Reg. ord. n. 189 del 2025 pubbl. su G.U. del 08/10/2025 n. 41

Ordinanza del Tribunale di Arezzo  del 26/06/2025

Tra: A. M.  C/ Società cooperativa di c. m. di C.



Oggetto:

Fallimento e procedure concorsuali – Codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza – Esdebitazione – Previsione che il tribunale si pronuncia sull’istanza di esdebitazione contestualmente alla pronuncia del decreto di chiusura della procedura – Ammissibilità della domanda di esdebitazione depositata successivamente alla chiusura della procedura – Esclusione – Mancata corrispondenza con i principi e criteri direttivi della legge delega n. 155 del 2017, ove si contempla la possibilità di presentare la domanda di esdebitazione subito dopo la chiusura della procedura e, in ogni caso, dopo tre anni dalla sua apertura – Eccesso di delega.

Norme impugnate:

decreto legislativo  del 12/01/2019  Num. 14  Art. 281  Co. 1



Parametri costituzionali:

Costituzione  Art. 76   Co.  

legge  Art.  Co.



Camera di Consiglio del 9 febbraio 2026 rel. SCIARRONE ALIBRANDI


Testo dell'ordinanza

                        N. 189 ORDINANZA (Atto di promovimento) 26 giugno 2025

Ordinanza del 26 giugno 2025 del Tribunale di Arezzo nel procedimento
civile promosso da A. M. contro Societa' cooperativa di c. m. di C. e
T. M. P. srl. 
 
Fallimento e procedure concorsuali - Codice della crisi  d'impresa  e
  dell'insolvenza - Esdebitazione - Previsione che  il  tribunale  si
  pronuncia  sull'istanza  di  esdebitazione   contestualmente   alla
  pronuncia del decreto di chiusura della procedura -  Ammissibilita'
  della domanda  di  esdebitazione  depositata  successivamente  alla
  chiusura della procedura - Esclusione. 
- Decreto legislativo 12 gennaio 2019,  n.  14  (Codice  della  crisi
  d'impresa e dell'insolvenza in attuazione della  legge  19  ottobre
  2017, n. 155), art. 281, comma 1. 


(GU n. 41 del 08-10-2025)

