Reg. ord. n. 189 del 2025 pubbl. su G.U. del 08/10/2025 n. 41
Ordinanza del Tribunale di Arezzo del 26/06/2025
Tra: A. M. C/ Società cooperativa di c. m. di C.
Oggetto:
Fallimento e procedure concorsuali – Codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza – Esdebitazione – Previsione che il tribunale si pronuncia sull’istanza di esdebitazione contestualmente alla pronuncia del decreto di chiusura della procedura – Ammissibilità della domanda di esdebitazione depositata successivamente alla chiusura della procedura – Esclusione – Mancata corrispondenza con i principi e criteri direttivi della legge delega n. 155 del 2017, ove si contempla la possibilità di presentare la domanda di esdebitazione subito dopo la chiusura della procedura e, in ogni caso, dopo tre anni dalla sua apertura – Eccesso di delega.
Norme impugnate:
decreto legislativo del 12/01/2019 Num. 14 Art. 281 Co. 1
Parametri costituzionali:
Costituzione Art. 76 Co.
legge Art. 8 Co. 1
Camera di Consiglio del 9 febbraio 2026 rel. SCIARRONE ALIBRANDI
Testo dell'ordinanza
N. 189 ORDINANZA (Atto di promovimento) 26 giugno 2025
Ordinanza del 26 giugno 2025 del Tribunale di Arezzo nel procedimento
civile promosso da A. M. contro Societa' cooperativa di c. m. di C. e
T. M. P. srl.
Fallimento e procedure concorsuali - Codice della crisi d'impresa e
dell'insolvenza - Esdebitazione - Previsione che il tribunale si
pronuncia sull'istanza di esdebitazione contestualmente alla
pronuncia del decreto di chiusura della procedura - Ammissibilita'
della domanda di esdebitazione depositata successivamente alla
chiusura della procedura - Esclusione.
- Decreto legislativo 12 gennaio 2019, n. 14 (Codice della crisi
d'impresa e dell'insolvenza in attuazione della legge 19 ottobre
2017, n. 155), art. 281, comma 1.
(GU n. 41 del 08-10-2025)
TRIBUNALE DI AREZZO
Sezione procedure concorsuali
Riunito in Camera di consiglio nelle persone dei seguenti
magistrati:
dott. Federico Pani Presidente est.;
dott. Andrea Turturro Giudice;
dott.ssa Alessia Caprio Giudice;
ha emesso la seguente ordinanza.
Con sentenza depositata in data 30 dicembre 2022, il Tribunale di
Arezzo ha dichiarato l'apertura della liquidazione giudiziale di M.
A., quale titolare dell'impresa individuale N. C.. Il curatore ha
depositato il rendiconto della gestione in data 12 settembre 2024 e
all'esito nell'udienza del 17 ottobre 2024, non essendo pervenute
osservazioni o contestazioni, esso e' stato approvato dal giudice
delegato. Con decreto del 13 dicembre 2024 il tribunale ha chiuso la
procedura per intervenuto riparto (che tuttavia ha soddisfatto solo i
creditori prededucibili, sorti nel corso dell'esercizio
dell'attivita' d'impresa, la cui prosecuzione e' stata autorizzata
fin dalla sentenza di apertura).
Con ricorso depositato in data 31 marzo 2025, la sig.ra M., con
il patrocinio dell'avv. Piera Santoro, ha adito questo tribunale
introducendo un apposito procedimento di volontaria giurisdizione e
chiedendo l'adozione del provvedimento di esdebitazione a norma
dell'art. 281, comma 2, del decreto legislativo n. 14/2019 (noto
anche come Codice della crisi, nel proseguo anche soltanto «CCII»).
Letto il ricorso, il tribunale ha fissato un'udienza
interlocutoria alla presenza della sola ricorrente rilevando la
potenziale inammissibilita' della domanda. Si riporto per esteso
quanto scritto in parte motiva:
«visto l'art. 281, comma 1, CCII a norma del quale "il
tribunale, su istanza del debitore, contestualmente alla pronuncia
del decreto di chiusura della procedura, salvo il disposto di cui
all'art. 280, comma 1, lettera a), secondo periodo, sentiti gli
organi della stessa e verificata la sussistenza delle condizioni di
cui agli articoli 278, 279 e 280, dichiara inesigibili nei confronti
del debitore i debiti concorsuali non soddisfatti", nonche' l'art.
