dei presupposti di necessita'
e urgenza per le norme eterogenee aggiunte, che, proprio  per  essere
estranee e inserite successivamente, non possono  collegarsi  a  tali
condizioni  preliminari,  ma  per  l'uso  improprio,  da  parte   del
Parlamento, di un potere che la  Costituzione  gli  attribuisce,  con
speciali modalita' di procedura, allo scopo tipico di  convertire,  o
non, in legge un decreto-legge». 
    1b) Cio' posto sul piano generale, deve osservarsi che  nel  caso
di specie la norma in esame e' stata inserita in sede di  conversione
del decreto-legge 27 dicembre 2024,  n.  202,  recante  «Disposizioni
urgenti  in  materia  di  termini  normativi»  (c.d.  Milleproroghe),
decreto adottato  in  via  d'urgenza  nel  presupposto  della  «(...)
straordinaria necessita' e urgenza di provvedere alla  proroga,  alla
revisione o all'abrogazione di termini di prossima scadenza  al  fine
di garantire la continuita' dell'azione  amministrativa,  nonche'  di
adottare misure essenziali per l'efficienza e l'efficacia dell'azione
delle pubbliche amministrazioni». 
    Come evidenziato, la norma in questione interviene, per la  parte
che rileva in questa sede, sulla disciplina dei requisiti che  devono
possedere le societa' iscritte all'albo di cui al decreto legislativo
n.  446/97,  prevedendo,   con   una   disposizione   dichiaratamente
interpretativa, ma in realta' palesemente innovativa, che determinati
soggetti non debbano essere iscritte al  suddetto  albo  «laddove  la
societa' aggiudicataria del  bando  di  gara  per  l'affidamento  del
servizio di accertamento e di riscossione delle  entrate  degli  enti
locali, socia della stessa societa' di scopo  risulti  gia'  iscritta
nel predetto albo». 
    E' evidente, quindi, che la norma in questione non  opera  alcuna
proroga  dei  termini  dell'iscrizione,  perche',  anzi,   a   monte,
stabilisce il venir meno dell'obbligo  dell'iscrizione  all'albo  nel
caso  di  societa'  aggiudicatarie  che  presentino   le   condizioni
indicate. 
    Si tratta, quindi, di una norma che non presenta alcuna attinenza
con il presupposto stesso, e quindi con l'oggetto della legge delega,
oltre che con le finalita' perseguite da quest'ultima. 
2 - Violazione degli articoli 3, 25, 76 e  97  della  Costituzione  -
Oscurita' e indeterminatezza della norma 
    2a) La norma in questione presenta profili di incostituzionalita'
anche in termini di oscurita' e indeterminatezza della stessa. 
    Com'e' noto, la possibilita' di dichiarare  l'incostituzionalita'
delle leggi per oscurita'  della  norma  coinvolge  principi  cardine
dello Stato  di  diritto  e  in  particolare  quello  della  certezza
giuridica. 
    Dall'esame della giurisprudenza costituzionale e di  legittimita'
emerge la sussistenza di un orientamento  consolidato  che  riconosce
nell'oscurita' normativa un vizio di legittimita' costituzionale. 
    Il principio di determinatezza delle norme  giuridiche  trova  il
suo fondamento costituzionale negli articoli 3, 25, secondo comma,  e
97 della Costituzione e nell'art. 7  della  Convenzione  europea  dei
diritti dell'uomo. 
    Ancora, il quadro normativo  di  riferimento  include  l'art.  76
della Costituzione, che richiede  la  determinazione  di  principi  e
criteri direttivi per la delega legislativa, e l'art.  1  del  codice
penale, che sancisce  il  principio  di  legalita'  penale.  Inoltre,
l'art. 2 dello Statuto del contribuente stabilisce specifici obblighi
di chiarezza e trasparenza per le disposizioni tributarie. 
    In particolare, la Corte costituzionale  ha  affermato  che  «una
disposizione normativa radicalmente oscura e inintelligibile nel  suo
significato precettivo si pone  in  contrasto  con  il  principio  di
ragionevolezza  di  cui  all'art.  3   della   Costituzione»   (Corte
costituzionale, sentenza n. 110/2023). 
    Piu' specificamente, con tale decisione il giudice delle leggi ha
dichiarato costituzionalmente illegittimo, per violazione dell'art. 3
della Costituzione, l'art. 7, comma 18, della legge regionale  Molise
n.  8  del  2022,  disposizione  che  in  materia  edilizia  consente
determinati interventi «previa V.A.», in  quanto  «costituita  da  un
enunciato affetto da radicale  oscurita',  in  quanto  caratterizzata
dall'abbondanza di termini imprecisi, senza che si colleghi ad  alcun
corpo normativo preesistente, impedendo la possibilita' di utilizzare
lo strumento  dell'interpretazione  sistematica,  riferendosi  a  una
procedura identificata con un acronimo incomprensibile,  il  predetto
"V.A.", oggetto di due diverse letture da parte della  stessa  difesa
regionale». 
    In tale  occasione  la  Corte  costituzionale  ha  osservato  che
«Sebbene ogni enunciato normativo presenti margini piu' o  meno  ampi
di incertezza circa il suo ambito di  applicazione,  senza  che  cio'
comporti, di per se', la sua  illegittimita'  costituzionale  (e  non
possa, ugualmente, ritenersi contrario all'art. 3 della  Costituzione
il   ricorso   da   parte   della   legge   a   clausole    generali,
programmaticamente  aperte  a  processi  di   specificazione   e   di
concretizzazione giurisprudenziale o il ricorso a concetti tecnici  o
di difficile comprensione per chi non  possieda  speciali  competenze
tecniche),  nel  caso  in  cui  il  significato   delle   espressioni
utilizzate   in   una   disposizione,    nonostante    ogni    sforzo
interpretativo,  compiuto  sulla  base  di  tutti  i  comuni   canoni
ermeneutici, rimanga del tutto oscuro, con il  risultato  di  rendere
impossibile all'interprete identificare anche solo un nucleo centrale
di ipotesi riconducibili con ragionevole  certezza  alla  fattispecie
normativa astratta, si determina un contrasto con i requisiti  minimi
di razionalita' dell'azione legislativa necessari alla  tutela  della
liberta' e della sicurezza dei cittadini.  In  tal  caso,  l'assoluta
indeterminatezza dei contorni e i contenuti vaghi e imprecisi pongono
il   destinatario   nell'impossibilita'   di   rendersi   conto   del
comportamento doveroso cui attenersi per evitare di  soggiacere  alle
conseguenze  della  sua  inosservanza,  impedendo  all'interprete  di
esprimere un giudizio di corrispondenza  sorretto  da  un  fondamento
controllabile nella  operazione  ermeneutica  di  riconduzione  della
fattispecie concreta alla previsione normativa  e  minando  l'obbligo
imposto al legislatore di  formulare  norme  concettualmente  precise
sotto il profilo semantico della chiarezza e  della  intellegibilita'
dei termini impiegati. Alla stregua  di  quanto  avviene  in  materia
penale e in linea con quanto riconosciuto in altri  ordinamenti,  una
disposizione, statale o regionale, che presenti indeterminatezza  dei
suoi presupposti applicativi, non rimediabile tramite  gli  strumenti
dell'interpretazione, non fornisce alcun  affidabile  criterio  guida
nella  valutazione,  da  parte  della  pubblica  amministrazione,  se
assentire o  meno  un  dato  intervento  richiesto  dal  privato,  in
contrasto con il principio di legalita' dell'azione amministrativa  e
con esigenze minime di eguaglianza di trattamento tra  i  consociati.
In questo modo, si rende arduo al privato  lo  stesso  esercizio  del
diritto  di  difesa  in  giudizio  contro  l'eventuale  provvedimento
negativo    della    pubblica     amministrazione,     in     ragione
dell'indeterminatezza  dei  presupposti  della  legge  che   dovrebbe
assicurargli tutela contro l'uso  arbitrario  della  discrezionalita'
amministrativa». 
    La Corte costituzionale, in sintesi, ha chiarito che, sebbene sia
fisiologica la presenza  negli  enunciati  normativi  di  margini  di
incertezza interpretativa e sia  consentito  il  ricorso  a  clausole
generali e a concetti tecnici, una norma il cui  significato  rimanga
del tutto incomprensibile nonostante ogni sforzo ermeneutico viola  i
requisiti minimi di razionalita' dell'azione legislativa. 