 
                         TRIBUNALE DI AREZZO 
                    Sezione procedure concorsuali 
 
    Riunito  in  Camera  di  consiglio  nelle  persone  dei  seguenti
magistrati: 
        dott. Federico Pani Presidente est.; 
        dott. Andrea Turturro Giudice; 
        dott.ssa Alessia Caprio Giudice; 
    ha emesso la seguente ordinanza. 
    Con sentenza depositata in data 30 dicembre 2022, il Tribunale di
Arezzo ha dichiarato l'apertura della liquidazione giudiziale  di  M.
A., quale titolare dell'impresa individuale N.  C..  Il  curatore  ha
depositato il rendiconto della gestione in data 12 settembre  2024  e
all'esito nell'udienza del 17 ottobre  2024,  non  essendo  pervenute
osservazioni o contestazioni, esso e'  stato  approvato  dal  giudice
delegato. Con decreto del 13 dicembre 2024 il tribunale ha chiuso  la
procedura per intervenuto riparto (che tuttavia ha soddisfatto solo i
creditori   prededucibili,    sorti    nel    corso    dell'esercizio
dell'attivita' d'impresa, la cui prosecuzione  e'  stata  autorizzata
fin dalla sentenza di apertura). 
    Con ricorso depositato in data 31 marzo 2025, la sig.ra  M.,  con
il patrocinio dell'avv. Piera  Santoro,  ha  adito  questo  tribunale
introducendo un apposito procedimento di volontaria  giurisdizione  e
chiedendo l'adozione  del  provvedimento  di  esdebitazione  a  norma
dell'art. 281, comma 2, del  decreto  legislativo  n.  14/2019  (noto
anche come Codice della crisi, nel proseguo anche soltanto «CCII»). 
    Letto  il   ricorso,   il   tribunale   ha   fissato   un'udienza
interlocutoria alla  presenza  della  sola  ricorrente  rilevando  la
potenziale inammissibilita' della  domanda.  Si  riporto  per  esteso
quanto scritto in parte motiva: 
        «visto l'art. 281, comma  1,  CCII  a  norma  del  quale  "il
tribunale, su istanza del debitore,  contestualmente  alla  pronuncia
del decreto di chiusura della procedura, salvo  il  disposto  di  cui
all'art. 280, comma 1,  lettera  a),  secondo  periodo,  sentiti  gli
organi della stessa e verificata la sussistenza delle  condizioni  di
cui agli articoli 278, 279 e 280, dichiara inesigibili nei  confronti
del debitore i debiti concorsuali non  soddisfatti",  nonche'  l'art.
279 CCII ai sensi del quale "salvo il disposto degli articoli  280  e
282, comma 2, il debitore ha  diritto  a  conseguire  l'esdebitazione
decorsi tre anni dall'apertura della procedura di liquidazione  o  al
momento della chiusura della procedura, se antecedente"; 
        rilevato, ancora, che il codice della crisi  non  replica  la
previsione di cui all'art. 143 LF secondo la quale "il tribunale, con
il decreto di chiusura del  fallimento  o  su  ricorso  del  debitore
presentato entro l'anno successivo [...]"; 
        ritenuto, pertanto, che l'istanza del debitore  debba  essere
depositata antecedentemente  alla  chiusura  della  procedura  e  che
quest'ultima costituisca il limite temporale per la  declaratoria  di
esdebitazione». 
    All'udienza del 15 maggio 2025 la ricorrente ha dedotto: - che il
termine sancito dall'art. 281 non sarebbe perentorio; - che prima del
correttivo entrato in vigore il 28 settembre 2024 (dunque  a  cavallo
tra il deposito del rendiconto  e  la  celebrazione  dell'udienza  di
approvazione dello stesso) era previsto che il tribunale pronunciasse
d'ufficio l'esdebitazione, e  proprio  facendo  affidamento  su  tale
elemento la  sig.ra  M.  non  avrebbe  depositato  una  richiesta  di
esdebitazione prima della chiusura della liquidazione giudiziale; per
tale ragione, ha chiesto di essere rimessa in termini. 
    Il tribunale, preso atto, ha fissato l'udienza  di  comparizione,
disponendo la notifica nei confronti di  tutti  i  creditori  rimasti
insoddisfatti e chiedendo al curatore la trasmissione di un parere. 
    Il parere (positivo rispetto alla istanza  di  esdebitazione)  e'
pervenuto in data 29 maggio 2025. 