279 CCII ai sensi del quale "salvo il disposto degli articoli 280 e
282, comma 2, il debitore ha diritto a conseguire l'esdebitazione
decorsi tre anni dall'apertura della procedura di liquidazione o al
momento della chiusura della procedura, se antecedente";
rilevato, ancora, che il codice della crisi non replica la
previsione di cui all'art. 143 LF secondo la quale "il tribunale, con
il decreto di chiusura del fallimento o su ricorso del debitore
presentato entro l'anno successivo [...]";
ritenuto, pertanto, che l'istanza del debitore debba essere
depositata antecedentemente alla chiusura della procedura e che
quest'ultima costituisca il limite temporale per la declaratoria di
esdebitazione».
All'udienza del 15 maggio 2025 la ricorrente ha dedotto: - che il
termine sancito dall'art. 281 non sarebbe perentorio; - che prima del
correttivo entrato in vigore il 28 settembre 2024 (dunque a cavallo
tra il deposito del rendiconto e la celebrazione dell'udienza di
approvazione dello stesso) era previsto che il tribunale pronunciasse
d'ufficio l'esdebitazione, e proprio facendo affidamento su tale
elemento la sig.ra M. non avrebbe depositato una richiesta di
esdebitazione prima della chiusura della liquidazione giudiziale; per
tale ragione, ha chiesto di essere rimessa in termini.
Il tribunale, preso atto, ha fissato l'udienza di comparizione,
disponendo la notifica nei confronti di tutti i creditori rimasti
insoddisfatti e chiedendo al curatore la trasmissione di un parere.
Il parere (positivo rispetto alla istanza di esdebitazione) e'
pervenuto in data 29 maggio 2025.
Si sono costituiti due creditori: Societa' cooperativa D. C. M.
D. C., in persona del legale rappresentante pro tempore,
rappresentata e difesa dall'avv. Alessandro Donati e dall'avv.
Eleonora Cottoni, e T. M. P. S.r.l., in persona del legale
rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avv. Marco
Panozzi. Entrambi si sono opposti lamentando di non aver ricevuto
alcun pagamento; il primo dei due creditori ha anche eccepito
l'inammissibilita' sulla scorta degli stessi argomenti sollevati dal
tribunale ex officio e osservato che, presentando il ricorso volto
all'apertura della liquidazione giudiziale solo dopo un anno dalla
cessazione del pagamento dei canoni, la ricorrente avrebbe aggravato
il dissesto, con cio' integrando la fattispecie criminosa della
bancarotta semplice.
Nel corso dell'udienza del 19 giugno 2025 le parti costituitesi
si sono sostanzialmente riportate agli argomenti gia' espressi negli
scritti difensivi, ivi compreso (sotto angoli visuali differenti)
quello della ritualita' del ricorso.
All'esito, il giudice relatore si e' riservato di riferire al
collegio.
Occorre soffermarsi, in prima battuta, sulla tematica
dell'ammissibilita' di una domanda di esdebitazione depositata da una
persona fisica che e' stata assoggettata a liquidazione giudiziale
successivamente alla chiusura della procedura medesima.
Il tribunale, con un decreto interlocutorio gia' sopra
menzionato, ha evidenziato le ragioni a sostegno della declaratoria
di inammissibilita', che fanno perno sul chiaro disposto normativo.
L'art. 281 CCII (rubricato «procedimento»), al comma primo,
sancisce quanto segue: «il tribunale, su istanza del debitore,
contestualmente alla pronuncia del decreto di chiusura della
procedura, salvo il disposto di cui all'art. 280, comma 1, lettera
a), secondo periodo, sentiti gli organi della stessa e verificata la
sussistenza delle condizioni di cui agli articoli 278, 279 e 280,
dichiara inesigibili nei confronti del debitore i debiti concorsuali
non soddisfatti». L'art. 279, invece, stabilisce che «salvo il
disposto degli articoli 280 e 282, comma 2, il debitore ha diritto a
conseguire l'esdebitazione decorsi tre anni dall'apertura della
procedura di liquidazione o al momento della chiusura della
procedura, se antecedente». Il combinato disposto di tali
disposizioni lascia ritenere che:
qualora la procedura di liquidazione giudiziale duri oltre
tre anni, al maturare del triennio la persona assoggettata al
concorso possa accedere all'esdebitazione;
se invece la procedura dura di meno, o se comunque decorso il
triennio il tribunale non ha statuito sul punto, l'esdebitazione
viene pronunciata «al momento della chiusura della procedura», ossia
«contestualmente alla pronuncia del decreto di chiusura della
procedura».