    Tale limite, come emerge dalla richiamata decisione  n.  110  del
2023 e' sostanzialmente riconducibile a tre ordini di ragioni: 
        la necessita'  di  garantire  il  diritto  dei  consociati  a
conoscere ex ante e in modo ragionevolmente affidabile i limiti entro
cui i loro diritti e interessi trovano tutela; 
        la necessita' di assicurare  il  rispetto  del  principio  di
legalita' e di separazione dei poteri, perche' una norma radicalmente
oscura vincola solo in maniera apparente il potere  amministrativo  e
giudiziario, violando il principio di legalita' e la separazione  dei
poteri; 
        la necessita' di assicurare  il  rispetto  del  principio  di
parita' di trattamento, perche' l'indeterminatezza della  norma  crea
le condizioni per un'applicazione diseguale della stessa. 
    Si tratta di un principio/limite che trova certamente le maggiori
applicazioni nell'ambito del diritto penale, in cui si  ricollega  al
principio di legalita' e tassativita' di  cui  all'art.  25,  secondo
comma, Costituzione; cio' e' stato ribadito, anche recentemente,  con
la sentenza n. 54/2024 della Corte  costituzionale,  con  cui  si  e'
affermata la necessita'  di  assicurare  il  rispetto  dei  requisiti
minimi  di  chiarezza  e  precisione   che   debbono   possedere   le
disposizioni  incriminatrici,  «in  forza  -  in  particolare  -  del
principio di legalita' e tassativita' di  cui  all'art.  25,  secondo
comma, Costituzione», da cui deriva  un  «imperativo  costituzionale,
rivolto al legislatore, di formulare  norme  concettualmente  precise
sotto il profilo semantico della  chiarezza  e  dell'intellegibilita'
dei termini impiegati». 
    Del   resto,   esso   trova   richiami   costanti   anche   nella
giurisprudenza di  legittimita':  la  Corte  di  cassazione,  Sezioni
Unite,  con  la  sentenza  n.  36258  del  2012  ha   affermato   che
«l'indeterminatezza normativa del legislatore costringe il giudice  a
una inevitabile "tautologia interpretativa"», con la conseguenza  che
precetti  penali  cosi'  aspecificamente  formulati   finiscono   con
l'entrare in conflitto anche con l'art. 54 della Costituzione,  comma
1, poiche' non e' possibile osservare leggi che non  siano  chiare  e
comprensibili nel loro contenuto. 
    Ancora, nella sentenza della Corte di cassazione - Quinta sezione
penale  n.  8190/2019  si  e'  affermato  che  la  violazione   delle
prescrizioni generiche di «vivere onestamente» e  di  «rispettare  le
leggi» non configura reato, in quanto «il difetto di determinatezza e
tassativita' di tali  prescrizioni  generiche  le  rende  inidonee  a
influire sul comportamento del destinatario e a fondare  un  addebito
di colpevolezza». 
    Non mancano, inoltre, applicazioni di questo principio  anche  in
materia tributaria, nella quale la giurisprudenza  ha  sviluppato  il
concetto di «incertezza normativa oggettiva» come causa di  esenzione
dalle sanzioni amministrative. Come chiarito dalla recente  decisione
n.  791/2025  della  Corte   di   cassazione,   Sezione   tributaria,
l'incertezza   normativa   oggettiva    e'    caratterizzata    dalla
impossibilita' di individuare con sicurezza ed univocamente la  norma
giuridica nel cui ambito il caso di specie e' sussumibile. 
    La  Corte  di  cassazione  ha  individuato   specifici   «indici»
rivelatori dell'incertezza normativa,  tra  cui:  la  difficolta'  di
individuazione  delle  disposizioni  normative;  la  difficolta'   di
determinazione  del  significato  della  formula   dichiarativa;   la
mancanza di informazioni amministrative o la loro contraddittorieta';
l'assenza di una prassi amministrativa o la contraddittorieta'  delle
circolari; la mancanza di precedenti  giurisprudenziali;  l'esistenza
di orientamenti giurisprudenziali contrastanti. 
    2b) Cio' posto sul piano generale,  e'  opportuno  richiamare  il
dato testuale dell'art. 3, comma 14-septies della legge  21  febbraio
2025; quest'ultimo prevede, per un verso, che, «Al fine  di  adeguare
la disciplina relativa  all'albo  di  cui  all'art.  53  del  decreto
legislativo  15  dicembre  1997,  n.  446,   anche   alla   normativa
dell'Unione  europea  direttamente  applicabile,  si   procede   alla
revisione  del  regolamento  di   cui   al   decreto   del   Ministro
dell'economia e delle finanze 13 aprile 2022, n. 101, con regolamento
da emanare entro centottanta giorni dalla data di entrata  in  vigore
della legge di conversione del presente decreto» e, per altro  verso,
contestualmente dispone che «A tal fine, le disposizioni di cui  agli
articoli 52, comma 5, lettera b), numero  1),  e  53,  comma  1,  del
decreto legislativo n. 446 del 1997,  conformemente  alla  disciplina
recata dalla normativa dell'Unione europea direttamente  applicabile,
si interpretano nel senso che (...)». 
    Con la disposizione in esame, quindi, il legislatore, da un lato,
rinvia ad  un  futuro  regolamento  ai  fini  della  revisione  della
disciplina  concernente  l'albo  di  cui  all'art.  53  del   decreto
legislativo n. 15 dicembre 1997, n. 446,  anche  per  adeguarla  alla
normativa dell'Unione europea direttamente applicabile e,  dall'altro
lato, prevede, contestualmente, con una disposizione  dichiaratamente
interpretativa  che,  come  tale,  certamente  non  puo'  necessitare
dell'adozione di regolamenti ad hoc per poter avere efficacia, che la
medesima disciplina di cui all'art. 53  del  decreto  legislativo  n.
446/1997 vada interpretata in un determinato modo,  ossia  nel  senso
della  non  necessita'  dell'iscrizione  all'albo   per   determinate
societa' in presenza delle condizioni previste dalla legge medesima. 
    E' evidente che si e' in presenza di una palese contraddizione in
termini, di una sorta di «ossimoro normativo», laddove il legislatore
interviene con una norma dichiaratamente interpretativa sui requisiti
per l'iscrizione all'albo ex art.  553  del  decreto  legislativo  n.
446/97 prevedendo, al contempo, che tali requisiti siano  oggetto  di
una  revisione  in  virtu'  di  un  regolamento   che,   al   momento
dell'entrata in vigore della norma, e' aldila' da venire;  si  tratta
di una situazione di conflitto «interno» al dato letterale che appare
irrisolvibile in via interpretativa  e  che  determina,  quindi,  una
situazione di assoluta incertezza normativa. 
    Inoltre, contribuisce all'incertezza normativa il fatto che nulla
e' stato statuito in riferimento all'ipotesi in cui il socio iscritto
trasferisca ad altri la sua partecipazione; il che  potrebbe,  almeno
astrattamente, avvenire in favore di societa'  non  iscritte  e  alle
conseguenze che deriverebbero in questi casi;  potendosi  ipotizzare,
ad esempio, che si configuri un  problema  di  nullita'  sopravvenuta
degli atti posti in essere dalla societa'  di  riscossione  risultata
non piu' iscritta, neanche indirettamente, all'albo istituito  presso
il MEF. 