    Si sono costituiti due creditori: Societa' cooperativa D.  C.  M.
D.  C.,  in  persona   del   legale   rappresentante   pro   tempore,
rappresentata  e  difesa  dall'avv.  Alessandro  Donati  e  dall'avv.
Eleonora  Cottoni,  e  T.  M.  P.  S.r.l.,  in  persona  del   legale
rappresentante pro tempore, rappresentata e  difesa  dall'avv.  Marco
Panozzi. Entrambi si sono opposti lamentando  di  non  aver  ricevuto
alcun pagamento;  il  primo  dei  due  creditori  ha  anche  eccepito
l'inammissibilita' sulla scorta degli stessi argomenti sollevati  dal
tribunale ex officio e osservato che, presentando  il  ricorso  volto
all'apertura della liquidazione giudiziale solo dopo  un  anno  dalla
cessazione del pagamento dei canoni, la ricorrente avrebbe  aggravato
il dissesto, con  cio'  integrando  la  fattispecie  criminosa  della
bancarotta semplice. 
    Nel corso dell'udienza del 19 giugno 2025 le  parti  costituitesi
si sono sostanzialmente riportate agli argomenti gia' espressi  negli
scritti difensivi, ivi compreso  (sotto  angoli  visuali  differenti)
quello della ritualita' del ricorso. 
    All'esito, il giudice relatore si e'  riservato  di  riferire  al
collegio. 
    Occorre   soffermarsi,   in   prima   battuta,   sulla   tematica
dell'ammissibilita' di una domanda di esdebitazione depositata da una
persona fisica che e' stata assoggettata  a  liquidazione  giudiziale
successivamente alla chiusura della procedura medesima. 
    Il  tribunale,  con  un   decreto   interlocutorio   gia'   sopra
menzionato, ha evidenziato le ragioni a sostegno  della  declaratoria
di inammissibilita', che fanno perno sul chiaro disposto normativo. 
    L'art. 281  CCII  (rubricato  «procedimento»),  al  comma  primo,
sancisce quanto  segue:  «il  tribunale,  su  istanza  del  debitore,
contestualmente  alla  pronuncia  del  decreto  di   chiusura   della
procedura, salvo il disposto di cui all'art. 280,  comma  1,  lettera
a), secondo periodo, sentiti gli organi della stessa e verificata  la
sussistenza delle condizioni di cui agli articoli  278,  279  e  280,
dichiara inesigibili nei confronti del debitore i debiti  concorsuali
non soddisfatti».  L'art.  279,  invece,  stabilisce  che  «salvo  il
disposto degli articoli 280 e 282, comma 2, il debitore ha diritto  a
conseguire  l'esdebitazione  decorsi  tre  anni  dall'apertura  della
procedura  di  liquidazione  o  al  momento  della   chiusura   della
procedura,  se  antecedente».   Il   combinato   disposto   di   tali
disposizioni lascia ritenere che: 
        qualora la procedura di liquidazione  giudiziale  duri  oltre
tre anni,  al  maturare  del  triennio  la  persona  assoggettata  al
concorso possa accedere all'esdebitazione; 
        se invece la procedura dura di meno, o se comunque decorso il
triennio il tribunale non  ha  statuito  sul  punto,  l'esdebitazione
viene pronunciata «al momento della chiusura della procedura»,  ossia
«contestualmente  alla  pronuncia  del  decreto  di  chiusura   della
procedura». 
    Che  l'ordito  normativo  non  lasci  spazio  a  un'esdebitazione
successiva alla chiusura della procedura e' confermato anche da altri
dati interpretativi: 
        l'art. 143 regio decreto n.  267/1942  (Legge  fallimentare),
che prima della entrata  in  vigore  del  codice,  regolamentava  gli
aspetti procedimentali dell'esdebitazione, esordiva come  segue:  «il
tribunale, con il decreto di chiusura del fallimento o su ricorso del
debitore presentato  entro  l'anno  successivo  [...]»;  il  semplice
confronto di tale norma con l'art. 281 (che ne costituisce, per certi
versi, il successore all'interno del codice) rende evidente come  sia
stato eliminato il riferimento alla proposizione di un ricorso  entro
l'anno successivo alla chiusura; 
        con sentenza  n.  181/2008,  la  Corte  costituzionale  aveva
dichiarato l'illegittimita' costituzionale del  citato  art.  143  LF