Che l'ordito normativo non lasci spazio a un'esdebitazione
successiva alla chiusura della procedura e' confermato anche da altri
dati interpretativi:
l'art. 143 regio decreto n. 267/1942 (Legge fallimentare),
che prima della entrata in vigore del codice, regolamentava gli
aspetti procedimentali dell'esdebitazione, esordiva come segue: «il
tribunale, con il decreto di chiusura del fallimento o su ricorso del
debitore presentato entro l'anno successivo [...]»; il semplice
confronto di tale norma con l'art. 281 (che ne costituisce, per certi
versi, il successore all'interno del codice) rende evidente come sia
stato eliminato il riferimento alla proposizione di un ricorso entro
l'anno successivo alla chiusura;
con sentenza n. 181/2008, la Corte costituzionale aveva
dichiarato l'illegittimita' costituzionale del citato art. 143 LF
nella parte in cui esso, in caso di procedimento di esdebitazione
attivato, ad istanza del debitore gia' dichiarato fallito, nell'anno
successivo al decreto di chiusura del fallimento, non prevedeva la
notificazione, a cura del ricorrente e nelle forme previste dagli
articoli 137 e seguenti del codice di procedura civile, ai creditori
concorrenti non integralmente soddisfatti, del ricorso col quale il
debitore chiede di essere ammesso al beneficio della liberazione dai
debiti residui nei confronti dei medesimi creditori, nonche' del
decreto col quale il giudice fissa l'udienza in Camera di consiglio;
ebbene, il codice nella sua versione originaria (cioe'
antecedentemente al correttivo apportato dal decreto legislativo n.
136/2024) non regolava la fissazione di un'udienza secondo le
modalita' descritte dalla Consulta, per la semplice ragione (per
l'appunto) che dopo la chiusura non vi era piu' alcuno spazio per
l'esdebitazione, il cui ambito applicativo era ormai destinato ad
estrinsecarsi solo all'interno del procedimento di liquidazione
giudiziale; il correttivo del settembre 2024 ha reso ancor piu'
chiaro tale aspetto, descrivendo un procedimento che sembra
innestarsi all'interno della liquidazione giudiziale (ultimo periodo
del primo comma dell'art. 281: «l'istanza del debitore e' comunicata
a cura del curatore ai creditori ammessi al passivo i quali possono
presentare osservazioni nel termine di quindici giorni»).
L'univoca interpretazione di cui sopra, ove mai ve ne fosse stato
bisogna, trova ulteriore conforto nella relazione di accompagnamento
al codice. Si legge infatti quanto segue: «quanto al procedimento, la
pronuncia puo' intervenire o contestualmente al decreto di chiusura
della procedura - se non sono ancora decorsi tre anni dalla data in
cui la stessa e' stata aperta, ed anche se proseguono i giudizi e le
operazioni come previsto dall'art. 289 - oppure, se tale lasso
temporale e' gia' trascorso e la procedura e' ancora pendente, quando
il debitore ne fa istanza».
L'odierna ricorrente ha dedotto che tuttavia il termine in
questione (vale a dire, il momento della chiusura della procedura)
non sarebbe perentorio, volendo con cio' affermare che il suo mancato
rispetto non produrrebbe alcuna conseguenza. Sennonche', anche a
voler dare per vera tale deduzione, basti rilevare che, secondo i
principi generali del processo, i termini ordinatori si differenziano
dai perentori non gia' perche' possono essere non rispettati senza
che a cio' consegua una sanzione processuale, ma perche' possono
essere oggetto di proroga su richiesta (ex multis, Cassazione n.
25369/2024). Ne deriva che l'argomentazione addotta dalla difesa
della ricorrente non e' idonea a rendere ex se ammissibile il
ricorso.