    Ancora, risulta parimenti generica la previsione secondo  cui  il
socio iscritto e' «tenuto a  garantire  in  solido  l'adempimento  di
tutte le prestazioni erogate direttamente dalle  predette  societa'»:
per un verso, infatti, il tenore letterale della  norma  richiama  il
concetto di obbligazione solidale e, per altro verso, riferisce pero'
tale  concetto  all'esecuzione  della  prestazione.   Non   e'   dato
comprendere, quindi, sotto questo profilo,  quale  utilita'  potrebbe
avere per la societa' partecipante,  partecipare  alla  procedura  di
affidamento con societa' terza da essa partecipata se si considerasse
tenuta a eseguire le medesime prestazioni della societa' partecipata;
diversamente, se si interpretasse la norma nel senso di prevedere una
forma di garanzia delle obbligazioni scaturenti dall'esecuzione delle
prestazioni dovute e non gia' come  coobbligata  ad  eseguire  queste
ultime, allora dovrebbe  ipotizzarsi  che  la  societa'  partecipante
iscritta sia garante non rispetto  alla  posizione  dei  contribuenti
che,  almeno  sul   piano   teorico,   potrebbero   vantare   pretese
risarcitorie   per   un   utilizzo    illecito    del    potere    di
accertamento/riscossione di una societa' da parte di una societa' non
iscritta; societa' che, alla luce di quanto evidenziato, risulterebbe
sottratta a forme di controllo diretto e non in possesso, ad esempio,
dei requisiti finanziari come la  presenza  di  un  capitale  sociale
adeguato, previsto anche a tutela dei contribuenti medesimi. 
    Inoltre, la norma in esame  risulta  particolarmente  vaga  nella
parte in cui prevede che «Al fine di adeguare la disciplina  relativa
all'albo di cui all'art. 53 del decreto legislativo 15 dicembre 1997,
n.  446,  anche  alla  normativa  dell'Unione  europea   direttamente
applicabile (...)»; essa, infatti, non  contiene  alcuna  indicazione
specifica  della  normativa   europea   alla   quale   intende   fare
riferimento,  il  che  non  consente  neanche  di   comprendere   con
precisione  a  quale  specifica  finalita'  si  intenda  riferire  il
legislatore nel richiamare la disciplina europea. 
    Il riferimento alla normativa europea risulta ancora piu'  oscuro
se si considera, come si osservera' da qui  a  breve,  che  la  norma
richiama  l'art.  184  del  codice  dei  contratti   pubblici   nella
formulazione  introdotta  dal  decreto  legislativo  n.  50/2016,  in
relazione al quale, con riferimento alla previsione di termini minimi
per la ricezione delle domande  di  partecipazione  e  delle  offerte
nelle procedure a  fasi  successive,  si  e'  posto  un  problema  di
compatibilita'  con  i  termini  minimi  stabiliti  dalla   direttiva
2014/23/UE, che la norma italiana e' tenuta a rispettare; tant'e' che
la nuova formulazione dell'art. 184 ad opera  del  nuovo  codice  dei
contratti pubblici (decreto legislativo n. 30/2023) fa  ora  espresso
riferimento ai «termini minimi stabiliti ai paragrafi 3 e 4 dell'art.
39 della  direttiva  2014/23/UE»,  prevedendo,  in  questo  modo,  un
riferimento diretto alla disciplina comunitaria. 
    Inoltre,   risulta   estremamente    problematico    sul    piano
interpretativo e applicativo anche il duplice riferimento,  contenuto
nella  norma  in  esame,  alle  societa'  di  progetto  e  di  scopo,
effettuato in particolare richiamando  una  disposizione  attualmente
vigente (l'art. 194 del nuovo codice dei contratti  pubblici)  e  una
non piu' vigente (l'art. 184 del codice dei contratti pubblici  nella
previgente formulazione). 
    Il legislatore,  infatti,  fa  contestualmente  riferimento  alle
societa' di scopo, cosi' denominate  attualmente  dall'art.  194  del
codice dei contratti pubblici (decreto legislativo n. 36/23) - che al
primo comma, prevede che  «1.  Per  gli  affidamenti  superiori  alla
soglia di cui all'art. 14, comma 1, lettera a), il bando di gara  per
l'affidamento  di  una  concessione  nella  forma  della  finanza  di
progetto prevede che l'aggiudicatario  costituisca  una  societa'  di
scopo in forma di societa' per azioni o a  responsabilita'  limitata,
anche consortile.» - e alle  societa'  di  progetto,  richiamando  la
formulazione dell'art. 184 ex  decreto  legislativo  n.  50/2016  ora
abrogata - secondo cui «Il bando di gara  per  l'affidamento  di  una
concessione per la realizzazione e/o gestione di una infrastruttura o
di  un  nuovo  servizio  di  pubblica  utilita'  deve  prevedere  che
l'aggiudicatario ha la facolta', dopo l'aggiudicazione, di costituire
una societa' di  progetto  in  forma  di  societa'  per  azioni  o  a
responsabilita' limitata, anche consortile». 
3 - Violazione articoli 3 e 97  della  Costituzione -  Disparita'  di
trattamento tra societa' partecipate e non partecipate e tutela della
concorrenza 
    3a)  La   norma   in   esame   presenta   altresi'   profili   di
incostituzionalita'  in  relazione  agli  articoli  3  e   97   della
Costituzione  nella  misura  in  cui  determina  una  disparita'   di
trattamento con  violazione  anche  del  principio  di  tutela  della
concorrenza. 
    Sul punto e' opportuno premettere che la Corte costituzionale  ha
affermato il rilievo centrale della tutela della concorrenza, cui  e'
connesso e funzionale il principio di parita' di  trattamento,  nella
premessa che si tratti di materia di competenza esclusiva dello Stato
ai sensi dell'art. 117, secondo comma, lettera e), Costituzione. 
    In particolare, e'  particolarmente  rilevante  quanto  affermato
nella sentenza n. 4/2022 della Corte  costituzionale  -  con  cui  e'
stato  dichiarato  costituzionalmente  illegittimo,  per   violazione
dell'art. 117, secondo comma, lettera  e),  Costituzione,  l'art.  75
della legge regionale Piemonte n. 15 del 2020, che  fino  al  termine
dello stato di emergenza epidemiologica da COVID-19, e comunque  fino
al 31 dicembre 2020, attribuisce punteggi premiali a coloro che,  nel
presentare offerte nelle pubbliche gare, si impegnino a utilizzare in
misura  prevalente  la  manodopera  o  il  personale  nel  territorio
regionale - con particolare riferimento a quanto osservato in  ordine
alla stretta interconnessione tra la nozione di concorrenza interna e
quella europea. 
    Piu' specificamente, nella citata decisione si  osserva  che  «La
nozione di  "concorrenza"  di  cui  al  secondo  comma,  lettera  e),
dell'art. 117 della  Costituzione  non  puo'  non  riflettere  quella
operante in ambito europeo. Essa comprende, pertanto, sia  le  misure
legislative di tutela in senso proprio, intese a contrastare gli atti
e  i  comportamenti  delle   imprese   che   incidono   negativamente
sull'assetto concorrenziale dei mercati, sia le misure legislative di
promozione,  volte  a  eliminare  limiti  e   vincoli   alla   libera
esplicazione della capacita' imprenditoriale e della competizione tra
imprese (concorrenza "nel mercato"), ovvero a  prefigurare  procedure
concorsuali di garanzia che assicurino la  piu'  ampia  apertura  del
mercato  a  tutti  gli  operatori  economici  (concorrenza  "per   il
mercato"). In questa seconda accezione, attraverso  la  tutela  della
concorrenza, vengono perseguite finalita' di ampliamento dell'area di
libera scelta dei cittadini e  delle  imprese,  queste  ultime  anche
quali fruitrici, a loro volta, di beni e di servizi». 
    Ancora  piu'  rilevante  risulta,  nel  caso  di  specie,  quanto
osservato con riferimento alle procedure di gara;  afferma  la  Corte
costituzionale, infatti, che «La disciplina delle procedure di  gara,
la regolamentazione della qualificazione e selezione dei concorrenti,
delle procedure di affidamento e dei criteri di aggiudicazione mirano
a garantire che le medesime si svolgano  nel  rispetto  delle  regole
concorrenziali e dei principi comunitari  della  libera  circolazione
delle merci, della libera prestazione dei servizi, della liberta'  di
stabilimento, nonche' dei principi costituzionali  di  trasparenza  e
parita' di trattamento, sicche' tali discipline, in  quanto  volte  a
consentire la piena apertura del mercato nel settore  degli  appalti,
sono riconducibili all'ambito  della  tutela  della  concorrenza  (in
particolare:  "per  il  mercato"),  di   esclusiva   competenza   del
legislatore statale, costituendo esse  uno  strumento  indispensabile
per tutelare e promuovere la concorrenza in modo uniforme sull'intero
territorio nazionale. Solo allo Stato spetta la facolta' di adottare,
in esito al bilanciamento tra l'interesse alla  concorrenza  e  altri
interessi pubblici e  nell'ambito  di  una  disciplina  uniforme  per
l'intero territorio  nazionale,  eccezionali  restrizioni  al  libero
accesso degli operatori economici al mercato, che,  ove  disposte  da
differenti normative  regionali,  sarebbero  suscettibili  di  creare
dislivelli di regolazione, produttivi di barriere territoriali.  Allo
Stato, spetta,  in  generale,  nell'esercizio  della  sua  competenza
esclusiva in materia di tutela della concorrenza, definire  il  punto
di equilibrio tra essa e la tutela di altri  interessi  pubblici  con
esso interferenti». 