nella parte in cui esso, in caso  di  procedimento  di  esdebitazione
attivato, ad istanza del debitore gia' dichiarato fallito,  nell'anno
successivo al decreto di chiusura del fallimento,  non  prevedeva  la
notificazione, a cura del ricorrente e  nelle  forme  previste  dagli
articoli 137 e seguenti del codice di procedura civile, ai  creditori
concorrenti non integralmente soddisfatti, del ricorso col  quale  il
debitore chiede di essere ammesso al beneficio della liberazione  dai
debiti residui nei confronti  dei  medesimi  creditori,  nonche'  del
decreto col quale il giudice fissa l'udienza in Camera di  consiglio;
ebbene,   il   codice   nella   sua   versione   originaria    (cioe'
antecedentemente al correttivo apportato dal decreto  legislativo  n.
136/2024)  non  regolava  la  fissazione  di  un'udienza  secondo  le
modalita' descritte dalla Consulta,  per  la  semplice  ragione  (per
l'appunto) che dopo la chiusura non vi era  piu'  alcuno  spazio  per
l'esdebitazione, il cui ambito applicativo  era  ormai  destinato  ad
estrinsecarsi  solo  all'interno  del  procedimento  di  liquidazione
giudiziale; il correttivo del  settembre  2024  ha  reso  ancor  piu'
chiaro  tale  aspetto,  descrivendo  un   procedimento   che   sembra
innestarsi all'interno della liquidazione giudiziale (ultimo  periodo
del primo comma dell'art. 281: «l'istanza del debitore e'  comunicata
a cura del curatore ai creditori ammessi al passivo i  quali  possono
presentare osservazioni nel termine di quindici giorni»). 
    L'univoca interpretazione di cui sopra, ove mai ve ne fosse stato
bisogna, trova ulteriore conforto nella relazione di  accompagnamento
al codice. Si legge infatti quanto segue: «quanto al procedimento, la
pronuncia puo' intervenire o contestualmente al decreto  di  chiusura
della procedura - se non sono ancora decorsi tre anni dalla  data  in
cui la stessa e' stata aperta, ed anche se proseguono i giudizi e  le
operazioni come previsto  dall'art.  289  -  oppure,  se  tale  lasso
temporale e' gia' trascorso e la procedura e' ancora pendente, quando
il debitore ne fa istanza». 
    L'odierna ricorrente  ha  dedotto  che  tuttavia  il  termine  in
questione (vale a dire, il momento della  chiusura  della  procedura)
non sarebbe perentorio, volendo con cio' affermare che il suo mancato
rispetto non produrrebbe  alcuna  conseguenza.  Sennonche',  anche  a
voler dare per vera tale deduzione, basti  rilevare  che,  secondo  i
principi generali del processo, i termini ordinatori si differenziano
dai perentori non gia' perche' possono essere  non  rispettati  senza
che a cio' consegua una  sanzione  processuale,  ma  perche'  possono
essere oggetto di proroga su  richiesta  (ex  multis,  Cassazione  n.
25369/2024). Ne deriva  che  l'argomentazione  addotta  dalla  difesa
della ricorrente non  e'  idonea  a  rendere  ex  se  ammissibile  il
ricorso. 
    Sotto altro profilo,  la  difesa  della  ricorrente  ha  invocato
l'applicazione  dell'art.  153  del  codice  di   procedura   civile,
chiedendo di essere rimessa in termine, id est che  il  ricorso,  pur
tardivo, sia ritenuto tempestivo  poiche'  il  ritardo  nel  deposito
sarebbe dovuto a causa non imputabile. Tale strada, tuttavia, non  e'
percorribile  per  plurime  ragioni.  Anzitutto,  e'  ben   difficile
ritenere che sia una «causa non imputabile» l'affidamento riposto sul
fatto che, prima del  correttivo  di  settembre  2024,  il  tribunale
avrebbe   dovuto   provvedere   d'ufficio   alla   dichiarazione   di
esdebitazione, contestualmente alla chiusura:  basti  confrontare  il
dettato dell'art. 282, che regola la c.d.  esdebitazione  di  diritto
del sovraindebitato, con quello dell'art.  281  per  comprendere  che
solo nel primo caso, e non  anche  nel  secondo,  l'esdebitazione  e'
automatica, di talche' l'affidamento sarebbe stato riposto su un dato
normativo-interpretativo non corretto. In ogni  caso,  il  correttivo