Sotto altro profilo, la difesa della ricorrente ha invocato
l'applicazione dell'art. 153 del codice di procedura civile,
chiedendo di essere rimessa in termine, id est che il ricorso, pur
tardivo, sia ritenuto tempestivo poiche' il ritardo nel deposito
sarebbe dovuto a causa non imputabile. Tale strada, tuttavia, non e'
percorribile per plurime ragioni. Anzitutto, e' ben difficile
ritenere che sia una «causa non imputabile» l'affidamento riposto sul
fatto che, prima del correttivo di settembre 2024, il tribunale
avrebbe dovuto provvedere d'ufficio alla dichiarazione di
esdebitazione, contestualmente alla chiusura: basti confrontare il
dettato dell'art. 282, che regola la c.d. esdebitazione di diritto
del sovraindebitato, con quello dell'art. 281 per comprendere che
solo nel primo caso, e non anche nel secondo, l'esdebitazione e'
automatica, di talche' l'affidamento sarebbe stato riposto su un dato
normativo-interpretativo non corretto. In ogni caso, il correttivo
(applicabile anche alle procedure in corso: si veda l'art. 56, comma
4, del decreto legislativo n. 136/2024) ha chiaramente puntualizzato
che l'istanza del debitore e' indispensabile (si veda la modifica al
primo comma dell'art. 281), per cui in seguito la ricorrente avrebbe
dovuto attivarsi chiedendo espressamente l'esdebitazione. Infine,
anche volendo ipotizzare che la ricorrente abbia in buona fede fatto
affidamento su un certo significato della previsione previgente e poi
abbia incolpevolmente ignorato il correttivo, comunque avrebbe dovuto
attivarsi immediatamente dopo il deposito del decreto di chiusura che
nulla statuiva sull'esdebitazione, contrariamente alle sue
aspettative, e non invece attivarsi oltre tre mesi dopo.
Tutto cio' posto, ritiene il collegio che non possa pervenirsi
allo stato alla declaratoria di inammissibilita', dubitandosi della
legittimita' costituzionale dell'art. 281, comma 1, CCII.
L'art. 8 della legge n. 155/2017, recante «Delega al Governo per
la riforma delle discipline della crisi di impresa e dell'insolvenza»
e dal cui esercizio e' sorto il Codice della crisi, cosi' recita:
«Nell'esercizio della delega di cui all'art. 1, per la
disciplina della procedura di esdebitazione all'esito della procedura
di liquidazione giudiziale, il Governo si attiene ai seguenti
principi e criteri direttivi:
a) prevedere per il debitore la possibilita' di presentare
domanda di esdebitazione subito davo la chiusura della procedura e,
in ogni caso, dopo tre anni dalla sua apertura, al di fuori dei casi
di frode o di malafede e purche' abbia collaborato con gli organi
della procedura;
b) introdurre particolari forme di esdebitazione di diritto
riservate alle insolvenze minori, fatta salva per i creditori la
possibilita' di proporre opposizione dinanzi al tribunale;
c) prevedere anche per le societa' l'ammissione al
beneficio della liberazione dai debiti residui nei confronti dei
creditori concorsuali non soddisfatti, previo riscontro dei
presupposti di meritevolezza in capo agli amministratori e, nel caso
di societa' di persone, in capo ai soci».
L'oggetto della delega e' ben chiaro. Il legislatore, dando
attuazione all'art. 21 della direttiva UE n. 2019/1023, ha previsto -
in termini innovativi rispetto al passato - l'attribuzione di un
diritto all'esdebitazione trascorso un termine non superiore a tre
anni decorrente dalla data di apertura della procedura. In
continuita' con quanto gia' previsto dall'art. 143 LF, pero', ha
anche statuito che la possibilita' per il debitore di presentare
domanda di esdebitazione (evidentemente qualora la procedura si sia
chiusa prima del triennio) dovesse estrinsecarsi «subito dopo la
chiusura della procedura» e non gia' entro la chiusura della stessa.
Prevedendo quindi come termine massimo per la presentazione della
domanda di esdebitazione quello della chiusura della procedura, il
legislatore delegato si e' posto in contrasto con i principi e
criteri direttivi della delega.