    La citata decisione, quindi, nel ribadire la competenza esclusiva
del legislatore statale della disciplina in materia di  tutela  della
concorrenza (su cui anche Corte costituzionale, sentenza n. 98/2020),
appare particolarmente rilevante  perche'  mette  in  luce  il  ruolo
nevralgico della tutela  della  concorrenza,  ancora  di  piu'  nella
prospettiva europea; il che, in correlazione con il principio di buon
andamento  e   imparzialita'   dell'azione   amministrativa   sancito
dall'art. 97 della Costituzione,  impone  il  divieto  di  introdurre
clausole discriminatorie che, pur  apparentemente  neutre,  finiscano
per avvantaggiare ingiustificatamente alcuni  operatori  economici  a
discapito di altri, garantendo, al contempo, che tutti gli  operatori
economici siano posti  sullo  stesso  piano  nella  competizione  per
l'aggiudicazione di contratti pubblici. 
    3b) Cio' posto sul piano generale, nel caso di specie la norma in
esame presenta elementi di  incostituzionalita'  anche  in  relazione
agli articoli 3 e 97 della  Costituzione,  in  quanto  introduce,  di
fatto, un regime differenziato dei requisiti previsti per le societa'
di riscossione che appare irragionevole e ingiustificato,  con  gravi
ripercussioni sulla parita' di concorrenza delle imprese. 
    Invero, l'art. 53 decreto legislativo n. 446/97, rubricato  «Albo
per l'accertamento e riscossione delle  entrate  degli  enti  locali»
dispone che: 
        «1. Presso il Ministero delle finanze e' istituito l'albo dei
soggetti privati abilitati ad effettuare attivita' di liquidazione  e
di accertamento dei tributi e quelle di riscossione dei tributi e  di
altre entrate delle province e dei comuni. Sono escluse le  attivita'
di incasso diretto da parte dei soggetti di cui all'art. 52, comma 5,
lettera b), numeri 1), 2) e 4). 
        2.  L'esame  delle  domande  di  iscrizione,   la   revisione
periodica, la cancellazione e la sospensione dall'albo, la  revoca  e
la  decadenza  della  gestione  sono  effettuate  da   una   apposita
commissione in cui sia prevista una adeguata rappresentanza dell'ANCI
e dell'UPI. 
        3. Con decreti del Ministro  delle  finanze,  da  emanare  ai
sensi dell'art. 17, comma 3, della legge  23  agosto  1988,  n.  400,
tenuto conto delle esigenze di trasparenza e di tutela  del  pubblico
interesse, sentita  la  Conferenza  Stato-citta',  sono  definiti  le
condizioni ed i requisiti per  l'iscrizione  nell'albo,  al  fine  di
assicurare il possesso di adeguati requisiti tecnici e finanziari, la
sussistenza di sufficienti requisiti morali e l'assenza di  cause  di
incompatibilita' da parte degli iscritti, ed emanate disposizioni  in
ordine alla composizione, al funzionamento e alla  durata  in  carica
dei componenti della commissione di  cui  al  comma  2,  alla  tenuta
dell'albo,  alle  modalita'  per  l'iscrizione  e  la  verifica   dei
presupposti per la sospensione e la cancellazione  dall'albo  nonche'
ai casi  di  revoca  e  decadenza  della  gestione.  Per  i  soggetti
affidatari di servizi di liquidazione, accertamento e riscossione  di
tributi e altre entrate degli enti locali, che  svolgano  i  predetti
servizi almeno dal 1° gennaio 1997, puo' essere stabilito un  periodo
transitorio,  non  superiore  a  due  anni,  per  l'adeguamento  alle
condizioni e ai requisiti per l'iscrizione nell'albo suddetto». 
    Quanto ai requisiti previsti ai  fini  dell'iscrizione  all'albo,
essi sono individuati dal decreto del Ministero dell'economia e della
finanze 13 aprile 2022, n. 101, recante  «Regolamento  relativo  alla
definizione  dei  criteri  di  iscrizione  obbligatoria  in   sezione
separata dell'albo dei soggetti abilitati ad effettuare attivita'  di
accertamento e di riscossione dei tributi e delle altre entrate delle
province e dei comuni, per i soggetti che svolgono esclusivamente  le
funzioni e le attivita' di supporto propedeutiche all'accertamento  e
alla riscossione delle entrate degli enti locali e delle societa'  da
essi  partecipate»,  che  prevede,  ai   fini   dell'iscrizione,   in
conformita'  a  quanto  previsto   dall'art.   10   -   secondo   cui
«L'iscrizione nell'albo e' subordinata  al  riconoscimento  da  parte
della Commissione nei confronti degli organi  societari  e  dei  soci
delle  societa'  dei   prescritti   requisiti   di   onorabilita'   e
professionalita' e dell'assenza di cause di incompatibilita'  di  cui
agli  articoli  8  e  9,  nonche',  nei  confronti  delle   societa',
dell'idoneita' finanziaria, tecnica  e  organizzativa  alla  gestione
delle attivita' di liquidazione e di accertamento dei  tributi  e  di
quelle di riscossione dei tributi  e  di  altre  entrate  degli  enti
locali  di  cui  agli  articoli  6  e  7.  L'iscrizione  e'  altresi'
subordinata alla verifica della sussistenza  delle  dichiarazioni  di
cui all'art. 5» - il rispetto  di  determinati  requisiti  finanziari
(art. 6) e tecnici (art. 7), oltre che di requisiti di onorabilita' e
professionalita' (art. 8). 
    Con l'art. 3, comma 14-septies, della legge 21 febbraio 2025,  n.
15 si deroga a tale obbligo e quindi alla necessaria sussistenza  dei
requisiti  per  l'iscrizione  all'albo,  stabilendo  che  «(...)   le
societa' di scopo, di cui  all'art.  194  del  codice  dei  contratti
pubblici, di cui al decreto legislativo 31 marzo 2023, n.  36,  o  di
progetto, di cui al previgente art.  184  del  codice  dei  contratti
pubblici, di cui al  decreto  legislativo  18  aprile  2016,  n.  50,
costituite per svolgere attivita' di accertamento e di riscossione  o
attivita' di  supporto  ad  esse  propedeutiche,  non  sono  iscritte
nell'albo di cui all'art. 53 del decreto legislativo n. 446 del 1997,
laddove  la  societa'  aggiudicataria   del   bando   di   gara   per
l'affidamento del servizio di accertamento  e  di  riscossione  delle
entrate degli enti locali,  socia  della  stessa  societa'  di  scopo
risulti gia' iscritta nel predetto albo. (...)». 
    Cio' comporta, quindi, che se per le societa' non  partecipate  i
requisiti per potersi iscrivere all'albo di cui all'art. 53,  decreto
legislativo  n.  446/97   continuano   a   essere   quelli   previsti
precedentemente, diversamente, invece, per  effetto  della  norma  in
esame, non e' necessario che le  societa'  di  scopo  o  di  progetto
partecipate da societa'  iscritte  all'albo  presentino  i  requisiti
richiesti dalla citata norma, essendo sufficiente che  questi  ultimi
sussistano in capo alla societa' partecipante; il che determinerebbe,
nelle intenzioni del legislatore, una sorta di passaggio  in  via  di
osmosi  dei  requisiti  dalla  societa'  partecipante  alla  societa'
partecipata. 