(applicabile anche alle procedure in corso: si veda l'art. 56,  comma
4, del decreto legislativo n. 136/2024) ha chiaramente  puntualizzato
che l'istanza del debitore e' indispensabile (si veda la modifica  al
primo comma dell'art. 281), per cui in seguito la ricorrente  avrebbe
dovuto attivarsi  chiedendo  espressamente  l'esdebitazione.  Infine,
anche volendo ipotizzare che la ricorrente abbia in buona fede  fatto
affidamento su un certo significato della previsione previgente e poi
abbia incolpevolmente ignorato il correttivo, comunque avrebbe dovuto
attivarsi immediatamente dopo il deposito del decreto di chiusura che
nulla   statuiva   sull'esdebitazione,   contrariamente   alle    sue
aspettative, e non invece attivarsi oltre tre mesi dopo. 
    Tutto cio' posto, ritiene il collegio che  non  possa  pervenirsi
allo stato alla declaratoria di inammissibilita',  dubitandosi  della
legittimita' costituzionale dell'art. 281, comma 1, CCII. 
    L'art. 8 della legge n. 155/2017, recante «Delega al Governo  per
la riforma delle discipline della crisi di impresa e dell'insolvenza»
e dal cui esercizio e' sorto il Codice della crisi, cosi' recita: 
        «Nell'esercizio della  delega  di  cui  all'art.  1,  per  la
disciplina della procedura di esdebitazione all'esito della procedura
di  liquidazione  giudiziale,  il  Governo  si  attiene  ai  seguenti
principi e criteri direttivi: 
          a) prevedere per il debitore la possibilita' di  presentare
domanda di esdebitazione subito davo la chiusura della  procedura  e,
in ogni caso, dopo tre anni dalla sua apertura, al di fuori dei  casi
di frode o di malafede e purche' abbia  collaborato  con  gli  organi
della procedura; 
          b) introdurre particolari forme di esdebitazione di diritto
riservate alle insolvenze minori, fatta  salva  per  i  creditori  la
possibilita' di proporre opposizione dinanzi al tribunale; 
          c)  prevedere  anche  per  le  societa'   l'ammissione   al
beneficio della liberazione dai  debiti  residui  nei  confronti  dei
creditori  concorsuali  non   soddisfatti,   previo   riscontro   dei
presupposti di meritevolezza in capo agli amministratori e, nel  caso
di societa' di persone, in capo ai soci». 
    L'oggetto della delega  e'  ben  chiaro.  Il  legislatore,  dando
attuazione all'art. 21 della direttiva UE n. 2019/1023, ha previsto -
in termini innovativi rispetto al  passato  -  l'attribuzione  di  un
diritto all'esdebitazione trascorso un termine non  superiore  a  tre
anni  decorrente  dalla  data  di  apertura   della   procedura.   In
continuita' con quanto gia' previsto  dall'art.  143  LF,  pero',  ha
anche statuito che la possibilita'  per  il  debitore  di  presentare
domanda di esdebitazione (evidentemente qualora la procedura  si  sia
chiusa prima del triennio)  dovesse  estrinsecarsi  «subito  dopo  la
chiusura della procedura» e non gia' entro la chiusura della  stessa.
Prevedendo quindi come termine massimo  per  la  presentazione  della
domanda di esdebitazione quello della chiusura  della  procedura,  il
legislatore delegato si e'  posto  in  contrasto  con  i  principi  e
criteri direttivi della delega. 
    E' bene rimarcare che non ci si trova di fronte a  un'ipotesi  di
puro e semplice mancato esercizio della delega (che  sarebbe  in  se'
legittimo, per costante giurisprudenza costituzionale). Il Governo ha
infatti dato piena attuazione alla stessa, rimodellando organicamente
la disciplina dell'esdebitazione, salvo, pero', prevedere un  termine
massimo di proposizione della domanda frontalmente diverso rispetto a
quello  contenuto  nell'art.  8  il  quale  ha  attribuito   si'   al
legislatore delegato un margine di discrezionalita' («subito dopo  la
chiusura»: il termine, in concreto, avrebbe dovuto essere fissato dal
Governo), ma ha richiesto, pur  tuttavia,  che  dopo  il  decreto  di
chiusura della liquidazione giudiziale vi fosse ancora uno spazio per