E' bene rimarcare che non ci si trova di fronte a un'ipotesi di
puro e semplice mancato esercizio della delega (che sarebbe in se'
legittimo, per costante giurisprudenza costituzionale). Il Governo ha
infatti dato piena attuazione alla stessa, rimodellando organicamente
la disciplina dell'esdebitazione, salvo, pero', prevedere un termine
massimo di proposizione della domanda frontalmente diverso rispetto a
quello contenuto nell'art. 8 il quale ha attribuito si' al
legislatore delegato un margine di discrezionalita' («subito dopo la
chiusura»: il termine, in concreto, avrebbe dovuto essere fissato dal
Governo), ma ha richiesto, pur tuttavia, che dopo il decreto di
chiusura della liquidazione giudiziale vi fosse ancora uno spazio per
la presentazione della domanda esdebitativa. Spazio che, nell'attuale
assetto normativo, non c'e'.
La disposizione costituzionale che si ritiene violata e' l'art.
76, a mente del quale «l'esercizio della funzione legislativa non
puo' essere delegato al Governo se non con determinazione di principi
e criteri direttivi e soltanto per tempo limitato e per oggetti
definiti». Parametro interposto e' il gia' richiamato art. 8, lettera
a), della legge n. 155/2017.
Quanto sopra esposto valga a sostenere il vaglio di non manifesta
infondatezza che incombe sul giudice a quo. In ordine, invece, alla
tematica della rilevanza, valgano le seguenti considerazioni.
In primo luogo, come reso evidente dalla ricostruzione
procedimentale sopra svolta, stando all'attuale assetto normativo il
ricorso della sig.ra M. dovrebbe ritenersi inammissibile perche'
fuori termine, di talche' la ricorrente perderebbe ogni possibilita'
di veder estinti tutti i debiti sorti nella gestione della sua
impresa individuale e, cosi', poter riavere accesso al credito e
provare a intraprendere concretamente nuove iniziative lavorative che
non siano di carattere subordinato (c.d. fresh start).
In secondo luogo, affinche' possa pronunciarsi l'esdebitazione
sotto il vigore del codice, l'art. 280 richiede la sussistenza di una
serie di requisiti che, a un vaglio sommario del tribunale, paiono
sussistere. Ed infatti:
la sig.ra M. non e' stata condannata per nessuno dei reati
descritti dalla lettera a);
stando a quanto riportato nella relazione ex art. 130,
nonche' nel parere reso dal curatore, la ricorrente non ha posto in
essere nessuna delle condotte descritte dalla lettera b); con
particolare riferimento all'aggravamento del dissesto che, secondo
uno dei creditori costituitisi, giustificherebbe la reiezione
dell'istanza, valga osservare, da un lato, che solo la bancarotta
fraudolenta (peraltro accertata penalmente) e non anche la bancarotta
semplice osta alla concessione dell'esdebitazione, e che inoltre la
lettera b) dell'art. 280 sanziona l'aggravamento del dissesto in
tanto in quanto cio' abbia reso gravemente difficoltosa la
ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari
(circostanza non rilevata dal curatore); piu' in generale, e'
dubitabile che l'omesso pagamento del canone, specie nel mezzo
dell'emergenza pandemica, possa considerarsi sintomo di volonta' di
aggravare il dissesto;
il curatore ha confermato che la ricorrente, nel corso della
procedura, ha sempre collaborato con la curatela (lettera c);
la sig.ra M. non ha beneficiato in passato dell'esdebitazione
(lettere d) ed e).
In buona sostanza, qualora fosse superato l'ostacolo
procedimentale caratterizzato dalla inammissibilita', la ricorrente
con ogni probabilita' vedrebbe accolto il proprio ricorso.
Non e' inopportuno, a questo punto, soffermarsi sul petitum della
presente ordinanza.
Ritiene il collegio che non sia possibile chiedere al giudice
delle leggi l'adozione di una sentenza c.d. additiva, che cioe'
innesti nell'art. 281, comma 1, un dies ad quem successivo alla
chiusura entro il quale la domanda potrebbe essere proposta, alla
stessa stregua di quanto previsto dall'art. 143 LF. E' ben chiaro,
infatti, che ci si muove al di fuori del recinto delle cd. rime
obbligate avendo la legge delega lasciato al Governo un margine di
discrezionalita' nella determinazione del termine («subito dopo la
chiusura»).