    Tale previsione determina l'introduzione in concreto di un vero e
proprio doppio regime, - peraltro con efficacia retroattiva stante la
natura dichiaratamente interpretativa  della  norma  -,  che,  per  i
soggetti non partecipati da altra societa' iscritta all'albo,  impone
il  rispetto  di  una  serie  di   condizioni,   indispensabili   per
l'iscrizione all'albo delle societa' concessionaria del  servizio  di
riscossione, laddove, invece, per i soggetti partecipati da  societa'
iscritte  all'albo   dei   concessionari   non   richiede   requisiti
particolari,  essendo  questi  ultimi,  di  fatto,  assorbiti   dalla
preventiva iscrizione del socio partecipante. 
    E' evidente, pero', che in questo modo si determina una  forte  e
ingiustificata alterazione del  principio  di  parita'  e  di  libera
concorrenza nel mercato perche' si consente, di fatto, alle  societa'
che gia' risultano iscritte all'albo di prendere parte a  nuove  gare
per l'affidamento del servizio di riscossione  dei  tributi,  tramite
societa' formalmente da esse distinte e totalmente partecipate, senza
che pero'  queste  ultime  debbano  essere  iscritte  all'albo  delle
societa'  concessionarie  del  servizio  di  riscossione  e,  quindi,
debbano rispettarne i relativi requisiti. 
    Ancora piu' irragionevole risulta la scelta del  legislatore,  se
si  considera  che  la  norma   in   questione   e'   dichiaratamente
interpretativa e tesa a operare retroattivamente tant'e' che richiama
le societa' di progetto «di cui al previgente art. 184 del codice dei
contratti  pubblici»;  infatti,  la  possibilita',  introdotta  dalla
norma, di consentire di  acquisire  alle  societa'  partecipante,  di
riflesso, i  requisiti  richiesti  per  l'iscrizione  all'albo  dalla
societa'   partecipante,    non    era    conosciuta    al    momento
dell'introduzione della procedura di gara. La  circostanza  che  tale
possibilita' non fosse conosciuta precedentemente, ma  consentita  di
fatto solo per effetto dell'intervento operato con la norma in  esame
ha determinato, ex post, un'evidente alterazione a monte del processo
di formazione della volonta' di alcuni  soggetti  in  relazione  alla
scelta di partecipare alla procedura di affidamento:  questi  ultimi,
infatti,   potrebbero   aver    consapevolmente    desistito    dalla
partecipazione alla  gara,  perche'  non  in  possesso  dei  suddetti
requisiti,  laddove,  invece,  avrebbero   potuto   optare   per   la
partecipazione    alla    gara    qualora     avessero     conosciuto
l'interpretazione della legge operata dal legislatore. 
    Anche sotto tale profilo, quindi, e mettendo in  correlazione  il
principio  di  parita'  di  trattamento  con  quello   della   tutela
dell'affidamento, la norma in questione risulta irragionevole laddove
determina una lesione della concorrenza  in  termini  di  tutela  del
legittimo affidamento delle altre imprese che hanno partecipato  alla
gara di affidamento del servizio di riscossione nella  consapevolezza
che fosse necessario il possesso dei requisiti previsti dalla legge e
in particolare di quelli a cui e' condizionata l'iscrizione  all'albo
di cui all'art. 53, decreto legislativo  15  dicembre  1997,  n.  446
delle societa' partecipanti. 
    Sul punto, deve inoltre osservarsi, a  conferma  ulteriore  della
non  giustificatezza  e   dell'irrazionalita'   del   doppio   regime
introdotto, che la norma in esame non ha chiarito come il  MEF  possa
esercitare il controllo sulla societa' di scopo che non e'  iscritta,
con la conseguenza che, escludendo  la  necessita'  che  la  societa'
partecipata da quella iscritta  debba  iscriversi  all'albo,  l'unica
forma di controllo che residuerebbe e' quella indiretto nei confronti
della societa' partecipante iscritta. 
    Anche  sotto  questo  profilo  e'  evidente  la   disparita'   di
trattamento, laddove si determina un'equiparazione tra due situazioni
notevolmente differenti e non  assimilabili:  in  un  caso,  infatti,
quello della societa' non partecipata o anche partecipata ma  non  da
societa'  gia'  iscritta  all'albo,  il   controllo   e'   esercitato
direttamente attraverso la verifica del possesso  dei  requisiti  per
l'iscrizione  all'albo;  mentre   nel   caso   della   societa'   non
partecipata, il controllo non viene  esercitato  su  quest'ultima  ma
solo sulla societa' partecipante. 
4 - Violazione art. 41 della Costituzione in combinato  disposto  con
l'art. 102 Trattato  sul  funzionamento  dell'Unione  europea  e  con
l'art. 3, legge n. 287/1990  Tutela  della  concorrenza  -  Abuso  di
posizione dominante 
    4a)  La   norma   in   esame   presenta   altresi'   profili   di
incostituzionalita' in  relazione  all'art.  41  della  Costituzione,
laddove favorisce la possibilita' di  dare  luogo  a  una  condizione
privilegiata per le  societa'  gia'  concessionarie  dei  servizi  di
riscossione dei tributi, iscritte all'albo di cui all'art. 53 decreto
legislativo  n.  446/97  che  partecipino  a   nuove   procedure   di
affidamento di tali servizi. 
    Com'e' noto, l'art. 41 della Costituzione rappresenta il pilastro
su cui si fonda l'ordinamento  economico  nazionale,  stabilendo  che
«l'iniziativa economica privata e'  libera»;  tale  liberta'  non  e'
assoluta, ma trova precisi limiti  nel  secondo  comma  della  stessa
disposizione, che prevede che essa «non puo' svolgersi  in  contrasto
con l'utilita' sociale  o  in  modo  da  recare  danno  alla  salute,
all'ambiente, alla sicurezza, alla liberta', alla dignita' umana»; il
terzo comma, infine, completa il quadro normativo stabilendo che  «la
legge  determina  i  programmi  e  i  controlli   opportuni   perche'
l'attivita' economica pubblica e privata possa essere  indirizzata  e
coordinata a fini sociali e ambientali». 
    Come osservato dalla Corte costituzionale nella sentenza  n.  218
del 2021, la liberta' di iniziativa economica garantita dall'art.  41
della Costituzione deve essere  necessariamente  interpretata  «anche
alla luce dei  Trattati  e,  in  generale,  del  diritto  dell'Unione
europea», trovando nella tutela della concorrenza il  suo  fondamento
costituzionale.  Ancora,  sempre   con   riferimento   alla   stretta
correlazione tra limiti previsti all'iniziativa  economica  e  tutela
della  concorrenza,  la  Corte  costituzionale,  nella  sentenza   n.
393/2000 ha stabilito che «la liberta' di iniziativa  economica,  cui
il precetto costituzionale dell'art. 41 si riferisce, e'  quella  che
trova  il  suo  normale  svolgimento  nell'esercizio   dell'impresa»,
precisando  che  «anche  l'autonomia  negoziale  e  la  liberta'   di
iniziativa privata devono cedere di  fronte  a  interessi  di  ordine
superiore, economici e sociali, rilevanti a livello costituzionale». 
    Con piu' specifico riferimento all'abuso di posizione  dominante,
deve osservarsi che esso da' luogo ad una delle principali violazioni
del  diritto  della  concorrenza,  disciplinata  a  livello   europeo
dall'art. 102 Trattato sul  funzionamento  dell'Unione  europea  e  a
livello nazionale dall'art. 3 della legge n. 287/1990. 
    In particolare, si e' osservato che la posizione dominante non e'
di per se' illecita, divenendo tale  nel  momento  in  cui  viene  ad
essere esercitata in modo abusivo; cosi' in particolare, quanto  alla
speciale posizione di  responsabilita'  che  grava  sull'impresa  che
versi in posizione dominante, il Giudice  amministrativo:  «l'impresa
che detiene una posizione  di  monopolio  legale  in  un  determinato
mercato assume  una  "speciale  responsabilita'"  che  le  impone  di
astenersi da comportamenti che, pur potendo  corrispondere  a  scelte
imprenditoriali legittime per altri  operatori,  risultano  fonte  di
effetti  anticoncorrenziali»  (C.d.S.  n.  2114/2023  e,  in  termini
analoghi, sulla  «speciale  responsabilita'»  dell'impresa  dominante
C.d.S. n. 9035/2022). 