la presentazione della domanda esdebitativa. Spazio che, nell'attuale
assetto normativo, non c'e'. 
    La disposizione costituzionale che si ritiene violata  e'  l'art.
76, a mente del quale «l'esercizio  della  funzione  legislativa  non
puo' essere delegato al Governo se non con determinazione di principi
e criteri direttivi e soltanto  per  tempo  limitato  e  per  oggetti
definiti». Parametro interposto e' il gia' richiamato art. 8, lettera
a), della legge n. 155/2017. 
    Quanto sopra esposto valga a sostenere il vaglio di non manifesta
infondatezza che incombe sul giudice a quo. In ordine,  invece,  alla
tematica della rilevanza, valgano le seguenti considerazioni. 
    In  primo  luogo,  come   reso   evidente   dalla   ricostruzione
procedimentale sopra svolta, stando all'attuale assetto normativo  il
ricorso della sig.ra  M.  dovrebbe  ritenersi  inammissibile  perche'
fuori termine, di talche' la ricorrente perderebbe ogni  possibilita'
di veder estinti tutti  i  debiti  sorti  nella  gestione  della  sua
impresa individuale e, cosi', poter  riavere  accesso  al  credito  e
provare a intraprendere concretamente nuove iniziative lavorative che
non siano di carattere subordinato (c.d. fresh start). 
    In secondo luogo, affinche'  possa  pronunciarsi  l'esdebitazione
sotto il vigore del codice, l'art. 280 richiede la sussistenza di una
serie di requisiti che, a un vaglio sommario  del  tribunale,  paiono
sussistere. Ed infatti: 
        la sig.ra M. non e' stata condannata per  nessuno  dei  reati
descritti dalla lettera a); 
        stando a  quanto  riportato  nella  relazione  ex  art.  130,
nonche' nel parere reso dal curatore, la ricorrente non ha  posto  in
essere  nessuna  delle  condotte  descritte  dalla  lettera  b);  con
particolare riferimento all'aggravamento del  dissesto  che,  secondo
uno  dei  creditori  costituitisi,  giustificherebbe   la   reiezione
dell'istanza, valga osservare, da un lato,  che  solo  la  bancarotta
fraudolenta (peraltro accertata penalmente) e non anche la bancarotta
semplice osta alla concessione dell'esdebitazione, e che  inoltre  la
lettera b) dell'art. 280  sanziona  l'aggravamento  del  dissesto  in
tanto  in  quanto  cio'  abbia  reso   gravemente   difficoltosa   la
ricostruzione  del  patrimonio   e   del   movimento   degli   affari
(circostanza  non  rilevata  dal  curatore);  piu'  in  generale,  e'
dubitabile che  l'omesso  pagamento  del  canone,  specie  nel  mezzo
dell'emergenza pandemica, possa considerarsi sintomo di  volonta'  di
aggravare il dissesto; 
        il curatore ha confermato che la ricorrente, nel corso  della
procedura, ha sempre collaborato con la curatela (lettera c); 
        la sig.ra M. non ha beneficiato in passato dell'esdebitazione
(lettere d) ed e). 
    In   buona   sostanza,   qualora   fosse   superato    l'ostacolo
procedimentale caratterizzato dalla inammissibilita',  la  ricorrente
con ogni probabilita' vedrebbe accolto il proprio ricorso. 
    Non e' inopportuno, a questo punto, soffermarsi sul petitum della
presente ordinanza. 
    Ritiene il collegio che non sia  possibile  chiedere  al  giudice
delle leggi l'adozione di  una  sentenza  c.d.  additiva,  che  cioe'
innesti nell'art. 281, comma 1,  un  dies  ad  quem  successivo  alla
chiusura entro il quale la domanda  potrebbe  essere  proposta,  alla
stessa stregua di quanto previsto dall'art. 143 LF.  E'  ben  chiaro,
infatti, che ci si muove al di  fuori  del  recinto  delle  cd.  rime
obbligate avendo la legge delega lasciato al Governo  un  margine  di
discrezionalita' nella determinazione del termine  («subito  dopo  la
chiusura»). 
    Cosi' stando le cose, per  rendere  l'attuale  dettato  normativo
rispettoso  della  Costituzione   sembrerebbe   possibile   eliminare
dall'attuale  primo  comma  dell'art.  281  il   seguente   segmento:
«contestualmente  alla  pronuncia  del  decreto  di  chiusura   della
procedura».   Nonostante   la   parziale   ablazione,   infatti,   la
disposizione conserverebbe  un  significato  piano  e  razionale,  ma
verrebbe  meno  l'appiglio  normativo  che   risulta   decisivo   nel
concludere, sul piano interpretativo, che il dies ad quem, rebus  sic
stantibus, coincide con la chiusura  della  procedura.  In  concreto,
verrebbe meno il termine ultimo  di  proposizione  della  domanda  di
esdebitazione, che quindi ben potrebbe essere presentata  anche  dopo
la chiusura. 
    Tale risultato non verrebbe contraddetto dal  disposto  dell'art.
279 (che, si ricorda, cosi' recita: «salvo il disposto degli articoli
280  e  282,  comma  2,  il  debitore   ha   diritto   a   conseguire
l'esdebitazione decorsi tre anni  dall'apertura  della  procedura  di
liquidazione  o  al  momento  della  chiusura  della  procedura,   se
antecedente»).  Invero,   tale   disposizione   oggi   corrobora   la
conclusione ermeneutica tratta nelle  premesse  di  questa  ordinanza
perche' si combina con l'art.  281,  comma  1;  tuttavia,  una  volta
eliminato il  riferimento  al  decreto  di  chiusura  all'interno  di
quest'ultima norma, il senso dell'art. 279 finirebbe per essere, piu'
semplicemente, che il debitore ha diritto all'esdebitazione una volta
decorsi tre anni o anche prima, se  la  procedura  dovesse  terminare
ante-triennio; ma cio' non toglierebbe - grazie all'eliminazione  del
segmento  normativo  di  cui  si  parla  -  che  il  debitore   anche
successivamente alla chiusura possa domandare l'esdebitazione  e  che
il tribunale  possa  altresi'  provvedere,  essendo  venuto  meno  il
vincolo della contestualita'. 
    Del pari, il primo comma  dell'art.  281  conserverebbe  una  sua
coerenza interna. E' ben  vero  (come  gia'  rilevato)  che  l'ultimo
periodo  dello  stesso,  per  come  introdotto  dal  correttivo   del
settembre 2024,  si  attaglia  maggiormente  all'ipotesi  in  cui  la
procedura liquidatoria sia aperta, ma nulla esclude  che  l'iter  ivi
descritto possa applicarsi anche nel  caso  in  cui  la  domanda  del
debitore sia successiva alla chiusura. In buona sostanza, il curatore
rimarrebbe ultrattivo  nei  suoi  poteri  allo  scopo  di  comunicare
l'istanza a tutti i creditori ammessi al passivo, i quali  potrebbero
presentare   osservazioni   nel   termine   di    quindici    giorni;
successivamente,  a  contraddittorio  instaurato,  il  tribunale   si
pronuncerebbe con decreto collegiale adottato in Camera di consiglio.
In  alternativa,  potrebbe  anche  ritenersi  che   quanto   previsto
dall'ultimo periodo del primo comma dell'art. 281  rimanga  confinato
all'ipotesi di esdebitazione ante-chiusura,  mentre  per  le  domande
successive potrebbe trovare applicazione l'iter descritto dalla Corte
costituzionale nella sentenza n. 181/2008 avente  ad  oggetto  l'art.
143 LF. 

 
                               P.Q.M. 
 
    Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di
legittimita' costituzionale  dell'art.  281,  comma  1,  del  decreto
legislativo  n.  14/2019,  nella  parte  in  cui  stabilisce  che  il
tribunale   debba   pronunciare   sull'istanza    di    esdebitazione
«contestualmente  alla  pronuncia  del  decreto  di  chiusura   della
procedura», poiche' in violazione dell'art. 76 della Costituzione; 
    Sospende il procedimento a norma  dell'art.  23  della  legge  n.
87/1953; 
    Dispone, a cura della cancelleria, l'immediata trasmissione degli
atti alla Corte costituzionale; 
    Ordina che a cura della cancelleria  la  presente  ordinanza  sia
notificata alla  debitrice,  ai  liquidatori  (che  avranno  cura  di
trasmetterla  ai  creditori)  ed  al  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri, nonche' che sia comunicata ai Presidenti delle  due  Camere
del Parlamento. 
        Arezzo, 25 giugno 2025 
 
                  Il presidente est. Federico Pani