Cosi' stando le cose, per rendere l'attuale dettato normativo
rispettoso della Costituzione sembrerebbe possibile eliminare
dall'attuale primo comma dell'art. 281 il seguente segmento:
«contestualmente alla pronuncia del decreto di chiusura della
procedura». Nonostante la parziale ablazione, infatti, la
disposizione conserverebbe un significato piano e razionale, ma
verrebbe meno l'appiglio normativo che risulta decisivo nel
concludere, sul piano interpretativo, che il dies ad quem, rebus sic
stantibus, coincide con la chiusura della procedura. In concreto,
verrebbe meno il termine ultimo di proposizione della domanda di
esdebitazione, che quindi ben potrebbe essere presentata anche dopo
la chiusura.
Tale risultato non verrebbe contraddetto dal disposto dell'art.
279 (che, si ricorda, cosi' recita: «salvo il disposto degli articoli
280 e 282, comma 2, il debitore ha diritto a conseguire
l'esdebitazione decorsi tre anni dall'apertura della procedura di
liquidazione o al momento della chiusura della procedura, se
antecedente»). Invero, tale disposizione oggi corrobora la
conclusione ermeneutica tratta nelle premesse di questa ordinanza
perche' si combina con l'art. 281, comma 1; tuttavia, una volta
eliminato il riferimento al decreto di chiusura all'interno di
quest'ultima norma, il senso dell'art. 279 finirebbe per essere, piu'
semplicemente, che il debitore ha diritto all'esdebitazione una volta
decorsi tre anni o anche prima, se la procedura dovesse terminare
ante-triennio; ma cio' non toglierebbe - grazie all'eliminazione del
segmento normativo di cui si parla - che il debitore anche
successivamente alla chiusura possa domandare l'esdebitazione e che
il tribunale possa altresi' provvedere, essendo venuto meno il
vincolo della contestualita'.
Del pari, il primo comma dell'art. 281 conserverebbe una sua
coerenza interna. E' ben vero (come gia' rilevato) che l'ultimo
periodo dello stesso, per come introdotto dal correttivo del
settembre 2024, si attaglia maggiormente all'ipotesi in cui la
procedura liquidatoria sia aperta, ma nulla esclude che l'iter ivi
descritto possa applicarsi anche nel caso in cui la domanda del
debitore sia successiva alla chiusura. In buona sostanza, il curatore
rimarrebbe ultrattivo nei suoi poteri allo scopo di comunicare
l'istanza a tutti i creditori ammessi al passivo, i quali potrebbero
presentare osservazioni nel termine di quindici giorni;
successivamente, a contraddittorio instaurato, il tribunale si
pronuncerebbe con decreto collegiale adottato in Camera di consiglio.
In alternativa, potrebbe anche ritenersi che quanto previsto
dall'ultimo periodo del primo comma dell'art. 281 rimanga confinato
all'ipotesi di esdebitazione ante-chiusura, mentre per le domande
successive potrebbe trovare applicazione l'iter descritto dalla Corte
costituzionale nella sentenza n. 181/2008 avente ad oggetto l'art.
143 LF.
P.Q.M.
Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di
legittimita' costituzionale dell'art. 281, comma 1, del decreto
legislativo n. 14/2019, nella parte in cui stabilisce che il
tribunale debba pronunciare sull'istanza di esdebitazione
«contestualmente alla pronuncia del decreto di chiusura della
procedura», poiche' in violazione dell'art. 76 della Costituzione;
Sospende il procedimento a norma dell'art. 23 della legge n.
87/1953;
Dispone, a cura della cancelleria, l'immediata trasmissione degli
atti alla Corte costituzionale;
Ordina che a cura della cancelleria la presente ordinanza sia
notificata alla debitrice, ai liquidatori (che avranno cura di
trasmetterla ai creditori) ed al Presidente del Consiglio dei
ministri, nonche' che sia comunicata ai Presidenti delle due Camere
del Parlamento.
Arezzo, 25 giugno 2025
Il presidente est. Federico Pani