    Quanto ai criteri per stabilire la  sussistenza  o  meno  di  una
posizione dominante, il Consiglio  di  Stato,  con  la  decisione  n.
1580/2023, ha affermato che gli elementi costitutivi della violazione
sono:  «a)  la  capacita'  della  pratica  di  produrre  un   effetto
escludente, rendendo piu' difficile la penetrazione o il mantenimento
dei concorrenti nel mercato; b) lo sfruttamento di mezzi  diversi  da
quelli propri di una concorrenza basata sui meriti». 
    4b) Cio' posto sul piano  della  disciplina  generale,  nel  caso
della norma in  esame  non  puo'  non  osservarsi  che  essa  rischia
concretamente di dare luogo a situazioni  di  abuso  della  posizione
dominante. 
    Essa,  infatti,  nel  consentire  alle  societa'  partecipate  di
risultare  affidatarie,  all'esito  della  gara,  del   servizio   di
accertamento  e  riscossione   di   tributi   senza   essere   tenute
all'iscrizione all'albo di cui all'art. 53,  decreto  legislativo  15
dicembre 1997, n. 446 consente di favorire in concreto  la  posizione
della societa' aggiudicataria del bando di gara per l'affidamento del
servizio di accertamento e di riscossione delle  entrate  degli  enti
locali, che sia gia' iscritta nel predetto albo e che sia socia della
societa' di progetto. 
    Il rischio concreto e', in altri termini, che  le  societa'  gia'
affidatarie  del  servizio  moltiplichino  le  loro  possibilita'  di
partecipazione, con esito positivo, a gare, proprio avvalendosi della
costituzione di societa' di progetto e realizzando in questo modo  un
meccanismo che, specie se applicato reiteratamente - il che  e'  reso
agevole dalla mancanza di limitazioni individuate dal legislatore  -,
potrebbe «sfavorire» nettamente  le  societa'  non  partecipate,  che
potrebbero desistere dal partecipare a un  meccanismo  concorrenziale
che richiede solo ad  esse,  e  non  alle  societa'  partecipate,  il
possesso dei requisiti necessari per  l'iscrizione  all'albo  gestito
dal MEF. 
    E  cio'  senza  considerare  la  possibilita'  che  le   societa'
partecipate di societa' gia'  iscritte  all'albo  presso  il  MEF  si
avvalgano  delle  strutture  della  societa'  madre  e  del  relativo
personale, il che potrebbe determinare  una  posizione  di  ulteriore
«svantaggio»  per   le   societa'   non   partecipate   e   favorire,
contestualmente, un utilizzo abusivo della posizione dominante. 
    Ne consegue, quindi, che anche sotto questo profilo la  norma  in
esame presenta un profilo di possibile illegittimita' costituzionale. 
5 - Violazione dell'art. 111 della Costituzione in relazione all'art.
6 CEDU - violazione dei limiti posti alle  norme  di  interpretazione
autentica anche alla luce dei principi affermati dalla CEDU. 
    5a) La norma in esame presenta, infine, un ulteriore  profilo  di
incostituzionalita'    in    considerazione    della    sua    natura
dichiaratamente interpretativa con efficacia retroattiva. 
    Com'e' noto, il divieto di retroattivita' della legge costituisce
un fondamentale valore di civilta' giuridica. 
    Fatta eccezione per l'ambito  del  diritto  penale,  rispetto  al
quale tale  divieto  trova  esplicito  riconoscimento  costituzionale
nell'art. 25 della Costituzione,  e'  consentito  al  legislatore  di
emanare norme  retroattive,  nonche'  di  interpretazione  autentica,
purche' cio' sia  giustificato  da  motivi  imperativi  di  interesse
generale e sia rispettoso di alcuni limiti  fondamentali.  In  questi
termini, in particolare, Corte costituzionale, sentenza n.  174/2019,
che,  nel  dichiarare  costituzionalmente  illegittima   «(...)   per
violazione degli articoli 111 e 117, primo comma, della Costituzione,
quest'ultimo in relazione all'art. 6 CEDU - l'art. 7, commi 28, 29  e
30, della legge reg.  Friuli-Venezia  Giulia  n.  33  del  2015  che,
attraverso una interpretazione autentica degli  articoli  142  e  143
della legge regionale Friuli-Venezia Giulia n. 53 del  1981,  esclude
la  valutazione,  ai  fini  della  liquidazione  dell'indennita'   di
buonuscita, del servizio prestato con  rapporto  di  lavoro  a  tempo
determinato di diritto privato», ha statuito  che  «secondo  costante
giurisprudenza costituzionale, il  divieto  di  retroattivita'  della
legge  si  erge  a  fondamentale  valore   di   civilta'   giuridica,
soprattutto nella materia penale (art.  25  della  Costituzione).  In
altri ambiti dell'ordinamento il legislatore  e'  libero  di  emanare
disposizioni retroattive, anche di interpretazione autentica,  ma  la
retroattivita' deve trovare adeguata giustificazione sul piano  della
ragionevolezza, attraverso un puntuale bilanciamento tra  le  ragioni
che ne hanno motivato la previsione e  i  valori,  costituzionalmente
tutelati, al contempo potenzialmente lesi  dall'efficacia  a  ritroso
della norma  adottata.  I  limiti  posti  alle  leggi  con  efficacia
retroattiva  si  correlano  cosi'  alla  salvaguardia  dei   principi
costituzionali dell'eguaglianza e della ragionevolezza,  alla  tutela
del  legittimo   affidamento,   alla   coerenza   e   alla   certezza
dell'ordinamento    giuridico,    al    rispetto    delle    funzioni
costituzionalmente riservate al potere giudiziario» (in questo senso,
Corte costituzionale, sentenze n. 73 del 2017, n. 127  del  2015,  n.
170 del 2013 e n. 1 del 2011). E ancora, il giudice  delle  leggi  ha
statuito, sempre nella citata decisione n. 174/2019, che «Secondo  la
giurisprudenza  costituzionale,  i  principi  della  preminenza   del
diritto e  dell'equo  processo  sono  inscindibilmente  connessi  nel
sindacato  sulle  leggi  retroattive,  data  la  corrispondenza   tra
principi costituzionali interni in materia di parita' delle parti  in
giudizio e quelli convenzionali in punto di equo processo  (art.  111
della Costituzione e art.  6  CEDU).  I  diritti  riconosciuti  dalla
Costituzione, infatti, non possono non interagire con quelli previsti
dalle  fonti  sovranazionali  e  internazionali,  in  un  quadro   di
reciproca integrazione e quindi di bilanciamento» (in  questo  senso,
Corte costituzionale, sentenze n. 12 del 2018, n. 127  del  2015,  n.
191 del 2014, n. 264 del 2012, n. 303 del 2011, n. 317 del 2009 e  n.
311 del 2009). 
    I limiti individuati dal giudice delle leggi, che deve  osservare
il  legislatore  allorquando  interviene  con  leggi  interpretative,
concernono  valori  fondamentali  del  nostro  ordinamento,  come  la
salvaguardia dei principi di ragionevolezza ed eguaglianza, la tutela
del legittimo affidamento  dei  cittadini,  la  coerenza  e  certezza
dell'ordinamento   giuridico   e   il   rispetto    delle    funzioni
costituzionalmente riservate al potere giudiziario. 
    In particolare, secondo la  citata  sentenza  n.  174/2019  della
Corte costituzionale, sono considerati elementi sintomatici di un uso
distorto della funzione legislativa: 
        l'assenza  di  contrasti   giurisprudenziali   o   incertezze
interpretative da risolvere; 
        la circostanza che l'intervento  legislativo  si  collochi  a
notevole   distanza   temporale   dalle   disposizioni   oggetto   di
interpretazione; 
        la circostanza che  lo  Stato  o  l'amministrazione  pubblica
siano parti di un giudizio gia' sorto; 
        l'intento di influenzare l'esito di  specifiche  controversie
pendenti;  sul  punto,  la  Corte  costituzionale,  con  sentenza  n.
191/2014, ha affermato che il legislatore  non  puo'  introdurre  una
norma al solo fine di determinare l'esito di un giudizio  in  termini
favorevoli  allo  Stato  o  a  un  ente  pubblico,  in  quanto   cio'
costituirebbe eccesso di  potere  legislativo  censurabile  anche  in
relazione all'art. 6  CEDU;  in  particolare  osserva  la  Corte  che
«Nell'interpretare l'art.  6  CEDU,  la  Corte  europea  dei  diritti
dell'uomo (fra le molte, Corte EDU, sentenza 11 dicembre  2012,  Anna
De Rosa e altri contro Italia, paragrafo 47) afferma che, in linea di
principio, non e' vietato al  legislatore  introdurre  nella  materia
civile disposizioni retroattive, che incidano su  diritti  attribuiti
da leggi in vigore. Tuttavia, se non vi  sono  motivi  imperativi  di
interesse generale, i principi di preminenza del diritto e la nozione
di giusto processo  precludono  l'ingerenza  del  potere  legislativo
nell'amministrazione della giustizia,  quando  il  fine  evidente  e'
quello di influenzare la soluzione di una controversia». 
    Deve ritenersi, quindi che non sia consentito «risolvere, con  la
forma   della   legge,   specifiche   controversie»,   perche'   cio'
determinerebbe, sempre secondo l'interpretazione dell'art. 6, CEDU da
parte della Corte europea dei diritti dell'uomo, una violazione della
«parita' delle armi», «che impone  di  assicurare  a  ogni  parte  la
possibilita' di presentare la propria causa  senza  trovarsi  in  una
situazione di  svantaggio  rispetto  alla  controparte»  (Corte  EDU,
sentenza 9  dicembre  1994,  Raffineries  grecques  Stran  e  Stratis
Andreadis  contro  Grecia,   paragrafo   46);   il   che,   peraltro,
determinerebbe, in definitiva, una violazione dei  principi  relativi
ai rapporti tra potere legislativo e potere giurisdizionale; 
        l'assenza di motivi  imperativi  di  interesse  generale  che
giustifichino l'intervento  retroattivo;  con  riferimento  a  questi
ultimi,  come  affermato  dalla  sentenza  n.  191/2014  della  Corte
costituzionale,  deve  osservarsi  che  i  motivi  finanziari  o   di
contenimento della spesa pubblica non sono di per se'  sufficienti  a
giustificare un intervento  legislativo  retroattivo  che  incida  su
giudizi in corso; e' necessario, infatti, che le circostanze  addotte
per giustificare misure retroattive siano «trattate  con  la  massima
circospezione   possibile»,    specialmente    quando    l'intervento
legislativo finisca per alterare l'esito di una controversia; 
        la lesione  della  tutela  dell'affidamento  legittimo;  come
osservato dalla Corte costituzionale con  la  sentenza  n.  108/2019,
l'affidamento del cittadino nella sicurezza giuridica e'  un  aspetto
fondamentale dello Stato di diritto, ma non e'  tutelato  in  termini
assoluti; esso e'  sottoposto  al  normale  bilanciamento  con  altri
diritti e valori costituzionali, fermo restando che  le  disposizioni
retroattive non possono trasmodare in un  regolamento  irrazionale  e
arbitrariamente incidere sulle situazioni sostanziali poste in essere
da leggi precedenti. 
    Ancora, al  fine  di  valutare  la  legittimita'  dell'intervento
normativo  retroattivo  sul  piano   della   tutela   del   legittimo
affidamento,  secondo  la  citata  sentenza  n.   108/2019,   occorre
considerare: il tempo trascorso tra la regolazione  originaria  e  la
modifica retroattiva; il grado  di  consolidamento  delle  situazioni
soggettive coinvolte; la prevedibilita' della  modifica  retroattiva;
la proporzionalita' dell'intervento legislativo. 
    Inoltre, sempre con riferimento ai criteri per  stabilire  se  la
norma interpretativa retroattiva che agisca su giudizi in corso sia o
meno espressione di un «uso distorto della funzione legislativa»,  la
Corte costituzionale, con sentenza n. 4/2024, ha osservato che «A tal
fine, assumono rilievo -  sulla  scorta  della  giurisprudenza  della
Corte europea dei diritti  dell'uomo  -  alcuni  "elementi,  ritenuti
sintomatici  dell'uso  distorto   della   funzione   legislativa»   e
riferibili principalmente al «metodo e alla  tempistica  seguiti  dal
legislatore"» (in questo senso, Corte costituzionale, sentenza n.  12
del 2018 e sentenze n. 145 del 2022  e  n.  174  del  2019).  Ancora,
sempre  secondo  la  citata  decisione  n.  4/2024  «Occorre   dunque
effettuare una verifica  di  legittimita'  costituzionale  che  -  in
maniera  non  dissimile  dal   sindacato   sull'eccesso   di   potere
amministrativo mediante l'impiego di figure sintomatiche  -  assicuri
una particolare estensione e intensita' del  controllo  sul  corretto
uso del potere legislativo. Tra  gli  elementi  sintomatici  dell'uso
distorto del potere legislativo, appare innanzitutto significativo il
fatto che «lo Stato o l'amministrazione pubblica» siano «parti di  un
processo gia' radicato» e che l'intervento legislativo si collochi "a
notevole distanza dall'entrata in vigore delle  disposizioni  oggetto
di interpretazione  autentica"»  (in  questo  senso  la  gia'  citata
sentenza della Corte costituzionale n. 174 del 2019). 
    Ancora, osserva il Giudice delle Leggi sempre nella decisione  n.
4/2024   che   «(...)   come   evidenziato    dalla    giurisprudenza
costituzionale, la Corte EDU ha ritenuto  compatibili  con  l'art.  6
CEDU alcuni interventi legislativi retroattivi incidenti  su  giudizi
in  corso,  la'  dove  "i  soggetti  ricorrenti  avevano  tentato  di
approfittare dei difetti  tecnici  della  legislazione  (sentenza  23
ottobre 1997, National &  Provincial  Building  Society  e  Yorkshire
Building Society  contro  Regno  Unito,  paragrafo  112),  o  avevano
cercato  di  ottenere  vantaggi  da  una  lacuna  della  legislazione
medesima, cui l'ingerenza del  legislatore  mirava  a  porre  rimedio
(sentenza del 27 maggio 2004, OGIS-Institut Stanislas, OGEC Saint-Pie
X, Blanche  de  Castille  e  altri  contro  Francia,  paragrafo  69)"
(sentenza n. 145 del 2022). In un altro caso, e' stato valorizzato il
fatto che l'intervento legislativo retroattivo mirava a risolvere una
serie  piu'  ampia  di  conflitti  conseguenti  alla   riunificazione
tedesca, al fine di  «assicurare  in  modo  duraturo  la  pace  e  la
sicurezza giuridica in Germania» (20 febbraio 2003,  ForrerNiedenthal
c. Germania, paragrafo 64)». 
    Particolarmente rilevante e' poi l'affermazione, contenuta sempre
nella decisione richiamata in questa sede, secondo  cui  «Le  ragioni
finanziarie non sono ragioni sufficienti per giustificare  una  legge
innovativa retroattiva»; sul punto,  infatti,  si  e'  osservato  che
«All'infuori di tali ragioni imperative  di  interesse  generale,  la
Corte EDU ha ritenuto che "le considerazioni finanziarie non possono,
da sole, autorizzare il potere legislativo a sostituirsi  al  giudice
nella  definizione  delle  controversie"  (sentenza  29  marzo  2006,
Scordino e altri contro Italia, paragrafo  132;  sentenza  11  aprile
2006, Cabourdin c. Francia, paragrafo  37).  Anche  questa  Corte  ha
sottolineato che, in linea di principio, "i soli  motivi  finanziari,
volti a contenere la spesa pubblica o  a  reperire  risorse  per  far
fronte  a  esigenze  eccezionali,  non  bastano  a  giustificare   un
intervento legislativo  destinato  a  ripercuotersi  sui  giudizi  in
corso» (in questi termini, Corte costituzionale, sentenze n. 174 e n.
108 del 2019, n. 170 del 2013 e n. 145 del 2022). 
    5b) Cosi' ricostruiti i principi in materia sul  piano  generale,
deve osservarsi che, nel caso di specie, la norma in  esame  presenta
elementi sintomatici di un utilizzo distorto  dello  strumento  della
legge di interpretazione autentica. 
    Sul punto, deve in primo luogo premettersi che depone  nettamente
nel senso dell'efficacia retroattiva  della  norma  in  questione  il
fatto che essa si riferisce  espressamente  anche  alle  societa'  di
progetto di cui alla formulazione dell'art. 184, decreto  legislativo
n. 50/2016 non piu' vigente, quindi precedente rispetto alla  riforma
di cui al decreto legislativo n. 36/2023, con la conseguenza  che  la
disposizione risulta specificamente  destinata  a  regolare  rapporti
pregressi alla sua entrata in vigore e ancora in corso. 
    In questa prospettiva,  quindi,  di  necessaria  applicazione  ai
rapporti in corso - che peraltro  e'  specificamente  invocata  nella
fattispecie concreta posta all'esame di questo giudice, dalla  difesa
di  Municipia  S.p.a.  -,  e'  evidente  allora   che   la   relativa
applicazione ai giudizi in corso, proposti avverso  atti  emessi  non
successivamente alla sua entrata in vigore, ma in  epoca  antecedente
alla stessa, laddove  si  contesti,  come  nel  caso  di  specie,  la
legittimita' dell'attivita' di riscossione proprio perche'  posta  in
essere da societa' non iscritta all'albo, risolverebbe il contenzioso
giurisdizionale in senso  favorevole  alla  parte,  per  cosi'  dire,
«pubblica», concessionaria della  riscossione,  violando,  in  questo
modo, il principio di «parita' delle armi processuali» e modificando,
quindi, il possibile esito del giudizio in cui e' applicato  rispetto
a quello, eventuale, che sarebbe potuto derivare qualora  tale  norma
non fosse stata emessa. Il che da'  luogo,  in  questo  modo,  a  una
palese violazione del principio di «parita' delle armi processuali». 
    Altra circostanza rilevante e' rappresentata  dal  fatto  che  la
norma e' stata introdotta a notevolissima distanza  di  tempo,  quasi
trent'anni, dall'entrata  in  vigore  della  disciplina  che  intende
interpretare, ossia l'art. 53 del  decreto  legislativo  15  dicembre
1997, n. 446; circostanza che risulta, per definizione, come chiarito
dalla stessa Corte costituzionale nelle decisioni innanzi  richiamate
(cfr. in questo senso in particolare la gia'  citata  sentenza  della
Corte costituzionale n. 174 del 2019),  sintomatica  di  un  utilizzo
«distorto» dello strumento legislativo. 
    Quanto  alla  sussistenza  di  un  contrasto  interpretativo   da
risolvere, occorre evidenziare che, proprio al fine di  prevenirlo  e
risolverlo, la Corte di giustizia tributaria di primo grado di Napoli
aveva sollevato questione pregiudiziale, investendo, quindi, la Corte
di cassazione, mediante rinvio ai sensi dell'art. 363-bis  codice  di
procedura civile, della questione  concernente  la  possibilita',  in
materia  tributaria,  di  ritenere   validamente   ed   efficacemente
costituita, anche in base a una lettura costituzionalmente  orientata
dell'art. 184  del  decreto  legislativo  n.  50/2016  (codice  degli
appalti),   «una   "societa'   di   progetto"   avente   ad   oggetto
l'accertamento  e  la  riscossione  fiscale,  non  iscritta  (perche'
impossibilitata a farlo) sia nell'albo previsto dall'art. 53  decreto
legislativo  n.  446/1997,  che  nella  relativa   sezione   separata
dell'art.  1,  comma  805,  legge  27  dicembre  2019,  n.  160,  sul
presupposto che essa mutui dalla  societa'  aggiudicataria  (iscritta
nell'albo predetto e  socia  unica  della  societa'  di  progetto)  i
requisiti prescritti  per  legge»  (cfr.  ordinanza  della  Corte  di
giustizia tributaria di primo grado di Napoli  del  23  maggio  2024,
resa nel giudizio n. 6529/24 r.g.). 
    In ordine a tale profilo non puo' non  evidenziarsi,  a  conferma
del fatto che con la  norma  in  esame  si  e'  in  presenza  di  una
ingerenza non consentita del potere legislativo nei giudizi in corso,
l'assoluta peculiarita' di quanto accaduto sul piano della  scansione
cronologica degli eventi: infatti, al momento dell'approvazione della
legge di conversione (21 febbraio 2025) era gia' stata calendarizzata
e  celebrata  l'udienza  presso  la  Corte  di  cassazione   (infatti
l'originaria Camera di  consiglio  e'  datata  22  gennaio  2025  poi
riconvocata successivamente  in  data  13  marzo  2025),  chiamata  a
pronunciarsi, come evidenziato, proprio ai  sensi  dell'art.  363-bis
del  codice  di  procedura  civile  sulla  questione  concernente  la
possibilita' per le societa'  di  scopo  non  iscritte  all'albo  dei
concessionari di effettuare attivita' di riscossione di tributi. 
    Non puo', quindi, in  questa  sede  non  evidenziarsi  l'assoluta
anomalia di un intervento normativo che, nelle intenzioni  dichiarate
dal legislatore, puo' incidere sull'esito del contenzioso attualmente
pendente innanzi al giudice tributario, oltre ad aver di  fatto  gia'
inciso, per effetto della  sua  entrata  in  vigore,  sull'esito  del
procedimento per rinvio pregiudiziale ex art. 363-bis del  codice  di
procedura civile innanzi alla Corte di cassazione, conclusosi con una
pronuncia di inammissibilita' sopravvenuta della questione sottoposta
al suo esame motivata proprio dall'entrata in vigore della  norma  in
questione. 
    Considerato: 
        che, ai sensi dell'art.  134  della  Costituzione,  la  Corte
costituzionale giudica sulle controversie relative alla  legittimita'
costituzionale delle leggi e degli atti aventi forza di  legge  dello
Stato e delle Regioni; 
        che, alla luce dei motivi innanzi evidenziati,  la  questione
di legittimita' costituzionale della norma astrattamente  applicabile
nel presente giudizio non appare manifestamente infondata; 
        che, inoltre, la  questione  di  legittimita'  costituzionale
della norma in questione e' rilevante nel presente giudizio in virtu'
di quanto osservato in premessa, in quanto  l'eventuale  declaratoria
di illegittimita' o di legittimita' della stessa potrebbe determinare
un esito favorevole per la parte  ricorrente  e  sfavorevole  per  la
parte resistente o viceversa; 
    Ritenuto   che,   pertanto,   la   questione   di    legittimita'
costituzionale dell'art. all'art. 3, comma 14-septies della legge  21
febbraio 2025, n. 15 appare rilevante e non manifestamente  infondata
in riferimento agli articoli 76 della Costituzione, 3, 25,  76  e  97
della Costituzione, 3 e 97 della Costituzione, 41 della  Costituzione
in combinato disposto  con  l'art.  102  Trattato  sul  funzionamento
dell'Unione europea e con l'art. 3, legge n. 287/1990, e all'art. 111
della Costituzione in combinato disposto con l'art. 6 CEDU; 
    Visto l'art. 137 della Costituzione; 

 
                              P. Q. M. 
 
    1. Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione
di legittimita' costituzionale dell'art. 3,  comma  14-septies  della
legge 21 febbraio 2025, n. 15 in riferimento agli articoli  76  della
Costituzione, 3, 25, 76  e  97  della  Costituzione,  3  e  97  della
Costituzione,  41  della  Costituzione,  quest'ultimo  in   combinato
disposto  con  l'art.  102  Trattato  sul  funzionamento  dell'Unione
europea e con l'art. 3, legge  n.  287/1990,  e  all'art.  111  della
Costituzione in combinato disposto con l'art. 6 CEDU; 
    2.  Dispone  l'immediata  trasmissione  degli  atti  alla   Corte
costituzionale; 
    3. Sospende il presente giudizio fino alla decisione della  Corte
costituzionale; 
    4. Dispone che, a cura della segreteria: 
        la presente ordinanza sia notificata alle parti in causa e al
Presidente del Consiglio dei ministri; 
        sia comunicata ai Presidenti delle due Camere del Parlamento; 
        gli atti siano trasmessi alla Corte costituzionale. 
    Cosi' deciso in Napoli il 15 maggio - 13 giugno 2025 
 
                         Il giudice: Caputo